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la certificazione dei contratti di lavoro

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Academic year: 2021

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INDICE

- INTRODUZIONE 7

- CAPITOLO 1. La metamorfosi del rapporto di lavoro 10 1. La crisi di identità del contratto tra flessibilità autorizzata e libertà contrattuale.

2. Excursus normativo dell'istituto di certificazione 3. Dal libro bianco del mercato del lavoro,

al d.lgs.276/2003, fino al Collegato lavoro 4 novembre 2010.

- CAPITOLO 2. L’istituto della certificazione 85

1.Definizione e finalità

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- CAPITOLO 3.Commissioni di certificazione 96 1.Organi abilitati alla certificazione

2. Enti bilaterali

3.Direzioni Provinciali del Lavoro

4. Presidente

5. Membri della Commissione

6. Membri consultivi

7. Province

8. Università pubbliche e private e Fondazioni universitarie

9. Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro

10. Consiglio provinciale dei Consulenti del lavoro

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12. Competenza territoriale

13. Consulenza ed assistenza

- CAPITOLO 4. I caratteri della certificazione 137

1. Natura giuridica della certificazione

2. Volontarietà

3. Oggetto

4. Momento temporale

5. Procedimento di certificazione

6. Comunicazione dell’inizio del procedimento

7.Termine

8. Motivazione

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10. Conservazione degli atti

11. Efficacia

12. Codici di buone pratiche

13. Indagine ispettiva e contratti certificati

14. Rimedi giudiziali

- CAPITOLO 5. La certificazione in

Emilia-Romagna 186

1. Certificazione presso la DPL di Bologna

2. Certificazione presso la DPL di Ferrara

3. Certificazione presso la DPL di Forlì

4. Certificazione presso la DPL di Modena

5. Certificazione presso l’Università di Modena

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7. Certificazione presso la DPL di Piacenza

8. Certificazione presso la DPL di Ravenna

9. Certificazione presso la DPL di Reggio Emilia

10. Certificazione presso la DPL di Rimini

11. Certificazione in Emilia Romagna

- CAPITOLO 6. La Giurisprudenza 198

1. Sentenza del Tribunale di Bergamo 20 maggio 2010

2.Sentenza del Tribunale di Milano 8 aprile 2013

3. Tirocini e certificazione come soluzione alle incertezze e agli abusi: 24 gennaio 2013 n.5

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INTRODUZIONE

La certificazione è un vero e proprio processo vitale del mercato del lavoro e della sua metamorfosi poiché anima, integra, regola e bilancia gli interessi delle due parti principali del contratto (datore/lavoratore) e, contemporaneamente, costituisce un tentativo di arginare la crescita delle incertezze determinate dalla moltiplicazione dei sottotipi contrattuali.

Immagine di una finalità deflattiva del contenzioso dei rapporti di lavoro a sostegno della volontà individuale, la certificazione è espressione di un’attività valutativa consequenziale a una manifestazione di giudizio circa la qualificazione del rapporto sottoposto ad esame. Deve essere un valido incentivo anche per un’attenuazione del ruolo sindacale, indirizzato verso una vocazione ancillare dell’autonomia individuale che, oltre a tutelare gli interessi collettivi, soddisfi anche quelli più specifici a sostegno del singolo lavoratore.

L’intento è quello di affidare a soggetti terzi, collettivi e imparziali la regolazione dell’istituto in questione, al

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fine di valutare la conformità dell’atto di autonomia negoziale rispetto allo schema prescelto dai contraenti. La certificazione deve preoccuparsi di intervenire nella fase di costituzione ex ante del rapporto di lavoro; avvalendosi eventualmente di schemi di riferimento predisposti in sede collettiva con il corredo di tutte le garanzie necessarie per permettere una maggiore personalizzazione del programma negoziale alle esigenze del singolo lavoratore.

Accanto alla consulenza giuridica relativa all’attribuzione al contratto della corretta qualificazione, si impone agli organismi abilitati di svolgere anche un’opera di mediazione tra gli interessi personali e patrimoniali dei contraenti; che comprende anche quanto necessario per riequilibrare l’eventuale condizione di diseguaglianza sostanziale del lavoratore.

Grava così sui certificatori un mix di attività; quella più significativa include l’obbligo di rendere sufficientemente edotte le parti delle conseguenze giuridiche ed economiche delle loro pattuizioni.

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risoluzione di conflitti nell’ambito della qualificazione contrattuale, anche alla funzione promozionale circa l’intervento della contrattazione collettiva a favore del lavoratore e, nello stesso tempo, di disposizione o selezione delle tutele nell’area dei rapporti atipici. Qui di seguito, tratterò l’istituto in questione, il suo contesto storico/culturale, i caratteri peculiari, il suo oggetto, i suoi organi, i vari rimedi giudiziali esperibili, le impugnazioni, con piccoli cenni relativi a determinate statistiche nei riguardi di commissioni di certificazione appartenenti alla regione Emilia Romagna e per concludere, riferimenti giurisprudenziali inerenti alcune sentenze; quelle a mio parere più significative.

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CAPITOLO I

LA METAMORFOSI DEL RAPPORTO DI LAVORO

SOMMARIO: 1. La crisi d'identità del contratto – 2. Excursus normativo dell'istituto della certificazione - 3.Dal Libro Bianco del mercato del lavoro, al decreto legislativo 10 settembre 2003,n.276, fino al “Collegato lavoro” (legge 4 novembre 2010,n.183).

1. LA CRISI D'IDENTITA' DEL CONTRATTO.

Nel quadro della legislazione e della contrattazione collettiva di quasi tutti i paesi europei è stata accolta l’idea di adottare una pluralità di figure contrattuali regolatrici del rapporto di lavoro in forme atipiche

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rispetto al modello classico caratterizzato dal tempo pieno e indeterminato.

La presenza di svariate tipologie contrattuali trae origine dall’obiettivo mirato di promuovere l’occupazione e accrescere la qualità e la quantità dei posti di lavoro stimolando in egual modo l’incontro tra domanda e offerta di manodopera.

Questa multietnicità contrattuale trova fondamento nell’idea di un lavoratore visto in un’accezione ancor più dinamica, non più ancorato soltanto al semplice adempimento di doveri, ma concepito come soggetto portatore di un patrimonio professionale, pratico e critico in grado di consentirgli la presa visione dell’intero processo produttivo da adattare alla propria realtà lavorativa.

Il lavoratore, inserito all’interno di una società complessa e frenetica come quella attuale caratterizzata da incertezza, ricerca nel suo status di contraente debole, maggior stabilità e tutela1.

Diviene ideale utopistico intendere la costruzione del contratto di lavoro come contratto obbligatorio nel

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quale le prestazioni del datore e del lavoratore siano considerate esattamente determinate e calcolabili2.

Lo scopo del diritto del lavoro è quello di tutelare l’avere e l’essere del lavoratore come contraente implicato in un rapporto di durata, caratterizzato dall’assoggettamento al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro.

La chiave di svolta si basa proprio sulla flessibilità che regola la disciplina del contratto, e sulla rigidità/flessibilità con cui determinati istituti sono regolati in modo da poter bilanciare gli interessi di ambo le parti percorrendo la strada della contrattazione collettiva; espressione chiara e certa della valorizzazione del dialogo sociale e tratto unificante tra la fine della società fordista del lavoro, al singolare e maiuscolo (tempo pieno e indeterminato, presso un unico datore, tendenzialmente per tutta la vita) e l’avvio della società post-fordista dei lavori, al plurale e minuscoli (a termine, a tempo parziale, intermittenti, ripartiti, formativi, somministrati, a progetto,

2 F. NEUMANN, Il significato politico e sociale della giurisprudenza dei

Tribunali del Lavoro, in, Laboratorio Weimer, Lavoro, Roma, 1982, p. 133

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occasionali ecc.).

Dall’angolo visuale del diritto del lavoro, affiora l’impressione che la flessibilità sia il rovescio della rigidità caratterizzata dall’assenza di vincoli normativi e sindacali.

Sia la proposizione fordismo uguale rigidità ( o meglio stabilità), sia la proposizione post-fordismo uguale flessibilità (ed efficienza) non sono vere, quanto meno sul piano della scienza giuridica.3 Basta ricordare come

il fordismo italiano, atipico e ritardato, sia convissuto con molti elementi di flessibilità.4

Anche le nuove forme di lavoro flessibile e la disciplina del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276, sono il frutto della regolamentazione, non della sua assenza; non a caso si parla di flessibilità regolata.5

Cambia il modo di combinare insieme i vari elementi di flessibilità e di rigidità per soddisfare le esigenze di differenziazione e di adattabilità dei nuovi modelli di

3 M. BOLLO, in., riv.giur. Non c’è una correlazione necessaria, per un verso, tra forme di organizzazione del lavoro fordiste e tutele rigide, e, per altro verso, tra modello post-fordista ed eliminazione delle norme che limitano la libertò di azione delle parti.

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produzione. Quindi tale vocabolo è sempre stato conosciuto nel corso del tempo e della disciplina del contratto, è cambiato il modo di rendere il lavoro flessibile; sono cambiate le sue tecniche.

Da subito, si è tentato di declinare la flessibilità del lavoro come libertà dell’agire economico rispetto ai vincoli, alle rigidità della normativa. Dapprima però, lo si è fatto con una flessibilità controllata e dosata dal sindacato e dalla contrattazione collettiva, poi, andando avanti, con forme nuove e più insidiose: verso una forma più secca, che può sfuggire al controllo sindacale e rifluire nella negoziazione individuale – a due, datore e singolo lavoratore – in cui i rapporti di forza possono essere squilibrati.

In questa cornice, flessibilità può costituire o un’ agile via di fuga dal diritto del lavoro standard, con una diminuzione delle tutele e una diversa distribuzione del potere a vantaggio del datore o, vero e proprio processo di innovazione del mercato del lavoro capace di accrescere la libertà individuale e professionale dei soggetti.

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flessibilità in entrata, intesa come moltiplicazione dei tipi di contratti di lavoro.

Inoltre è certo che, allo stato attuale i contratti di lavoro flessibili presentano per il datore un peculiare vantaggio, uno sconto rispetto alla tradizionale dote di garanzie inderogabili.

Uno sconto che tocca vari profili: alcuni contratti sono privi di stabilità, altri prevedono un orario di lavoro ridotto, altri ancora un salario più basso; sicché il tratto comune dei vari lavori flessibili consiste nell’alleggerimento dei vincoli legali inerenti al contratto di lavoro standard, e, molto spesso, accompagnato da un ribasso delle condizioni giuridiche dei lavoratori, cioè con una riduzione delle loro sicurezze.

Il legislatore, in tal modo, intende favorire l’ingresso nel mercato del lavoro di soggetti più deboli, delle categorie maggiormente penalizzate dalla disoccupazione, a partire da giovani e donne; reintroduce nello scambio lavoro-retribuzione quegli elementi di incertezza, precarietà, imprevedibilità e paura tipici di una società del rischio, che il diritto del

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lavoro classico del XX° secolo aveva ridotto.

Si tratta di una flessibilità organizzativa interna, relativa ai tempi della prestazione e della retribuzione lavorativa, ovvero di flessibilità dell'occupazione numerica e quindi esterna, relativa alle assunzioni, mobilità e licenziamenti. Nelle economie europee tale domanda proviene in misura crescente dalle imprese della produzione manifatturiera e dei servizi, ma non solo, all'esigenza di soddisfare la domanda di flessibilità delle imprese si aggiunge e si sovrappone l'esigenza di fronteggiare il “jobles

growth”,considerato come crescita economica senza

nuova occupazione caratteristica delle economie avanzate6, almeno nei paesi dove il mercato del lavoro

è regolato e il lavoratore è protetto nella sua qualità di contraente debole.

L'intervento dei pubblici poteri mira ad introdurre nel rapporto di lavoro elementi nuovi e dinamici, con la finalità di promuovere l'occupazione liberalizzando il mercato del lavoro e diversificando le condizioni di

6 Sul tema dello”sviluppo senza lavoro” la letteratura è sterminata. Un'analisi recente si ricava dai saggi contenuti nel volume a cura di P.L.CIOCCA, Disoccupazione di fine secolo,Torino,1997.

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lavoro. Tutto questo ha moltiplicato, al di là della tradizionale varietà dei rapporti speciali e in qualche caso sottotipi contrattuali, la tipologia normativa dei rapporti di lavoro.

Anzitutto sono da considerare i contratti caratterizzati dalla temporaneità dell'occupazione (lavoro a tempo determinato) oppure dall'elasticità della durata della prestazione e, perciò dalla quantità offerta di lavoro e, di riflesso, dalla retribuzione (lavoro a tempo parziale con le sue molteplici varianti):si va dal part-time orizzontale (o semplice orario ridotto anche nella forma più sofisticata del job sharing o lavoro ripartito a coppia), al lavoro a turni oppure ad orario variabile e alle prestazioni di lavoro discontinuo o intermittente (lavoro a tempo parziale verticale,periodico oppure a chiamata) fino alle diverse forme di contratto di affitto di manodopera: lavoro interinale e somministrazione di lavoro anche a tempo indeterminato. La diffusione di simili rapporti atipici ha trovato un riconoscimento con finalità di tutela dei lavoratori anche nel diritto comunitario europeo. La diversificazione dei rapporti di lavoro, oltre a determinare una crescente

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frammentazione del mercato del lavoro e un dualismo tra occupazione stabile e lavoro precario, ha rafforzato e reso più evidente il processo di differenziazione delle tutele all'interno dell'universo del lavoro.

In particolare va preso in considerazione il processo di diversificazione dei modelli atipici dal modello del contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. All'origine di tale processo vi è la spinta verso la perdita di centralità del modello sociale tipizzato dal legislatore e dalla contrattazione collettiva. Si sviluppano una quantità di nuove e diversificate figure di lavoratori dotati di capacità professionali polivalenti alle quali vengono conferiti ampi spazi di discrezionalità nella prestazione e nell'autonomia nell'organizzazione del lavoro; ciò con importanti ricadute sui connotati del tipo legale del contratto di lavoro e su quello della subordinazione. La realtà lavorativa non è più riducibile alla tipologia alternativa, ormai obsoleta, caratterizzata dalla differenziazione tra lavoro autonomo e subordinato, ma deve misurarsi con la diffusione crescente dei rapporti di lavoro flessibili.

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In effetti si assiste proprio all'espansione dell'aria intermedia (area grigia) tra lavoro subordinato e autonomo che mette in crisi il tradizionale approccio.7

La questione non è la distinzione tra autonomia e subordinazione nella prestazione di lavoro ma l'idoneità del contratto di lavoro subordinato a fungere da fattispecie unitaria della disciplina imperativa e quindi dello statuto protettivo del lavoratore.

La crisi d'identità del contratto di lavoro riguarda la sua capacità di incorporare lo statuto sociale e legale protettivo del lavoratore come persona e, nello stesso tempo,contraente debole. La pluralizzazione dei rapporti di lavoro e delle forme integrative del lavoro, sono aspetti della de-tipizzazione del contratto indotta dal divario fra le forme reali del mercato e gli istituti giuridici 8.

Si sviluppano forme di lavoro degerarchizzate nei ruoli e flessibili nei tempi, nelle procedure e nelle funzioni. Proprio lo sviluppo del lavoro autonomo sia esterno

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che interno all'impresa è una caratteristica della nuova organizzazione: la possibilità di sostituire il lavoro subordinato con prestazioni di carattere autonomo equivalenti nel risultato produttivo; è proprio all'origine dell'espansione di un'ampia e variegata gamma di forme di lavoro, generata dalla rivoluzione informatica e telematica.

Tali mutamenti investono sia il cuore del contratto, sia la linea di demarcazione tra lavoro autonomo e subordinato9. L'espansione del lavoro flessibile sembra

perciò apportare un avvicinamento dei due diversi tipi contrattuali (autonomo a quello subordinato).

Nel percorso della giurisprudenza italiana si è sempre data importanza al contenuto oggettivo del contratto senza, invece, attribuire valore alla volontà decisiva delle parti dichiarata nell'atto della sua costituzione (qualificazione volontaria del rapporto)10, infatti

oggetto della qualificazione non è l'accordo e nemmeno il contratto come regolamento voluto dalle parti, bensì il rapporto considerato nella sua attuazione

9 R. DE LUCA TAMAJO, Per una revisione delle categorie qualificatorie

del diritto del lavoro, Napoli, 2003.

10 Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Giuffrè editore, Milano, 1989, p.32 ss.

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e perciò ricostruito attraverso il comportamento tenuto dalle parti.

La prevalenza del momento attuativo del rapporto sul momento dichiarativo dell'accordo (volontà cartolare) è la conseguenza della esautorazione dell'autonomia individuale all'autonomia individuale della legge o meglio, del contratto collettivo. L'allontanamento dal modello civilistico previsto trova affermazione proprio nel contratto visto come meccanismo per l'instaurazione del rapporto di lavoro; le tecniche di regolazione flessibile convergono nel rafforzamento dell'autonomia individuale sul piano della qualificazione del contratto e della selezione delle tutele nel collegamento tra la libertà di scelta del tipo normativo di lavoro e la subordinazione tecnica-funzionale. L'espansione del potere di qualificazione dell'autonomia privata passa da una modifica inerente la ripartizione delle competenze tra legge, contratto collettivo e contratto individuale, come fonti regolatrici dei rapporti di lavoro.

Una delle tecniche normative più idonee potrebbe essere proprio l'introduzione nei contratti collettivi di

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disposizioni idonee a conferire al contratto individuale la facoltà di scelta del tipo e della qualificazione del rapporto in funzione della selezione delle tutele.

In tale contesto di regolazione flessibile l'apertura verso spazi di autonomia individuale deve essere considerata non in antitesi alla disciplina protettiva ma, piuttosto, come sostegno all' autodeterminazione del lavoratore nel mercato e nel rapporto di lavoro; risulta per cui necessario il passaggio verso un rapporto di equiparazione tra autonomia collettiva e individuale come fondamento riequilibratore dell'eccessiva standardizzazione delle condizioni di lavoro e del regolamento del rapporto di lavoro.

In un simile contesto al contratto di lavoro individuale può riconoscersi una funzione non più limitata alle condizioni favorevoli ad personam ma una funzione di promozione della diversità anche attraverso la scelta e l'adattamento dei modelli negoziali ai caratteri concreti della relazione di lavoro e dell'occupazione.

Per far fronte a ciò è necessaria, al contempo, una legislazione di sostegno dell'autonomia individuale dove possa essere restituita al contratto la sua funzione

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regolatrice del rapporto; riequilibrandola a un pacchetto di garanzie dell'autonomia individuale intesa come capacità di autodeterminazione e autoregolazione del lavoratore. Nel nostro modello giurisprudenziale vi sono degli indici sussidiari di qualificazione contrattuale che non possono essere rigidamente vincolanti per l'interprete; in effetti nell'operazione qualificatrice condotta dalla giurisprudenza si consta l'impiego di un procedimento logico di tipo induttivo o per approssimazione, per cui l'enunciazione di un fatto o fattispecie concreta viene sussunta sotto il predicato di una norma di legge che la prevede (fattispecie astratta).

Questa operazione è il procedimento logico che viene usato dall'interprete e dal giudice per ricercare le premesse che diano forma al giudizio di qualificazione del rapporto.

Ciò che procede logicamente la qualificazione del rapporto è proprio la sua identificazione; qui allora non siamo più nella fase di interpretazione della legge bensì del contratto; si tratta di accertare gli elementi materiali della fattispecie e di determinare il regolamento di

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interessi concretamente scelti dalle parti, in definitiva, di ricostruirne la comune volontà delle parti e quindi la causa del contratto stesso.

La fondamentale regola ermeneutica tende ad affermare che il contratto deve essere interpretato secondo la comune intenzione delle parti al di là del senso letterale delle parole adoperate (art.1362), in questa prospettiva è costantemente privilegiato il comportamento espresso dalle parti nell'attuazione del rapporto stesso.

Tornando alla qualificazione si può affermare che il comportamento complessivo delle parti e in particolare, quello posteriore alla conclusione del contratto ha una funzione integrativa del contenuto contrattuale e non semplicemente ermeneutica: l'oggetto della qualificazione non è l'accordo e nemmeno il regolamento voluto dalle parti ma l'attività da queste svolta in funzione del regolamento del rapporto.

Nella legislazione più recente non mancano infatti i segnali di una volontà politica orientata a riconsiderare i contenuti e i soggetti dello statuto protettivo

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omogeneo specie del lavoro subordinato.

La tecnica adoperata è stata, quasi sempre quella della de-regolazione parziale attraverso la produzione di norme legislative derogatrici e la previsione di spazi sottratti, in misura più o meno ampia, alle fonti eteronome e, perciò, all'applicazione del principio di uguaglianza sottostante all'effetto di parificazione delle tutele che si è visto essere implicito nell'incorporazione dello statuto protettivo del contratto individuale qualificato dalla subordinazione.

La tendenza revisionista è stata recepita soprattutto in attuazione della delega conferita con 1egge delega 14 febbraio 2003 n. 30, inerente la riforma del mercato del lavoro e dal decreto legislativo 10 settembre 2003 n.276.

Grande è stata anche la spinta circa la volontà di ridurre il divario tra il mercato di lavoro regolare e quello irregolare o sommerso; il decreto legislativo ha ampliato il quadro dei rapporti di lavoro c.d atipici rimettendo proprio alla volontà delle parti la scelta tra una pluralità di figure contrattuali svariatamente flessibili.

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In questo disegno promozionale attraverso l'espansione dell'autonomia individuale, risulta potenziato il contratto di lavoro a tempo parziale, reso più conveniente alle imprese con la liberalizzazione delle clausole elastiche; e con l'arricchimento circa la previsione di nuovi modelli legislativi di lavoro discontinuo (lavoro ripartito a coppia, lavoro intermittente, a chiamata) per poi approdare al lavoro occasionale accessorio caratterizzato dalla temporaneità della prestazione, e dalla somministrazione di lavoro liberalizzata sia nella forma a tempo determinato o interinale,ammessa anche nella forma a tempo indeterminato.

Questi esempi dimostrano come il legislatore ridimensioni la tradizionale correlazione tra subordinazione e statuto protettivo, distribuendo i vari livelli di tutela inderogabile senza preoccuparsi dell'esistenza o meno del vincolo di subordinazione. La formazione del nuovo statuto protettivo del lavoratore, in un mercato del lavoro dominato dall'insicurezza e dalla flessibilità, esige un sistema di tutele in grado di garantire la titolarità dei diritti sociali collegata a

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situazioni soggettive diverse tra loro e dettate dalla molteplicità dei vari tipi di contratto di lavoro.

Il criterio di flessibilità applicato al sistema delle fonti di regolazione cambia l’ordine classico, rigido e gerarchico, dominato dal principio di favore per il lavoratore .

Ne deriva un nuovo sistema, mobile e dinamico, governato dai principi di adattabilità e di sussidiarietà. Nella materia del lavoro emerge un sistema gerarchico delle fonti legali multilivello in cui entrano in gioco in alto, le normative comunitarie e, in basso, le leggi regionali; il tutto intrecciato con un ruolo di primo piano della negoziazione sindacale sia comunitaria che nazionale decentrata.

Per cui la sfida del XXI° secolo è quella di render la flessibilità più sostenibile per chi vi è esposto, trovando un giusto equilibrio fra le esigenze delle imprese e la salvaguardia del lavoratore.

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CERTIFICAZIONE

La certificazione del contratto di lavoro è un istituto che viene disciplinato all'art. 5 della 1egge 4 febbraio 2003, n.30, l'attuazione si è avuta con il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e, conseguentemente, con il decreto legislativo correttivo 6 ottobre 2004, n. 251.

La necessità di introdurre un meccanismo di certificazione deve essere ricercata nella proliferazione delle varie tipologie contrattuali in materia di lavoro. La riforma introdotta dalla legge 4 febbraio 2003, n. 30 e dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 innova in modo significativo il mercato del lavoro introducendo nuovi modi di esplicazione del rapporto di lavoro subordinato quali la somministrazione di mano d'opera, il lavoro a chiamata, quello accessorio o a prestazioni ripartite, sia apportando modifiche ad alcune tipologie contrattuali già esistenti quali le collaborazioni continuative e coordinate, il lavoro occasionale, i contratti a contenuto formativo e di tirocinio, il part-time.

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certezza in materia di qualificazione del rapporto di lavoro per sostenere la diffusione delle nuove tipologie contrattuali, con l'auspicata finalità di attuare una flessibilità regolata e sostenibile nonché di ottenere una diminuzione del contenzioso in materia.

Sulla scia dei vari interventi normativi di riforma del mercato del lavoro vale la pena analizzare e soffermarsi sulla significativa intenzione, manifestata nel Libro Bianco di introdurre un sistema di certificazione e validazione della volontà individuale a sostegno della volontà individuale e a garanzia di un suo corretto esercizio. Tale proposta contenuta nello stesso documento ministeriale, poi rivisitato nei successivi decreti legislativi, rimanda ad un interessante dibattito intorno all'opportunità di estendere il modello dell'autonomia individuale assistita alla sfera della regolazione del rapporto. L'estensione della derogabilità assistita rappresenterebbe un segnale anziché di continuità, di rottura con il collaudato modello della flessibilità contrattata. L'idea che sta alla base dell'introduzione di questo importante istituto è proprio quello di ridurre la

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funzione sindacale alla mera tutela del genuino consenso del lavoratore e quindi, a un ruolo ancillare dell'autonomia individuale, chiamando i sindacati a svolgere non più l' ordinario ruolo di portatori di interessi collettivi bensì di mere agenzie al servizio dell'individuo.11 In tutti i casi di autonomia individuale

assistita,il soggetto che presta assistenza non deve necessariamente condividere le scelte operate nell'atto negoziale, ma piuttosto preoccuparsi che siano frutto di una comune volontà delle parti e non di indebite pressioni esercitate dal datore di lavoro. L'introduzione della certificazione della volontà individuale viene circoscritta alla materia della qualificazione del rapporto di lavoro. La dimensione qualificatrice, la procedura di certificazione, più che a una logica di derogabilità assistita ambisce semplicemente a ridurre l'immane contenzioso sulla natura del rapporto garantendo maggior certezza alle qualificazioni convenzionali purché avvenute in apposite sedi, ossia nell'ambito di enti bilaterali costituiti ad iniziativa di associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative ovvero presso

11 G.. CASADIO, Introduzione al seminario su”Il Libro Bianco del

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strutture pubbliche aventi competenza in materia; ecco che si tende a incentivare, attraverso le certezze prodotte dalla certificazione, la riduzione del possibile contenzioso e la diffusione di forme di lavoro atipico.12

La versione attuale della procedura di certificazione mantiene il carattere volontario e assume anche natura sperimentale. Inoltre, non sottrae alle parti la possibilità di agire in giudizio per contestare la qualificazione del rapporto in relazione a modalità esecutive della prestazione che eventualmente si discostino rispetto allo schema contrattuale convenuto. La sua reale capacità deflattiva è affidata alla previsione secondo cui in caso di controversia sull'esatta qualificazione del rapporto di lavoro il giudice dovrà valutare il comportamento tenuto dalle parti in sede di certificazione.

Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 nel Titolo 8° (capo 1°, art. 75-84) contiene la disciplina delle procedure di certificazione, collocando al primo posto l'istituto stesso; al quale viene esplicitamente

12 E. GHERA, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di

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assegnata la finalità di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro.(art. 75).

Ciò è coerente con le proposte avanzate nel Libro Bianco e, inoltre rispecchia i principi e criteri direttivi stabiliti nella legge delega in materia di occupazione e riforma del mercato del lavoro ( legge 14 febbraio 2003, n. 30).

Sull’argomento già si contano numerose e di diverso profilo le osservazioni, ora positive, ora negative, della dottrina giuslavoristica.

Quest’ultima è intervenuta, e ancor prima dell’entrata in vigore delle nuove regole, con un dibattito assai serrato sulle potenzialità dell’istituto qui in esame, proponendo numerosi interrogativi specialmente in ordine alla sua (il)legittimità.

Per una parte della dottrina, la certificazione andrebbe intesa come una vera e propria tecnica di disciplina del lavoro che si colloca in una posizione alternativa non soltanto alla norma inderogabile di legge e di contratto collettivo, ma anche alla mediazione sindacale o collettiva degli interessi che ruotano intorno al lavoro,

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“La solitudine del singolo individuo non è più confortata dall’assenso di chi ne condivide la sorte, ma benedetta, questo si, dai timbri della burocrazia”.13

La certificazione costituirebbe, da questo punto di vista, manifestazione di una opzione di politica legislativa e di politica del diritto in favore della flessibilità delle fonti del diritto del lavoro e della flessibilità delle tipologie e della stessa fattispecie tipica del lavoro dipendente14.

Una flessibilità che risulterebbe congegnata in modo tale da riportare al centro del sistema il contratto individuale, vale a dire, valorizzare la volontà del singolo lavoratore, là dove, per contro, la sostanziale fragilità in materia di qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro venga utilizzata a scapito degli interessi dei lavoratori che ne risulterebbero sacrificati15.

Altra parte della dottrina16, invece afferma la limitata

13 GHEZZI, Introduzione, in Alleva, Andreoni, Angiolini, Coccia, Naccari,

Lavoro: ritorno al passato, Ediesse, Roma, 2002, cit. pag. 18.

14 M. TIRABOSCHI, La c.d certificazione dei lavori atipici e la sua tenuta

giudiziaria, in Lav.dir., n.1/2003, p.101 ss.

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incisività argomentata sulla sostanziale inutilità dell’istituto della certificazione proprio in ordine alle controversie circa la qualificazione del rapporto di lavoro, sostenendo che la certificazione opera nel momento di costituzione del rapporto, ma che solo in seguito, ovvero nel corso del suo svolgimento sarà possibile verificare se il contenuto corrisponde a realtà. L’inutilità sotto tale profilo, nasce anche dal dilemma di quanto possa essere derogata la singola disposizione di legge e di contratto collettivo, e, soprattutto quanto possa essere libera la scelta del contraente più debole, rispetto alla soluzione negoziale adottata.

Coerentemente, laddove venga condivisa tale visione critica, non è da escludere l’ipotesi di una caratterizzazione della volontarietà e bilateralità della certificazione, ma legata solo alle apparenze, e non già all’effettiva sostanza17. Si pensi, in altri termini al caso

frequente che l’opzione negoziale designata possa, nella prassi, essere sostanzialmente impostata in via unilaterale dal datore di lavoro, ma pur rispettando

materia dioccupazione e mercato del lavoro, Milano, 2003, p.234 ss. E

V.SPEZIALE, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega

sul mercato del lavoro, in Riv. Giur. Lav., 2002, p. 299.

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sotto il profilo formale, i crismi dell’accordo tra le parti; ciò implicherebbe un vero e proprio meccanismo elusorio dell’istituto in questione che si tradurrebbe in una mera ratifica della volontarietà delle parti.

Accennate le disputate visioni degli studiosi giuslavoristi, in via generale, la certificazione viene raccomandata come validazione anticipata della volontà delle parti interessate all' utilizzazione di una certa tipologia contrattuale.18

Nell'originaria formulazione dell'art. 75 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la certificazione trovava riferimento solo ai contratti di lavoro atipici elencati tassativamente dallo stesso decreto delegato: lavoro intermittente, o a chiamata, lavoro ripartito, lavoro a tempo parziale.

Viene capovolta la scelta restrittiva precedente che lasciava pensare alla certificazione come ad una specie di garanzia per la concreta agibilità dei modelli contrattuali atipici introdotti, o comunque regolati dalla riforma; il nuovo testo dell'art. 75 ha, invece, riferito la procedura ai contratti di lavoro in genere.19

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Restano esclusi i contratti di lavoro alle dipendenze della pubblica Amministrazione.

Comprendendo l'intero sistema dei rapporti di lavoro, il decreto correttivo ha confermato la fiducia riposta del legislatore nell'istituto; la cui funzione deflattiva del contenzioso risulta potenziata nella misura in cui, intervenendo sulla dicotomia tra subordinazione ed autonomia, la certificazione si dimostrerà capace di contribuire ad un efficace governo del mercato del lavoro in particolar modo facilitando l'emersione del lavoro irregolare e rendendo trasparente la zona grigia tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.

La certificazione si colloca all'esterno della fattispecie contrattuale: non può essere considerata elemento di tale fattispecie, né l'atto di certificazione potrebbe essere considerato condizione o requisito dell'efficacia del contratto.

Eccetto i contratti formali, nell'istanza di certificazione le parti sono tenute a dichiarare l'esistenza di un

19 G.. FERRARO, Strumenti di qualificazione del rapporto e deflazione del

contenzioso, in RGL, p.695 nota la scelta di applicare la certificazione a

qualsiasi contratto di lavoro, rompe il nesso di interdipendenza tra l'attività di certificazione e la prefigurazione di contratti innovativi di carattere elastico o flessibile sostanzialmente devianti dallo schema standardizzato.

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semplice accordo verbale più frequentemente a produrre un documento scritto.

La certificazione oltre a fornire prova documentale del rapporto può far le veci della forma nei casi in cui questa è richiesta a fini probatori.

Escluso che l'atto di certificazione abbia una funzione costitutiva del vincolo contrattuale, non si deve neppur credere che l'attività certificatoria si esaurisca nella produzione dell'effetto della certezza pubblica; infatti se da un lato le parti risultano libere di scegliere lo schema contrattuale che più preferiscono nel rispetto comunque dei vincoli normativi inderogabili, dall’altra è facile incorrere nel rischio circa l’esatta qualificazione del contratto individuale rispetto a quello legale, che può sostanziarsi nel rischio, a sua volta, di una possibile lite giudiziaria con conseguente riqualificazione del contratto, generando quindi situazioni di incertezza dei rapporti giuridici con conseguente asimmetria informativa tra gli attori del mercato del lavoro20.

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Il legislatore ha dotato la certificazione di un'importante funzione di sostegno e di controllo dell'autonomia individuale per guidare le parti nella scelta dei diversi modelli contrattuali tipici e atipici e in definitiva, nella selezione delle tutele incorporate in tali modelli.

Tale procedura ha proprio come obiettivo, l'attenuazione del vincolo della c.d indisponibilità di tipo legale e quindi della stessa funzione protettiva espressa dalla correlazione tra la subordinazione e l'apparato delle tutele del lavoratore. 21

Il progetto nutre l'esigenza di garantire una base minima di diritti fondamentali comuni a tutti i rapporti contrattuali aventi ad oggetto la prestazione di lavoro a favore di terzi e portando quindi a rivalorizzare l'autonomia dei privati, collettiva e individuale.

La novità risiede proprio nella grande apertura all'autonomia collettiva; la procedura ha quindi la funzione di selezionare e distribuire le tutele applicabili

21 25 C.ENRICO, M.TIRABOSCHI, Compendio critico per la certificazione

dei contratti di lavoro, I nuovi contratti: lavoro pubblico e lavoro privato.,Giuffrè editore, Milano, 2005.

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all'interno del lavoro autonomo o subordinato, e, in definitiva, ha lo scopo di adattare i diversi modelli legali di contratto alle specificità dei lavori concreti. É utile soffermarsi sul carattere sperimentale delle norme che regolano la disciplina di certificazione (contenute nel decreto legislativo10 settembre 2003, n.276 attuativo della delega conferita dal parlamento con la legge 14 febbraio 2003, n.30 di riforma del mercato di lavoro).

Tale caratteristica è sottolineata proprio con il co. 12 art. 86 dello stesso che recita:”Decorsi 18 mesi dalla data di entrata in vigore, Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali procede, sulla base delle informazioni raccolte ai sensi dell' art.17, a una verifica con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle disposizioni in esso contenute e ne riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza”. Più che termine è vista come condizione risolutiva la cui risoluzione è lasciata alla potestà dello stesso legislatore delegato.

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Il Governo, sentite le parti sociali e il Parlamento, potrà modificare e persino abrogare le attuali disposizioni.22

Altro punto saliente riguarda il rapporto intercorrente tra decreto legislativo e la legge delega che delineava un istituto dai contorni piuttosto generici.

Nella delega la certificazione era configurata quale semplice sostegno al c.d potere di auto-qualificazione delle parti e, in definitiva, strumento di prevenzione del contenzioso e di certezza in ordine alla tipologia negoziale prescelta dalle parti. L'indicazione dei criteri direttivi per l'esercizio della delega (art. 5) era rimasta alquanto indeterminata, tanto da configurare una specie di norma in bianco23, conferiva all'istituto contorni

sfumati ma abbastanza lineari.

Tali spazi bianchi sono stati riempiti proprio dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276 con una normativa minuziosa e, in buona parte, innovativa, avendo il legislatore esteso l'area della certificazione in più direzioni.

22 E. GHERA, la certificazione dei contratti di lavoro, Dalla legge delega 14

febbraio 2003, n.30 alla sua attuazione:il decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276.

23 Si v. E. GHERA, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di lavoro,Dir.prat.lav, 2002, p.527 ss.

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Nel disegno di legge la certificazione dovrebbe offrire lo strumento, quasi il certificato di garanzia, per l'agibilità concreta dei modelli contrattuali atipici che il legislatore ha introdotto nel duplice intento di rendere flessibile l'universo dell'occupazione e di rendere trasparente la “zona grigia” esistente tra lavoro autonomo e quello subordinato.

La certificazione viene così utilizzata come strumento per l'integrazione e, a monte, per la regolamentazione del contratto individuale e non solo per la sua qualificazione.

Vi è dunque grande apertura verso la contrattazione affinché, predisponendo dei contratti normativi tipo per i diversi rapporti di lavoro, determini quali disposizioni siano da considerare inderogabili e quali no.

Da sottolineare come l'intero documento governativo e le sue successive correzioni sono pervase da un costante, ripetuto, quasi ossessivo richiamo all'Europa, in un'ottica chiaramente strumentale, altrettanto appare il richiamo al tema del dialogo sociale, al quale, viene assegnato il compito primario di trasposizione delle Direttive comunitarie.

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Il Trattato sull'Unione europea prevede che ciascuno Stato possa affidare alle parti sociali, a loro richiesta congiunta, il compito di mettere in atto le direttive, con l'ulteriore specificazione, che, qualora lo Stato interessato opti per tale modalità di trasposizione della direttiva, dovrà comunque prendere le misure necessarie che gli permettano di garantire in qualsiasi momento i risultati imposti da detta direttiva.

Il documento del Ministero del lavoro, dichiara espressamente che, pur rispettando la direttiva, non può verificarsi comunque un livello di regressione generale di protezione dei lavoratori in seguito alla sua adozione.

Per i singoli Stati risulta salva, la possibilità di adottare misure diverse dettate dalla loro politica socioeconomica, nel rispetto dei requisiti minimi previsti dal legislatore comunitario.

La trasposizione della direttiva non può infatti costituire giustificazione o pretesto per peggiorare il livello di tutela dei lavoratori già previsto in un dato ordinamento.

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3. DAL LIBRO BIANCO DEL LAVORO AL DECERETO LEGISLATIVO 10 SETTEMBRE 2003, N.276, AL “COLLEGATO LAVORO”…

La presentazione del Libro Bianco nell’ottobre del 2001 segna l’inizio del processo di riforma del mercato del lavoro in Italia.

Il percorso disegnato trova attuazione nella legge 14 febbraio 2003, n. 30 e successivamente nel decreto di attuazione del 10 settembre 2003, n. 276.

Gli scenari aperti dalla riforma sono estesi e profondi, come mai si era verificato negli ultimi quarant’anni; ciò ha indotto alla massima attenzione nella stesura dei testi normativi, e ha suggerito alle parti sociali interessate un approccio più obiettivo e meno frettoloso.

Fra le novità più importanti e più sentite va sicuramente annotato il lavoro a progetto, al quale devono essere ricondotte, di norma, le collaborazioni coordinate e continuative.

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prevedendo la forma scritta per quanto riguarda il contratto, e la obbligatorietà dei seguenti elementi:

- Indicazione della durata che può essere determinata o determinabile

- Indicazione del progetto, programma o fase di lavoro

- Ammontare del corrispettivo erogato e criteri con cui è stato quantificato

- Indicazione dei tempi e delle modalità di pagamento

- Indicazione delle modalità di determinazione di eventuali rimborsi spese

- Forme di coordinamento del lavoratore con il committente

- Misure di sicurezza adottate nei confronti del lavoratore a progetto.

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Da non sottacere poi le modifiche apportate al contratto di lavoro a tempo parziale. In particolare si prevede che la contrattazione collettiva disciplini tale prestazione lavorativa stabilendo modalità e condizioni affinché la prestazione pattuita possa essere modificata, anche in aumento, da parte del datore di lavoro. Nel contratto part-time è infatti consentito apporre clausole elastiche, in aumento alla durata della prestazione lavorativa, oltre che clausole flessibili, che permettono una diversa distribuzione dell’orario concordato.

Dovrà essere la contrattazione ad individuare le motivazioni e i limiti massimi per le prestazioni di lavoro supplementare24, altri aspetti del

contratto comunque vengono riconfermati, basti pensare alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time che dovrà sempre comunque essere convalidata alla Direzione provinciale del lavoro.

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Nel Libro bianco particolare attenzione merita la riscrittura dell’apprendistato, nel quale vengono individuate tre tipologie di contratto.

L’apprendistato per giovani e adolescenti che hanno compiuto quindici anni di età, essendo finalizzato al raggiungimento di una qualifica professionale; questo tipo di contratto interesserà tutti i settori di attività.

Vi è anche il contratto di apprendistato che riguarda soggetti con età compresa tra diciotto e ventinove anni nel caso di possesso di qualifica professionale; infine vi è un terzo tipo di contratto previsto per soggetti di età compresa tra diciotto e ventinove anni che riguarda tutti i settori di attività, ma la durata è stabilita dalle regioni in accordo con le OO.SS datoriali territoriali e con le Università, che stabiliranno anche i principi ai quali dovranno informarsi questi contratti.

Un altro particolare tipo di contratto riguarda, i contratti di inserimento che hanno come obiettivo l’inserimento e il reinserimento nel

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mercato del lavoro di particolari soggetti, a mezzo di un progetto di adattamento professionale.

Questa tipologia contrattuale sostituisce, nel settore privato, il contratto di formazione e lavoro; anch’esso dovrà avere forma scritta e la mancanza della stessa avrà come conseguenza un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Altrettante modifiche che sono state apportate dal Libro Bianco riguarda l’autorizzazione e l’accredito di nuovi operatori, pubblici e privati. Tutte queste importanti novità hanno chiamato l'esecutivo a discutere molto attivamente in materia.

Il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia, (disegno di legge n. 848), redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi , viene presentato al Senato il 15 novembre 2001 e qui approvato il 25 settembre 2002.

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modifica rinviandolo al Senato che quindi lo approva definitivamente il 5 febbraio 2003. Il Libro bianco viene redatto con l’intenzione anche di perseguire una crescita economica e sostenibile capace di garantire un aumento sostanziale del tasso di occupazione, di migliorare la qualità del lavoro e di ottenere una più solida coesione sociale, obiettivi tra l’altro che in prima battuta dovranno essere perseguiti anche dall’ Unione europea.

Le azioni che si vogliono promuovere attraverso le proposte nel Libro bianco non sostituiscono gli strumenti di politica economica, fiscale e di politica industriale volti a garantire un percorso di crescita sostenuta; in particolare, il documento qui presentato è definito in coerenza con l’obiettivo di una progressiva riduzione degli oneri fiscali e contributivi che gravano sul lavoro, e soprattutto in linea con le direttive rilanciate dalla stessa Unione europea.

Tra gli ideali che stanno alla base del documento in questione, vi sono, la realizzazione di

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strumenti per una società attiva25, intesa quale

contesto necessario per lo sviluppo delle risorse umane.

Il Libro bianco somministra quindi una vera e propria “terapia d’urto”26 promuovendo una vera

e propria crescita economica che sia in grado di accrescere, a sua volta, le possibilità occupazionali degli individui, intervenendo con l’utilizzo di correttivi, per introdurre sempre più soventemente nella disciplina, i contratti collettivi flessibili.

Come ogni documento di carattere puramente programmatico in tema di riforme dell’ordinamento, si presta ad una pluralità di letture: una lettura politica; un’osservazione tecnico-giuridica; una rivisitazione lessicale (utile, anche quest’ultima, a comprendere il senso del “nuovo” nell’elaborazione del testo). Il principale elemento caratterizzante è la discontinuità rispetto al passato e, soprattutto,

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riassegnare alla volontà individuale il compito di stabilire l'ordine concreto dei rapporti.

Il governo intende concedere ciò che gli operatori economici chiedono ormai insistentemente a tutti i legislatori nazionali: una riduzione quantitativa del diritto statale e della sua funzione di controllo sociale, vale a dire, spazi più ampi per l'autonomia privata al fine di affidare allo spontaneo operare del mercato il soddisfacimento delle esigenze di libertà e di certezza di chi ha o cerca lavoro.

Difatti con il Libro Bianco assistiamo ad una vera e propria spinta verso un genuino dialogo sociale.

il documento ministeriale in questione esalta la possibilità che la riforma induca a realizzare differenziazioni anche regionali che colgano le diversità dei mercati del lavoro locali, lasciando alla legislazione nazionale il compito di fissare una normativa-cornice limitata alla definizione dei diritti fondamentali della persona nel contesto lavorativo . Questa idea apre la strada

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verso un vero e proprio decentramento di rilevanti funzioni in tema di politiche del lavoro verso una differenziazione degli statuti giuridici; una territorializzazione dei diritti e una vera e propria regionalizzazione del diritto del lavoro. L'obiettivo annunciato dal Libro Bianco è quindi quello di creare una legislazione leggera.

Il rilancio dell'autonomia individuale deve operare tanto nei confronti della legge quanto nei confronti dell'autonomia collettiva, rispetto alla quale si ipotizza un sistema di raccordo fra contratto collettivo e contratto individuale, dove il lavoratore può optare d'intesa col datore di lavoro, fra diversi istituti negoziati in sede collettiva.

Il programma contenuto nel Libro Bianco contiene anche una riduzione quantitativa delle norme inderogabili attualmente applicabili al rapporto di lavoro subordinato e, contemporaneamente, un'estensione delle stesse anche a tipologie negoziali che sono sprovviste di tutele analoghe. Viene riconosciuta proprio la

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derogabilità di quella disciplina legale che eccede la tutela minima comune, annunciando implicitamente l'abbandono da parte del legislatore ordinario del compito di riequilibrio della relazione tra potere sociale e giuridico intercorrente tra lavoratore e datore di lavoro nel rapporto di lavoro .

La riduzione del regolamento inderogabile di interessi a poche norme e principi, consentirebbe proprio di rivalutare convenientemente il ruolo del contratto individuale, per consentire alle parti la definizione degli assetti regolatori effettivamente conformi agli interessi del singolo lavoratore e alle specifiche aspettative in lui riposte dal datore di lavoro.

L'intenzione manifestata nel Libro Bianco è quella di introdurre un sistema di certificazione e/o validazione della volontà individuale e a garanzia di un suo corretto esercizio; viene annunciata come uno slogan al quale lo stesso documento ministeriale non dedica un particolare approfondimento .

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La riforma del lavoro procederà poi con la legge delega 14 febbraio 2003, n. 30.

La legge sopra indicata infatti, riprende quindi l’istituto, lasciando tuttavia molto spazio in bianco anche in relazione ai principi dell’operato del legislatore delegato. L’istituto della certificazione nella sua gestazione ha quindi subìto una vera e propria metamorfosi spostando la sua attenzione verso il fine di dare certezza alle parti che stipulano un contratto di lavoro piuttosto che verso il fine della derogabilità assistita.

Lo stesso art. 5 della legge delega 14 febbraio 2003, n.30 fa riferimento nel titolo alla certificazione dei rapporti di lavoro, piuttosto che ai contratti, anche se questi li troviamo menzionati nel testo stesso.

Infine, giungiamo al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, attuativo della legge delega sopra citata, è da più parti criticato per non aver approfondito e affinato l’istituto.

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ma riferita solo alla materia di qualificazione del rapporto di lavoro . Circoscritta a tale dimensione qualificatrice, la procedura di certificazione più che a una logica di derogabilità assistita, ambisce semplicemente a ridurre l'immane contenzioso sulla natura del rapporto, garantendo maggior certezza alle qualificazioni convenzionali.27

Si tratta circa la delega al governo in materia di certificazione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti, con esclusione di quelli alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; il Governo è delegato ad adottare su proposta del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra le parti, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

27 E. GHERA, Nuove tipologie contrattuali e certificazione dei rapporti di

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1)Carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione.

2)Individuazione dell'organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro in enti bilaterali costituiti ad iniziativa di associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, ovvero presso strutture pubbliche aventi competenza in materia o anche università.

3)Definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della relativa documentazione

4)indicazione del contenuto e della procedura di certificazione.

5)attribuzione di piena forza legale al contratto certificato ai sensi della procedura.

6)previsione di espletare il tentativo di conciliazione obbligatorio previsto dall' art. 410 c.c, innanzi all'organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l'erronea qualificazione dello stesso o la

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difformità tra un programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell'accertamento svolto dall'organo preposto alla certificazione permangono fino al momento in cui venga provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato e il programma effettivamente attuato. In caso di ricorso in giudizio, vi è l' introduzione dell'obbligo in capo all'autorità giudiziaria competente di accertare le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro.

7)attribuzione agli enti bilaterali della competenza a certificare non solo la qualificazione del contratto e il programma negoziale concordato dalle parti ma anche le rinunce e transazioni a conferma della volontà abdicativa delle parti stesse.

8)estensione della procedura di certificazione all'atto di deposito del regolamento interno

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riguardante la tipologia dei rapporti attuati da una cooperativa.

9)verifica dell'attuazione delle disposizioni dopo 24 mesi dalla data della loro entrata in vigore, da parte del ministro del lavoro e delle politiche sociali sentite le organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale.

La legge delega, ha precisato e fissato i criteri per l'esercizio della funzione legislativa delegata al governo in materia di certificazione dei rapporti di lavoro, ribadendo proprio come visto, la finalità deflattiva del contenzioso e caratterizzando la procedura volontaria e sperimentale di certificazione come un istituto finalizzato a rafforzare il c.d. potere di auto-qualificazione delle parti mediante l'attribuzione al contratto certificato di una speciale efficacia allo scopo di delimitare quanto più possibile il ricorso al giudice.

Il legislatore prende atto dell'insostenibilità dell'incertezza giuridica in materia; ecco perché introduce la procedura a carattere volontario e

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sperimentale della certificazione quale norma di chiusura del sistema innovativo in materia di lavoro.28

Egli stesso sottolinea anche l'importanza e la necessità verso la garanzia di una maggiore certezza del diritto preordinata alla riduzione del contenzioso anche in materia di qualificazione dei rapporti, circoscrivendo la possibilità di incursioni giudiziali ex post su rapporti di lavoro consapevolmente qualificati ex ante dalle parti escludendone la natura subordinata.

Il Decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276 attua la delega conferita al governo con la legge 14 febbraio 2003, n.30 .

Presupposto della disciplina legislativa sono alcuni mutamenti strutturali dei referenti materiali, economici e sociali della produzione. Essi, in particolare, sembrano richiedere una modifica degli equilibri normativi esistenti nel senso di una riorganizzazione delle tutele giuslavoristiche.29

28 Cfr.C. ENRICO, M. TIRABOSCHI, Certificazione e tipologie di lavoro

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Con l'emanazione del suddetto decreto, il legislatore evidenzia l'interesse di creare e ridisegnare un nuovo equilibrio tra l'efficienza dell'impresa e la conservazione della coesione sociale30, in virtù dell'ottica del lavoratore come

di un soggetto non solo debole nello scambio negoziale avente ad oggetto la prestazione lavorativa ma anche come soggetto esposto personalmente, nell' attuazione del rapporto obbligatorio, agli effetti derivanti dall'esercizio dei poteri dell'imprenditore o della gerarchia organizzativa interna all'impresa.31

Il decreto sottolinea il notevole e progressivo incremento della varietà e della variabilità delle situazioni che l'impresa è chiamata quotidianamente a fronteggiare.32

A ciò non contribuisce solo l'allargamento del contesto geografico in cui vengono effettuate le

29 M. D'ANTONA, Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro:

Italia e Spagna, pp.11 ss.

30 Alla quale è funzionale un ragionevole grado di sicurezza anche economica del lavoratore.T.Treu, Politiche del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2001,p.25. 31 M. GRANDI, Persona e contratto di lavoro. Riflessioni storico-politiche

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scelte economiche, ma anche la profonda modificazione intervenuta nei rapporti tra domanda e offerta di beni e servizi e, in particolare, la necessità per l'impresa di conquistare nuove quote di mercato mediante la produzione di beni e servizi sempre più personalizzati a vantaggio di una produzione flessibile.

Si noti come già in questo decreto attuativo vi sono le basi per un'ottica sempre più mirata a migliorare la produttività del lavoro grazie alla flessibilità. Altra evidenza è proprio lo sviluppo, contenuto nel medesimo decreto, di forme di autonomia nella subordinazione e di dipendenza nell'autonomia, che hanno contribuito a una grande modifica del lavoro subordinato. In contempo all'affievolirsi dell'etero-direzione del lavoro si sviluppa anche un incremento delle situazioni di dipendenza economica riconducibili a rapporti di lavoro autonomo . Proprio questo fenomeno ha comportato, in seguito a tale coordinamento funzionale, un'inedita fungibilità

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e interscambiabilità tra contratti multiformi che vengono evidenziati con ancora più insistenza nel testo del decreto legislativo di attuazione.

33Il decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276,

interviene in più occasioni a sostegno di una sostanziale modifica circa il rapporto tra le fonti di regolamentazione del rapporto: legge, contrattazione collettiva e contratto individuale. Il decreto 10 settembre 2003, n. 276, al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto, nonché dei contratti di associazione in partecipazione, introduce proprio l’ istituto di certificazione, di cui tratterò più specificatamente nei capitoli seguenti.

L'auspicio è quello di poter determinare la qualificazione giuridica del rapporto che le parti intendono instaurare, prevenendo il ricorso al giudice e l'instaurazione del processo in un numero di casi quantitativamente rilevante e

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statisticamente apprezzabile.

La seconda finalità dell’ istituto in questione, nonché la più importante sotto il profilo sistematico, consiste nella possibilità riconosciuta alle parti di derogare a una serie di norme altrimenti inderogabili e di validare il programma negoziale così concordato.

In questa seconda ipotesi, il fine perseguito dal legislatore è quello di espandere le possibilità regolative dell'autonomia privata mediante un meccanismo che è possibile riassumere nella formula “flessibilità negoziata in sede di certificazione”.34

Da precisare che la certificazione non è in grado di precludere o di condizionare il successivo svolgimento dell'attività di qualificazione nel corso di un giudizio tra le parti del rapporto (anche se il comportamento delle medesime, e soprattutto del datore di lavoro, in sede di certificazione potrà essere valutato dal giudice ai fini della pronuncia sulle spese del giudizio)35.

34 M.TIRABOSCHI, La cd.certificazione dei lavori atipici e la sua tenuta

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L'impossibilità del prodursi di effetti preclusivi o condizionanti è esplicitamente ammesso dallo stesso legislatore allorché afferma la possibilità per le parti di ricorrere al giudice nelle ipotesi di erronea qualificazione del contratto, o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, ma anche qualora si tratti di impugnare l'atto di certificazione per vizi del consenso.

Non si può neppure ritenere che il giudice sia vincolato alla qualificazione negoziale precedentemente certificata; se così fosse, una fase essenziale del giudizio, cioè quella della qualificazione della fattispecie, sarebbe sostanzialmente svolta da enti/ organi diversi dalla magistratura, di conseguenza o le parti rinunciano alla giurisdizione del magistrato ordinario affidando a un terzo la decisione della controversia, oppure ricorrono al giudice e questi porrà in essere tutte le attività valutative necessarie alla decisione per cui il suo potere

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qualificatore non potrà essere inibito o condizionato dall'eventuale certificazione.36

Laddove venga condivisa questa linea di pensiero, si deduce che l'eventuale certificazione del tipo negoziale prescelto può essere utile solo sul piano meramente fattuale: nei limiti in cui ad esempio, crei nel lavoratore l'erronea convinzione della non contestabilità della qualificazione giuridica certificata, o in cui la

possibilità di confermare quanto

precedentemente certificato induca il giudice a deresponsabilizzarsi e a non formulare una propria valutazione circa il caso concreto.37

L'atto di certificazione, come si evince anche dal testo del decreto, è destinato a produrre effetti anche nei confronti di terzi, più precisamente nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni che abbiano poteri di ispezione, vigilanza e sanzionatoria in materia di rapporti di lavoro e anche in tal caso, la certificazione è destinata a

36 M. G.. GAROFALO, La legge delega sul mercato del lavoro, in RGL, 2003, I, pp.359 ss.

37L. DE ANGELIS, La delega in materia di certificazione dei rapporti, in F.Carinci, M.Miscione, Il diritto del lavoro dal Libro Bianco al disegno di

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produrre effetti e a conservare efficacia fino alla sentenza che definisce il giudizio avente a oggetto la qualificazione.

La presenza di apposite commissioni sarebbe garanzia sufficiente alla genuinità del consenso prestato dal lavoratore e dell'inesistenza di forme di coazione, diretta o indiretta, esercitate dal datore di lavoro.

L'art. 78 del presente decreto delega al Ministro del lavoro l'adozione, entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo 10 settembre 2003,n.276, di codici di buone pratiche per l'individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi.

Il termine “clausola” nel decreto però pare essere utilizzato in maniera impropria; per clausole dobbiamo intendere, infatti, le norme legali che disciplinano i contratti di lavoro intermittente, ripartito, di lavoro subordinato a tempo parziale, di lavoro a progetto e di associazione in

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