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Concentratori solari luminescenti a base di fluorofori organici ad alta resa quantica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale in Chimica

Curriculum Organico

Classe LM54

Concentratori solari luminescenti a base di

fluorofori organici a elevata resa quantica

Relatore:

Prof. Andrea Pucci

Candidato:

Francesca De Nisi

Controrelatore:

Prof. Gennaro Pescitelli

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1

Indice

1.

Introduzione ... 3

1.1. L’effetto fotovoltaico ... 4

1.2 Tecnologia Fotovoltaica (PV) ... 7

1.3 Tecnologia Fotovoltaica Organica e Ibrida ... 10

1.4 Concentratori Solari ... 13

1.4.1 Concentratori Solari Geometrici (CPV) ... 13

1.4.2 Concentratori Solari Luminescenti (LSC)... 14

1.4.2.1. Matrice Polimerica ... 20

1.4.2.2. Fluorofori ... 22

1.4.2.2.a) Nanoparticelle fluorescenti (Quantum Dots) ... 26

1.4.2.2.b) Complessi dei Lantanidi ... 28

1.4.2.2.c) Coloranti Organici Fluorescenti ... 30

1.5 Fluorofori con emissione dipendente dallo stato di aggregazione: ACQ e AIE ... 33

1.5.1 Meccanismo AIE ... 35

1.6. Sintesi dei derivati del tetrafeniletilene (TPE) ... 40

2. Scopo della tesi ... 45

3.

Risultati e discussione ... 46

3.1. LSC a base del fluoroforo SilaFluo ... 46

3.1.2 Caratterizzazione spettroscopica del SilaFluo nei film polimerici ... 51

3.1.3. Determinazione dell’efficienza ottica ... 56

3.2 LSC a base del fluoroforo TPE-AC ... 60

3.2.1. Caratterizzazione spettroscopica del TPE-AC nei film polimerici ... 62

3.2.2. Determinazione dell’efficienza ottica ... 66

3.3 Sintesi e caratterizzazione del fluoroforo TPE-TBA... 70

3.3.1 Sintesi del 5,5’-(((1,2-difenil-1,2-etilen)bis(4,1-fenilen)bis(metanililiden) bis(2-tiossodiidropirimidin-4,6(1H,5H)-dione) (TPE-TBA) ... 70

3.3.1.1. Sintesi dell’1,2-Bis(4-bromofenil)-1,2-difeniletilene (Br-TPE) ... 71

3.3.1.2. Sintesi della 4,4’-(1,2-difenil-1,2-etilen)dibenzaldeide (TPE-ALD) ... 72

3.3.1.3. Sintesi del 5,5’-(((1,2-difenil-1,2-etilen)bis(4,1-fenilen)bis(metanililiden)bis(2-tiossodiidropirimidin-4,6(1H,5H)-dione) (TPE-TBA) ... 73

3.3.2. Caratterizzazione NMR del TPE-TBA ... 74

3.3.3. Analisi termogravimetrica (TGA) ... 78

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2

4. Conclusioni ... 84

5.

Parte sperimentale ... 87

5.1 Materiali ... 87

5.2. Sintesi del 5,5’-(((1,2-difenil-1,2-etilen)bis(4,1-fenilen) bis(metanililiden)bis(2-tiossodiidropirimidin-4,6(1H,5H)-dione) (TPE-TBA) ... 88

5.2.1. Sintesi del 1,2-Bis(4-bromofenil)-1,2-difeniletilene (Br-TPE) ... 88

5.2.2. Sintesi della 4,4’-(1,2-difenil-1,2-etilen)dibenzaldeide (TPE-ALD) ... 92

5.2.3. Sintesi del 5,5’-(((1,2-difenil-1,2-etilen)bis(4,1-fenilen)bis (metanililiden)bis(2-tiossodiidropirimidin-4,6(1H,5H)-dione) (TPE-TBA) ... 95

5.3. Preparazione di soluzioni dei fluorofori ... 96

5.4. Preparazione dei film polimerici ... 97

5.5. Strumenti e metodi di caratterizzazione ... 98

5.5.1. Spettroscopia di assorbimento UV-Visibile ... 98

5.5.2. Spettroscopia di fluorescenza ... 98

5.5.3 Misure di Microscopia elettronica a scansione di campo (FE-SEM) ... 99

5.5.3 Spettroscopia di Massa a Ionizzazione Elettronica (EI-MS) ... 99

5.5.4. Spettrometria di Massa a Ionizzazione Electrospay (FIA-ESI-MS) ... 100

5.5.5. Analisi termogravimetrica (TGA) ... 100

5.5.6. Risonanza Magnetica Nucleare ... 100

5.5.7. Strumentazione per la misura del fattore di concentrazione ... 101

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3 1. Introduzione

Lo scorso secolo è stato caratterizzato dallo sfruttamento crescente dei combustibili fossili, per far fronte alla richiesta energetica alla base dello sviluppo della civiltà. La sfida attuale consiste nel rinunciare gradualmente a questa fonte di energia per non compromettere la stabilità della biosfera, senza però rinunciare a un bene indispensabile.

A seguito della conferenza di Parigi del 2015, che ha messo in evidenza come il cambiamento climatico rappresenti un pericolo urgente e potenzialmente irreversibile per tutta l’umanità, i 195 paesi partecipanti hanno concordato l’impegno alla riduzione delle emissioni di gas serra a livello globale, tramite la condivisione di tecnologie e risorse finanziare1. Tale accordo internazionale si situa in una tendenza potenzialmente positiva; infatti, nonostante nell’ultimo decennio il consumo di energia globale sia aumentato con una media del 1.8% all’anno, la richiesta di combustibili fossili è aumentata, invece, con una media del 1.6%2.

Questo è stato possibile anche grazie all’evoluzione della tecnologia per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Infatti, nell’Unione Europea, dal 2004 al 2015 la percentuale di energia ricavata da fonti rinnovabili è passata dal 8.5% al 16.7% del consumo di energia finale lordo3.

Attualmente l’energia elettrica rinnovabile è principalmente di tipo idroelettrico, ma l’utilizzo dell’energia solare sta aumentando velocemente4.

Figura 1.1 Consumo lordo energie rinnovabili nel 2004 e nel 20153

Infatti, le tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare stanno subendo uno sviluppo esponenziale, basti pensare che produrre energia elettrica a partire da energia solare già nel 2016 costava un terzo rispetto al 20094.

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4

L’energia solare rappresenta una risorsa inesauribile, gratuita e abbondante5: si stima infatti

che questa fonte rinnovabile abbia un intervallo di energia elargibile che va dai 1575 ai 49837 EJ/anno, che corrispondono rispettivamente a circa 3 e 100 volte il consumo di energia primaria nel solo 20086.

Tuttavia, l’energia solare dev’essere convertita in forme finali di energia utilizzabile5: per ottenere energia elettrica dall’energia solare viene sfruttato l’effetto fotovoltaico.

1.1. L’effetto fotovoltaico

L’effetto fotovoltaico è un fenomeno fisico che si manifesta quando un fotone sufficientemente energetico viene assorbito da un materiale semiconduttore, promuovendo il passaggio di un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione e generando, quindi, una coppia elettrone-lacuna7. L’energia necessaria a promuovere tale passaggio, detta band gap, coincide con la differenza energetica tra la banda di valenza e quella di conduzione del materiale semiconduttore. Questo gap energetico è tanto più piccolo quanto migliori sono le doti di conduttore del materiale: nei conduttori è < 0.1 eV, nei semiconduttori è compreso tra 0.1 eV e 3.0 eV, negli isolanti è > 3 eV.

Figura 1.2 Schema di funzionamento di un circuito fotovoltaico8

La coppia elettrone-lacuna ha tempi di vita limitati e tende a ricombinarsi. Per questo motivo i dispositivi fotovoltaici sono composti da due materiali semiconduttori, aventi uno un eccesso di cariche positive e l’altro un eccesso di cariche negative, in modo tale da

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5

generare una differenza di potenziale che stabilizzi la separazione di carica elettrone-lacuna. Infatti, le proprietà elettriche e ottiche dei semiconduttori possono essere alterate in maniera sostanziale aggiungendo piccole e controllate quantità di impurezze appositamente scelte, i dopanti, che alterano la concentrazione di portatori di carica mobili di vari ordini di grandezza. I dopanti con un eccesso di elettroni di valenza, detti donatori, possono essere usati per sostituire una piccola porzione degli atomi che normalmente formano il reticolo cristallino, creando un eccesso di elettroni mobili; questi materiali sono detti semiconduttori di tipo n (negative). Allo stesso modo, un materiale di tipo p (positive) può essere ottenuto utilizzando dopanti con un difetto di elettroni di valenza, chiamati accettori; in questo caso il risultato è una predominanza di lacune9.

Nelle celle fotovoltaiche, il semiconduttore più diffuso è il silicio, in questo caso il dopaggio di tipo p viene realizzato “drogando” il silicio con atomi aventi un elettrone in meno nella banda di valenza – quindi atomi appartenenti al terzo gruppo, come boro e alluminio – mentre per un dopaggio di tipo n, il silicio viene drogato con atomi con un elettrone in più nella banda di valenza – atomi del quinto gruppo, come fosforo e arsenico. Quando una regione di tipo n e una di tipo p vengono saldate, nella zona di contatto (detta giunzione p–n) elettroni e lacune diffondono dalla zona ad alta concentrazione a quella a bassa concentrazione: gli elettroni diffondono dalla regione n, lasciando gli atomi donatori ionizzati positivamente, alla regione p, nella quale si ricombinano con l’abbondanza di lacune; analogamente, le lacune diffondono dalla regione p verso la n, lasciando gli atomi accettori carichi negativamente.

Il processo di diffusione non continua indefinitamente, poiché genera uno sbilanciamento di carica nelle due regioni, portando alla formazione di una stretta regione di entrambi i lati della giunzione quasi completamente scevra di portatori di carica mobili. Questa regione è detta “zona di svotamento” o “di carica spaziale” e contiene solo cariche fisse: ioni positivi nella parte n e ioni negativi nella parte p. Lo spessore della zona di svuotamento d’ogni regione è inversamente proporzionale alla concentrazione di dopante nella stessa.

Le cariche fisse creano un campo elettrico nella zona di svotamento che parte dalla regione n e va verso la regione p della giunzione. Questo campo, detto built-in, si oppone alla diffusione di future cariche mobili attraverso la giunzione9.

Nel momento in cui fotoni sufficientemente energetici vengono assorbiti dal materiale, si creano delle coppie elettrone-lacuna sia nella zona n che nella zona p. Il campo elettrico di built-in permette di dividere gli elettroni e le lacune generati e li spinge in direzioni opposte gli uni rispetto agli altri, oltre la zona di carica spaziale. Mettendo in

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6

comunicazione esterna le zone p e n, si ottiene un flusso di elettroni da n a p, quindi una corrente elettrica.

Figura 1.3 Schematizzazione di una giunzione p-n all'equilibrio termico9

Per valutare l’efficienza di conversione da energia solare a energia elettrica, è necessario considerare l’irradianza della radiazione solare, definita come rapporto tra l'energia radiante per unità di tempo che incide su una superficie e l'area della stessa, e la sua distribuzione spettrale.

L’energia solare non è ugualmente distribuita sul globo: infatti, l’irradianza solare massima è circa 1000 W/m2 – valore registrato in una giornata estiva senza nuvole lungo l’equatore – e diminuisce all’aumentare della latitudine, arrivando a dimezzarsi all’altezza del 60° parallelo10. Al fine di standardizzare le prestazioni dei dispositivi a base di energia solare, è norma riferirsi allo spettro solare standard, noto come Air Mass 1.5 standard (AM1.5), che rappresenta lo spettro d’assorbimento di un corpo nero sulla superficie terreste all’altezza del 41° parallelo11; infatti, il valore 1.5 sta a indicare che la pressione atmosferica nel parallelo preso in considerazione è pari a 1.5 atmosfere, che corrisponde a un angolo di 48.2° del sole allo zenit rispetto alla superficie terrestre.

Il limite di Shockley–Queisser è una funzione semiempirica che definisce l’efficienza massima della conversione dell’energia solare in energia elettrica, tenendo conto di numerose variabili, tra cui la distribuzione spettrale della radiazione solare (AM1.5), la

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7

probabilità della transizione di un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione in un materiale semiconduttore e i tempi di vita della coppia elettrone-lacuna in funzione dell’entità del gap energetico12.

L’andamento del limite per una cella a singola giunzione in funzione della lunghezza d’onda mostra che la massima efficienza (di circa il 33%) viene raggiunta in un intorno di 885 nm, corrispondenti a un band gap di 1.4 eV13.

Figura 1.4 Spettro Air Mass 1.512 (a) e andamento del limite di Shockley-Queisser12 (b)

Per questa ragione il silicio, che possiede una band gap vicina a 1.4 eV (pari a 1.11 eV), è il materiale semiconduttore più utilizzato nella trasformazione dell’energia solare in energia elettrica.

1.2 Tecnologia Fotovoltaica (PV)

Il 90% delle celle fotovoltaiche commerciali è basato sugli stessi materiali e sugli stessi concetti sviluppati dai laboratori Bell nei primi anni ‘505; si tratta di sistemi che utilizzano come materiale semiconduttore il silicio, la cui band gap è di 1.11 eV, corrispondenti a una lunghezza d’onda di circa 1100 nm.

Il silicio impiegato può essere policristallino (m-Si) o, preferibilmente, monocristallino (sc-Si). L’omogeneità è indice di maggiore efficienza per i dispositivi fotovoltaici di silicio,

b) a)

(9)

8

dato che i diversi grani presenti nel reticolo policristallino portano a una dissipazione di cariche14.

L’energia E e il momento p di un elettrone libero nello spazio sono legati dall’equazione 1.1

𝐸 = =ħ (1.1)

dove p è l’ampiezza del momento e k è l’ampiezza del vettore d’onda 𝐤 =𝐩

ħ associato alla

funzione d’onda dell’elettrone e m0 è la massa dell’elettrone. La relazione tra E e k è

descritta da una parabola9.

I semiconduttori in cui il massimo della banda di valenza e il minimo della banda di conduzione corrispondono allo stesso momento (quindi alla stessa k) sono detti materiali a gap diretto; altrimenti, si dicono materiali a gap indiretto. La distinzione tra i due è importante: una transizione tra il massimo della banda di valenza e il minimo della banda di conduzione in un semiconduttore a gap indiretto richiede un cambiamento del momento dell’elettrone 9, 15. Infatti, in un semiconduttore a gap diretto l’eccitazione avviene con il semplice accoppiamento fotone-elettrone; se di energia opportuna, il fotone, colpendo l’elettrone nella banda di valenza, fornisce l’energia necessaria al suo passaggio nella banda di conduzione. L’energia in eccesso viene dissipata in calore e l’elettrone, una volta nella banda a più alta energia, è libero di muoversi e produrre corrente.

Figura 1.5 Relazione tra energia e momento in un semiconduttore a gap diretto (a) e in uno a gap indiretto (b)16

(10)

9

Al contrario, in un semiconduttore a gap indiretto, l’interazione di un fotone con l’elettrone della banda di valenza non garantisce né l’adeguata energia né l’adeguato momento necessari a eccitare l’elettrone nel minimo della banda di conduzione. Il passaggio dell’elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione si verifica grazie all’intervento di un fonone, la quasiparticella associata alla vibrazione del reticolo cristallino. Il fonone, emesso o assorbito, completa il percorso energetico dell’elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione. Come appare evidente, la transizione di un elettrone tra la banda di valenza e quella di conduzione risulta meno probabile in un materiale a gap indiretto, infatti questo tipo di materiali presenta coefficienti di assorbimento inferiori rispetto ai materiali a gap diretto.

Entrambe le forme cristalline del silicio sono caratterizzate da un band gap indiretto e come tali hanno coefficienti di assorbimento bassi. Nell’ottica di ottimizzare quest’aspetto, sono state sviluppate celle fotovoltaiche a base di silicio amorfo (a-Si), che, essendo un materiale a gap diretto, presenta coefficienti di assorbimento superiori di un ordine di grandezza rispetto alle corrispondenti forme cristalline17.

L’elevato coefficiente di assorbimento permette l’utilizzo di quantità minori di silicio, riducendo lo spessore delle celle fino a strati inferiori al micrometro14, il che comporta un risparmio dei costi di produzione e la possibilità di ottenere dispositivi flessibili18. Le celle fotovoltaiche a film sottile sono considerate appartenenti alla seconda generazione della tecnologia fotovoltaica.

Purtroppo, le celle fotovoltaiche a base di silicio amorfo sono caratterizzate da una drastica diminuzione dell’efficienza col tempo (già del 10% trascorse le prime 300–400 ore di esposizione): l’accrescimento progressivo della densità di difetti nel silicio amorfo idrogenato porta a un aumento della corrente di ricombinazione (effetto Staebler-Wronki)19.

Un ulteriore esempio di materiale semiconduttore a gap diretto è l’arseniuro di gallio (GaAs), che manifesta alti coefficienti di assorbimento e ottime resistenze al danneggiamento da radiazione. Come per le celle a base di a-Si, l’elevato coefficiente di assorbimento del GaAs rende possibile la produzione di celle spesse pochi micrometri, che presentano, però, un costo più elevato rispetto a celle a base di silicio amorfo20.

Sono stati registrati alti valori di efficienza21 anche per le celle a base di film di CdTe, un materiale semiconduttore con un bandgap di 1,5 eV (circa 830 nm); tuttavia, la scarsità del tellurio22 e l’elevata tossicità del cadmio, di cui inoltre è vietato il riciclo secondo le norme europee attualmente vigenti23, rendono questo tipo di sistemi poco sostenibile.

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10

Tra le celle a film sottile, le efficienze maggiori sono state riscontrate per i sistemi CIGS (Copper Indium Gallium Selenide). Si stratta di materiali con elevati coefficienti di assorbimento, con struttura generale CuInxGa(1-x)Se2, il cui band gap va da 1 a 1.7 in

funzione del valore di x, compreso tra 0 e 1. Nonostante le versatili e elevate prestazioni, i sistemi CIGS risultano di difficile produzione a causa dell’elevato costo24.

Nel tentativo di sfruttare al meglio lo spettro solare, sono state sviluppate celle fotovoltaiche che presentano più giunzioni p-n derivanti da semiconduttori diversi, dette celle multigiunzione. Tramite la combinazione di materiali con bande d’assorbimento corrispondenti a intervalli spettrali diversi, è possibile ottimizzare lo sfruttamento dello spettro solare; infatti, le celle multigiunzione presentano efficienze molto superiori rispetto alle celle a singola giunzione25 (Tabella 1.1, p. 13).

1.3 Tecnologia Fotovoltaica Organica e Ibrida

La tecnologia fotovoltaica organica e ibrida (o di terza generazione) comprende i sistemi OPV (organic photovoltaic cell) e i sistemi DSSC (dye-sensitized solar cell).26

Le celle fotovoltaiche organiche sono costituite da polimeri fotoattivi con un’ampia coniugazione π, in cui vengono dispersi composti in grado di dare separazione di carica per interazione con la radiazione luminosa, quali piccole molecole organiche, complessi organometallici o sistemi fullerenici. Tramite il sistema π, le cariche opposte viaggiano verso anodo e catodo, generando la corrente elettrica26-27. Attualmente, le rese di questo tipo di sistemi non vanno molto oltre il 10%28.

Figura 1.6 Rappresentazione del principio di funzionamento di una cella OPV26

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11

Le DSSC sono delle particolari celle fotoelettrochimiche costituite da due elettrodi separati da uno strato di biossido di titanio (TiO2) e da una soluzione elettrolitica contenente il

materiale attivo (dye-sensitizer). I materiali più comunemente utilizzati per la fabbricazione degli elettrodi consistono in uno strato di ossido di indio dopato con lo stagno su un supporto di vetro, il sistema viene rivestito da uno strato di poli(etilendiossitiofene:poli(stirene solfonato) (PEDOT:PSS). Infatti, polimeri di questo tipo presentano un’elevata trasparenza e delle ottime proprietà come trasportatori di carica26.

Figura 1.7 Principio di funzionamento di un dispositivo DSSC. PS è un sesitizer collegato all'elettrodo semiconduttore e R è una molecola di mediatore redox; come sistema PS è mostrato un complesso Ru-oligopidininico29.

Per interazione con la radiazione luminosa, il colorante viene ossidato e cede un elettrone al semiconduttore, il biossido di titanio, generando corrente. Il colorante viene ridotto tramite l’ausilio di mediatori redox, restituendo la specie attiva che può rientrare nel ciclo29. La tecnologia DSSC è limitata dal fatto che i sensitizers organici hanno spesso una “capacità di raccolta” della luce bassa a causa dei bassi coefficienti di assorbimento e dallo stretto profilo delle bande di assorbimento30. Sono stati quindi proposti sensitizers inorganici che hanno intense bande di assorbimento, ma anche in questo caso le rese non risultano molto elevate, poiché si hanno diverse perdite alle interfacce tra il sensitizer e il semiconduttore30.

Per migliorare l’efficienza di questo tipo di sistemi sono state proposte le PSC (perovskite solar cell). 30 Le perovskiti sono una classe di

composti con formula generale ABX3, con A e

B due differenti cationi di dimensioni diverse e X anionico.

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12

Le perovskiti utilizzate per le DSSC sono CH3NH3PbI3 o CH3NH3PbBr3, per le quali sono

riportate in letteratura interessanti proprietà ottiche ed elettriche31.

Attualmente, il materiale dominante nel campo delle PSC rimane il CH3NH3PbI3, per il

quale si registrano le migliori prestazioni30. Infatti, questa perovskite economica presenta una combinazione di proprietà che la rendono, di principio, il materiale fotoattivo ideale per i sistemi fotovoltaici32: in particolare, mostra bande di assorbimento larghe (sull’intera

finestra spettrale del visibile e centrate a 800 nm) e intense, che, insieme all’elevata mobilità di carica, ne rendono possibile l’utilizzo in sistemi a film sottile.

Rispetto ai sistemi DSSC a base di sensitizer organici o inorganici, le PSC manifestano efficienze maggiori, dovute agli alti coefficienti di assorbimento e alla diminuzione di perdite all’interfaccia sensitizer-semiconduttore; infatti, i nanocristalli di perovskite vengono sintetizzati semplicemente e direttamente sulla superficie del TiO230.

Nonostante le potenzialità, esiste un dibattito sull’affidabilità dei dati relativi all’efficienza dei sistemi PSC. Talvolta, infatti, le celle a perovskite esibiscono un’isteresi anomala nelle curve corrente-voltaggio; tale fenomeno sembrerebbe legato a una sovrastima dei valori di corrente misurati, derivanti non solo dalla fotoeccitazione, ma anche da effetti capacitivi33. Inoltre, i cristalli di perovskite sono notevolmente solubili in acqua e ciò li rende poco resistenti agli agenti atmosferici in sistemi non opportunamente isolati, tanto più che il PbI2

è cancerogeno5. Infine, l’elevata cristallinità può essere persa alle temperature tipiche a cui lavora una PV5.

Attualmente la ricerca sui sistemi DSSC e OPV, pur non essendo ancora competitivi con le PV a base di silicio sia a livello economico che per i tempi di vita5, è molto ampia34.

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13

Tabella 1.1 Efficienze massime per vari tipi di PV35; i valori di efficienza riportati tra parentesi si riferiscono al sistema

fotovoltaico in esame interfacciato a un concentratore solare.

Tipologia di PV Efficienza

Si

Monocristallino 25.8 % (27.6%)

Policristallino 22.3%

Cristalli a film sottile 21.2% Amorfo a film sottile 14.0%

GaAs Cristallo singolo 27.8% (29.3%)

Cristallo a film sottile 28.8%

CdTe film sottile 22.1%

CIGS film sottile 22.6% (23.3%)

Multigiunzione 2 giunzioni 32.8% (35.5%) 3 giunzioni 37.9% (44.4%) 4 o più giunzioni 38.8% (46.0%) OPV 11.5% DSSC 11.9% Perovskite 22.7% 1.4 Concentratori Solari

I concentratori solari sono dispositivi in grado di raccogliere la radiazione solare incidente su di un’ampia superficie e concentrarla in una piccola area, aumentando l’irradianza che incide sulla cella fotovoltaica. Ciò consente l’utilizzo di celle solari più piccole, riducendo i costi di produzione totali del sistema fotovoltaico.

Un concentratore fotovoltaico è costituito da due elementi principali: il raccoglitore ottico e la cella ricevitore.

1.4.1 Concentratori Solari Geometrici (CPV)

Nei concentratori solari geometrici, il raccoglitore ottico è costituito da uno specchio, una lente o da entrambi.

Vengono classificati in base al fattore di concentrazione36, misurato in “suns” (nelle condizioni AM 1.5, 1 sun è definito uguale a 100 mW/cm2 di irradianza (IEC 904-3)):

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14

- a media concentrazione (MCPV) da 10 a 100 suns, - ad alta concentrazione (HCPV) da 100 a 2000 suns, - ad altissima concentrazione (UHPV) >2000 suns.

Ad oggi i più alti valori di rendimento sono registrati per celle ad alta efficienza (come ad esempio celle multigiunzione) interfacciate a concentratori solari geometrici con un fattore di concentrazione molto alto35, come riportato in Tabella 1.1.

Tuttavia, tanto maggiore è il fattore di concentrazione, tanto più ristretta è la porzione di cielo vista dal concentratore; ne deriva che all’aumentare di tale fattore diventa sempre più stringente un efficiente inseguimento del Sole. D’altra parte, più si restringe la porzione di cielo vista e meno luce diffusa viene catturata. Per questo motivo i concentratori solari geometrici ad alta e ultra alta efficienza sono convenienti esclusivamente se collocati in siti dal clima caldo, ben soleggiati e con pochi giorni di nuvole o brutto tempo durante l'anno, nonché privi di inquinamento dell'aria.

La possibilità di impiego di celle molto piccole (si consideri, ad esempio, che una cella a tre giunzioni ha dimensioni di 3x3 mm, contro 110x100 mm di una cella tradizionale a silicio cristallino37) rende questo tipo di sistemi economici. Tuttavia presentano numerosi svantaggi5: devono seguire il Sole e ciò li rende più complessi e costosi, sono ingombranti,

funzionano poco con la luce diffusa38 e, infine, raggiungono temperature molto elevate nel punto di fuoco, per cui necessitano di sistemi di raffreddamento o di dissipazione del calore.

1.4.2 Concentratori Solari Luminescenti (LSC)

Un concentratore solare luminescente è un dispositivo ottico piano costituito da una matrice polimerica trasparente a basso costo, che funge da guida d’onda, nella quale viene disperso un fluoroforo.

La luce incidente viene assorbita dal fluoroforo e riemessa ad una frequenza minore; parte di essa viene convogliata – grazie alla riflessione interna totale – sui bordi del dispositivo38, ai quali è interfacciata la cella fotovoltaica.

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15

Figura 1.9 Rappresentazione del funzionamento di un sistema LSC38

Tale sistema di funzionamento permette lo sfruttamento anche della luce diffusa, contrariamente a quanto accade per le celle fotovoltaiche classiche e per i concentratori geometrici.

La quantità di luce riemessa che viene intrappolata dalla guida d’onda è legata all’indice di rifrazione del materiale polimerico. Infatti, in accordo con la legge di Snell, tutti i fotoni incidenti all’interfaccia tra un materiale e l’aria con un angolo maggiore dell’angolo critico vengono totalmente riflessi. L’angolo critico è definito come

θc = 𝑠𝑖𝑛 (1.2)

dove n indica l’indice di rifrazione del materiale.

Ne deriva che, per un emettitore isotropico in un materiale con indice di rifrazione di 1.5– 1.6 , circa il 75% della radiazione riemessa viene riflessa internamente38.

L’efficienza ottica (𝜂opt) di un sistema LSC definisce la frazione della radiazione solare

incidente convogliata sui bordi della matrice e non dipende unicamente dalla percentuale di fotoni totalmente riflessi, ma è descritta da un’equazione del tipo

𝜂opt =(1 – R) PTIR * 𝜂abs * 𝜂PLQY * 𝜂Stokes * 𝜂host * 𝜂TIR *𝜂self (1.3)

Dove

1 – R indica la frazione di luce solare riflessa sulla superficie del dispositivo; infatti, può verificarsi una perdita della radiazione incidente dovuta alla riflessione di Fresnel da parte della superficie frontale di un LSC. Il fattore R, dato dall’equazione 1.4

𝑅 =( )

(17)

16

è pari a circa 4% per n=1.5. La riflessione da parte della superficie posteriore del piano viene considerata trascurabile, dal momento che la maggior parte della radiazione incidente viene assorbita prima che raggiunga tale superficie.

PTIR indica la probabilità di riflessione interna totale; come già descritto, la radiazione di

fluorescenza viene intrappolata all’interno della matrice solo se emessa con un angolo maggiore dell’angolo critico. Tale probabilità è data dall’equazione 1.5.

𝑃 =√ (1.5)

Quindi, per un materiale con n=1.5, la probabilità che un fotone emesso per fluorescenza venga perso è pari a circa il 25%.

𝜂abs indica la frazione di luce solare assorbita dal fluoroforo. Infatti, per massimizzare la

propria potenza relativa, un dispositivo LSC dovrebbe assorbire il più ampio intervallo possibile della radiazione solare incidente, tale da consentire l’emissione di fotoni con energia superiore rispetto al band gap delle celle solari collocate in corrispondenza dei bordi del dispositivo. Per ottimizzare le prestazioni delle celle convenzionali al silicio, la lamina dovrebbe idealmente assorbire tutte le lunghezze d’onda inferiori ai 950 nm ed emettere nell’intervallo tra 950 e 1000 nm, che corrisponde alla massima risposta spettrale di una tipica cella a base di silicio.

La resa quantica di fotoluminescenza (𝜂PLQY) determina la probabilità che una molecola di

fluoroforo eccitata decada per via radiativa, emettendo un fotone per fluorescenza invece di dissipare tale energia in energia termica vibrazionale e quindi per via non radiativa, come mostrato in equazione 1.6

𝜂 = *100 (1.6)

Risulta evidente che è necessaria un’elevata resa quantica per raggiungere alti valori di efficienza ottica, in modo particolare per quei fluorofori che presentano un’ampia sovrapposizione tra lo spettro di assorbimento e quello di emissione. Supponendo di poter applicare la stessa resa quantica per ogni processo successivo di ri-assorbimento, l’effetto negativo di una resa quantica non unitaria viene incrementato da fenomeni di ri-assorbimento multiplo. Ad esempio, se un colorante presenta una resa quantica del 90%, la

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17

probabilità che un fotone venga emesso dopo 3 fenomeni di auto-assorbimento è pari a 0.93=0.73≡ 73%.

L’efficienza di Stokes (𝜂Stokes) è legata all’energia dissipata in maniera non radiativa tra

l’assorbimento e l’emissione; infatti, nei processi di fluorescenza, i fotoni vengono sempre emessi a lunghezze d’onda maggiori ed energie minori. Di conseguenza si verifica una perdita netta di energia durante la fluorescenza, anche in presenza di un fluoroforo con resa quantica di fluorescenza unitaria. La frazione di energia restante in seguito al processo di fluorescenza viene chiamata efficienza di Stokes e nei comuni fluorofori organici ha valori intorno a 0.75.

Il valore di 𝜂host corrisponde all’efficienza della matrice, in particolare del trasporto dei

fotoni all’interno della guida d’onda. Infatti, uno dei possibili meccanismi di perdita di una frazione della radiazione emessa per fluorescenza è dovuto agli assorbimenti della matrice. ηhost rappresenta la frazione della radiazione emessa per fluorescenza che viene trasmessa

dalla matrice e, di conseguenza, la frazione assorbita o diffusa risulta pari a (1-ηhost). Se da

un lato questo parametro può essere trascurabile nel range del visibile, dove la maggior parte dei polimeri e dei vetri sono altamente trasparenti, al contrario risulta significativo per fluorofori che emettono nel vicino infrarosso, regione nella quale molti polimeri esibiscono un forte assorbimento. Nel caso di PMMA in presenza di un fluoroforo emittente nel visibile, il valore di ηhost si aggira intorno a 0.95–0.98.

𝜂TIR indica l’efficienza di riflessione interna totale della guida d’onda e dipende

principalmente dall’omogeneità della matrice; infatti, sebbene la riflessione interna totale dovrebbe teoricamente avere un’efficienza unitaria, la presenza di particelle indesiderate di polvere o gocce depositate sulla superficie della lamina può causare diffusione della radiazione all’esterno del dispositivo. Quindi, eventuali danneggiamenti fisici della superficie o imperfezioni nella microstruttura superficiale della lamina, in funzione della tecnica di deposizione, sono caratteristiche che possono portare a una perdita di efficienza. Tuttavia, come dimostrato da Thomas e collaboratori39, questo fenomeno porta ad una perdita solo marginale di efficienza, anche dopo un elevato numero di riflessioni.

𝜂self rappresenta la frazione di fotoni emessi per fluorescenza che raggiungono i bordi del

dispositivo senza essere persi a causa di fenomeni di ri-assorbimento. Infatti, nel caso in cui lo shift di Stokes del fluoroforo sia tale da consentire l’assorbimento della radiazione emessa da parte di una seconda molecola di fluoroforo, in funzione della resa quantica, la

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18

radiazione emessa da questa seconda molecola di colorante avrà una direzione casuale, con la possibilità che possa fuoriuscire dalla lamina tramite i coni di fuga. In modo del tutto analogo, però, il processo di riassorbimento può favorire l’assorbimento da parte di altre molecole di colorante di fotoni diretti verso i coni di fuga, cosicché questi possano essere nuovamente emessi all’interno della lamina e giungere così in corrispondenza delle celle solari. Il valore di ηself per un comune LSC contenente un fluoroforo organico è

tipicamente nell’ordine dello 0.40–0.80, sebbene questo dipenda fortemente dalla concentrazione del colorante e sulla sua resa quantica di fotoluminescenza.

In conclusione, i fattori dominanti sulle perdite totali di efficienza sono dati da PTIR, ηabs,

ηStokes ed ηself e, quindi, sono questi a dover essere incrementati per ottenere efficienze

complessive migliori. Mentre ottimizzare PTIR risulta difficile, dato che dipende

esclusivamente dall’indice di rifrazione della matrice (che varia di poco da matrice a matrice), ηabs può essere incrementata utilizzando una miscela di diversi coloranti o diversi

strati di LSC accoppiati per aumentare la porzione di spettro elettromagnetico assorbita. Tuttavia, i coloranti che presentano emissione a lunghezze d’onda elevate presentano tipicamente valori di resa quantica minori. Al contrario, il valore di ηStokes non può essere

incrementato, poiché deriva da un fenomeno intrinseco caratteristico di tutti i LSC e dovuto al meccanismo di emissione per fluorescenza. Infine, ηself può essere ampliato

utilizzando fluorofori con uno shift di Stokes più ampio – quindi una minore sovrapposizione degli spettri di assorbimento ed emissione – così da ridurre la probabilità di fenomeni di ri-assorbimento.

Un parametro molto importante nel valutare le prestazioni di un sistema LSC è la concentrazione, descritta dal fattore C, che dipende dall’efficienza ottica e dalla geometria del dispositivo, rappresentata dal fattore G:

C = 𝜂opt · G (1.7)

Dove G è il rapporto tra la superficie esposta alla luce incidente e l’area in cui viene convogliata, quindi quella dei bordi della matrice polimerica.

A livello sperimentale, viene calcolato il valore del fattore di concentrazione al variare della quantità di fluoroforo disperso nella matrice polimerica, tramite il rapporto tra la corrente generata dalla cella fotovoltaica interfacciata al sistema LSC e la corrente generata

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19

dalla cella solare direttamente esposta verso la sorgente luminosa, per poi ottenere il valore di efficienza ottica a esso associata.

I dati relativi alla variazione di 𝜂 opt in funzione della concentrazione di fluoroforo nella

matrice vengono quindi interpolati tramite l’equazione 1.8, basata sul lavoro di Goezberger15:

𝜂 = 𝜀 ∙ 𝑐 ∙ 𝑒 ∙ + 𝐷 (1.8)

Dove c indica la concentrazione di colorante in peso percentuale (wt.%,) mentre ε’ e μopt

sono due parametri empirici così definiti:

𝜀′ ∝ ℎ ∙ 𝑒 ̅ (1.9)

𝜇 ∝ 𝜇′′(𝑄𝑌, 𝑝) ∙ 𝑙̅ (1.10)

Dove h indica lo spessore del film polimerico, 𝑙̅ indica il percorso medio della radiazione luminosa all’interno del sistema ottico e μ’’ è un termine che dipende dalla resa quantica e dalla probabilità di ri-assorbimento della radiazione di fluorescenza (p). D è una costante empirica che si riferisce alla capacità di una matrice trasparente e non contenente colorante di intrappolare la luce derivante dai fenomeni di diffusione dovuti a difetti della superficie e dello spessore del film polimerico.

La determinazione di ε’ e di μopt è fondamentale per l’analisi delle prestazioni di dispositivi

LSC diversi con medesima geometria. In particolare, ε’ è un coefficiente associato all’assorbimento del sistema fluoroforo/polimero, mentre nel valore di μopt sono compresi

tutti i fenomeni di quenching di fluorescenza.

Come risulta chiaro dall’equazione 1.8, della quale una dettagliata determinazione è riportata in letteratura dal nostro gruppo40, un sistema LSC ottimale dovrebbe presentare un’elevata ε’ e un basso valore di μopt.

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20 1.4.2.1. Matrice Polimerica

Le matrici polimeriche utilizzabili per i dispositivi LSC devono essere trasparenti (quindi con bassi coefficienti di assorbimento), chimicamente e termicamente stabili, non tossiche, economiche e il fluoroforo dev’essere ben solubile in esse.

Tra i materiali che rispondono a tali requisiti, i due principalmente utilizzati in quest’ambito sono il Polimetacrilato di metile (PMMA) e il Policarbonato (PC), due polimeri termoplastici41.

Figura 1.10 Struttura del polimetacrilato di metile (PMMA) a sinistra e del policarbonato (PC) a destra.

Il PMMA è ottenuto per polimerizzazione del metacrilato di metile42 ed è caratterizzato da

una buona lavorabilità, un’elevata trasparenza (presenta infatti un valore di trasmittanza (T) di circa 0.93, nello spettro visibile) nelle regioni spettrali considerate, una bassa densità (1.19 g/cm3) e un indice di rifrazione di 1.491, che produce una perdita di radiazione verso l’esterno di circa il 28%. Presenta, però, assorbimento nella regione del NIR.

Il policarbonato è ottenuto tramite polimerizzazione tra l’acido carbonico e un diolo aromatico. Possiede buone proprietà meccaniche, una trasparenza di poco inferiore al PMMA (T∼0.89 nello spettro visibile), una densità leggermente superiore (1.21 g/cm3) e un indice di rifrazione più elevato, 1.584, corrispondente a una perdita di radiazione verso l’esterno di circa il 26%15. Anche il PC presenta assorbimento nella regione del NIR.

Le due configurazioni principali per i concentratori solari luminescenti sono a film sottile o a lastra; nella configurazione a lastra il colorante fluorescente viene aggiunto al monomero prima della fase di polimerizzazione, cosicché alla fine del processo questo risulta omogeneamente disperso nella lastra polimerica ottenuta, in genere a base di PMMA. Nella configurazione a film sottile il colorante luminescente è disperso in un film di polimero, che fa da rivestimento a un substrato trasparente.

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21

Il film sottile è ottenuto generalmente tramite la tecnica Solvent casting43: una soluzione del polimero e del colorante in un opportuno solvente viene depositata sulla matrice scelta, solitamente un vetro a elevata purezza ottica. È necessario che vetro e polimero abbiano lo stesso indice di rifrazione, in modo tale che la luce rimanga intrappolata all’interno del dispositivo. Il film polimerico ottenuto conseguentemente all’evaporazione del solvente ha uno spessore uniforme – o comunque con disomogeneità trascurabili a seconda dell’applicazione finale – buona purezza ottica e bassa opacità. L’orientamento ottico, inoltre, risulta isotropico e i film presentano eccellente planarità e stabilità dimensionale43.

Nel caso in cui la matrice polimerica risulti poco affine al colorante, durante il processo di evaporazione, a seconda della rapidità con la quale il solvente tende ad allontanarsi dalla soluzione, si possono verificare dei fenomeni di segregazione di fase, con l’ottenimento di film poco omogenei. In questi casi, è possibile ottenere una migliore omogeneità andando a miscelare meccanicamente e in modo continuo la miscela di colorante e polimero da fuso all’interno di un estrusore. Con questa tecnica, grazie agli sforzi di taglio, è possibile superare la tensione interfacciale responsabile della formazione degli aggregati di colorante44.

Rispetto alla conformazione a lastra, i film sottili presentano numerosi vantaggi pratici, quali la facilità e la velocità di preparazione, nonché la possibilità di utilizzare quantità minori di colorante. Per tali ragioni le analisi sono state effettuate su questo tipo di concentratori.

I concentratori a film sottile sono stati concepiti anche nell’ottica di limitare i fenomeni di auto-assorbimento; infatti, in linea teorica, confinare il colorante all’interno di uno strato sottile rende meno probabile che il raggio di emissione incontri una seconda molecola di fluoroforo45. Nonostante non siano stati riscontrati vantaggi in termini di efficienza se confrontati con concentratori a lastra aventi la medesima quantità di colorante46, un recente studio effettuato da Kindermann e collaboratori47 ha dimostrato che la stabilità nel tempo risulta essere maggiore per rivestimenti di PMMA depositati su supporti di vetro che per lastre di puro PMMA.

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22 1.4.2.2. Fluorofori

Come accennato, i coloranti utili per applicazioni LSC sono composti che presentano luminescenza. La luminescenza è un processo radiativo di emissione spontanea tramite il quale una molecola che si trova in uno stato elettronicamente eccitato torna allo stato fondamentale. Sulla base della natura dello stato eccitato, la luminescenza può essere divisa in due categorie, la fluorescenza e la fosforescenza.

Si ha fluorescenza quando la molteplicità di spin dello stato eccitato è la stessa dello stato fondamentale. Per le piccole molecole organiche, generalmente lo stato elettronico fondamentale è un singoletto: la transizione elettronica che comporta fluorescenza è dunque del tipo singoletto-singoletto. Questa transizione è permessa dalle regole di selezione, il che comporta che l'emissione di fluorescenza sia relativamente veloce. Normalmente si osserva tale emissione in circa 10 ns dal momento dell’eccitazione e questo lasso temporale è definito “tempo di vita” del fluoroforo (τ).

La fosforescenza si ha quando la molteplicità di spin dello stato eccitato è diversa da quella dello stato fondamentale, per esempio da un tripletto a un singoletto. Questa transizione è proibita dalle regole di selezione, per cui la fosforescenza è un processo più lento: i tempi di vita di questi stati eccitati vanno dai 10 ms ai secondi.

I fenomeni che intercorrono tra l’assorbimento e l’emissione di un fotone da parte di una molecola organica sono sintetizzati nel diagramma di Perrin-Jablonski (o semplicemente di Jablonski) riportato in Figura 1.11.

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23

Gli stati elettronici di singoletto sono rappresentati da S0 (stato fondamentale), S1, S2… mentre gli stati di tripletto da T1, T2, …

Nonostante ad ogni livello elettronico siano associati dei livelli vibrazionali di per sé discreti, la maggior parte delle molecole fluorescenti esibisce bande di assorbimento e di emissione ampie e non strutturate, il che significa che ogni stato elettronico consiste in un gruppo quasi continuo di livelli vibrazionali.

Normalmente, l’assorbimento di un fotone promuove un elettrone dello stato fondamentale a uno dei livelli vibrazionali più alti di S1 o S2. Tuttavia, la molecola non rimane a lungo in questi stati eccitati, poiché nella maggior parte dei casi si verifica il rilassamento al livello vibrazionale a più bassa energia di S1. Questo fenomeno, detto conversione interna (IC), ha luogo in tempi minori o uguali a 10-12 s. Poiché i tempi di vita di fluorescenza sono tipicamente dell’ordine di 10-8 s, la maggior parte delle molecole si trova nel livello

vibrazionale a più bassa energia di S1 al momento dell’emissione. Ne deriva una lunghezza

d’onda d’emissione relativamente indipendente dalla lunghezza d’onda d’eccitazione, in accordo con la regola di Kasha49, e un’energia emessa sempre minore di quella assorbita. Come già anticipato, la differenza tra l’energia assorbita (S0S1* o S2) e l’energia emessa (S1S0) è detta shift di Stokes.

Le transizioni tra gli stati sono rappresentate da linee verticali, poiché, in accordo col principio di Franck-Condon, l’assorbimento della radiazione luminosa avviene in tempi troppo brevi (10-15 s) perché si possano avere significativi riarrangiamenti dei nuclei. Dunque, lo spaziamento tra i livelli energetici vibrazionali degli stati elettronici eccitati è simile a quello tra i livelli dello stato fondamentale. Infatti, lo spettro di emissione risulta speculare a quello di assorbimento.

Come mostrato in Figura 1.12, un fluoroforo può passare dallo stato di singoletto S1 al primo stato di tripletto T1 tramite inversione di spin. Secondo la regola di Hund, tale stato ha un'energia inferiore a quella dello stato di singoletto della stessa configurazione: la sua emissione è quindi spostata a lunghezze d'onda maggiori rispetto alla fluorescenza50. Tale processo d’inversione di spin è detto intersystem crossing (ISC).

Dal momento che la transizione da T1 a S0 risulta proibita, i tempi di vita di fosforescenza

sono maggiori di vari ordini di grandezza rispetto a quelli di fluorescenza.

In aggiunta al tempo di vita di fluorescenza, un’importante caratteristica dei fluorofori è la resa quantica (QY o Φ), data dal rapporto tra il numero di fotoni emessi e quello di fotoni

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assorbiti. Tanto maggiore è la resa quantica di un fluoroforo, tanto più intensa sarà la sua emissione. Infatti, il processo di rilassamento dallo stato S1 allo stato S0 è in parte

radiativo, descritto dalla costante Γ, e in parte non radiativo, indicato dalla costante knr, e

quindi la QY sarà data dall’equazione 1.11: Φ =

(1.11)

Da questa equazione si deduce che la resa quantica sarà tanto più vicina all’unità quanto minore risulta knr rispetto a Γ. Ovviamente, la resa energetica è sempre inferiore all’unità

per via dello shift di Stokes.

Il tempo di vita di uno stato eccitato rappresenta il tempo necessario alla molecola per passare dallo stato eccitato a quello fondamentale ed è dato dall’equazione 1.12.

τ =

(1.12)

Da questa equazione risulta evidente che la resa quantica e il tempo di vita di fluorescenza possono essere modificati agendo su qualunque fattore influisca sulle costanti Γ e knr.

Infatti, i meccanismi di rilassamento di una molecola possono essere influenzati da vari fattori, come il pH, la forza ionica della soluzione, la concentrazione di fluoroforo o le interazioni del fluoroforo con le altre molecole in soluzione.

In particolare, è interessante sottolineare che, se le interazioni intermolecolari avvengono in tempi paragonabili al tempo di vita del fluoroforo, si può verificare una significativa inibizione della fluorescenza. Tale diminuzione dell’intensità di emissione può essere reversibile o irreversibile.

Con il termine photobleaching si definiscono i fenomeni di fotodegradazione di un fluoroforo causati dall’assorbimento di una radiazione luminosa troppo intensa. Questi dipendono dalla reattività del fluoroforo in esame, dall’ambiente a esso circostante e dalla lunghezza d’onda della radiazione responsabile.

Con il termine quenching, contrariamente, si intendono i fenomeni reversibili che portano ad un abbattimento dell’emissione di fluorescenza. Il quenching di fluorescenza può derivare da meccanismi diversi, ad esempio si ha il quenching collisionale quando un fluoroforo nello stato eccitato cede l’energia per via non radiativa tramite l’urto con altre molecole in soluzione, dette quencher. Il quenching collisionale ha come risultato il ritorno del fluoroforo allo stato fondamentale senza che sia stato modificato chimicamente nel processo.

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25

Un altro esempio di quenching dinamico è dato dalle interazioni fluoroforo-solvente. Molti fluorofori presentano un momento di dipolo maggiore allo stato eccitato che nello stato fondamentale, per cui, nel tempo relativamente lungo che intercorre tra l’eccitazione e l’emissione, le molecole di solvente possono riorientarsi nell’intorno del fluoroforo eccitato (dato che i moti rotazionali in soluzione sono dell’ordine di 10-12 s), stabilizzando lo stato eccitato e quindi spostando l’emissione a lunghezze d’onda maggiori.

Tale processo di riarrangiamento del solvente avviene in tempi dell’ordine di 10-10 s e

quindi influenza lo spettro di emissione ma non quello di assorbimento. Dunque, la variazione dello shift di Stokes può dare informazioni sulla polarità del solvente49, 51.

Ad oggi i fluorofori comunemente impiegati per applicazioni LSC sono le nanoparticelle fluorescenti (quantum dots), i complessi lantanidici e i coloranti organici fluorescenti.

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1.4.2.2.a) Nanoparticelle fluorescenti (Quantum Dots)

Sono definiti quantum dots (punti quantici) nanocristalli di materiali semiconduttori – i più comuni sono la cadmoselenite (CdSe) e il fosfuro di indio (InP)52 – delle dimensioni di 10-100 nm38.

Quando lo spessore degli strati di semiconduttore è comparabile o minore alla lunghezza d’onda di de Broglie (ad esempio, per il GaAs è di circa 50 nm), la relazione tra energia e momento per un semiconduttore bulk non è più applicabile9: mentre in un semiconduttore bulk elettroni e lacune sono liberi di muoversi in bande di valori energetici continui, quando il numero di atomi nel reticolo è molto basso la densità degli stati diventa discreta e perde l’aspetto di banda vera e propria53. In generale, quando un materiale ha una o più dimensioni abbastanza piccole da avere effetti sulla densità elettronica degli stati, allora si dice che il materiale è “confinato”. Possiamo avere quindi contenitori quantici (bidimensionali), fili quantici (monodimensionali) e punti quantici (zero-dimensionali)53.

Figura 1.12 Rappresentazione dei livelli energetici di un semiconduttore tridimensionale, bidimensionale, monodimensionale e zero-dimensionale53

I materiali semiconduttori bulk sono esempi di sistemi in tre dimensioni dove la densità degli stati è proporzionale a (E-Ec/v)1/2. Un contenitore quantico è un sistema

bidimensionale dove gli elettroni sono liberi di muoversi in due dimensioni e quindi hanno la densità degli stati a gradini. Un filo quantico è un sistema monodimensionale dove gli elettroni sono liberi di muoversi in una dimensione e quindi hanno una densità degli stati proporzionale a (E-Ec/v)-1/2. Un punto quantico è un sistema a zero dimensioni dove il

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densità di stati simile ad un atomo, che è descritta matematicamente dalla funzione delta δ(E-Ec/v)53. Poiché il sistema elettrone-lacuna è approssimabile a un atomo idrogenoide la

separazione tra l’elettrone e la lacuna è detta raggio di Bohr.

Il confinamento quantico è principalmente dovuto alla presenza di relativamente pochi atomi in un punto quantico, dove gli eccitoni sono confinati in uno spazio delle dimensioni del raggio di eccitazione di Bohr del materiale. Questo confinamento porta a dei livelli energetici discreti, quantizzati, più simili a quelli di un atomo che alle bande continue dei semiconduttori bulk. Per questa ragione, in letteratura i punti quantici sono spesso chiamati “atomi artificiali”53. Ne deriva che modulando le dimensioni di un quantum dot è possibile variare l’entità del band gap tra i livelli energetici. Infatti, a dimensioni minori corrispondono band gap maggiori e viceversa52,54. Questi fluorofori sono caratterizzati da spettri di assorbimento – e quindi di emissione – tanto più larghi quanto più distribuiti sono i diametri delle nanoparticelle55. Dal momento che per spettri di assorbimento e di

emissione larghi diventa più probabile la sovrapposizione tra i due, i fenomeni di auto-assorbimento limitano la resa quantica dei quantum dots rispetto ai coloranti organici56. I miglioramenti ottenuti nelle tecniche di sintesi dei quantum dots hanno portato, come risultato, ad una distribuzione più stretta dei diametri, che produce una minore sovrapposizione tra gli spettri e quindi minori fenomeni di auto-assorbimento57.

Nonostante i quantum dots dimostrino una buona fotostabilità in condizioni di laboratorio, risultano sensibili all’ossidazione58,59,60. Infatti, numerose ricerche mettono in evidenza come durante il processo di incorporazione dei quantum dots in matrici solide si verifichino reazioni di ossidazione alla superficie del materiale, che causano in molti casi uno shift verso il blu sia dello spettro di assorbimento che di quello di emissione56,59a,61 ,

nonché un sensibile abbattimento dei tempi di vita del dispositivo59b,59a,56,61. Inoltre, l’intensità di emissione dipende in larga parte anche dalla natura della matrice utilizzata, infatti a seconda di questa si possono avere perdite in intensità che vanno dal 20 al 95 %56. Al fine di risolvere questi inconvenienti, sono stati proposti quantum dots strutturati in maniera alternativa, creando un incapsulamento colloidale di un core rivestito da un guscio, shell, di diverse specie di semiconduttori62. L'introduzione di queste nuove

nanostrutture, chiamate etero-nanocristalli, dà un’enorme flessibilità nel design dei quantum dots e permette un miglioramento delle prestazioni sia al livello di stabilità all'esposizione all'ossigeno sia nella migliore compatibilità con la matrice, aumentando la resa quantica di questo tipo di sistemi.

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Figura 1.13 Schematizzazione della configurazione core-shell di un quantum dot63

1.4.2.2.b) Complessi dei Lantanidi

Gli ioni dei lantanidi presentano fluorescenza e sono caratterizzati da un’elevata fotostabilità e da larghi shift di Stokes, caratteristiche che li rendono buoni candidati per sistemi LSC38. La loro prima applicazione in questo settore risale al 197764, quando Levitt e Weber utilizzarono il neodimio(III) come dopante in una lastra di vetro.

Gli ioni Ln3+, caratterizzati da orbitali f parzialmente pieni, assorbono la radiazione elettromagnetica nella regione del visibile e del NIR. Gli ioni dei lantanidi presentano uno spettro, sia in assorbimento che in emissione, caratterizzato da bande molto strette, dovute alla natura stessa degli orbitali 4f che si comportano come orbitali di core65,66.

Un aspetto importante è la durata di tali emissioni, che presentano un tempo di vita di vari ordini di grandezza superiore rispetto a quanto osservato comunemente per i fluorofori organici. Essendo le transizioni f←f proibite dalla regola di Laporte (poiché non vi è cambio di parità degli orbitali), i coefficienti di estinzione molare sono molto bassi, di solito non superiori a 10 M-1cm-1. Le frequenze di tali assorbimenti sono scarsamente influenzate dai leganti, la cui geometria piuttosto influisce sulle intensità relative delle transizioni f←f.

E’ possibile ottenere un incremento della luminescenza tramite una dispersione di tali ioni in un’opportuna matrice, come ossidi o fluoruri inorganici, o in maniera più efficiente attraverso la coordinazione di leganti organici od organometallici che presentino elevate capacità di assorbimento della radiazione e la possibilità di trasferire tale energia al centro metallico. Tale meccanismo, coinvolgente l’assorbimento della radiazione da parte di un

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legante e la successiva emissione da parte dello ione Ln3+, è conosciuto come Effetto

Antenna.

Figura 1.14 Diagramma rappresentativo dell'Effetto Antenna67

Il trasferimento energetico da legante a ione lantanide può avvenire attraverso diversi meccanismi, il più comune dei quali prevede che lo stato eccitato dello ione Ln3+ venga popolato attraverso un trasferimento energetico dallo stato eccitato di tripletto del legante. La prossimità dell’antenna al centro metallico gioca un ruolo chiave nel trasferimento energetico. L’efficienza di tale trasferimento dipende inoltre dalle energie relative tra i due stati eccitati. Il livello energetico dell’antenna deve esser superiore a quello dello ione lantanide, così da non favorire il fenomeno di Back Energy Transfer, ma non abbastanza da favorire un decadimento radiativo a carico dell’antenna.

Poiché secondo la teoria HSAB (Hard and Soft Acid and Bases) gli ioni Ln3+ sono

classificati come acidi hard, comuni leganti-antenna sono composti chelanti ossigeno- o azoto-donatori, cioè leganti hard, preferibilmente anionici; infatti, i leganti comunemente usati come sistemi-antenna sono β-dichetonati e derivati dell’acido dipicolinico.

Un inconveniente di questi complessi è che l’emissione degli ioni eccitati può essere abbattuta dai moti vibrazionali dei legami C-H spesso presenti nei leganti. Per questa ragione sono necessari leganti fluorurati o deuterati – dato che gli assorbimenti vibrazionali dei legami C-F e C-D avvengo a energie più basse – con conseguente aumento dei costi di produzione38.

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30 1.4.2.2.c) Coloranti Organici Fluorescenti

Come già spiegato, per massimizzare l’efficienza di un LSC, la lunghezza d’onda di emissione dovrebbe idealmente cadere nella regione del visibile-NIR68, regione in cui la risposta spettrale delle celle solari al silicio risulta essere più elevata. Purtroppo, un incremento della lunghezza d’onda di emissione di un colorante organico è inevitabilmente accompagnato da una riduzione della resa quantica69. Questo comportamento viene attribuito ad un aumento della probabilità di decadimenti non radiativi all’aumentare della lunghezze d’onda d’eccitazione, con conseguente riduzione del numero di eventi utili all’emissione per fluorescenza70. Inoltre, la maggior parte dei coloranti organici presenta sovrapposizione tra gli spettri di assorbimento ed emissione, come riportato in Figura 1.1571 per il colorante Lumogen F Orange

240 di produzione della BASF; tale sovrapposizione incrementa la probabilità di fenomeni di ri-assorbimento quando i coloranti vengono dispersi in matrici polimeriche. Tale fenomeno di ri-assorbimento risulta particolarmente significativo nel caso dei coloranti che emettono nel NIR, caratterizzati appunto da un’elevata sovrapposizione spettrale. Per queste ragioni, i fluorofori più interessanti per applicazioni LSC sono molecole che emettano nel rosso e che presentino ampi shift di Stokes.

Tra coloranti organici fluorescenti adatti ad applicazioni LSC, le massime efficienze sono state registrate per molecole a base di nuclei perilenici. In particolare lo stato dell’arte si riferisce quasi esclusivamente al Lumogen Red 305 (Figura 1.16) , che emette nel rosso, per via della considerevole fotostabilità e dell’elevata resa quantica – che risulta molto vicina all’unità – anche a concentrazioni alte38, 72.

Figura 1.15 Sovrapposizione degli spettri di assorbimento e di emissione relativi al Lumogen F orange 24071

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Al fine di trovare alternative al Lumogen Red 305, che ha un costo molto elevato (7500€/kg), molti gruppi di ricerca si sono focalizzati su altre tipologie di modifica di sistemi perilenici. Ne è un esempio il lavoro di Debije et al.73 nella sintesi dei coloranti a nucleo perilenico-perinonico riportati in Figura 1.17.

I valori di resa quantica ottenuti per il perilene perinone nonilfenolo sono molto buoni, pari a 1 ± 0.05 in toluene e 0.80 ± 0.08 in xilene. Questo tipo di sistemi presenta una buona fotostabilità e, rispetto al Lumogen Red 305, una banda di assorbimento più ampia di circa 50 nm.

In quest’ambito sono stati proposti molti altri coloranti a base perilenica71, che però presentano elevata resa quantica e stretto shift di Stokes (1, Figura 1.18) o viceversa (2 e 3, Figura 1.18):

Figura 1.18 Esempi di coloranti a nucleo perilenico ispirati al Lumogen F Orange e relativi dati spettroscopici71

Un’altra classe di coloranti indagati in questo tipo di tecnologia sono le rodamine, in particolare la rodamina 6G e la rodamina B presentano valori di resa quantica in soluzione elevati, rispettivamente dello 0.95 e dello 0.65 in etanolo74.

Figura 1.19 Rodamina 6G (a sinistra) e Rodamina B (a destra)

Figura 1.17 Struttura dei coloranti a nucleo perilenico-perinonico, con R= nonil- oppure 4-tert-ottil-

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32

Un approccio alternativo è consistito nel cercare di modulare le caratteristiche ottiche di sistemi a nucleo imidazolico selezionando gruppi sostituenti push-pull. Ne sono un esempio i fluorofori sintetizzati presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa75

Figura 1.20 Fluorofori a base imidazolica e relativi dati spettroscopici

Questi sistemi presentano assorbimenti nell’ultravioletto (come riportato nella tabella in Figura 1.20), risultando dunque incolori. Tale aspetto li rende interessanti per applicazioni in sistemi LSC nell’edilizia residenziale. Tuttavia, le efficienze riportate risultano essere minori rispetto ai fluorofori che assorbono nel visibile.

In quest’ambito sono state studiate anche molecole fluorescenti a base di dichetopirrolpirroli (DPP), concentrandosi in special modo sull’influenza del gruppo alchilico legato all’azoto sulle proprietà spettroscopiche e sull’efficienza ottica del concentratore76. Anche in questo caso le rese quantiche risultano inferiori rispetto al Lumogen Red 305, così come i valori di efficienza in sistemi LSC (Figura 1.21):

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1.5 Fluorofori con emissione dipendente dallo stato di aggregazione: ACQ e AIE

Un fluoroforo organico è generalmente una molecola in cui esiste un’ampia coniugazione elettronica. In molti fluorofori, specialmente quelli tradizionali, la coniugazione si manifesta grazie a strutture planari a cicli condensati, come avviene nel caso dei fluorofori a base di nuclei perilenici. Per molecole di questo tipo, generalmente, si osserva un abbattimento dell’intensità di emissione con l’aumentare dell’aggregazione. Infatti, gli anelli aromatici danno – proprio in virtù della planarità della struttura – un efficace impaccamento π–π, che permette il rilassamento dallo stato eccitato a quello fondamentale per via non radiativa. Questo fenomeno, detto effetto di riduzione dell’intensità di fluorescenza causato dall’aggregazione (Aggregation-Caused Quenching effect), è stato riportato per la prima volta da Fӧrster nel 195477.

Il comportamento ACQ coinvolge la maggior parte dei coloranti fluorescenti e non sempre risulta utile per le applicazioni pratiche78. Al fine di inibire l’efficacia dell’impaccamento, sono stati adottati approcci di vario genere79. Infatti, alcuni fluorofori perilenici di ultima generazione presentano delle sostituzioni alla struttura a cicli condensati che hanno lo scopo di inibire l’efficacia dell’impaccamento (ne sono un esempio i gruppi isopropilici del Lumogen Red 305). Tuttavia, il fatto che esista un problema aumenta i costi del sistema nel cercare una soluzione.

Esiste però una classe di coloranti fluorescenti che manifesta il comportamento opposto80, risultando non emissiva in soluzione e fluorescente alla stato aggregato, come mostrato in Figura 1.22. Composti che presentano queste caratteristiche sono detti coloranti con comportamento AIE (Aggregation-Induced Emission)81. Tipicamente, i coloranti AIE

possiedono sistemi altamente π-coniugati in strutture elicoidali ritorte, anziché coplanari, tali da minimizzare le interazioni intermolecolari π–π alla base del quenching ACQ.

Figura 1.22 Fotografie di soluzioni o sospensioni di perilene (a sinistra) e esafenilsilolo (a destra) in THF (solvente) contenente frazioni di acqua (non-solvente) crescenti78e

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Contrariamente a quanto accade per i sistemi ACQ, nei sistemi AIE la libera rotazione degli anelli aromatici esterni porta a un rilassamento dallo stato eccitato a quello fondamentale per via non radiativa, con conseguente abbattimento dell’emissione in soluzione. Infatti, studi meccanicistici suggeriscono una stretta correlazione tra la flessibilità molecolare e l’abbattimento della fluorescenza in soluzione82.

Nello stato aggregato, invece, non sono permessi i cammini di decadimento non radiativi – proprio in virtù della scarsa efficacia d’impaccamento di sistemi non planari – e di conseguenza l’energia assorbita viene emessa principalmente per fluorescenza, provocando un forte incremento dell’intensità della radiazione emessa. Tale incremento è descritto dal fattore AIE (αAIE):

α = , (1.13)

dove Iaggr e Isoln, sono rispettivamente le intensità di fluorescenza allo stato aggregato e in

soluzione.

I coloranti che manifestano un effetto di tipo AIE sono anche detti “rotori molecolari” per via della relazione esistente tra la rotazione degli anelli aromatici esterni (rotori) rispetto al sistema centrale fisso (statore).

Le potenzialità offerte dalla scoperta del fenomeno AIE81 hanno portato a un numero sempre più variegato di sistemi con tale comportamento83, principalmente derivanti da esafenilsiloli (HPS) e tetrafeniletileni (TPE).

Figura 1.23 Struttura di derivati 2,3,4,5-tetrafenilsololici84 (a sinistra) e struttura base di TPE (a destra)

Nei sistemi tetrafeniletilenici, lo statore olefinico centrale è circondato da quattro rotori aromatici. Le molecole di TPE in soluzioni diluite sono di fatto non emissive a causa della possibilità dei rotori aromatici di ruotare rispetto allo statore olefinico, dissipando quindi

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l’energia di eccitazione assorbita per via non radiativa. La restrizione delle rotazioni molecolari prodotta dall’aggregazione e dall’impossibilità di interazione di tipo π–π a piani paralleli tra gli anelli aromatici – data dalla conformazione molecolare elicoidale – fa sì che il sistema diventi emissivo solo in seguito alla formazione dell’aggregato.

In generale, i comportamenti ACQ e AIE in molti composti tendono a competere, in dipendenza della struttura molecolare e quindi delle interazioni intermolecolari nello stato aggregato.

1.5.1 Meccanismo AIE

A differenza del comportamento ACQ, il cui meccanismo di funzionamento è ormai ben noto78e, per il fenomeno AIE sono state riportate solo alcune ipotesi relative al principio o ai principi coinvolti nella sua manifestazione78e. Le più accreditate prendono in esame il meccanismo relativo alla restrizione delle rotazioni intramolecolari (RIR), quello della restrizione delle vibrazioni intramolecolari (RIV) e, infine, quello della restrizione della mobilità intramolecolare (RIM), che comprende i due precedenti.

Il meccanismo RIR è stato ipotizzato sulla base del caso di studio relativo all’HPS85. In una molecola di HPS (come anche di TPE) la presenza di anelli aromatici in posizione adiacente causa un’elevata repulsione sterica, che ha come conseguenza diretta la conformazione elicoidale, che impedisce la formazione di forti interazioni π–π intermolecolari. Restano comunque consentite deboli interazioni polari non covalenti di tipo C-H–π tra molecole contigue di HPS. Queste interazioni non covalenti, stabilizzando lo stato cristallino e limitando le rotazioni intramolecolari degli anelli aromatici, permettono la formazione di aggregati di molecole di HPS, attivando quindi l’emissione dell’energia assorbita per via radiativa85.

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Tuttavia, il meccanismo RIR non è in grado di razionalizzare il comportamento AIE per tutti i cromofori in cui si manifesta. Ne è un esempio il tetrabenzoeptafulvalene (THBA)86.

In questo composto gli anelli aromatici sono vincolati due a due a un’unità etilenica e non sono quindi in grado di ruotare, ma il THBA manifesta comunque un comportamento AIE. In questi casi il comportamento AIE viene razionalizzato grazie al principio di restrizione della libertà vibrazionale intramolecolare (RIV). È stato dimostrato che in composti di questo tipo il rilassamento non radiativo attivo in soluzione è di tipo vibrazionale, mentre l’aggregato tende a rilassare per via radiativa86b, 87.86

Ne deriva che i sistemi nei quali siano coinvolti uno o entrambi i meccanismi RIR e RIV, presenteranno comportamento AIE. Dal momento che la rotazione e la vibrazione sono entrambe moti molecolari, i meccanismi RIR e RIV confluiscono nel meccanismo di “restrizione della mobilità intramolecolare” (RIM).

Figura 1.25. Schematizzazione dei meccanismi di restrizione dei moti molecolari78e

Poiché meccanismi RIR e RIV non si escludono a vicenda ma, al contrario, possono agire singolarmente o in modo sinergico contribuendo al fenomeno AIE, è possibile sviluppare diverse famiglie di molecole in cui la mobilità intramolecolare consenta il decadimento non radiativo delle singole molecole isolate di colorante, mentre l’irrigidimento strutturale

Figura 1.24. Struttura del tertrabenzoeptafulvalene (THBA)86

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