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Il tema dell'agente provocatore è talmente attuale e centrale negli ordinamenti penali nazionali che non viene trascurato nemmeno a livello europeo, infatti troviamo alcune decisioni-guida della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che cercano di dare la chiave 43 Plate, Zur Strafbarkeit

di lettura dell'argomento.

La giurisprudenza CEDU, infatti, con una serie di pronunce – per tutte la sentenza 09.06.1998 nel procedimento Texeira de Castro c. Portogallo – ha accertato la violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'utilizzo di metodiche investigative che si concretizzino in una vera e propria pressione od incitazione al crimine del soggetto sottoposto ad indagini sotto copertura (tale tattica investigativa censurata in sede europea ricorda, per alcuni versi, l'istituto statunitense dell'entrapment).

Per la Corte Europea, che pur ammette l'importanza pratica di tali metodologie investigative, l'intervento degli agenti infiltrati deve essere circoscritto e circondato da opportune garanzie. L'ambito di controllo della Corte Europea non è però limitato solo alla compatibilità degli ordinamenti nazionali con i principi della Convenzione, ma si spinge anche a valutare in concreto il comportamento tenuto dalle autorità domestiche nella trattazione di una fattispecie; nella sentenza Loukanov c. Bulgaria del 20.03.1997 la Corte ha affermato, infatti, che lo Stato risponde, dal punto di vista della Convenzione, degli atti di ogni autorità ed organo statale, a prescindere dal grado di indipendenza ad essi riconosciuto rispetto al governo centrale. Va precisato che, mentre gli ordinamenti nazionali si sono occupati degli agenti undercover o provocatori essenzialmente sotto un profilo di diritto penale sostanziale con riferimento alle cause di non punibilità (applicabili sia all'agente, ex art. 51 c.p che, ante riforma, al soggetto provocato, ex art. 49 comma 2 c.p.), la Corte Europea ha invece sempre affrontato il problema dal punto di vista processuale, ed in particolare, sotto il profilo della compatibilità del loro intervento con il principio dell'equo processo fissato dall'art. 6 comma 1 CEDU.

In particolare, le sentenze della Corte in materia hanno trattato il problema sotto un duplice aspetto:

contrario al principio dell'equo processo; e da qui ne deriva che “l'utilizzazione processuale del materiale probatorio ottenuto in conseguenza di una provocazione esercitata dalle forze di polizia” non deve essere processualmente consentita

➢ la possibilità per l'imputato di esaminare l'agente provocatore, diritto ugualmente previsto dal principio convenzionale dell'equo processo In vero meritano di essere ricordate, a tal uopo, le pronunce

giurisprudenziali che ora elencherò, in quanto hanno assunto il ruolo di parametro guida per gli stati comunitari:

1. nella sentenza Ludi c. Svizzera del 15.06.1992 la Corte Europea ha riscontrato la violazione del diritto ad un equo processo nel rifiuto delle autorità svizzere di soddisfare le richieste del ricorrente dirette ad ottenere un confronto con l'agente infiltrato, e nella conseguente condanna fondata essenzialmente su di un rapporto formato da quest'ultimo, “l'anonimato non deve valere per il giudice chiamato a trattare la causa, il quale deve essere messo in condizione di verificare l'identità dell'agente infiltrato, e di conoscerne i precedenti, al fine di effettuare quel vaglio sulla credibilità che è precluso all'imputato. (nell'altra sentenza Kostovski c. Paesi Bassi del 20.11.1989 il paese convenuto era stato condannato perché gli stessi magistrati, dinanzi ai quali si svolgeva il processo, ignoravano la vera identità del testimone)

2. nella sentenza Texeira de Castro c. Portogallo del 09.06.1998, il caso specifico concerneva due poliziotti in borghese che, sulla sola base delle indicazioni fornite da un terzo, si erano recati pressa la dimora del ricorrente, il quale non aveva precedenti penali, non era stato formalmente indagato e non aveva posto in essere comportamenti sospetti. I due agenti si dichiararoni disposti ad acquistare 200 grammi di eroina per la somma di 200.000 scudi portoghesi. Texeira de Castro a quel punto si recò da un conoscente e fece ritorno con lo stupefacente promesso, al che fu arrestato appena lo estrasse dalla tasca. Ebbene, la Corte Europea è partita dal principio che, nelle moderne società democratiche, la funzione degli

organi investigativi è quella di proteggere la collettività contro la criminalità esistente e di essere pronta ad entrare in azione, non anche quella di creare criminalità, inducendo a delinquere soggetti che semmai hanno una predisposizione strisciante al reato, ma che comunque non avrebbero mai commesso alcunchè di penalmente illecito se non fossero stati provocati. Una tattica provocatoria sarebbe infatti accettabile in un'ottica social-preventiva di positivismo criminologico da difesa sociale, non certo in un ordinamento dove vige il principio di colpevolezza per il quale ciascuno risponde solo in ragione della propria libera autodeterminazione a commettere un reato. Il corollario è stato l'accertamento della violazione del principio del giusto processo, in quanto i due agenti, invece di limitarsi ad un'operazione di osservazione e contenimento, si erano spinti fino a provocare una condotta criminosa che, senza la loro azione, non avrebbe avuto luogo. Inoltre l'imputato era stato condannato esclusivamente o principalmente sulla base delle testimonianze e delle informazioni ottenute grazie alla provocazione della polizia. Principi, questi, ribaditi da ultimo nella recente pronuncia n° 15100/06 del 21 febbraio 2008 (nel caso Pyrgiotakis c. Grecia), laddove la CEDU ha ravvisato la violazione della norma di cui all'art. 6 nell'ipotesi di un undercover che “non si sarebbe limitato a disvelare un'intenzione criminale esistente, ma l'avrebbe al contrario determinata”.

3. nella sentenza Calabrò c. Italia del 21.03.2002 il caso specifico riguardava un agente tedesco infiltrato (soprannominato Jurgen), che si era limitato a far conoscere la sua disponibilità ad importare e vendere rilevantissime quantità di stupefacente. A quel punto il ricorrente aveva contattato spontaneamente Jurgen, gli aveva versato del denaro ed aveva organizzato un incontro in Italia nel corso del quale avrebbero dovuti essere consegnati 46kg di cocaina; mostratagli la sostanza, il ricorrente aveva fatto un cenno di assenso ed era stato arrestato. Nel corso del processo, il Tribunale aveva inutilmente cercato, anche tramite rogatorie internazionali, di procedere all'esame di Jurgen, ma tali tentativi si rivelarono inutili, in quanto le autorità

tedesche avevano sempre opposto che il loro agente aveva fatto perdere le tracce. La Corte Europea ha dichiarato la non violazione dell'art. 6 comma 1 della Convenzione, poiché ha riscontrato nella fattispecie solo l'azione di un agente infiltrato che si era limitato a far conoscere la sua disponibilità ad importare ed a vendere grosse quantità di droga; il contatto era poi stato preso non con una persona incensurata e non gravata da anteriori sospetti, come nel caso Texeira de Castro, bensì con un pregiudicato che già gravitava in ambienti criminali. Inoltre i meritevoli ma inutili tentativi fatti dalle autorità italiane di assicurarsi la presenza di Jurgen in dibattimento (la cui assenza fu compensata dall'acquisizione dei verbali di dichiarazioni rese in un processo in Germania ex art. 238 c.p.p)

Alla luce di queste sentenze l'orientamento giurisprudenziale della Corte appare evidente: infatti, ogni qual volta un soggetto venga condannato per un reato provocato “in senso stretto” dalle forze di polizia, deve ritenersi violato il principio dell'equo processo ex art. 6 CEDU.

Tale orientamento, dal punto di vista dell’ordinamento interno, assume senz’altro un rilievo processuale, avallando appunto la censura di inutilizzabilità ai sensi dell’art.191 c.p.p degli atti raccolti mediante provocazione44; ferma restando, tuttavia, la liceità dell’eventuale sequestro del corpo di reato, o delle cose pertinenti al reato45.

A parer di taluno, nondimeno, la giurisprudenza europea avrebbe altresì implicazioni di carattere sostanziale, perché, al di là della “veste processuale dell’argomentazione”, la regula iuris formulata dalla CEDU sembra in fin dei conti disegnare una vera e propria “causa di non punibilità” a favore del provocato, che il giudice italiano dovrebbe automaticamente applicare ogni qual volta accerti la portata “causale” del contributo dell’infiltrato, ad es. al fine di ritenere quest’ultimo penalmente responsabile46:

44 Cass. Sez.III, 3 giugno 2008, CED 240269

45 Cass. Sez. IV, 14 marzo 2008, Varutti, CED 239525

46 Di Martino, Concorso di persone nel reato, in Le forme di manifestazione del reato a cura di G. De Francesco, Torino 2011, pag. 239

l’ipotesi non sembra, per adesso, trovare supporto in giurisprudenza.

CAPITOLO II

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