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DALL'AGENTE PROVOCATORE ALL'INFILTRATO

L'AGENTE INFILTRATO

A) DALL'AGENTE PROVOCATORE ALL'INFILTRATO

La tematica delle operazioni sotto copertura, caratterizzata da un complesso intreccio tra profili sostanziali e processuali, ha acquisito negli ultimi anni una crescente importanza nelle politiche di sicurezza, sia a livello interno che internazionale. Non a caso, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ricondotto al nucleo centrale del principio del processo equo la valutazione sulla compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo delle operazioni sotto copertura. Nell’ordinamento italiano alla figura dell’agente provocatore, sorta in origine come fattispecie di concorso morale sotto forma di istigazione qualificata da parte di colui che induce altre persone a commettere un reato al fine di assicurarle alla giustizia, sono andate progressivamente affiancandosi nel corso del tempo ulteriori ipotesi di attività investigative “sotto copertura”. Con il termine agente provocatore si individua tradizionalmente il soggetto appartenente alla forze dell’ordine o privato cittadino, che partecipa ad un fatto criminoso al fine di raccoglierne le prove ed assicurare alla giustizia i responsabili. Tale nozione, tuttavia, ha conosciuto nella prassi investigativa un vistoso ampliamento, tanto da ricomprendervi anche le figure dell’infiltrato, del finto compratore e della falsa vittima, ciascuna delle quali si riferisce a determinate tipologie

criminose. Per infiltrato si intende il soggetto che, agendo nell’ambito di un’indagine ufficiale, si inserisce all’interno di organizzazioni criminali, al fine di individuarne gli associati e le attività da essi compiute. La figura del fictus emptor, invece, va circoscritta all’ambito dei c.d. reati-contratto, che corrispondono a negozi giuridici bilaterali viziati per la illiceità penale dell’oggetto, dovuta eventualmente all’assenza di particolari autorizzazioni previste dalla legge (es. vendita di armi, di stupefacenti, di merce di contrabbando, ecc …). Distinto è il concetto di falsa vittima, con cui si individua il soggetto che agisce al fine di far uscire allo scoperto l’autore di determinate categorie di reati, quali la concussione o la truffa, che presuppongono un atto dispositivo affetto da vizi del volere prodotti dalla stessa condotta incriminata. Le nuove esigenze politico-criminali hanno trovato un riferimento normativo nella previsione delle attività investigative “sotto copertura” autorizzate da speciali disposizioni di legge, emanate negli ultimi decenni: come l’art. 97 D.P.R 309/1990 in materia di reati concernenti sostanze stupefacenti, l’art. 7 D.L 8/1991 convertito nella L. 82/1991 in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione, l’art. 12-quater D.L 306/1992 convertito nella L. 356/1992 in tema di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, delitti concernenti armi, munizioni ed esplosivi, l'art. 12 comma 3-septies del D.LGS. 286/1998 relativo alle ipotesi aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’art. 14 L. 269/1998 in materia di delitti riguardanti la prostituzione e la pornografia minorile, l’art. 4 D.L. 374/2001 convertito nella L. 438/2001 in tema di delitti commessi per finalità di terrorismo, l’art. 10 L. 228/2003, intitolata: “Misure contro la tratta di persone”.

Tutte queste previsioni sono state recentemente sostituite dalla nuova regolamentazione contenuta nell’art. 9 L. 16 marzo 2006, n. 146 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001”, come modificato dall’art. 8 L 136/2010, recante il “Piano straordinario contro le mafie”, che ha dettato un'articolata disciplina generale relativa alle operazioni sotto copertura, applicabile ad un'ampia gamma di fattispecie di reato. La novella del 2010 ha ampliato gli ambiti operativi delle operazioni sotto copertura, estendendo la

relativa disciplina non solo alle fattispecie normative precedentemente prese in considerazione dai diversi atti legislativi sopra menzionati, ma anche ad ulteriori delitti, quali le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e le ipotesi non aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La stessa riforma ha, inoltre, esteso le garanzie funzionali, tra cui la speciale causa di giustificazione di cui all’art. 9 L.146/2006, a tutta la gamma dei soggetti privati di cui gli ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi (“ausiliari” ed “interposte persone”), e ha realizzato un sistema di protezione processuale mediante la valorizzazione dell’identità di copertura, in termini corrispondenti alla fattispecie della “testimonianza anonima” conosciuta da altri ordinamenti europei.

Negli anni che immediatamente seguono l'emanazione del Testo Unico degli Stupefacenti, il legislatore avverte la necessità di intervenire in materia di criminalità organizzata, rafforzando gli strumenti di prevenzione e repressione.

In sede di conversione del D.L. 306/92, con la L. 356/1992 si prevedono due nuove ipotesi di attività “mascherata”. In base a quanto disposto dall'art. 97 D.P.R. 309/1990, l'art. 12-quater della legge n. 356/1992 ha previsto due casi di non punibilità riconducibili alla figura dell'agente provocatore: al fine di acquisire prove in ordine ai reati di riciclaggio (art. 648- bis c.p.) e di impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.) il comma 1 dell'art. 12-quater ha escluso la punibilità degli ufficiali di polizia giudiziaria che simulatamente “procedono alla sostituzione di denaro, di beni o di altre utilità provenienti da taluno dei reati indicati nei suddetti articoli, o altrimenti procedono in modo da ostacolarne l'identificazione della provenienza ovvero in modo da consentirne l'impiego”.

A sua volta, il comma 2 dello stesso art. 12-quater ha legittimato l'acquisto, la ricezione e l'occultamento di armi, munizioni o esplosivi, nonché l'intromissione nel compiere tali attività al fine dell'acquisizione di elementi di prova relativamente a delitti che concernono armi, munizioni o esplosivi. La formulazione della norma, con riguardo alla finalità perseguita dagli ufficiali di p.g. è identica a quella dell'art. 97 d.P.R. 309/1990.

La scriminante opera solo a favore degli ufficiali di polizia giudiziaria: tutte le operazioni da questi compiute devono essere disposte, ai sensi del comma 4, dal capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza, dal comandante generale della Guardia di finanza ovvero dal comandante generale dell'Arma dei carabinieri, oppure dall'Alto commissario per il coordinamento della lotta alla delinquenza di tipo mafioso quando ad essa procedono ufficiali di polizia giudiziaria della Direzione investigativa antimafia. Un'analisi più profonda delle condotte scriminate dall'art. 12- quater ha messo però in evidenza una difformità rispetto alle attività tutelate dall'art. 97 D.P.R. 309/1990: è risultato difficoltoso il collegamento dell'operato degli ufficiali di polizia giudiziaria nel contesto del contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, con la tradizionale figura di agente provocatore. La nozione di agente provocatore delineata nel D.P.R 309/1990 si identifica con chiunque induca altri al compimento di attività illecite al solo fine di assicurarli alla giustizia: l'agente provocatore è colui che induce gli altri alla commissione di uno o più reati, allo scopo di procedere all'arresto di coloro che sono “caduti” nell'istigazione; ma, ci sono delle ipotesi tra quelle contenute nei primi due commi dell'art. 12-quater, in cui non vi è la presenza di un messaggio istigatorio. Se ne deduce dunque, che il legislatore, pur partendo dal contenuto dell'art. 97 T.U.S., ha in realtà, creato una nuova figura di agente sotto copertura: l'agente infiltrato.

La dottrina opera una distinzione tra attività di provocazione simulata e attività di infiltrazione.

Nella pratica, gli atti investigativi undercover si differenziano a seconda che l'agente “coperto” agisca come “provocateur agent” o come “undercover agent”: nel primo caso l'agente simula un atteggiamento di complicità che si innesta nella dinamica delittuosa per reprimere talune condotte criminose, ma mai per determinare una “causa concorrente alla produzione dell'evento offensivo”47. Nella seconda ipotesi si delinea un'attività di sorveglianza che

consente alle forze dell'ordine di vigilare su persone ed ambienti sospettati di pianificare la realizzazione di gravi crimini, onde permettere un intervento tempestivo ed opportuno degli investigatori, volto ad impedire la compiuta 47 App. Roma, 21 maggio 1997, Serra ed altri in Cass. Pen. 1997, 2879

attuazione del programma delittuoso.

La distinzione tra le due figure investigative emerge anche nell'ambito del tipo di attività che può essere espletata nell'uno e nell'altro caso: vi è difformità tra l'attività di induzione in ordine alla determinazione o al rafforzamento dell'altrui intenzionalità criminosa (tipica del provocateur agent), e quella di infiltrazione in contesti malavitosi dediti alla perpetrazione di specifiche tipologie delittuose, simulando complicità in relazione alla perpetrazione di illeciti penali non gravi, al fine di inibire la commissione di più gravi delitti e consentire l'identificazione dei relativi autori (tipica dell'undercover agent). La molteplicità dei ruoli connessi alla figura dell'agente sotto copertura, si deve alla varietà delle situazioni configurabili nella concreta esperienza criminale: ciascuno dei fenomeni da contrastare presenta peculiarità specifiche che richiedono l'impiego di espedienti investigativi ad hoc.

Storicamente la figura dell'agente provocatore, e più in generale la disciplina delle operazioni sotto copertura, trova la propria ratio nell'essere la fondamentale tecnica investigativa in grado di aggredire dall'interno le associazioni criminali, rendendo possibile non punire determinate condotte penalmente apprezzabili poste in essere da soggetti qualificati, in quanto finalizzate alla ricerca della prova utile ad assicurare il reo alla giustizia; sennonché, l'impiego di tale agente è sempre stato disincentivato da costanti difficoltà ed incertezze, tra le quali certamente primeggia la problematica dell'individuazione della sua natura giuridica: profilo fortemente controverso, ma allo stesso tempo dirimente della questione relativa alla definizione dei presupposti al ricorrere dei quali l'agente possa o meno considerarsi responsabile del reato realizzato dal provocato.

Analizzando un caso a riguardo di questo tema, la portata della questione potrà essere presto chiarita: in una sentenza, un “informatore dei carabinieri” – agendo nella consapevolezza e con la convinzione di collaborare all'interno di un'operazione sotto copertura ufficiale – effettua un acquisto simulato di un quantitativo di droga, al fine di fornire ai carabinieri l'occasione per procedere all'arresto dello spacciatore (il confidente od informatore della polizia, in assenza di una definizione normativa, viene storicamente identificato come colui che “appartenendo all'ambiente del delitto, presta

alla polizia il servigio di rivelarne i segreti”48.

Da parte sua la giurisprudenza individua tre elementi che caratterizzano la figura dell'informatore: la conoscenza di notizie attinenti ad un fatto di reato, il rapporto di collaborazione sistematico con l'organo di polizia giudiziaria ed il conseguimento di un'ulteriore e propria finalità49).

La mancata prova, però, sull'esistenza di un'operazione sotto copertura concordata con la polizia giudiziaria, porta la Corte d'Appello di Venezia ad escludere la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 9 L. 146/06, determinando la condanna del confidente in concorso con lo spacciatore. La Corte suprema, tuttavia, nell'evidenziare forti contraddizioni nella ricostruzione operata in sede di merito, annulla con rinvio, richiedendo un nuovo giudizio che prenda in considerazione ulteriori aspetti, non diversamente trascurabili; la Corte evidenzia infatti come, posta la non ufficialità dell'operazione sotto copertura alla base dell'acquisto simulato, sia opportuno accertare se il confidente abbia realizzato un accordo per l'acquisto di droga da rivendere successivamente, oppure se abbia meramente simulato la sua intenzione ed agito con la finalità unica di consentire l'arresto dello spacciatore da parte della polizia giudiziaria. Questo perché, a parere della Corte, il fatto di aver collaborato quale confidente delle forze dell'ordine non può sortire effetti quantomeno sul trattamento sanzionatorio e, l'aver agito per consentire l'arresto di un trafficante, non può considerarsi irrilevante ai fini del giudizio sulla punibilità dell'informatore stesso. Pertanto, sotto tale profilo, l'elemento dirimente tra la punibilità o meno dell'acquirente simulato risiede nel precedente possesso della droga da parte dello spacciatore: infatti, in tale ipotesi, la condotta simulata dell'agente provocatore non integra alcun reato poiché non comporta un pericolo effettivo per il bene giuridico tutelato dalla norma, che risulta già violata dal trafficante stesso con la pregressa disponibilità del materiale illecito.

Approfondendo, dipoi, il tema della posizione giuridica del confidente che collabora con le forze dell'ordine, bisogna affermare che, attualmente, la 48 Carnelutti, Lezioni sul processo penale, 1947, p.171

49 Cass. sez. VI, 12 giugno 2001, Vardaro, n°36720, in Cassazione Penale 2003, pag. 1624 ove la Corte definisce gli informatori come quei confidenti di polizia che forniscono alla polizia giudiziaria occasionalmente, ma con sistematicità, notizie riservate

collaborazione del privato può realizzarsi attraverso il ricorso alle figure dell' “interposta” persona o dell' “ausiliario” che, accanto agli agenti di p.g, rappresentano il risultato dell'estensione operata dall'art. 9 commi 1-bis e 5 L. 146/06 (come modificato dalla L. 136/2010) del novero dei beneficianti la speciale causa di non punibilità, garantita inizialmente ai soli ufficiali di polizia giudiziaria: a differenza di tali ufficiali, ove l'adempimento di un dovere, di cui all'art. 51 c.p, viene individuato nell'obbligo gravante su di essa di assicurare le prove dei reati e ricercarne i colpevoli, ex art. 55 c.p.p, per scriminare l'ausilio del privato – prima della riforma del 2006 – era necessario sia un ordine legittimo dell'autorità competente fedelmente rispettato, sia che la condotta si limitasse ad un'attività passiva di mero controllo, contenimento ed osservazione. Pertanto, in passato, il privato che partecipava ad una operazione autorizzata insieme all'ufficiale di p.g, veniva giustificato nel solo caso in cui il reato fosse effettivamente compiuto dall'ufficiale medesimo; contrariamente, qualora la sua attività si fosse spinta sino al compimento di condotte agevolative o di vera e propria provocazione al reato, magari per fini di vendetta o lucro, il privato – fuoriuscendo dai rigidi limiti interpretativi della scriminante ex art. 51 c.p – era punibile a titolo di concorso materiale o morale nel reato realizzato50.

Con riferimento all'attività prestata dall'informatore nella vicenda in esame, certamente questi ha ricoperto il ruolo dell'interposta persona, essendo un privato coinvolto direttamente dalla polizia giudiziaria nell'operazione sotto copertura, chiamato a compiere una delle attività di provocazione rese non punibili dall'art. 9 L 146/06: sostanzialmente il discrimen tra le due figure dell'interposta persona e dell'ausiliario deve individuarsi nell'appartenenza o meno alle forze di polizia: nel primo caso infatti la collaborazione potrà avvenire solo nella veste dell'interposta persona, indipendentemente dal coinvolgimento diretto od esterno nell'operazione; solo qualora a coadiuvare sia un privato, sarà altresì necessario verificare l'incidenza sull'operazione dell'attività prestata, se diretta od esterna51.

50 Cass. sez IV, 17 dicembre 2008, n° 17025; in CED Cass. N°243439, in Cassazione Penale 2010, p. 1828; Cass. sez. I, 14 aprile 1999, n° 6302, in Cassazione Penale 2000, pag. 2026

51 G. Amato, Stupefacenti. Teoria e pratica, 2006, p. 432; Maiello, La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, in

Tuttavia, la causa di non punibilità in esame, al comma 1-bis richiede, altresì, un'ulteriore condizione individuata nella necessità che l'operazione sotto copertura sia autorizzata e documentata dall'organo competente, rappresentato in materia di stupefacenti dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga: spetta infatti alla DCSA il compito di disporre le operazioni stesse dandone preventiva comunicazione all'autorità giudiziaria.

Pertanto, nel caso di specie, esclusa la prova dell'esistenza di uno dei requisiti tipici richiesti dall'art. 9, la condotta di acquisto simulato del confidente non potrà in alcun modo sottrarsi a responsabilità per il tramite di tale speciale causa di non punibilità, stante la carenza della condizione legittimante rappresentata dall'autorizzazione ad un'attività sotto copertura ufficiale: infatti non sembra condivisibile la diversa soluzione proposta in dottrina52, secondo la quale l'assenza della preventiva autorizzazione della DCSA sarebbe sanabile dalla successiva ratifica dell'operazione simulata da parte della stessa Direzione, ancorché il legislatore non abbia espressamente previsto nulla al riguardo.

Così ricostruiti i termini della vicenda, occorre verificare se la condotta di acquisto simulato possa considerarsi non punibile per il tramite di soluzione alternative rispetto alla disciplina dell'art. 9 L. 146/06 qualora, come nel caso in esame, il riconoscimento sia impedito dal mancato rispetto dei requisiti tipici richiesti dalla medesima disposizione.

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