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LE DICHIARAZIONI RESE DALL'INDAGATO ALL'AGENTE SOTTO COPERTURA

LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

C) LE DICHIARAZIONI RESE DALL'INDAGATO ALL'AGENTE SOTTO COPERTURA

Come possono essere utilizzate le dichiarazioni rese dagli indagati e raccolte dall'agente sotto copertura nello svolgimento delle attività undercover? Una volta vista la posizione ricoperta dall'agente in dibattimento e le sue possibili modalità di assunzione, resta da vedere la problematica circa la compatibilità della sua testimonianza con la previsione di cui all'art. 62 c.p.p, il quale vieta l'utilizzabilità delle «dichiarazioni comunque rese nel corso del 195 Comma 1-bis art. 147 disp. Att. c.p.p: “l'esame in dibattimento degli ufficiali e

degli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, degli ausiliari e delle persone interposte, che abbiano operato in attività sotto copertura ai sensi dell'art. 9 legge 16 marzo 2006, n.146 e successive modificazioni, si svolge sempre con le cautele necessarie alla tutela ed alla riservatezza delle persone sottoposte ad esame e con modalità determinate dal giudice o, nei casi d'urgenza, dal presidente, in ogni caso idonee ad evitare che il volto di tali soggetti sia visibile”

196 Comma 3 lettera c-bis art. 147 disp. att. c.p.p: “quando devono essere esaminati ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad

organismi di polizia esteri, nonché ausiliari ed interposte persone, in ordine alle attività dai medesimi svolte nel corso delle operazioni sotto copertura di cui all'art. 9 legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni. In tali casi, il giudice od il presidente dispone le cautele idonee ad evitare che il volto di tali soggetti sia visibile”

197 A. Cisterna, Legge 13 agosto 2010, n. 136, piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia, Addenda al Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda-G. Spangher, IV° ed. 2010

procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini»198: la questione ruota intorno a cosa debba intendersi vietato dal contenuto di questa norma e, quindi, quali siano le dichiarazioni da ricomprendere nell'alveo del divieto di testimonianza di cui all'art. 62 c.p.p.

Per la giurisprudenza dominante199, il divieto di testimonianza «opera soltanto per le dichiarazioni rese in sede procedimentale, come argine a fonti testimoniali surrogatorie della documentazione scritta»200, cioè che, in mancanza di un divieto espresso, le norme che impongono alla polizia giudiziaria l'obbligo di documentazione degli atti sarebbero facilmente aggirabili attraverso la testimonianza degli stessi agenti: comportando, inevitabilmente, sia la mancanza di certezza sul contenuto delle dichiarazioni riferite de auditu, sia l'impossibilità di verificare il rispetto delle garanzie che circondano l'interrogatorio dell'imputato201.

Inoltre è la stessa Corte Costituzionale a ribadire come il divieto si riferisca solo alle dichiarazioni rese «nel corso del procedimento» e non genericamente «in pendenza del procedimento»202, come a dire che la locuzione sia da intendersi equivalente a «all'interno del procedimento» e non «anteriormente o al di fuori del medesimo»203: il divieto, dunque, opererebbe soltanto rispetto alle dichiarazioni ricevute da soggetti investiti di una qualifica processuale, mentre risulterebbe inapplicabile in merito alle dichiarazioni rese da altri soggetti o per ragioni estranee al procedimento, in quanto «l'art. 62 non pone coordinate temporali ma designa dei contesti procedurali»204.

Detto questo, per comprendere meglio la possibilità applicazione di queste regole alle dichiarazioni dell'indagato rese all'agente infiltrato risulta necessario analizzare una particolare sentenza emessa dalla Suprema Corte: i giudici di legittimità sostennero che «in tema di reati concernenti le sostanze 198 B. Petralia – G. Salerno, Le operazioni sotto copertura in materia di armi e

riciclaggio, in Riv. Guardia fin. 2003, 958 199 Cass. 4 maggio 1995, in Cass. Pen. 1996, 3754

200 B. Trotta, Sulle dichiarazioni rese dal venditore di stupefacenti all'agente provocatore, in Cass. Pen. 1998, 3016

201 G. Barrocu, op. cit., pag. 135

202 Corte Cost. 13 maggio 1993, n. 237, in Giur. Cost. 1993, II, 1728 203 Cass. 20 settembre 1995, in CED Cass. n. 202683

stupefacenti, gli agenti che svolgono attività investigative da infiltrati secondo quanto previsto dall'art. 97 del D.P.R. 309/1990, non agiscono nell'ambito dell'operazione svolta, come ufficiali di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica, ma come soggetti che partecipano all'azione, con la conseguenza che non trova applicazione il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato di cui all'art. 62 del codice di rito, e dunque, che le deposizioni da tale soggetti rese su quanto appreso dall'imputato nel corso dell'investigazione sotto copertura, sono utilizzabili in dibattimento»205; finora abbiamo detto che la giurisprudenza ha affermato come il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'indagato o dell'imputato, essendo diretto ad assicurare l'inutilizzabilità di quanto dichiarato senza la garanzia dell'assistenza del difensore, attraverso la testimonianza de relato di chi ha ricevuto tali asserzioni, non riguarda le dichiarazioni rese anteriormente all'inizio del procedimento, ovvero in pendenza dello stesso, ma rese al di fuori dello stesso206. Ora, la scelta dei giudici di legittimità – di non doversi applicare il divieto di testimonianza ex art. 62 c.p.p all'acquirente simulato di sostanze stupefacenti – non deve far dubitare circa l'esistenza di un vero e proprio procedimento penale al momento del compimento dell'azione undercover che si inserisce in un'indagine che ha come suo presupposto naturale l'esistenza di una notitia criminis: bisogna a questo proposito ricordare che non mancano opinioni discordanti, anche espresse di recente, provenienti dagli stessi giudici di legittimità che, non tenendo conto delle precise indicazioni descritte dalla Cedu, sostengono come “in tutte le ipotesi legislative di attività sotto copertura si prescinde dall'esistenza di un procedimento penale o di indagini preliminari su uno specifico fatto di reato, trattandosi di attività investigative a carattere preventivo”207. Ad ogni modo, bisogna precisare come le trattative svolte dagli agenti infiltrati non possano considerarsi atti tipici del procedimento, venendo qui a mancare l'elemento della consapevolezza della reciproca posizione procedimentale, che ricondurrebbe alla disciplina prevista da altre norme: per quanto attiene all'interrogatorio, dal combinato 205 Cass. 13 settembre 2001, in CED Cass. 220263

206 Cass. 24 luglio 1997, in Cass. Pen. 1998, 3016 207 Cass. 20 maggio 2008, in Cass. Pen. 2009, 2958

disposto degli artt. 64, 65 e 134 c.p.p si evince che lo stesso deve seguire determinate formalità e che la documentazione deve avvenire mediante verbale, pena l'inesistenza giuridica dell'atto.

Suscita non pochi dubbi, dunque, l'interpretazione dei giudici di legittimità sopra descritta in quanto circoscrive l'ambito di applicazione del divieto ex art. 62 c.p.p alle sole dichiarazioni rese in atti formali del procedimento o comunque in specifiche situazioni in cui vige l'obbligo di documentazione, sul presupposto che il divieto in questione riguardi «le sole dichiarazioni rese nel corso del procedimento e, pertanto, funzionalmente alla formazione di un atto processuale, mentre l'agente infiltrato non agisce al fine di redigere atti come ufficiale di polizia giudiziaria con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica, quanto piuttosto quale partecipe del fatto successivamente testimoniato»208: in altre parole, la portata del divieto, non dovrebbe essere sovrapposta a quella di altre norme, bensì deve essere individuata con riferimento all'intero contesto da quelle creato, a completamento di esse in una chiusura ideale del sistema delle garanzie difensive209. In aggiunta, nel considerare l'ambito di applicazione del divieto, non bisogna fare riferimento ad atti ma piuttosto a “dichiarazioni comunque rese nel procedimento”, pertanto, è sufficiente che le dichiarazioni siano raccolte in pendenza del procedimento.

Seguendo il percorso ermeneutico finora descritto, si deve affermare che l'ampiezza del disposto dell'art. 62 c.p.p tuteli sia il diritto al silenzio della persona sottoposta ad indagine, sia l'obbligo di documentazione formale, in quelle situazioni in cui egli con l'inganno sia indotto a collaborare: in dottrina, è stato efficacemente rilevato come, per rimanere nell'ambito extraprocedimentale, ciò che viene riferito dal soggetto chiamato a difendersi deve collocarsi, non solo formalmente, ma anche sostanzialmente al di fuori del contesto di ricerca investigativa210. La scelta di non applicare il divieto sembra invece orientata più che ad una fedele interpretazione della lettera della norma, ad un sommesso rigurgito inquisitorio memore di risalenti quanto autorevoli teorie per cui “l'imputato è il principe della prova, non v'è 208 G. Barrocu, op. cit, pag. 139

209 Cit. B. Trotta, op. cit., 3018

nel processo penale una prova più preziosa della testimonianza dell'imputato”211. Nell'odierno sistema processuale, invece, la norma pare acquisire una valenza sistematica fondamentale come norma di chiusura di una serei di garanzie volte a tutelare ed evitare che l'indagato collabori suo malgrado alla formazione dell'impianto accusatorio, in particolare nelle operazioni undercover in cui egli è spinto a collaborare con l'inganno. Peraltro, queste sue dichiarazioni, non potrebbero mai essere configurate come dichiarazioni spontanee dal momento che le stesse presuppongono che il dichiarante sia sempre a conoscenza della qualifica oggettiva dell'interlocutore, così da potersi autodeterminare in relazione alla sua volontaria collaborazione con gli organi di polizia212.

La Suprema Corte, nella sentenza richiamata poco sopra, ha elaborato anche un'importante distinzione: tra le dichiarazioni concernenti fatti verificatisi in precedenza213 – sui quali sicuramente opera il diritto al silenzio – e le dichiarazioni programmatiche nonché tutte quelle affermazioni che, nell'accompagnare il materiale svolgimento del fatto, possono acquisire una valenza probatoria: infatti, se viene assegnata natura fattuale alle dichiarazioni la testimonianza, de relato, viene promossa a testimonianza diretta del fatto in questione.

Tuttavia, in dottrina abbiamo assistito a diverse critiche circa la ricostruzione proposta dalla Corte: la sentenza non ha convinto, in particolare, perché non esplica i motivi per i quali le dichiarazioni ritenute utilizzabili non lederebbero il diritto di difesa dell'indagato; così alcuni autori214ritengono che non tutte le dichiarazioni rilasciate dalla persona sottoposta alle indagini sono inutilizzabili in virtù del disposto dell'art. 62 c.p.p, anche se, al contrario di 211 F. Carnelutti, Lezioni sul processo penale, Roma 1946, 235

212 N. Apa, Note in tema di testimonianza dell'agente provocatore, in Giur. it. 1999, 140

213 G. Barrocu, op. cit., pag. 141 nota 98: in cui viene affermato che non si può non tenere in considerazione che l'indagato, non sapendo di rivolgersi alla polizia giudiziaria, potrebbe anche aver mentito per ottenere un maggior profitto: questa convinzione non fa Il c'è rafforzare l'idea che una confessione ricavata implicitamente va ben oltre le finalità dello strumento undercover e che, come avviene per le stesse intercettazioni telefoniche od ambientali, le dichiarazioni dell'indagato in un ambito non procedimentale vanno contestualizzate ed comprovate con altri elementi utili.

quanto sostenuto dai giudici di legittimità, il vero discrimen che dà vita al differente regime di utilizzabilità è determinato dalla possibilità che le suddette dichiarazioni integrino direttamente fattispecie delittuose.

Va precisato come sia dottrina che giurisprudenza di legittimità pervengono al medesimo risultato, ossia escludere dall'ambito della testimonianza le dichiarazioni che abbiano una portata confessoria e recuperare quanto detto nello svolgimento del fatto sul presupposto che, in tali casi, le affermazioni costituiscono parte integrante della fattispecie stessa di reato; ma, entrambi gli orientamenti non riescono ad inquadrare un presupposto che possa porsi come pregiudiziale alla dichiarazione testimoniale tale da circoscriverne l'ambito, perciò spetterà al giudice non tenere in considerazione quelle porzioni di dichiarazione che esulino da ciò che costituiva oggetto consentito della testimonianza, con le evidenti conseguenze deteriori dovute alla possibile influenza psicologica sulla capacità decisionale del giudice delle dichiarazioni inutilizzabili che lo stesso ha percepito.

Così, per concludere sull'argomento in questione, le dichiarazioni devono essere collocate all'interno del procedimento poiché il soggetto dichiarante deve essere di fatto considerato indagato: tuttavia, non si applica il divieto ex art. 62 c.p.p in quanto esso concerne solo le dichiarazioni rappresentative di precedenti fatti e non anche le condotte e le dichiarazioni che accompagnano tali condotte, chiarendone il significato, ovvero le dichiarazioni programmatichedi future condotte, né può trovare applicazione il limite di utilizzabilità previsto dal comma 2 dell'art. 63 c.p.p, poiché non si tratta di dichiarazioni rese nel corso di un esame o di assunzione di informazioni in senso proprio e tali dichiarazioni non costituiscono la rappresentazione di eventi già accaduti o la descrizione di una precedente condotta criminosa, ma inserendosi invece in un contesto commissivo, realizzando con esse la stessa condotta materiale del fatto215.

Questione parallela a quella finora analizzata riguarda la possibilità di utilizzare in dibattimento le dichiarazioni raccolte dal privato che abbia collaborato con le forze dell'ordine operanti in attività sotto copertura; la 215 Cass. Pen. IV sez., 30 ottobre 2009, n. 41799, in www.osservatoriopenale.it

problematica principale ha per oggetto la legittimità processuale delle dichiarazioni rese dall'indagato al privato e da questi registrate su incarico della polizia: può la polizia avvalersi di un privato per ottenere un'ammissione di responsabilità? Può questo materiale raccolto essere fatto rientrare ed utilizzato nel processo? Anzitutto bisogna porre attenzione al fatto che qua si tratta di registrazioni ordinate dalla polizia e non fatte di propria iniziativa dal privato, per le quali, riversandosi al di fuori dell'area tutelata dall'art. 15 Cost., non dovremmo ritenere applicabile la disciplina delle intercettazioni. Fatte queste dovute precisazioni, si è concluso che le dichiarazioni rese dall'indagato al privato possono legittimamente essere acquisite agli atti processuali ed utilizzabili ai fini probatori216. Inoltre, poiché la registrazione non rientra tra le intercettazioni telefoniche, non la si dovrebbe sottoporre alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni stesse: così, quanto raccolto dovrebbe essere utilizzato liberamente per avvalorare le dichiarazioni testimoniali di chi l'ha effettuata. Per concludere sull'argomento bisogna sottolineare come, anche questo argomento, si pone sulla medesima pericolosa linea che sostiene l'inapplicabilità dell'art. 62 c.p.p alle operazioni undercover: in particolare, suscita perplessità il predisporre strumenti idonei a procedere alla captazione di conversazioni in danno del soggetto colloquiante attraverso una surrettizia elusione delle norme che impongono situazioni e mezzi tassativi per superare la segretezza delle comunicazioni, così come costituzionalmente protetta217. Secondo un più maturo filone giurisprudenziale, le registrazioni eseguite per il tramite fisico di un collaboratore sono inutilizzabili poiché illegittimamente acquisite, in quanto la fattispecie non è diversa dal collocamento dell'apparecchio nell'ambiente frequentato dalle persone delle quali si intendono intercettare le comunicazioni, così da rendersi obbligatoria l'applicazione delle rigorose regole contenuto nella lettera dell'art. 266 comma 2 c.p.p218.

Per concludere, va ribadito che la polizia giudiziaria non può in alcun modo aggirare, attraverso l'ausilio di privati, gli obblighi legislativamente previsti 216 Cass. 14 aprile 1999, in Cass. Pen. 2000, 2026

217 G. Barrocu, op. cit., pag. 144

per l'utilizzo di mezzi di ricerca della prova tipici, così da ottenere prove utilizzabili per il dibattimento; quanto detto con riguardo all'applicabilità del divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato deve trovare applicazione anche qualora non sia direttamente l'ufficiale di polizia giudiziaria ad agire, esendo le dichiarazioni delle quale si parla raccolte dal privato investito di tale potere quale longa manus dell'autorità.

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