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Sviluppo di un tool in ambiente Matlab per la verifica di parametri prestazionali e coast-down del veicolo

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(1)

Tesi di Laurea Magistrale

in

Ingegneria dei Veicoli

Università di Pisa – Scuola di Ingegneria

Sviluppo di un tool in ambiente Matlab per la

verifica di parametri prestazionali e

coast-down del veicolo

27 Novembre 2017

Relatori:

Ing. Ferrari Lorenzo

Ing. Antonelli Marco

Tutor aziendale:

Ing. Cavallari Marcello

Candidato:

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Durante lo sviluppo di nuovi veicoli vengono eseguite numerose prove su strada per verificare e validare lo stato di avanzamento dei lavori. In particolare, tramite prove di questo tipo, è possibile verificare in modo rapido ed economico il raggiungimento di parametri prestazionali previsti in sede di progetto ed eventualmente intervenire in modo mirato. Vengono così preparati alcuni veicoli equipaggiandoli di sensori e strumenti di acquisizione dati per raccogliere più informazioni possibili. La quantità di dati che è possibile raccogliere in questo modo è enorme e la procedura di analisi tipicamente in uso prevede una forte componente manuale. Questo significa un notevole impegno di tempo ed energie, ma soprattutto un rilevante peso del fattore umano in tutta la procedura. Una realtà del settore automotive, la VM Motori di Cento (Fe), oggi centro di ricerca e sviluppo e stabilimento produttivo del gruppo FCA, ha condiviso dati sperimentali per consentire la messa a punto di un software che vada ad affrontare queste problematiche, con l’intento di migliorare le procedure in uso, ridurre i tempi morti, aumentare la standardizzazione del lavoro. Gli obiettivi del progetto intrapreso sono quindi indagare in tutti i passaggi dell’operazione di post-processing di dati relativi a prove di coast-down veicolo e prove di prestazioni, sviluppare un programma che gestisca tali processi, analizzare i risultati forniti dal software.

Abstract

During the development of new vehicles, a lot of road tests are carried out to verify and validate the progress of work. In particular, through such tests, it is possible to verify quickly and economically the achievement of performance parameters foreseen in the project and if necessary to intervene in a targeted way. Some vehicles are thus equipped with sensors and data acquisition tools to gather as much information as possible. The amount of data that we can collect this way is enormous and the typical analysis procedure involves strong manual component. This means a considerable effort of time and energy, but above all a significant weight of the human factor throughout the procedure. A reality in the automotive industry, the

VM Motori in Cento (Fe), now a research and development center and production plant of the FCA group, shared experimental data to make possible the development of software to address

these issues, with the aim of improving the procedures in use, reducing dead time, increasing standardization in work. The objectives of the project we undertook are therefore to investigate in all the steps of the post-processing of data relating to the vehicle's coast-down tests and performance tests, to develop a program that manages those processes, and analyzes the results provided by the software.

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Capitolo 1 Introduzione ... 1

1.1 Inquadramento del problema ... 1

1.2 La realtà aziendale ... 3

Capitolo 2 Richiami e definizioni ... 5

2.1 Forze agenti su di un veicolo in movimento ... 5

2.1.1 La resistenza aereodinamica ... 6

2.1.2 La resistenza meccanica ... 8

2.2 Il modello di resistenza ... 11

2.3 La massa apparente traslante ... 12

Capitolo 3 La metodologia sperimentale ... 15

3.1 Le prove su strada ... 15

3.1.1 Prove di coast-down ... 15

3.1.2 Prove di prestazioni veicolo ... 18

3.2 Acquisizione dati... 19

3.2.1 Acquisizione dati via rete CAN ... 19

3.2.2 Acquisizione dati da sensori esterni ... 20

3.3 L’interfaccia ETK ... 21

3.4 La rete CAN ... 23

3.5 Criticità ... 25

Capitolo 4 Analisi concettuale ... 27

4.1 Gestione input ... 28

4.2 Filtraggio dei segnali... 31

4.3 Analisi prove coast-down ... 35

4.3.1 Segnali utili ... 35

4.3.2 Preparazione dati ... 35

4.3.3 Selezione dei campioni ... 36

4.3.4 Calcolo dei coefficienti ... 37

4.4 Analisi prove di prestazioni ... 38

4.4.1 Segnali utili ... 38

4.4.2 Preparazione dati ... 39

4.4.3 Selezione dei campioni ... 40

4.4.4 Calcoli ... 43

Capitolo 5 Il tool ... 47

5.1 Analisi delle prove di coast-down... 47

5.2 Analisi delle prove di prestazioni ... 49

5.3 Configurazione filtri ... 52

5.4 Configurazione nomi canali ... 54

5.5 Visualizzazione risultati del calcolo ... 55

Capitolo 6 Caso studio ... 57

6.1 Descrizione parametri ... 57

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6.1.2 Parametri configurabili ... 61 6.2 Prova di coast-down ... 62 6.3 Prove di prestazioni ... 63 6.3.1 Prove ripresa ... 63 6.3.2 Prove accelerazione ... 67 6.3.3 Prove regimazione ... 69 Capitolo 7 Conclusioni ... 73

7.1 Risultati sulle criticità note ... 73

7.2 Altri aspetti ... 74

7.3 Benefici indiretti e sviluppi possibili ... 75

Capitolo 8 Bibliografia e riferimenti ... 77

Capitolo 9 Appendici ... 79

Appendice A. Elenco dei segnali ... 79

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Figura 1-1 Un veicolo in fase prototipale configurato per l’esecuzione di prove ...1

Figura 2-1 Principali forze agenti su un veicolo in movimento ...5

Figura 2-2 Effetto della forza peso in caso di strada inclinata ... 10

Figura 2-3 Confronto diverse curve di approssimazione di dati sperimentali ... 12

Figura 3-1 Confronto tra metodi di calcolo segnale accelerazione ... 18

Figura 3-2 Esempio di collegamenti hardware acquisizione dati... 20

Figura 3-3 Scheda aggiuntiva di interfaccia tipo ETK: esempio di applicazione ... 22

Figura 3-4 Schema di collegamento in rete CAN. Fonte (12)... 23

Figura 4-1 Risposta impulsiva, al gradino e frequenziale della media mobile ... 32

Figura 4-2 Risposta al gradino di un filtro IIR tipo sinc. Fonte (10) ... 32

Figura 4-3 Risposta impulsiva, al gradino e frequenziale della media mobile ... 33

Figura 4-4 Esempio della logica di selezione in azione ... 42

Figura 4-5 Schema concettuale dell’apparato di trasmissione ... 44

Figura 5-1 Configurazione dei nomi canali ... 47

Figura 5-2 Schermata 1: Analisi prove coast-down ... 48

Figura 5-3 Menu scelta del veicolo per caricamento parametri ... 50

Figura 5-4 Menu di scelta del tipo di prova eseguito nel file ... 50

Figura 5-5 Schermata 2: Analisi delle prove di prestazioni ... 51

Figura 5-6 Schermata 3: Configurazione filtri, 1 segnale ... 52

Figura 5-7 Schermata 3: Configurazione filtri, 3 segnali ... 53

Figura 5-8 Schermata 4: Configurazione nomi canali ... 54

Figura 5-9 Schermata 5: Visualizzazione risultati ... 55

Figura 6-1 Sensitività al parametro: massa ... 58

Figura 6-2 Sensitività al parametro: momento d’inerzia motore ... 58

Figura 6-3 Sensitività al parametro: momento d’inerzia della ruota ... 59

Figura 6-4 Efficienza di trasmissione calcolata durante una prova di ripresa in III ... 60

Figura 6-5 Efficienza di trasmissione calcolata durante una prova di accelerazione ... 60

Figura 6-6 Sensitività al parametro: tempo di campionamento ... 61

Figura 6-7 Effetti della scelta delle intensità dei filtri sui segnali ... 62

Figura 6-8 Output del tool, prova: ripresa, marcia: III, Mappa: A ... 63

Figura 6-9 Output del tool, prova: ripresa, marcia: III, Mappa: B ... 64

Figura 6-10 Output del tool, prova: ripresa, marcia: V, Mappa A ... 65

Figura 6-11 Output del tool, prova: ripresa, marcia: V, Mappa B... 66

Figura 6-12 Output del tool, prova: accelerazione 0 – 150 km/h, Mappa: A ... 67

Figura 6-13 Output del tool, prova: accelerazione 0 – 150 km/h, Mappa: B ... 68

Figura 6-14 Output del tool: prova regimazione lenta, marcia: VII, Mappa: A ... 69

Figura 6-15 Output del tool: prova regimazione lenta, marcia: VII, Mappa: B ... 70

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Capitolo 1 Introduzione

1.1 Inquadramento del problema

Durante la fase di sviluppo e messa a punto di un veicolo per la produzione in serie ha un’importanza fondamentale l’esecuzione di prove su strada, il metodo più semplice e rapido per valutare il comportamento d’insieme di tutti quei sottosistemi che lo compongo e che vengono normalmente sviluppati come entità separate.

Considerando l’apparato propulsivo, poi, bisogna aggiungere che anche in quest’ambito si è ormai diffuso l’uso di realizzare motori capaci di essere impiegati in diverse applicazioni, in modo da ammortizzarne i costi di sviluppo. Quando si procede con l’installazione in un nuovo veicolo, è quindi necessario procedere con una specifica personalizzazione, che riguarda sia modifiche a livello di componentistica, sia soprattutto software, cioè di taratura dei sistemi di controllo o, come viene chiamata con un termine più specifico, di “calibrazione motore”.

In particolare, l’attività di calibrazione motore, molto complessa, vede solitamente la suddivisione dei compiti tra diversi team di lavoro, ciascuno responsabile di un aspetto specifico della messa a punto: si ha così il team che si occupa del funzionamento standard del motore, quello dedicato alla gestione dei sistemi di trattamento gas di scarico, quello per il sistema di

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Introduzione

diagnostica EOBD1. Naturalmente le diverse attività devono essere coordinate per giungere ad

una calibrazione tarata su misura per la specifica applicazione. Chi si occupa di questo aspetto è interessato a valutare il funzionamento complessivo in termini di prestazioni, consumi, emissioni, gradevolezza di guida per valutare se la direzione intrapresa è corretta e ha a disposizione sostanzialmente due metodi per farlo: la verifica su di un motore installato al banco prova o la prova su strada. Le due attività non sono interscambiabili ma hanno ciascuna vantaggi e svantaggi che ne delineano i rispettivi campi di applicazione.

Al banco prova è possibile eseguire misurazioni in genere più precise per la disponibilità di strumenti più sofisticati ed è possibile automatizzare l’esecuzione di alcune manovre, ma d’altro canto l’allestimento richiede tempo, l’apparecchiatura è molto costosa e quindi disponibile in modo limitato, le prove eseguibili sono necessariamente stazionarie o quasi (i transitori vengono mal riprodotti dal freno del banco) e molti sistemi ausiliari sono differenti da quanto presente in vettura, come ad esempio il sistema di scarico, l’impianto di raffreddamento e il sistema di aspirazione aria.

La prova su strada è invece rapida, economica e naturalmente riproduce perfettamente le reali condizioni di funzionamento in vettura, ma la strumentazione disponibile è in genere meno sofisticata per esigenze di mobilità ed è più facile l’ingerenza di fattori esterni imprevedibili, che possono spaziare dalle condizioni atmosferiche alla dispersione esistente nella produzione dei componenti.

Per l’esecuzione delle prove vengono preparati alcuni veicoli equipaggiandoli con tutta la strumentazione di misura necessaria. A seconda del tipo di test che si desidera eseguire, questi possono essere condotti su strade aperte al pubblico (ad esempio le emissioni in normali condizioni di guida) oppure in aree chiuse al traffico, come accade per le prove di accelerazione e di marcia ad alta velocità. In ogni caso, l’output da queste prove è una grande quantità di dati acquisiti che devono essere processati per estrarre le informazioni d’interesse.

Si tratta di una procedura nella quale assume un ruolo fondamentale l’abilità e l’esperienza dell’ingegnere calibratore, il quale va ad esaminare tutta l’acquisizione, in genere tramite grafici, alla ricerca di porzioni di suo interesse e procede selezionando le sezioni ritenute utili allo scopo prefissato. A questo punto le porzioni di dati devono essere esportate in un programma per la post-elaborazione, in genere un foglio di calcolo, dove può effettuare le operazioni desiderate, come analisi statistiche e confronti tra diverse soluzioni tecniche.

Ora, il numero di prove su strada eseguite durante la fase di messa a punto di una nuova applicazione è molto elevato, tanto da poter tranquillamente affermare che l’analisi di dati

1 European On Board Diagnostic. La normativa anti-inquinamento in vigore in Europa (a partire dalla versione

EURO3) prescrive che la centralina motore sia in grado di rilevare quei guasti che, pur non essendo critici per l’integrità e il funzionamento del motore, ne alterano le emissioni. Deve allora segnalarlo al conducente e adottare strategie di contenimento fino alla riparazione.

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rappresenti una delle attività quotidiane per gli ingegneri addetti e, dato che la procedura finora in uso prevedeva una forte componente manuale, impegna una porzione decisamente rilevante della giornata lavorativa. Oltre al tempo impiegato, l’altro aspetto critico è il peso del fattore umano, che condiziona la rapidità e l’efficacia nella ricerca di informazioni utili nonché il rischio di errore.

Il progetto sviluppato intende affrontare questi punti critici nel flusso di lavoro concentrandosi sull’analisi di prove finalizzate al calcolo dei parametri di coast-down e alla verifica di parametri prestazionali del veicolo.

1.2 La realtà aziendale

L’input a sviluppare il progetto è giunto da una realtà industriale in ambito automotive, la struttura ex VM Motori, di recente acquisita dal gruppo Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e divenuta oggi uno degli stabilimenti produttivi nonché centri di ricerca e sviluppo del gruppo. La struttura ha condiviso dati acquisiti durante prove reali in vettura, utili per la messa a punto degli algoritmi del software; una parte di questi dati verrà analizzata e discussa nel Capitolo 6: “Caso studio”.

Storicamente VM Motori è stata attiva nel campo dei motori diesel per applicazioni industriali, agricole, nautiche e, più recentemente, anche automobilistiche. Ad oggi nello stabilimento avviene la progettazione e produzione del prodotto di punta del gruppo FCA in ambito diesel automotive: il sei cilindri a V di tre litri di cilindrata, declinato in diverse varianti. A questo si affiancano altri modelli per uso industriale e marino, prodotti in numeri minori.

Nello stabilimento si segue l’importante fase di messa a punto del controllo elettronico sia dei motori prodotti in loco, che di altri prodotti del gruppo: di questa aspetto si occupa uno specifico reparto all’interno dell’area tecnica, chiamato proprio “Calibrazione Motore”. Tale reparto è incaricato di definire tutti i parametri che controllano la gestione elettronica del motore nella fase di sviluppo iniziale del prodotto fino alla messa in produzione.

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Capitolo 2 Richiami e definizioni

2.1 Forze agenti su di un veicolo in movimento

Un veicolo in movimento è soggetto all’azione di molte forze: di trazione, peso proprio, di natura aerodinamica, reazioni vincolari della superficie stradale. In Figura 2-1 è riportato uno schema semplificato utile agli scopi di questa trattazione. Essendo interessati solo al moto rettilineo, uno schema piano è sufficiente.

Le forze indicate nello schema sono:

• Il peso proprio è in realtà una distribuzione di forze ma per semplicità, essendo interessati solo agli effetti esterni, se ne considera solo la risultante applicata nel baricentro;

• Le forze di natura aerodinamica sono più complesse ma, dato che stiamo considerando uno schema piano semplificato, supponiamo di calcolarne la risultante e applicarla nel punto tale da annullare il momento risultante; • La forza di trazione indicata nello schema è la forza che la strada esercita

sulla ruota motrice in risposta alla coppia motrice: è la forza responsabile dell’avanzamento;

• Le resistenze di natura meccanica sono tutte quelle forze che si oppongono al libero rotolamento delle ruote, comprese resistenza al rotolamento degli pneumatici e attriti degli organi di trasmissione;

• Le reazioni vincolari sono le azioni verticali tra strada e pneumatico in opposizione al peso del veicolo, necessarie per l’equilibrio verticale.

Poiché in questa sede si tratterà solo di moto longitudinale del veicolo, verranno

Figura 2-1 Principali forze agenti su un veicolo in movimento. Fonte immagine di sfondo (14)

Forza di trazione

Resistenze meccaniche Peso del veicolo considerato applicato al baricentro Forze di natura aerodinamica Reazioni vincolari della strada

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Richiami e definizioni

approfondite solo le componenti che si oppongono al moto.

2.1.1 La resistenza aereodinamica

Ogni corpo in movimento in un fluido interagisce con le particelle costituenti tale fluido e da questa interazione nascono delle forze. Metodi classici di categorizzazione prevedono, tra gli altri, di raggruppare queste forze in base alla causa che le ha prodotte oppure in base alla direzione di azione.

In base alla causa, è possibile distinguere azioni di tipo inerziale ed azioni di tipo viscoso. Le azioni inerziali sono legate alla massa delle particelle di fluido che il corpo in movimento urta e sposta spendendo energia, sono quindi influenzate dalla densità del fluido e dalla geometria del corpo e funzione del quadrato della velocità. A loro volta le azioni di tipo inerziale possono essere di tipo laminare o turbolento, a seconda che il moto del fluido intorno al corpo sia coerente oppure caotico. Le azioni tangenziali, invece, sono legate alla viscosità del fluido, la proprietà di poter esercitare azioni tangenziali interne: mentre un sottile “strato” di particelle aderisce alla superficie esterna del corpo e ne acquisisce la velocità, ad una certa distanza il fluido è fermo, quindi in questo spessore una faccia è ferma mentre l’altra è in movimento: perché questo accada è necessario vincere queste azioni tangenziali con dispendio di energia. Questo tipo di azioni dipende, oltre alla viscosità del fluido, dalla rugosità superficiale del corpo e sono funzioni lineari della velocità.

In base alla direzione di azione, si possono poi distinguere le azioni in perpendicolari alla direzione del moto e parallele. Alle azioni perpendicolari si dà usualmente l’appellativo di portanti (o deportanti se dirette in verso contrario all’asse di riferimento, che per i veicoli terrestri è uscente dalla strada) o “lift” e sono di fondamentale importanza nel moto degli aeromobili o per il funzionamento delle turbomacchine, ma anche per i veicoli non possono essere trascurate. Parlando di aerodinamica esterna di un veicolo, la portanza è un effetto indesiderato (riduce il carico verticale sugli pneumatici, diminuendo l’aderenza), mentre in alcuni casi una certa deportanza è desiderabile (incrementa il carico verticale e quindi l’aderenza a terra). Per quanto riguarda quelle parallele si tratta di azioni che, complessivamente, sono sempre contrarie alla direzione del moto e pertanto si indicano con i termini resistenza o “drag”: si tratta della componente (indesiderata) di interesse in questa trattazione.

Tornando alle azioni di tipo inerziale, si osserva come le particelle fluide urtino la parte frontale del corpo in movimento e cambino direzione, determinando un locale aumento di pressione, il cui effetto è una forza che frena l’incedere del corpo. Il flusso viene diviso e deviato e aggira il corpo, accrescendo la propria velocità (e creando zone a bassa pressione) finché, una volta aggirato l’ostacolo, non si ricongiunge nella parte posteriore, dove decelera nuovamente creando una seconda zona ad alta pressione e quindi una “spinta” sul corpo. Se il corpo è simmetrico, in assenza di perdite, questi fenomeni sono perfettamente bilanciati e il corpo si

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muove senza resistenza nel fluido. Questa condizione limite è detta “moto potenziale”, ma purtroppo è solo ideale: sono sempre presenti le azioni viscose e il flusso non riesce mai a riunirsi completamente, quindi il recupero di pressione posteriore non compensa mai completamente la sovra-pressione anteriore. Dietro il corpo si localizza una zona più o meno estesa di moto non coerente (turbolento), cui ci si riferisce come “scia”, la quale produce un’importante resistenza all’avanzamento, tanto maggiore quanto più è estesa.

In fluidodinamica si usa distinguere i corpi in movimento in base all’entità della scia prodotta: si parla di corpi aereodinamici quando la scia è sostanzialmente assente, tanto che la resistenza di tipo viscoso risulta largamente prevalente su quella inerziale, mentre si parla di

corpi tozzi quando accade l’inverso. La classificazione non è rigida, in quanto uno stesso corpo

può comportarsi come aereodinamico o tozzo in base al suo “assetto” mentre si muove nel fluido: ad esempio un’ala di un aereo è un corpo aereodinamico se si muove lungo una direzione che forma un angolo ridotto (angolo di incidenza) con l’asse del profilo (la retta passante per il punto di attacco e il punto di uscita), mentre è un corpo tozzo se tale angolo diviene elevato e si verifica un importante distacco di scia. L’entità della scia prodotta dipende prevalentemente dalla conformazione della parte posteriore del corpo, che dovrebbe essere il più rastremata possibile, come una goccia d’acqua.

Un veicolo terrestre rientra sicuramente nella categoria dei corpi tozzi a causa della forma poco affusolata, in particolare al posteriore: non avendo una coda rastremata ma, di solito, piuttosto squadrata, la scia prodotta è importante e costituisce la parte preponderante (in genere ben oltre il 70%) della sua resistenza all’avanzamento; l’effetto viscoso risulta invece in proporzione ridotto e difficilmente attaccabile, pertanto gli sforzi per migliorare la resistenza all’avanzamento normalmente si concentrano sulla riduzione della scia prodotta.

Trascurando la componente viscosa, lineare con la velocità ma trascurabile per un corpo che produce una scia considerevole come un’automobile, la resistenza all’avanzamento può essere modellata utilizzando una legge quadratica del tipo:

Con 𝐷𝐷 è stato indicato il drag aereodinamico, 𝜌𝜌 la densità dell’aria, 𝑆𝑆 una superficie di riferimento (in quest’ambito è d’uso comune utilizzare la superficie frontale del corpo in moto), 𝐶𝐶𝑥𝑥 un coefficiente adimensionale (funzione solo della geometria, per valori del numero di

Reynold alti e corpi con punto di distacco della scia fissato dalla geometria). La formula evidenzia la dipendenza dal quadrato della velocità ed è valida per velocità non troppo basse, in quanto il comportamento dell’aria non sarebbe più abbastanza turbolento e non sarebbe ragionevole trascurare la componente viscosa, né troppo elevate, quando cominciano ad assumere un certo peso anche i fenomeni di comprimibilità dell’aria (indicativamente 10 < 𝑣𝑣 < 100 𝑚𝑚𝑠𝑠).

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Richiami e definizioni

Dato che tutti i coefficienti introdotti possono essere considerati indipendenti dalla velocità, ecco che, con buona approssimazione, la forza resistente aereodinamica di un veicolo può essere calcolata come un termine costante per la velocità al quadrato.

Riferimenti bibliografici: (1) (2) (3).

2.1.2 La resistenza meccanica

La resistenza al rotolamento

Una ruota priva di massa, perfettamente rigida e che rotoli senza strisciamento, avanzerebbe senza alcuna resistenza e in modo trasparente alla coppia motrice: tutta la coppia applicata sarebbe disponibile per accelerare il veicolo. Purtroppo la situazione reale è ben diversa, per diversi motivi.

Per prima cosa una ruota ha massa non nulla e questa massa, posta in rotazione, produce un’inerzia, la quale si oppone alla variazione di velocità angolare. Ecco che, in fase di accelerazione, una parte della forza motrice deve essere spesa per aumentare la velocità di rotazione della ruota, anziché spingere in avanti il veicolo. Questo, unito a considerazioni di handling e comfort (rapporto tra masse sospese e non sospese), giustifica l’evoluzione nel tempo della ruota verso una riduzione della massa e sua redistribuzione dalla periferia verso il centro.

L’alleggerimento, tuttavia, mal si coniuga con la seconda caratteristica desiderabile: la rigidità. È necessario distinguere la deformabilità del corpo nel suo complesso (deformabilità macroscopica) da quella della sottile porzione di materiale di contatto (deformabilità microscopica).

L’esperienza suggerisce che una certa cedevolezza della struttura (deformabilità macroscopica) agevoli il contatto con una superficie non perfettamente levigata e migliori il comfort, assorbendo parte degli scossoni. D’altro canto una struttura rigida restituisce una risposta più rapida durante i transitori ed esalta la maneggevolezza: per questo motivo un veicolo destinato ad un uso fuoristrada utilizza ruote tendenzialmente cedevoli, con grandi pneumatici dalla spalla importante, mentre un veicolo destinato all’utilizzo sportivo in pista viene equipaggiato con ruote rigide e pneumatici a spalla ribassata.

Oltre agli effetti su handling e comfort, la deformabilità è causa di dissipazioni energetiche: tutti i materiali, infatti, quando subiscono una deformazione in campo elastico, immagazzinano una certa quantità di energia fornita dall’esterno per poi rilasciarla al momento del recupero della forma originale, decurtata di una certa aliquota. Questo fenomeno, noto come “isteresi”, fa sì che una quota parte di energia venga dissipata internamente al materiale e trasformata in calore. Una ruota che avanza subisce una deformazione (elastica) a causa del carico verticale cui è sottoposta, con conseguente dispersione di energia tanto maggiore quanto più elevata è l’entità di tale deformazione. I veicoli ferroviari riducono drasticamente questo effetto

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utilizzando ruote rigidissime, interamente costruite in acciaio, ma sono vincolati a muoversi solo su superfici perfettamente levigate e anch’esse molto rigide, quali sono i binari ferroviari.

Per quanto riguarda la deformabilità microscopica del materiale di contatto, il fenomeno è strettamente legato alla realizzazione di un legame chimico tra superfici; tale legame viene instaurato e spezzato continuamente ed ostacola lo spostamento tangenziale relativo. Naturalmente tanto più forte è questo legame, tanto maggiori sono l’aderenza ma anche l’energia spesa per romperlo, che va a costituire la resistenza al rotolamento. Materiali che difficilmente formano legami, come il legno o l’acciaio, presentano coefficienti di aderenza (e quindi resistenza al rotolamento) bassissimi, mentre la gomma che compone il battistrada di un moderno pneumatico da competizione è formulata specificamente per esaltare questo fenomeno, ammorbidendosi per effetto del calore generato e arrivando a manifestare un comportamento adesivo. La resistenza al rotolamento è in questi casi piuttosto elevata ma il coefficiente di aderenza è veramente eccezionale: per confronto, il contatto acciaio su acciaio produce un coefficiente 𝑓𝑓𝑠𝑠= 0,01 (inteso come rapporto tra il carico verticale applicato e la massima

intensità dell’azione tangenziale esercitabile), mentre un pneumatico su asfalto può arrivare anche a 𝑓𝑓𝑠𝑠= 1,5.

In realtà, la resistenza al rotolamento non è perfettamente costante con la velocità: rimane pressappoco costante fino a velocità di circa 100 km/h, poi comincia a crescere a causa di effetti aereodinamici sulla ruota che rotola e per il subentrare di vibrazioni della carcassa del pneumatico, che dissipano energia. Nella pratica si tiene conto di questi effetti solo nel caso si studi il comportamento del veicolo ad alta velocità.

Riferimenti bibliografici: (4)

La trasmissione

Con il termine “trasmissione” si intende l’insieme degli organi meccanici incaricati di trasferire alle ruote la coppia erogata dal motore. Limitando la trattazione alle automobili, si scelga come punto di prelievo l’albero di ingresso cambio, mentre il punto di consegna è costituito dai mozzi ruota: tra questi elementi si collocano una serie di componenti, ciascuno con il proprio livello di efficienza, che concorrono ciascuno al trasporto della coppia nelle modalità desiderate.

Il primo elemento nella catena è il cambio di velocità, il quale consente di variare il rapporto tra il numero di giri dell’albero in ingresso e quello d’uscita, moltiplicando (o riducendo) la coppia di conseguenza. La soluzione più diffusa per eseguire questa operazione è tramite ruote dentate e tra i denti che ingranano si verifica strisciamento, causa di perdite. Per ridurre gli effetti negativi di questo strisciamento, asportare il calore in eccesso e consentire un funzionamento il più possibile silenzioso, si ricorre al lubrificante ma, nonostante tutto, si ha una certa perdita di energia per ogni coppia di ruote in presa.

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Richiami e definizioni

Nel caso di veicoli a trazione integrale, all’uscita cambio si incontra un differenziale centrale, incaricato di ripartire la coppia tra assale anteriore e posteriore, mentre nel caso di veicoli solo trazione anteriore o solo trazione posteriore, dal cambio si passa rispettivamente al differenziale anteriore o posteriore. Tutti i differenziali liberi funzionano in modo assai simile: tramite un ruotismo epicicloidale è possibile avere il desiderato meccanismo con un ingresso e due uscite ma, nuovamente, si hanno delle perdite legate agli ingranamenti tra ruote dentate. Se poi i differenziali prevedono una qualche possibilità di intervenire sulla ripartizione della coppia, le perdite sono assai maggiori: è il caso di differenziali autobloccanti tipo Torsen o a slittamento limitato a frizioni.

All’uscita di ciascun differenziale due alberi di trasmissione (semiassi) trasferiscono la coppia ai mozzi ruota. Naturalmente i semiassi e i mozzi ruota devono essere supportati adeguatamente tramite cuscinetti, fonte anch’essi di inevitabili perdite (minime, in confronto a quelle che si avrebbero in loro assenza).

Riferimenti bibliografici: (5) e (6).

La pendenza della strada

La pendenza (longitudinale) della sede stradale ha come effetto una forza costante, diretta verso il punto a quota minore, avente intensità funzione unicamente dell’angolo tra la perpendicolare al piano stradale e la direzione individuata dal filo a piombo, secondo la formula:

dove 𝑔𝑔 è l’intensità dell’accelerazione di gravità, 𝑚𝑚 la massa veicolo e 𝛼𝛼 l’angolo (in radianti) citato sopra. In genere quando si parla di pendenza stradale ci si riferisce non all’angolo ma ad un valore percentuale, pari al rapporto tra l’elevazione e la distanza orizzontale percorsa.

In tal caso si dovrà ricavare l’angolo 𝛼𝛼 dalla pendenza s espressa in percentuale:

𝐹𝐹𝑔𝑔= 𝑚𝑚𝑔𝑔 sin(𝛼𝛼) (2) 𝛼𝛼 = tan−1(𝑠𝑠) (3) 𝛼𝛼 𝐹𝐹𝑔𝑔 𝑚𝑚𝑔𝑔 𝐺𝐺 𝛼𝛼

(19)

Una pendenza del 10% corrisponde a circa 0,0997 radianti, pari a 5,71°, mentre una pendenza del 100% corrisponde a 𝜋𝜋4 radianti, pari a 45°.

2.2 Il modello di resistenza

In ambito automotive, conoscere la resistenza all’avanzamento risulta utile per molti calcoli: ad esempio per la stima della velocità massima raggiungibile, la stima del consumo chilometrico (note le mappe collinari di consumo specifico), per il dimensionamento di massima dei rapporti del cambio oppure, ed è il caso di questo progetto, nel caso in cui si voglia ricavare per via indiretta la coppia motrice a partire dall’accelerazione misurata.

Per poter eseguire calcoli, serve un modello matematico semplice ma sufficientemente accurato. L’esperienza sperimentale mostra che l’andamento della forza resistente in funzione della velocità viene ben descritto da una funzione polinomiale di secondo grado, in cui è possibile individuare con una certa facilità un legame con i fattori visti in questo capitolo:

Con 𝐹𝐹𝑑𝑑(v) si è indicata la funzione “resistenza all’avanzamento”, evidenziandone la

dipendenza dalla velocità.

Il termine costante 𝐹𝐹0 è legato a tutti quegli elementi che possono essere considerati

indipendenti dalla velocità, quali sono la pendenza della strada e le resistenze di tipo meccanico; il termine quadratico 𝐹𝐹2𝑣𝑣2 è legato agli effetti aereodinamici, ma vi possono confluire anche

effetti vibratori legati al rotolamento ad alta velocità (piccoli, in confronto all’aereodinamica). Per quanto riguarda il termine di primo grado 𝐹𝐹1, fino a questo momento è stata esclusa

una dipendenza lineare dalla velocità e anche se potrebbe essere considerato una manifestazione della (debole) dipendenza della resistenza al rotolamento con la velocità, in realtà il suo senso fisico risulta molto discutibile. Naturalmente aggiungere un parametro aumenta i gradi di libertà concessi al software di ricerca della curva approssimante, ottenendo una migliore correlazione con i dati sperimentali.

In Figura 2-3 è possibile vedere un esempio di dati sperimentali raccolti e le relative curve polinomiali di miglior approssimazione, nei due casi in cui si utilizzi o meno il termine lineare. Per confronto è riportato anche il coefficiente di determinazione 𝑅𝑅2 che nei due casi è simile e

comunque molto buono (1 indica la correlazione perfetta). Le due curve differiscono di pochi punti percentuali agli estremi, un valore assai modesto e comunque in linea con la dispersione dei dati acquisiti in varie prove sperimentali.

Alla luce delle evidenze sperimentali, risulta giustificato ricavare la curva di approssimazione dei dati ponendo nullo il coefficiente del termine lineare, certi di ottenere

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Richiami e definizioni

Quale che sia la scelta fatta, i coefficienti 𝐹𝐹0 e 𝐹𝐹2 (ed 𝐹𝐹1, se presente) vengono definiti in

gergo: “coefficienti di coast-down”, dalla metodologia con cui sono ricavati, descritta in §3.1.1

2.3 La massa apparente traslante

La massa apparente traslante, usualmente indicata con il simbolo 𝑚𝑚𝑎𝑎𝑎𝑎, è un artificio

introdotto per semplificare la trattazione di alcuni sistemi meccanici complessi, in cui coesistano molteplici contributi all’energia cinetica complessiva.

Per un sistema, l’energia cinetica complessiva è la somma delle energie dei singoli componenti ma, mentre è piuttosto semplice valutare quella traslazionale (è sufficiente considerare la massa complessiva), le cose si complicano se devono essere messi in conto anche i contributi rotazionali, come nel caso di un autoveicolo. L’obiettivo è trovare una quantità che, utilizzata al posto della massa effettiva del sistema, permetta di calcolarne l’energia soltanto come contributo traslazionale. Esaminando i principali componenti che danno un contributo all’energia cinetica totale di un veicolo in moto, si vanno a definire i seguenti simboli:

𝑚𝑚 = massa del veicolo 𝑣𝑣 = velocità veicolo

𝐽𝐽 = momento d’inerzia 𝜏𝜏 = rapporto di trasmissione 𝑅𝑅𝑟𝑟 = raggio di rotolamento ruota 𝑛𝑛𝑟𝑟 = numero di ruote

𝑇𝑇 = energia cinetica ω = velocità angolare

Figura 2-3Confronto diverse curve di approssimazione di dati sperimentali: con e senza termine lineare

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e i seguenti pedici: m, motore; r, ruote; c, cambio; t, trasmissione. Con la notazione scelta, l’energia cinetica complessiva del veicolo in movimento sarà:

Essendo 𝜔𝜔𝑚𝑚 = 𝜔𝜔𝑟𝑟𝜏𝜏𝑐𝑐𝜏𝜏𝑑𝑑, 𝜔𝜔𝑎𝑎 = 𝜔𝜔𝑟𝑟𝜏𝜏𝑑𝑑 e 𝜔𝜔𝑟𝑟𝑅𝑅𝑟𝑟 = 𝑣𝑣, dalla (5) si ha:

Ponendo nella (6):

Si ottiene 𝑇𝑇 =12 𝑚𝑚𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑣𝑣2, cioè utilizzando la massa apparente traslante è stato possibile

ricondurre tutti i contributi inerziali ad un solo termine traslazionale, raggiungendo così l’obiettivo prefissato.

In genere in contributi del motore (a causa della elevata velocità di rotazione) e delle ruote (momento d’inerzia elevato) sono largamente prevalenti sul resto ed è pratica comune considerare solo questi.

𝑇𝑇 =12 𝑚𝑚𝑣𝑣2+1 2 𝐽𝐽𝑚𝑚𝜔𝜔𝑚𝑚2+ 1 2 𝐽𝐽𝑎𝑎𝜔𝜔𝑎𝑎2+ 1 2 𝐽𝐽𝑟𝑟𝜔𝜔𝑟𝑟2 (5) 𝑇𝑇 =12 𝑚𝑚𝑣𝑣2+1 2 𝐽𝐽𝑚𝑚� 𝜏𝜏𝑐𝑐𝜏𝜏𝑑𝑑 𝑅𝑅𝑟𝑟 𝑣𝑣� 2 +12 𝐽𝐽𝑎𝑎�𝜏𝜏𝑅𝑅𝑑𝑑 𝑟𝑟𝑣𝑣� 2 +12 𝐽𝐽𝑟𝑟�𝑅𝑅𝑣𝑣 𝑟𝑟� 2 (6) 𝑚𝑚𝑎𝑎𝑎𝑎= 𝑚𝑚 +𝐽𝐽𝑚𝑚𝜏𝜏𝑐𝑐 2𝜏𝜏 𝑑𝑑2 𝑅𝑅𝑟𝑟2 + 𝐽𝐽𝑚𝑚𝜏𝜏𝑑𝑑2 𝑅𝑅𝑟𝑟2 + 𝐽𝐽𝑟𝑟𝑛𝑛𝑟𝑟 𝑅𝑅𝑟𝑟2 (7)

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Capitolo 3 La metodologia sperimentale

In questo capitolo verranno descritte alcune procedure utilizzate nel settore per l’esecuzione della tipologia di prove su strada considerate, nonché alcune modalità di acquisizione dati. Infine verranno evidenziate possibili criticità con cui ci si è dovuti confrontare in fase di sviluppo del progetto.

3.1 Le prove su strada

3.1.1 Prove di coast-down

Scopo di queste prove su strada è determinare, per via sperimentale, i valori dei coefficienti 𝐹𝐹0 e 𝐹𝐹2 della legge di resistenza all’avanzamento descritta in §2.2, tali da ottenere una funzione

che ben approssimi il reale comportamento del veicolo.

L’aspetto chiave della prova sperimentale consiste nel misurare la decelerazione subita dal veicolo mentre viene lasciato rallentare la propria marcia fin quasi a fermarsi, con la trasmissione in folle e il motore disaccoppiato dalle ruote. Proprio quest’ultimo aspetto, cioè il procedere per abbrivio, senza contributo da parte del motore, rallentando, ha fatto sì che questa tipologia di prova venisse battezzata “coast-down”, dall’inglese to coast, “procedere per abbrivio”.

Per l’esecuzione della prova si individua un tratto di strada rettilineo e abbastanza lungo, il più possibile pianeggiante, e si lancia il veicolo ad una certa velocità, costante, dopodiché si porta il cambio in posizione di folle interrompendo allo stesso tempo l’azione sul comando acceleratore. L’auto inizia immediatamente a decelerare per effetto della forza resistente e, misurando tale decelerazione, se ne può ricavare, nota la massa del veicolo, l’entità complessiva:

La grandezza 𝑎𝑎 è un vettore costituito dalla successione dei valori di accelerazione campionati durante la prova, pertanto il risultato dell’operazione, 𝐹𝐹𝑑𝑑, è anch’esso un vettore,

successione dei valori di forza durante la prova. In questa formula è stata usata una notazione vettoriale per evidenziare come i valori sperimentali siano ottenuti da segnali acquisiti e quindi istante per istante. Con la convenzione dei segni tradizionalmente in uso la 𝑎𝑎 è negativa (la velocità decresce), quindi la forza resistente è negativa, cioè contraria alla direzione di avanzamento del veicolo. Bisogna tenerne conto.

È possibile scrivere l’identità (8) perché, in queste particolari condizioni, la forza resistente 𝐹𝐹𝑑𝑑 è l’unica forza agente e può essere impostata una semplice equazione di bilancio di forze.

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La metodologia sperimentale

Qualora si sia proceduto ad acquisire contestualmente anche la velocità istantanea durante la prova, dato che questa ha un andamento monotòno decrescente e quindi esiste una corrispondenza biunivoca tempo-velocità, si può facilmente cambiare per tutti i segnali la base di riferimento, passando da tempo a velocità. In particola, la relazione di interesse è quella tra accelerazione e velocità.

Nell’equazione viene utilizzata la massa apparente traslante, indicata con il simbolo 𝑚𝑚𝑎𝑎𝑎𝑎

perché, trattandosi di un decelerazione, non sarebbe corretto considerare per il fattore inerziale la massa “statica”, cioè quella misurata su di una bilancia. A bordo del veicolo si trovano diversi componenti che vengono posti in rotazione durante il moto e di conseguenza acquisiscono un’energia cinetica, oltre a quella traslazionale, anche di tipo rotazionale. Le ruote, tutti gli organi rotanti della trasmissione e il motore ruotano in funzione della velocità veicolo e quindi, mentre questo accelera o decelera, acquisiscono e cedono energia cinetica.

Si tiene conto di questo fatto utilizzando una appunto massa fittizia, maggiore di quella “normale”, chiamata massa apparente traslante, avente un valore tale da ricondurre tutti i contributi energetici (traslazionali e rotazionali) ad un unico contributo traslazionale (si veda §2.3). Prima di eseguire la prova, è necessario comunque pesare il veicolo, prestando attenzione a riprodurre, per quanto possibile, le stesse condizioni di:

• livello carburante;

• massa del conducente e di eventuali passeggeri; • massa della strumentazione di misura;

Inoltre è necessario conoscere, almeno in via approssimata, i momenti d’inerzia delle ruote e del motore: possono essere misurati, calcolati da un modello CAD o stimati con formule empiriche. Se la misura della massa del veicolo immediatamente prima della prova non presenta particolari difficoltà, ben diversa è la situazione per i momenti d’inerzia. Poiché la misura diretta risulta raramente disponibile per oggettive difficoltà nell’eseguirla, generalmente si fa uso di valori stimati tramite modello CAD o addirittura tramite formula empirica. Si valuterà la sensitività dei risultati all’incertezza di questi parametri in §6.1.1.

Le modalità di esecuzione della prova di coast-down vera e propria possono variare ma, di solito, chi le esegue fissa una procedura di riferimento in modo da assicurare la confrontabilità dei risultati ottenuti. Un esempio di procedura è il seguente:

• suddividere l’intervallo di velocità di interesse, ad esempio 30 – 130 km/h, in un certo numero di sotto-intervalli tutti della stessa ampiezza, ad esempio 10 km/h;

• lanciare il veicolo su strada, regimandolo 5 km/h sopra la velocità iniziale più elevata;

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• rilasciare bruscamente il comando acceleratore, portando contemporaneamente il cambio in folle: la prova ha inizio e si inizia ad acquisire dati;

• consentire il rallentamento fino a 5 km/h sotto la velocità finale dell’intervallo;

• accelerare di nuovo leggermente, regimandosi 5 km/h sopra la velocità iniziale dell’intervallo successivo

• ripetere i punti 3, 4 e 5 fino all’ultimo intervallo;

• ripetere i punti da 2 a 6 per tre volte, in modo da avere tre set di dati per ogni intervallo;

• mediare, per ogni intervallo, i dati ottenuti.

Mediare i risultati di tre lanci consente di limitare l’impatto dell’errore random tipico delle prove sperimentali.

Idealmente si dovrebbe disporre di sensori di velocità e accelerazione affidabili, come ad esempio un sensore di tipo GPS per la velocità e un accelerometro per l’accelerazione, ma purtroppo questo non sempre è possibile: in questi casi è necessario utilizzare il segnale velocità per ricavare l’altro. Si può in questo caso ricorrere al metodo classico, applicando il metodo della derivata approssimata al segnale velocità, oppure utilizzare la seguente procedura alternativa, nel seguito battezzata “metodo delle medie per valori interi”:

• si fissano dei valori di velocità interi (ad esempio: 100 km/h, 99, 98, etc.); • si considera per ciascun intervallo il tempo impiegato a rallentare da x+0,5

km/h a x-0,5 km/h (nel nostro esempio: 100,5-99,5 km/h; 99,5-98,5; 98,5-97,5), in riferimento ai dati raccolti;

• essendo la finestra ampia 1 km/h, il reciproco del tempo impiegato (moltiplicato per 3,6) restituisce il valor medio dell’accelerazione nell’intorno di quella velocità.

Questa particolare procedura è stata sviluppata per tenere conto del fatto che i campioni vengono acquisiti equi-spaziati su base temporale ma, poiché devono essere riportati nel piano velocità-accelerazione, all’inizio della prova si hanno pochi punti molto distanziati (la velocità decresce molto rapidamente), mentre a fine prova si hanno molti punti ravvicinati, incrementando di fatto il peso (ai fini della determinazione della curva approssimante) dei campioni a bassa velocità rispetto a quelli ad alta. Inoltre questo metodo rende superfluo il filtraggio preliminare del segnale velocità.

Comunque venga ottenuto il segnale accelerazione, il risultato è una successione di valori di velocità e accelerazione, abbinati al relativo tempo, che costituiscono i segnali da utilizzare

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La metodologia sperimentale

per il calcolo della 𝐹𝐹𝑑𝑑. Gli elementi del vettore 𝐹𝐹𝑑𝑑, una volta passati dal rifermento tempo a quello

velocità, costituiscono la “nube” di punti utilizzata per calcolare la curva approssimante che

minimizzi l’errore nel senso dei minimi quadrati. I coefficienti del polinomio trovato rappresentano i valori cercati.

In Figura 3-1 è possibile vedere il risultato del calcolo dei polinomi approssimanti utilizzando entrambe le metodologie: segnale accelerazione ottenuto tramite derivata discreta e ottenuto tramite il calcolo a valori interi di velocità. Nel caso in cui si utilizzi la formulazione completa di termine lineare, la differenza tra le curve è esigua; qualora invece si decida di considerare la formulazione più comune priva di termine lineare, le curve risultanti sono indistinguibili. Non vi è alcun motivo di preferire una procedura rispetto all’altra.

3.1.2 Prove di prestazioni veicolo

Per quanto riguarda le prove di prestazioni, non esiste uno standard su quale tipo di prova eseguire per valutare le performance del mezzo. Oltre alla classica prova di accelerazione 0-100 km/h, sono possibili una infinità di prove, come ad esempio:

• 400 m con partenza da fermo • 1000 m con partenza da fermo • 0 -60 km/h

• 0 – 200 km/h • 0 – velocità massima

• 80 – 120 km/h con marcia fissa • 1000 m partendo da 60 km/h

Ogni prova può essere poi declinata in diverse varianti, a seconda della marcia utilizzata e della velocità di partenza, ma in generale l’obiettivo è cercare di esprimere le prestazioni di un veicolo tramite una serie di valori numerici oggettivi. Le informazioni ricavabili sono molteplici e non sono limitate solo al tempo impiegato o alla velocità finale: durante la prova, infatti,

Figura 3-1 Confronto tra metodi di calcolo segnale accelerazione: a sinistra attraverso la derivata approssimata, a destra utilizzando il metodo della media per valori interi

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vengono acquisiti diversi parametri motore di cui si valuta l’andamento nei transitori e a pieno carico, in modo decisamente più rapido rispetto alle misurazioni al banco prova. Per questo progetto in particolare è stato chiesto di analizzare prove di ripresa, accelerazione e regimazione lenta (cioè una ripresa con marcia alta).

La prova di ripresa consiste nel lanciare il veicolo su strada e stabilizzarlo, fissata una marcia, ad un preciso regime motore. Dopo alcuni secondi in queste condizioni, per permettere a tutti i parametri di stabilizzarsi, il guidatore aziona in modo brusco (il più rapidamente possibile) il pedale acceleratore e attende che il motore raggiunga il limitatore di giri, senza cambiare marcia. La prova viene ripetuta con diverse marce, regimi di partenza, mappature motore, se disponibili.

Se la marcia utilizzata per la ripresa è alta, l’ultima o penultima, e il regime di partenza molto basso, il mezzo impiega molto tempo per raggiungere il limitatore, avvicinandosi alle condizioni di funzionamento stazionarie al banco prova, dove viene fatto lavorare a punto fisso. Perciò questo tipo di prova viene anche chiamato “regimazione lenta”.

La prova di accelerazione è la più classica: il veicolo è fermo con il motore al minimo, quando improvvisamente il guidatore preme a fondo l’acceleratore e lo tiene premuto fino al raggiungimento della velocità o distanza obiettivo. In questo tipo di prova si hanno, a differenza delle precedenti, anche le fasi di innesto frizione (o convertitore idraulico, nel caso del veicolo esaminato) e cambio marcia, che possono fornire diverse utili informazioni.

3.2 Acquisizione dati

Per poter acquisire le grandezze d’interesse, è necessario preparare adeguatamente il veicolo alla prova da eseguire. Per prima cosa bisogna decidere quali grandezze misurare, poi stabilire se è possibile e opportuno utilizzare i dati dei sensori già presenti a bordo della vettura utilizzata per i test, oppure se è necessario installarne di nuovi.

3.2.1 Acquisizione dati via rete CAN

In un moderno autoveicolo (ma ormai anche nei motocicli), a fianco dell’impianto elettrico di bordo, è presente anche una rete di trasmissione dati specifica che prende il nome di “rete CAN” (Controller Area Network). Tale rete ha un’importanza fondamentale perché permette il dialogo tra tutti i sottosistemi di bordo, così che possano agire in modo sinergico al buon funzionamento del mezzo.

Attraverso questa rete dati, utilizzando apposite interfacce, è possibile “catturare” tutti i messaggi in transito provenienti da tutti i componenti e sensori connessi alla rete, senza necessità di effettuare collegamenti punto a punto. Oltre a ricevere passivamente i messaggi in transito, è anche possibile richiedere attivamente tramite CAN informazioni, in particolare alla

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La metodologia sperimentale

centralina di controllo motore o Engine Control Unit (ECU), verso cui confluiscono la maggior parte dei dati circolanti.

In realtà esiste un modo migliore per acquisire le informazioni in possesso della ECU: tramite una interfaccia specifica è possibile leggerne direttamente il contenuto della memoria, con una velocità di comunicazione decisamente maggiore e maggiori possibilità di controllo. Esistono diversi tipi di interfacce che permettono questo dialogo e una delle più diffuse è una scheda aggiuntiva chiamata ETK: in fase di messa a punto veicolo, al posto della normale centralina di serie, viene montata una speciale centralina “di sviluppo” fornita direttamente dal costruttore già equipaggiata con una di queste schede aggiuntive di comunicazione, in modo da poter avere accesso completo sia al software di base, che ai parametri di funzionamento.

3.2.2 Acquisizione dati da sensori esterni

Se il veicolo non è dotato dei sensori dedicati alle grandezze di interesse, ne vengono installati di nuovi, come ad esempio il sensore giri turbo, temperatura uscita turbina, pressione camera di combustione. Questi sensori non possono essere letti direttamente da un pc, ma necessitano di interpretazione perché le grandezze fisiche prodotte dal sensore (tensione, resistenza, corrente) devono essere tradotte in segnali digitali: serve un convertitore analogico-digitale che permetta di acquisire e campionare tutti questi segnali, sincronizzandoli con un preciso riferimento temporale.

Normalmente la situazione presente è un misto tra le due esposte, e quindi sarà necessario disporre di un sistema molto flessibile che riunisca entrambi i tipi di sorgente. Sul mercato esistono diversi produttori che hanno a catalogo interfacce di comunicazione con la rete veicolare

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e hardware dedicato alla gestione dei sensori, nonché software specifici per le attività di acquisizione dati e calibrazione motore.

In Figura 3-2 è riportato un esempio di collegamento di alcuni moduli. L’aspetto chiave è la modularità, che consente di adeguare il sistema al mutarsi delle esigenze.

Nel diagramma sono presenti diversi apparecchi per gestire tutte le possibilità elencate in precedenza: esistono moduli dedicati alla gestione dei sensori di temperatura (Thermo module) o sensori analogici (A/D module e Mini A/D module), specifici per la sonda lambda (Lambda module) oppure in grado di riunire più funzioni (Thermo & A/D module). È anche presente un modulo dedicato alla comunicazione con la scheda di interfaccia ETK ma che all’occorrenza permette di dialogare con la rete CAN del veicolo (ETK/CAN module).

I diversi apparecchi vengono collegati tra loro a formare una rete secondo uno schema a cascata. A tal fine è presente un modulo di gestione (Network module) che riunisce i messaggi di tutti gli altri e comunica con il PC. Diversi moduli di gestione, ciascuno con la sua sottorete, possono essere collegati tra loro per creare reti più complesse. Sul pc, tramite il software di acquisizione dati, vengono salvate tutte le acquisizioni ed è possibile impostare la configurazione di tutti gli apparecchi.

Questo schema di collegamento a gestione centralizzata consente di sincronizzare tutte le misure, a prescindere da quale apparecchio le abbia fisicamente catturate: si tratta di un aspetto di fondamentale importanza e straordinaria utilità, perché permette di ricostruire con precisione lo stato del veicolo in dato istante, sfruttando le misure effettuate.

Riferimenti: (7)

3.3 L’interfaccia ETK

L’interfaccia ETK opera secondo il principio del “on-chip debugging”: sfruttando una speciale porta appositamente predisposta dai fabbricanti di microcontrollori per fini di sviluppo, una piccola scheda elettronica aggiuntiva viene installata all’interno della ECU e comunica con essa (Figura 3-3, immagine di un prodotto di questo tipo). Questa scheda è equipaggiata con una memoria, detta “Data Emulation Memory” (DEM), e quando il microprocessore della centralina motore rileva che una scheda è collegata a quella speciale porta, entra nella cosiddetta “debug-mode”, con la quale vengono modificati alcuni comportamenti. In particolare la DEM si sostituisce alla memoria interna della ECU (la “emula”) ed è da questa che il microcontrollore legge i parametri di configurazione.

Un circuito di alimentazione separato da quello della centralina e non sotto chiave, permette di operare in modo indipendente dall’impianto elettrico di bordo: in particolare, è possibile intervenire sulla configurazione anche ad auto totalmente spenta. In gergo si parla di

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La metodologia sperimentale

stato di “key off”, riferendosi al primo dei diversi possibili stati del commutatore di avviamento (chiave di accensione), in genere: OFF, ACCessory, ON e START, rispettivamente “spento”, “servizi”, “acceso”, “avviamento motore”. Il secondo abilita i servizi (radio, luci) e parte dell’impianto elettrico, il terzo abilita il quadro e la strumentazione di bordo, il quarto inserisce il motorino d’avviamento.

Esistono molti tipi diversi di interfaccia ETK e la logica di funzionamento interna dipende dal produttore della scheda nonché dal tipo di centralina su cui verrà installata. Tutte sono accomunate dalla possibilità per l’utente di intervenire sulla memoria su ETK per avere accesso ai dati di centralina, ma le modalità di gestione di questo accesso possono essere anche molto diverse.

Ad esempio un’architettura in commercio prevede la suddivisione della memoria di due settori distinti, chiamati “pagine”, di cui è possibile leggere e modificare il contenuto con alcune limitazioni. Per evitare conflitti non è possibile modificare aree di memoria mentre sono utilizzate dalla ECU e le pagine permettono di aggirare questo limite. In una pagina, chiamata “Reference Page” o Pagina di Riferimento (RP), viene salvato un set completo di parametri che non possono essere modificati con motore in moto (in gergo “key-on”), mentre l’altra pagina, sulla quale l’utente può intervenire leggendo e scrivendo informazioni in ogni momento, è la “Working Page” o Pagina di Lavoro (WP). Il controllore della scheda ETK si occupa di unire in tempo reale le due pagine integrando le modifiche apportate in WP al data-set contenuto nella RP, facendo sì che la ECU veda un unico set di parametri. Il numero di differenze tra le due pagine che possono essere gestite dal sistema è limitato e quando viene raggiunto, è necessario caricare un nuovo data-set nella RP.

Per consentire l’acquisizione dati, su ETK è presente un’ulteriore area di memoria, detta “Data Measurement Memory” (DMM), in cui la ECU quando entra in “debug-mode” scrive lo stato di tutte le grandezze disponibili al suo interno, per ogni step di calcolo. Poiché questa memoria ha una capacità limitata, riesce a contenere solo le informazioni di pochi istanti di

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funzionamento, dopodiché i dati più vecchi vengono sovrascritti dai nuovi. L’utente, tramite un’opportuna apparecchiatura in grado dialogare con questa interfaccia, ha la possibilità di scegliere quali informazioni catturare da questa memoria e registrare sul proprio pc.

Sia la DEM che la DMM sono memorie di tipo volatile, quindi se viene interrotta l’alimentazione tutte le informazioni vanno perse. Per questo è installata anche una terza memoria di tipo permanente, chiamata “Data Flash Memory” (DFM), avente dimensioni pari a quelle della RP della DEM e nella quella l’utente può salvare in modo duraturo un set di parametri che desidera conservare. Tale spazio di memoria può essere usato per caricare automaticamente in RP un data-set ad ogni avvio dell’ETK, in modo che sia subito operativa: se la scheda è collegata ma vuota la ECU, quando viene girata la chiave di avviamento vede una memoria vuota e non può funzionare.

L’interfaccia ETK non interviene sul software di base che rimane memorizzato nella memoria permanente della ECU, ma consente di comunicare con essa per caricarne uno nuovo.

Riferimenti: (7)

3.4 La rete CAN

La rete CAN prende il nome dal protocollo di comunicazione utilizzato: il Controller Area Network è un protocollo di comunicazione seriale sviluppato per gestire con elevata efficienza e sicurezza sistemi a controllo distribuito in real-time. Si tratta cioè di un insieme di norme (“protocollo”) che definiscono come è strutturata a livello fisico una rete di comunicazione su cui le informazioni possono transitare una alla volta (“seriale”). Aspetti fondamentali per la sua diffusione sono stati l’elevata efficienza e la sicurezza a livello hardware, cioè la capacità di sopportare un livello elevato di interferenze elettromagnetiche ed errori di trasmissioni nonché di riconoscere ed isolare le apparecchiature guaste all’interno della rete. Infine il protocollo lavora in real-time, cioè tutti gli apparecchi collegati sono sincronizzati tra loro e leggono la stessa informazione nello stesso momento: questo aspetto è determinante per l’implementazione in apparati inerenti la sicurezza, che richiedono grande velocità di risposta.

Fu sviluppato negli anni ’80 da Bosch per risolvere uno dei problemi emergenti nell’industria automobilistica dell’epoca. Sui veicoli andavano sempre più diffondendosi

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La metodologia sperimentale

apparecchiature elettroniche per controllare i più diversi aspetti del funzionamento ma queste, in mancanza di un protocollo di comunicazione unificato, erano collegate tra loro con una logica punto-punto: questo rendeva necessaria una grande quantità di collegamenti fisici, chilometri di cavi in vettura, e le interazioni possibili limitate. Il protocollo di comunicazione CAN si affermò rapidamente come standard del settore grazie ad alcune caratteristiche peculiari.

Ogni apparecchiatura collegata, dotata di apposito controllore CAN, può comunicare con tutte le altre (teoricamente infinite) senza bisogno di un collegamento dedicato punto a punto; inoltre la potenza elettrica impiegata per la comunicazione è molto inferiore, quindi tutto il cablaggio avviene tramite una coppia di fili di sezione ridotta; tutto questo significa grande risparmio di peso, complessità e costo.

La comunicazione è di tipo broadcast: tutti i nodi ricevono tutti i messaggi (frame) nello stesso momento, ma scelgono se accettarlo o meno in base ad uno specifico codice (IDentifier) contenuto nei bit iniziali del messaggio stesso; non si tratta di un indirizzo fisico univoco (come nella comunicazione TCP/IP) ma di una “etichetta” che contraddistingue il contenuto del messaggio: ciascun nodo decide in base a questa etichetta (comunicazione Message-Based) se il contenuto di quel messaggio è di sua competenza; questo permette a più nodi di ricevere il medesimo frame nello stesso momento, cosa che non potrebbe accadere nel caso di comunicazione per indirizzi (comunicazione Address-Based).

Ogni messaggio è contraddistinto da un codice priorità: se più nodi tentano di inviare messaggi contemporaneamente, solo il messaggio con la priorità maggiore viene correttamente trasmesso (senza alterazioni né ritardi) mentre gli altri vengono messi in attesa e inoltrati in ordine di priorità; questo, unito al punto precedente, permette a messaggi importanti di giungere rapidamente a tutti gli interessati

È presente un meccanismo di controllo errore, chiamato Cyclic Redundancy Code (CRC), che permette a tutti i nodi di riconoscere un frame corrotto e scartarlo; se un controllore rileva un numero elevato di errori, può interrompere temporaneamente la trasmissione fino ad auto-escludersi dalla rete.

Il bus principale è composto da una coppia di fili chiusi ad anello tramite interposizione di resistenze note. I nodi si collegano al bus in parallelo e trasmettono i propri messaggi considerando la tensione differenziale tra i due file, come sequenza di stati di alta tensione bus (High, 5v) corrispondenti a bit 0, e stati di bassa tensione (Low, 0v) cui corrispondono bit 1. Naturalmente tutti gli apparecchi collegati devono utilizzare la stessa frequenza di trasmissione, che si traduce nel tempo di permanenza degli stati High o Low.

Questo metodo di trasmissione rende possibile utilizzare un meccanismo di arbitraggio basato su priorità, tenendo conto che il segnale logico 0 (livello tensione High) a livello elettrico sovrascrive il valore 1 (livello tensione Low, cui il bus vira spontaneamente tramite le resistenze

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di testa): ogni nodo applica un identificativo di priorità al proprio messaggio composto da un numero variabile di bit (in base alla specifica versione del protocollo), se però in fase di trasmissione “legge” sul bus uno stato diverso da quello imposto (che corrisponde ad un numero binario inferiore), sospende immediatamente la trasmissione perché significa che un altro nodo sta trasmettendo con priorità maggiore. Ritenterà dopo una breve attesa. Il numero di bit disponibili nel campo dell’identificatore di priorità limita il numero di nodi che possono trasmettere contemporaneamente senza conflitti.

Il meccanismo di riconoscimento errori di trasmissione (CRC) consiste in un codice calcolato a partire dal contenuto informativo del messaggio originario ed inserito da chi trasmette in coda al messaggio stesso. Il destinatario calcola a sua volta lo stesso codice e verifica che corrisponda a quello presente nel messaggio, altrimenti scarta il frame ed invia una segnalazione di errore.

Riferimenti: (8)

3.5 Criticità

Quale che sia la componentistica scelta per l’operazione di acquisizione, una caratteristica di fondamentale importanza è la possibilità di sincronizzare il campionamento di tutti i segnali rispetto ad un unico riferimento temporale. È in fase di configurazione della strumentazione che si sceglie, per ogni segnale acquisito, il tempo di campionamento ad esempio valori tipici sono: 10ms, 100ms, “revolution syncronous”2. Naturalmente la scelta è frutto di un compromesso: un

tempo ridotto permette maggior precisione in caso di transitori molto rapidi, ma comporta anche un numero di campioni più elevato quindi maggior tempo di calcolo e più memoria richiesta (file salvati più grandi). Spesso vi è la possibilità di scegliere tempi diversi per canali diversi e, in questo caso, i segnali vengono raggruppati per tempo di campionamento omogeneo.

Purtroppo nei dati utilizzati per lo sviluppo è stata riscontrata una caratteristica imprevista: i diversi riferimenti temporali non erano perfettamente sincronizzati l’un l’altro. In altri termini in riferimento al clock di sistema (il riferimento temporale su cui si basano i calcoli di centralina), può accadere che il primo campione a 10ms sia acquisito alcuni istanti dopo il primo campione a 100ms. Perciò tutti i segnali acquisiti a con lo stesso riferimento sono sincronizzati, mentre non lo sono tra riferimenti diversi. Questo aspetto ha richiesto una particolare attenzione in fase di elaborazione dei segnali, come si vedrà nei capitoli successivi.

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Capitolo 4 Analisi concettuale

Nell’ambito dell’analisi delle prove sopra descritte, dopo uno studio preliminare, è stato possibile suddividere il flusso di lavoro preesistente in quattro fasi principali e per ciascuna di esse sono state individuate alcune criticità:

• Importazione dei dati acquisiti: sono richiesti dei passaggi intermedi prima di poter operare sui dati, questo espone a rischio di errore e spreco di tempo;

• Selezione dei dati: la selezione dei dati utili è eseguita manualmente con grande dispendio di tempo, ma soprattutto i criteri presi in esame sono limitati e non è garantita l’omogeneità;

• Esecuzione calcoli: l’elaborazione vera e propria viene eseguita tramite fogli di calcolo, cosa abbastanza limitante a livello di complessità delle operazioni e poco automatizzabile. Possibili gli errori di trascrizione.

• Predisposizione dell’output: dato che l’output desiderato spesso è analogo per intere serie di acquisizioni, ad esempio lo stesso grafico, impostare ogni volta un foglio è una ripetizione manuale che non assicura risultati perfettamente confrontabili. Per superare queste criticità è stato sviluppato un software, scegliendo come ambiente Matlab, per continuità con quanto preesistente in azienda: nella realizzazione non ci si è limitati ad una mera implementazione delle procedure già in uso, ma è stato analizzato ogni passaggio alla ricerca di possibili miglioramenti sia in termini di valore ingegneristico del risultato, sia come tempo di esecuzione e flessibilità. Lo si è poi dotato di interfaccia grafica per gestire tutte le fasi con la massima facilità d’uso e la possibilità di esportare i dati in formato Excel, di nuovo in continuità con quanto preesistente.

In questo capitolo vengono presentati i problemi affrontati e relative soluzioni ed è organizzato in due sezioni principali: la prima, in cui sono trattati gli argomenti di utilità generale; la seconda, in cui sono trattati gli aspetti specifici delle due prove da studiare.

Nel Capitolo 5 viene descritto il software e l’interfaccia grafica, o Graphical User Interface (GUI), evidenziando il legame tra i comandi ed i concetti esposti nel presente capitolo.

Sezione I: Aspetti generali 4.1 Gestione input 4.2 Filtraggio dei segnali Sezione II: Aspetti specifici 4.3 Analisi prove coast-down

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Analisi concettuale

4.1 Gestione input

Il primo aspetto che doveva essere affrontato per la realizzazione del progetto richiesto è il caricamento dei dati da elaborare, in modo da definire una procedura standard da utilizzarsi poi in tutto il programma. Prima di presentare la metodologia individuata, si espone la procedura in uso evidenziandone le criticità, in modo che siano più chiari i motivi che hanno condotto alla soluzione adottata.

Tipicamente, la sequenza di operazioni necessaria era la seguente:

• si caricano i dati acquisiti e salvati dal programma di acquisizione, aventi estensione *.dat (e d’ora in poi chiamati dat-files), in un apposito visualizzatore (VSLZR);

• nel VSLZR, il calibratore cerca manualmente le porzioni del file di interesse, attiva i canali desiderati e quindi procede all’esportazione in formato testuale;

• VSLZR, durante l’esportazione, provvede a correggere il disallineamento delle basi temporali definendo un nuovo riferimento con tempo di campionamento a scelta dell’utente;

• i file esportati vengono caricati in un foglio di calcolo per l’elaborazione. I file in formato testuale hanno come pregi la facilità di scambio tra programmi e di consultazione per l’utente, che può aprili e leggerne direttamente il contenuto. Come contro hanno però dimensioni elevate e, per l’utilizzo nel tool sviluppato, richiedono una programmazione più sofisticata per poterne importare il contenuto in Matlab.

I problemi principali riscontrati sono:

• il contenuto di un file testo viene letto riga per riga, mentre i dati sono organizzati per colonne, quindi è necessario leggere tutto il file, impiegando un tempo relativamente elevato;

• deve essere indicato con precisione il formato dei dati che si stanno caricando, compresi spazi e segni di tabulazione, altrimenti il programma non è in grado di interpretare correttamente le informazioni lette;

• se nel file non è presente una riga di intestazione, non è possibile sapere a cosa si riferiscono i valori se non conoscendo dell’ordine con cui sono elencate le variabili; purtroppo questo dipende dalla sequenza con cui l’utente seleziona i canali in VSLZR e non vi è modo per tenerne traccia; • se è presente la riga di intestazione, si può implementare una procedura che

associ un nome ad ogni colonna del testo e ricostruisca i dati cercando l’etichetta corrispondente; se però questa varia, la procedura fallisce a meno

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