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Analisi qualitativa e quantitativa delle variazioni areali e volumetriche dei ghiacciai della Val Martello (Gruppo dell'Ortles Cevedale) dalla Piccola Età Glaciale ad oggi.

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(1)UNIVERSITA’ DI PISA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNOLOGIE GEOLOGICHE. ELABORATO FINALE. Analisi qualitativa e quantitativa delle variazioni areali e volumetriche dei ghiacciai della Val Martello (Gruppo dell’Ortles Cevedale) dalla Piccola Età Glaciale ad oggi.. Relatore: Prof.ssa Maria Cristina Salvatore Correlatore: Prof. Carlo Baroni. Candidato: Simone Cosimi Controrelatore: Prof. Adriano Ribolini. ANNO ACCADEMICO 2013-2014.

(2) Sommario 1. Riassunto & Abstract. 2. 2. Introduzione. 5. 3. Inquadramento geografico. 7. 4. Inquadramento geologico. 13. 5. Inquadramento geomorfologico. 22. 6. Materiali e metodi. 29. 7. Risultati. 64. 7.1 Variazioni areali. 68. 7.2 Variazioni volumetriche. 132. 8. Considerazioni conclusive. 138. 9. Appendice. 145. 10. Bibliografia. 150. 1.

(3) 1. Riassunto della Tesi I ghiacciai sono gli elementi che maggiormente caratterizzano il paesaggio d'alta montagna e rappresentano un oggetto di studio di straordinario interesse scientifico e applicativo. I ghiacciai, infatti, reagiscono alle variazioni climatiche (soprattutto variazioni di temperatura e regime delle precipitazioni) espandendosi o contraendosi in funzione del rapporto tra l’accumulo dovuto essenzialmente alle precipitazioni nevose invernali e l’ablazione causata prevalentemente dai regimi delle temperature estive. Conoscere l’estensione dei corpi glaciali significa anche poter stimare l’entità delle risorse idriche disponibili e quindi pianificare un loro corretto utilizzo. Ricostruire il trend evolutivo dei ghiacciai si rivela oggi fondamentale per indagare indirettamente l’andamento del clima nel passato e nel presente: nell’ultimo trentennio quasi tutti i ghiacciai monitorati nel mondo risultano in perdita (nelle Alpi i ritiri sono ancora più netti), questo a causa del riscaldamento climatico in corso (Orombelli, 2007). In quest’ottica si inserisce la presente tesi il cui obiettivo è quello di valutare sia in termini qualitativi sia quantitativi le variazioni recenti dei ghiacciai della Val Martello (Massiccio dell’Ortles Cevedale). In particolare sono state calcolate le variazioni areali e volumetriche dei ghiacciai a partire dalla massima espansione olocenica (Piccola Età Glaciale, PEG), che in questa valle vede il suo acme intorno al 1850, sino al 2012, a coprire un intervallo temporale di circa 160 anni. Il metodo di indagine utilizzato, di tipo indiretto, si basa sull’analisi di documenti cartografici e aerofotografici prodotti dalla fine dell’ottocento fino al 2012, integrato da un’accurata ricerca del materiale fotografico terrestre di archivio presente presso il Comitato Glaciologico Italiano e affiancato da dati di letteratura. L’impiego di ortofotografie e cartografia storica in ambiente GIS (Geographic Information System) hanno consentito la delimitazione e il calcolo dell’estensione dei corpi glaciali negli intervalli di tempo considerati. Il limite dei corpi glaciali durante la Piccola Età Glaciale deriva precedenti rilievi di terreno, integrati mediante fotointerpretazione condotta nella presente tesi. E’ stato inoltre calcolato il bilancio di massa geodetico tra la PEG e il 2006, attraverso il confronto tra modelli digitali del terreno ricostruiti per le aree glacializzate durante la massima espansione olocenica (PEG) e derivati da dati Lidar del 2006. Mediante l’impiego 2.

(4) di formule empiriche ampiamente utilizzate in campo glaciologico (Paul et alii, 2006) sono state ottenute, a partire dai valori di estensione, le variazioni di volume per tutti gli anni esaminati. Dei ventisei ghiacciai descritti nel “Catasto dei Ghiacciai” del CGI-CNR del 1962 presenti nella valle nel 2012 ne restano circa la metà. Il trend evolutivo ricostruito vede una progressiva e generalizzata riduzione delle masse glacializzate, con alcune pulsazioni positive all’inizio del 1900, e intorno agli anni ’80 mentre a partire dalla metà degli anni novanta il trend che si osserva è marcatamente negativo. In particolare, possiamo osservare che il trend seguito dai ghiacciai esposti verso i quadranti settentrionali mostra una riduzione della superficie glacializzata pari a circa il 70% rispetto ai valori registrati durante la PEG; molto più drastica è la situazione che si registra nei ghiacciai esposti verso i quadranti meridionali, che sono, di fatto, tutti estinti eccetto un piccolo glacionevato. Questo può essere un chiaro esempio di come l’esposizione alla radiazione solare (insolazione), soprattutto nel caso di ghiacciai di piccole dimensioni, provochi nelle zone glacializzate esposte verso i quadranti meridionali una più rapida fusione delle masse glaciali. Un altro fattore interessante da analizzare riguarda l’arretramento delle fronti dei ghiacciai, tangibile manifestazione diretta di una diminuzione della superficie delle aree glacializzate e, soprattutto delle perdite di volume. L’esempio più esplicativo è rappresentato dal ghiacciaio più esteso della valle, il Ghiacciaio del Cevedale, che mostra un arretramento della fronte dalla PEG ad oggi quantificabile in circa 1950 m, una riduzione areale del 31% ed una riduzione del suo volume stimata in circa il 43%. Anche gli altri ghiacciai mostrano diminuzioni in percentuale simili, però, essendo più piccoli di dimensione, contribuiscono con un apporto minore al bilancio globale della valle. I dati acquisiti e rielaborati per questa tesi integrano ed aggiornano i dati esistenti: il database costruito, utilizzabile per futuri aggiornamenti dell’estensione dei ghiacciai della Val Martello, contribuisce alla realizzazione di un catasto dei ghiacciai italiani aggiornabile nel tempo. I dati raccolti rappresentano uno strumento di base per il monitoraggio delle variazioni globali in atto, per una corretta e consapevole gestione delle risorse rinnovabili immagazzinate sull’arco alpino, per la valutazione della pericolosità geomorfologica in alta montagna e 3.

(5) può rappresentare anche un documento di base da utilizzare per una valida pianificazione territoriale.. 1.1 Abstract Glaciers are a very important global climate change indicator and can be studied to understand ice and water processes acting on the Earth surface. In this thesis glaciers situated in Val Martello have been analyzed for reconstructing their evolution and recent areal and volumetric. The time interval here considered ranges from the Little Ice Age (1850 AD) to 2012 AD. We applied an indirect methodology and is primarily based on the analysis of cartographic documents and aerophotographs from the end of the 19th Century to the present, integrated with a collection of photographs conservate in the historic archive of Italian Glaciological Committee (Comitato Glaciologico Italiano, CGI). The Little Ice Age limit derived from previously conducted field activity integrated by photointerpretative analysis. In Val Martello there are twenty-six glaciers described in the "Catasto dei Ghiacciai Italiani" of CGI -CNR in 1962, but in 2012 remain only half of that. The reconstructed evolutionary trend shows a progressive and generalized reduction of glacial surfaces and volumes, with some positive advances around the ‘20s and the ‘80s; since the mid ‘90s the trend is markedly negative. Data collected in this thesis represent an update of existing data and the constructed database should be used for future updates of extension of glaciers in Val Martello, in order to upgrade an Italian glaciers cadaster over time. This work represent a basic tool for monitoring global changes, for a correct and conscious management of renewable resources located in the Alps, for an evaluation of geomorphological hazard in high mountain area and should represent a basic document to be used for proper planning.. 4.

(6) 2. Introduzione I ghiacciai sono gli elementi che maggiormente caratterizzano il paesaggio d'alta montagna e rappresentano un oggetto di studio di straordinario interesse scientifico e applicativo. I ghiacciai, infatti, reagiscono alle variazioni climatiche (soprattutto variazioni di temperatura e regime delle precipitazioni) espandendosi o contraendosi in funzione del rapporto tra l’accumulo dovuto essenzialmente alle precipitazioni nevose invernali e l’ablazione causata prevalentemente dai regimi delle temperature estive. Conoscere l’estensione dei corpi glaciali significa anche poter stimare l’entità delle risorse idriche disponibili e quindi pianificare un loro corretto utilizzo. Ricostruire il trend evolutivo dei ghiacciai si rivela oggi fondamentale per indagare indirettamente l’andamento del clima nel passato e nel presente: nell’ultimo trentennio quasi tutti i ghiacciai monitorati nel mondo risultano in perdita (nelle Alpi i ritiri sono ancora più netti), questo a causa del riscaldamento climatico in corso (Orombelli, 2007). Inoltre, i ghiacciai rappresentano una riserva idrica di notevole importanza per il nostro Paese, di rilevante impatto economico sia per scopi irrigui e potabili sia per la produzione di energia idroelettrica. Le fluttuazioni che hanno subito i ghiacciai durante l’Olocene sono ampiamente documentate da evidenze geologiche e geomorfologiche: a partire dalla seconda metà del XVI secolo fino al XIX secolo si è verificato lungo tutto l’arco alpino, come in altre zone del globo, un nuovo avanzamento delle fronti dei ghiacciai, definito dallo studioso francese F. Matthes nel 1939 Piccola Età Glaciale (PEG). Questa avanzata è testimoniata da depositi glaciali e cordoni morenici, talvolta di notevole spessore, ubicati all’interno delle valli alpine in posizioni e quote più basse dell’intero Olocene. Dal 1895 il Comitato Glaciologico Italiano (CGI), coordina le campagne glaciologiche annuali sui ghiacciai italiani, pubblicando annualmente i report delle attività. Dal 1914 i risultati delle campagne sono state pubblicate sul Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, che dal 1977 prende il nome di “Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria”. A cura del CGI è anche il “Catasto dei Ghiacciai Italiani”, un’opera composta da 4 volumi in cui sono elencati e cartografati tutti i ghiacciai italiani (838 ghiacciai presenti sulle Alpi), pubblicata nel 1962. 5.

(7) Il Catasto dei Ghiacciai Italiani è stato in seguito aggiornato per conto del Ministero dell’Ambiente, mediante tecniche fotogrammetriche al 1988-1989. Da questo aggiornamento risulta che nel 1988-89 erano presenti 787 ghiacciai con un’estensione totale di 474 km2 (Ajassa et alii 1994, 1997). Dati più recenti sul numero, distribuzione e estensione dei corpi glaciali presenti sull’arco alpino sono disponibili ma per limitati settori e talvolta con informazioni non sincrone tra i diversi gruppi montuosi considerati. In quest’ottica si inserisce la presente tesi con lo scopo di eseguire un’analisi qualitativa e quantitativa delle variazioni areali e volumetriche recenti dei ghiacciai della Val Martello (Gruppo Ortles-Cevedale, Alpi Centrali) attraverso metodi di indagine indiretti, utilizzando dati multitemporali provenienti dalla cartografia storica e dalle immagini aeree. E’ stato analizzato un intervallo temporale di circa 160 anni (dalla PEG fino al 2012), utilizzando anche i Sistemi Informativi Geografici (GIS) per l’analisi quantitativa dei dati e per la costruzione di un geodatabase. La finalità di questi studi è quella di poter integrare con dati più recenti, i dati già presenti in letteratura, attraverso la costruzione di un database aggiornabile, utilizzabile per il monitoraggio delle fluttuazioni dei ghiacciai e da rendere fruibile anche ai fini di una corretta e consapevole gestione delle risorse rinnovabili immagazzinate sull’arco alpino.. 6.

(8) Martello. Punta di Lasa. Ganda di Martello Punta di Sluder. Punta di Lifi Passo Peder di Fuori Punta dello Scudo (3394). Lana di Soy Peder di Dentro. Lago del Gioveretto. Punta Beltovo di Dentro (3324). Cima Gioveretto (3438 m). Punta Beltovo Punta Madriccio (3265 m). Cima Lorchen (3343 m) Cima di Saent (3912 m). Passo del Pozzo Punta del Lago Gelato (3248 m). Cima di Solda (3374 m) m) Cima Venezia (3385 m) Monte Cevedale (3764 m). Fig.3.1: panoramica della Val Martello (ortofotogrammi 2011). Cima Marmotta. 7.

(9) 3. Inquadramento geografico La Val Martello (Fig. 3.1) è ubicata nelle Alpi Retiche e, in particolare, si sviluppa nel settore alto atesino del massiccio dell’Ortles Cevedale. La valle si snoda in direzione SO-NE per circa 25 km, ed occupa una superficie di circa 200 chilometri quadrati. Dal punto di vista cartografico la Val Martello ricade nelle tavolette dell’Istituto Geografico Militare Italiano (IGM) alla scala di 1:25.000 Monte Cevedale (9 III NE); Cima Sternai (9 II NO), San Nicolò (9 I SE); Martello (9 I SO) e Cima Vertana (9 IV SE). I due versanti della valle hanno sviluppato un glacialismo differente; il versante a Sud è caratterizzato dalla presenza di molti più ghiacciai rispetto al versante a Nord, dove nell’anno 2012 sono rimasti solo alcuni piccoli glacionevati. Molto probabilmente la causa deriva dal fatto che l’esposizione ai raggi solari è limitata nel versante a Sud e i bacini di alimentazione, soprattutto quello del Monte Cevedale, sono molto più ampi, quindi le precipitazioni nevose permangono.. Fig. 3.2: Val Martello, foto panoramica scattata dalla diga del Gioveretto (23/01/2014).. La valle è delimitata da elevate creste (Fig. 3.2) tra le quali le più elevate in sinistra idrografica la Cima di Solda (Sulden Spitze, 3374 mslm), la Punta dello Scudo (Schild Spitze, 3394 mslm), le Punte del Madriccio (Madritsch Spitze, 3265 mslm) e di Beltovo (Schontauf Spitze, 3324 mslm) e in destra idrografica possiamo 8.

(10) scorgere. Cima. Venezia. (Venedig Spitze, 3385 mslm), Cima. Lorchen. (Lorchen. Spitze, 3343 mslm) e Cima Gioveretto. (Zufritt. Spitze,. 3438 mslm). Alla testata della valle si individua il Monte Cevedale, che con i suoi 3769 m rappresenta la più elevata vetta dell’intera vallata e terza dopo il Monte Ortles e il Gran Zebru dell’intero. massiccio. dell’Ortles Cevedale. La valle è percorsa dal torrente Plima (Fig. 3.3), caratterizzato da un regime nivo glaciale, alimentato. Fig. 3.3: Rio Plima (23/01/2014).. prevalentemente. alle acque di fusione provenienti dai ghiacciai, in particolare, dalla Vedretta del Cevedale e subordinatamente dalla Vedretta Lunga e dalla Vedretta della Forcola e subordinatamente dalle acque di fusione nivale. Uno sbarramento artificiale, costruito per scopi idroelettrici, dà origine al lago del Gioveretto (1850 m) (Fig. 4), che occupa il fondovalle per poco più di 2 km. Prima della costruzione della diga del Gioveretto erano presenti ampi pascoli proprio in corrispondenza delle zone occupate oggi dal lago. Il profilo longitudinale è quello caratteristico delle valli glaciali, con alternanze di gradini o soglie (riegel) e di depressioni, che localmente si presentano come vere e proprie conche di sovraescavazione). Associate a queste irregolarità del profilo, si osservano restringimenti ed allargamenti del truogolo, ampio in media circa 200300 m, che tende ad ampliarsi, come per esempio in prossimità della località Transacqua, per restringersi nuovamente nel tratto a valle del Pian dei Cardi. A tratti in corrispondenza del fondovalle sono presenti coni alluvionali e di debris flow, che risultano particolarmente evidenti sul versante destro: tra questi si segnala il conoide generato dal torrente Plima alla confluenza nella Val Venosta, sul quale 9.

(11) Fig. 3.4: lago del Gioveretto coperto da ghiaccio e neve (23/01/2014). sorge il paese di Martello. Sia in destra sia in sinistra idrografica del Rio Plima si riconoscono numerose valli laterali tributarie La prima valle che si incontra procedendo da Sud verso Nord, in sinistra idrografica è la Valle del Pozzo (Butzen Tal) che comunica con la più occidentale, Val Solda attraverso il Passo del Pozzo (3162 m); la seconda valle è quella del Madriccio (Madritsch Tal) conosciuta per l’itinerario che collega il Rifugio Corsi al Rifugio Milano passando per il Passo del Madriccio; la terza è la Val Peder (Peder Tal), la più estesa della Val Martello, ubicata tra il Monte dei Covoni e Croda di Calva. Fanno seguito altre valli tributarie di minore estensione, ovvero la Val Lifi (Lifi Tal), Val Rosim (Rosim Tal) e Val Schluder (Schluder Tal), Alpe degli Strati (Schichtoberalm) e le Valli del Succhio di Dentro e di Fuori (Inn. Und Auss Saugber Alm) (Fig 3.1). In destra idrografica del rio Plima, invece, troviamo la Val Gioveretto, molto ampia e collegata con la Conca del Lago Verde attraverso il Giogo Gioveretto: alla testata di questa valle è presente un vasto circo glaciale, molto ben conservato e numerosi laghetti glaciali; più avanti vi è la piccola Val di Soy, da cui prende il nome il torrente che sfocia nel rio Plima presso Martello in località Lana di Soy. Per quanto riguarda i dati climatologici, forniti dal Ministero dell’Aeronautica Militare, Servizio Meteorologico e Climatologia (http://clima.meteoam.it/), 10.

(12) registrate dalle stazioni metereologiche di Silandro, di Solda (Cima Beltovo, 3328 mslm) e di S. Valentino alla Muta per la Val Martello per il trentennio 1984 – 2014, mostrano una T media mensile minima di circa -8° C (registrato nel mese di gennaio) e una T massima di 19°C (registrata nel mese di luglio). La stessa fonte fornisce per il trentennio 1984 - 2014 valori di precipitazioni medie mensili di 28 mm nel mese di gennaio fino ad un massimo di 91 mm nel mese di agosto. Le precipitazioni per gran parte dell’anno risultano a carattere nevoso e pertanto i dati vanno considerati come mm equivalenti in acqua. Il sistema idrologico della Val Martello è profondamente influenzato dalla natura litologica dei rilievi, soprattutto nelle zone di ricarica degli acquiferi, prevalentemente granitica, e dall’assetto delle zone di faglia e frattura, come le sorgenti disposte lungo le fratture presenti all’interno della falda di Pejo. Alcune di esse sono termominerali e vengono sfruttate in stabilimenti termali nelle valli limitrofe, per esempio le Terme di Pejo. La portata delle sorgenti varia da decine di litri al secondo fino a pochi decilitri al secondo (Aquater, 1993). Nel periodo 1950-1960 è iniziato lo sfruttamento delle acque del Rio Plima in Val Martello e il fondovalle del rio Plima ha subito importanti modifiche a partire dagli anni ’50 con la costruzione di una diga, posta a quota 1851 m, per la realizzazione per fini idroelettrici di un invaso artificiale, il lago di Gioveretto (Fig. 3.5 e 3.6). I lavori di progettazione e costruzione della diga, alta circa di 83 metri e lunga 380 metri, iniziarono nel 1950 e furono ultimati nel 1956-1957. Attraverso un sistema nella adiacente e più occidentale Val di Solda (dati forniti dalla società Hydros Srl. http://www.hydros.bz.it). L’impianto idroeletrico presenta un volume utile d’invaso di circa 19,6 milioni di metri cubi ed ha una produttività media annua di circa 226.000.000 chilowattora (dati della Società elettrica altoatesina, www.hydros.bz.it), circa pari alla quantità di energia utilizzata per uso domestico di una cittadina di 180.000 abitanti, ad esempio Prato o Padova (dati Istat 2012, http://dati.istat.it/).. 11.

(13) Fig. 3.5 & 3.6: lago del Gioveretto prima (in alto, ortofotogramma del 1954) e dopo la. costruzione (in basso, ortofotogramma del 2008).. 12.

(14) 4. Inquadramento geologico Dal punto di vista geologico-strutturale la Val Martello, come tutto il Gruppo dell’Ortles Cevedale fa parte del Sistema Austro-Alpino ed è caratterizzato da tre sistemi di falde.. Fig. 4.1: posizione contemporanea delle maggiori unità paleogeografiche delle Alpi, Froitzheim et alii (1996).. Il sistema di falde austro-alpino (Fig. 4.1), ha uno spessore chilometrico ed è costituito da basamento cristallino varisico intruso da granitoidi permiani e caratterizzato da scaglie di copertura permo-mesozoica. Le falde austro-alpine derivano dalla placca africana e da una microplacca detta Adria, la quale aveva un moto ed una velocità propri, ed hanno subito un processo estensivo e di assottigliamento “tra il Permiano e il Giurassico Inferiore” come descritto da Froitzheim & Eberli (1990; Froitzheim & Manatsschal, 1996). “Le unità strutturalmente più elevate (Falda del Tonale) appaiono esser state le meno coinvolte dagli eventi tettono-metamorfici alpini e conservano le strutture e la storia metamorfica pre-alpina; le unità più profonde (Falda Ortles-Campo) appaiono più deformate e rielaborate dall’orogenesi alpina” come descritto da Thoni (1981; Martin et alii, 1998). Le unità strutturalmente più in basso provengono dalla crosta africana, e contengono elementi sia profondi, che superficiali (derivanti dalla copertura sedimentaria). “All’interno del basamento austro-alpino, nell’area compresa tra la Val Venosta e la Val di Sole, in base al grado metamorfico, sono stati distinti tre complessi metamorfici principali” come descritto da Andreatta (1954): 13.

(15) . Il basamento di epizona costituito da filladi quarzifere, marmi, cloritoscisti e ortogneiss;. . Il basamento di mesozona costituito da micascisti e paragneiss a granato, quarziti, ortogneiss e anfiboliti;. . Il basamento di catazona o “Serie del Tonale”, composto da paragneiss di alto grado a sillimanite, marmi, serpentiniti e la “Serie di Ultimo” composta da paragneiss a cianite, granato, gneiss granulitici, kinzigiti, migmatiti e intercalazioni di ortogneiss, peridotiti a spinello e granato e anfiboliti.. Questi tre tipi di basamento sono riconoscibili, in campagna, nelle porzioni centrali dei complessi, a mano a mano che ci spostiamo dall’interno verso le zone di contatto, in alcuni casi, si ha un passaggio graduale, mentre in altre zone non è ben definito; per esempio il contatto tra il basamento di epizona, la quale si estende da Merano verso SO fino all’ampiezza massima raggiunta presso il Passo di Gavia e Bormio, e il basamento di mesozona è graduale e in concordanza. Possiamo vedere che, per quanto riguarda il grado metamorfico, la distinzione tra le due unità non è semplice, poiché dove affiorano le filladi sono presenti anche micascisti. All’interno del basamento pre-alpino, si possono evidenziare due formazioni ben distinte, con metamorfismo varisico e impronta metamorfica alpina più accentuata all’interno dell’unità profonda (Unità di Lasa), meno pervasivo nell’unità superficiale (Unità di Pejo). Al di sopra di quest’ultima unità troviamo la Scaglia dello Zebrù che evidenzia un metamorfismo di basso grado pre-alpino in facies scisti verdi. Le unità austro-alpine derivano da un modellamento iniziato nel Paleozoico, però le strutture e le deformazioni più evidenti derivano dall’orogenesi alpina. La struttura odierna che noi vediamo è frutto di due eventi deformativi principali avvenuti durante il Cretaceo (eo-alpini), uniti ad eventi terziari, più recenti, avvenuti durante la formazione della catena neo-alpina. Nella Falda Ortles-Campo sono presenti tre sistemi principali di fratturazione; in Val Martello le direzioni seguite dai piani di fratturazione sono molto simili a quelle registrate in Val d’Ultimo, ovvero piani con direzione NW-SE lungo i quali si trovano la maggior parte dei corsi d’acqua, all’interno di piccole vallecole che si inseriscono all’interno della valle principale (Martin et alii, 2009). Questi piani di fratturazione danno origine a movimenti gravitativi 14.

(16) profondi di versante, frane di crollo e favoriscono lo sviluppo di canali di debris flow. “La deformazione eo-alpina comprende tutti gli eventi compressivi/transpressivi e distensivi/transtensivi che hanno prodotto il prisma orogenico alpino a spese di porzioni di basamento e copertura del margine adriatico e di rocce oceaniche” come descritto da Martin et alii (2009). La deformazione eo-alpina è avvenuta in più stadi con il primo evento che si caratterizza per “sovrascorrimenti con vergenza W-WNW del basamento austroalpino orientale durante il Cretaceo” come descritto da Schmid & Haas (1989). Questi sovrascorrimenti hanno portato ad una sovrapposizione di crosta profonda di alto grado metamorfico, al di sopra di crosta di medio-basso grado metamorfico ed hanno deformato inizialmente le porzioni più orientali dell’austro-alpino (età: 130-100 Ma, Martin et alii, 2009), in seguito le porzioni più occidentali, come l’area dei Grigioni (età: 100-75 Ma, Martin et alii, 2009). Successivamente al primo evento eo-alpino, caratterizzato da sovrascorrimenti, si è sviluppato un secondo evento eo-alpino stavolta contraddistinto da una distensione generale su tutto il territorio già deformato, con la formazione di faglie normali vergenti verso E-ESE che hanno tagliato i lineamenti e le strutture duttili antecedenti con una direzione di spostamento verso E. La faglia di Pejo che è di tipo transtensivo sinistro è un esempio di secondo evento eo-alpino di tettonica estensionale e si è verificato tra il Cretaceo superiore e l’Eocene. Per questo possiamo dire che, siccome il primo evento eoalpino ha avuto un’ampia estensione spaziale, coinvolgendo sia il margine adriatico, sia il prisma orogenico di neo-formazione, il secondo evento ha avuto un impatto decisivo per la formazione della catena neo-alpina costituita “da pile di falde”. In seguito alla formazione di queste “pile di falde” appartenenti alla catena neoalpina, si sono succeduti eventi terziari che hanno prodotto sovrascorrimenti nord-vergenti di età Eocenica; . formazione di pieghe chilometriche ad asse circa E-W (es. le pieghe dell’Ortles - Gran Zebrù) che hanno riattivato le strutture appartenenti sia alla prima che alla seconda fase deformativa;. . “ripresa della deformazione estensionale entro il basamento austro-alpino con intrusione di apofisi e filoni, durante l’Oligocene inferiore e medio” come descritto da Mair (1998); 15.

(17) . sviluppo di faglie transpressive sud-vergenti di età Oligocenica nel settore meridionale del sistema austro-alpino (es. la Faglia del Tonale e la Faglia delle Giudicarie Nord).. Falda Ortles-Campo In base alla posizione strutturale, dal basso verso l’alto, sono state distinte le seguenti unità da Martin et alii (2009): . Unità di Lasa, più profonda, caratterizzata da una diffusa impronta tettono-metamorfica alpina, che affiora prevalentemente in Val di Lasa e bassa Val Martello;. . Unità di Pejo, che affiora nelle valli di Pejo, de la Mare, d’Ultimo, fino alla Val Martello, con distribuzione disomogenea dell’impronta metamorfica alpina. . Scaglia dello Zebrù che costituisce un’unità indipendente e si colloca al tetto dell’unità di Pejo e alla base della copertura sedimentaria triassica della falda dell’Ortles, affiorando in alta Val di Solda.. In Fig. 4.2 è riportato uno stralcio della carta del Progetto CARG dei fogli Bormio (24) e Rabbi (25), alla scala di 1:50.000, fornite dalla Regione Alto Adige, prodotte dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dal Servizio Geologico Nazionale.. 16.

(18) Fig. 4.2: Carta tratta dai Fogli 24 Bormio e 25 Rabbi del Progetto CARG.. 17.

(19) 13.

(20) 14.

(21) 15.

(22) 16.

(23) Unità di Pejo L’unità di Pejo si estende nelle valli di: Rabbi, Pejo, de La Mare o Venezia, d’Ultimo e Martello. Essa è delimitata dalla linea di Pejo a SE e affiora fino al versante destro della Val Venosta a Nord. L’unità di Pejo affiora in Val Martello, come si può vedere dalle carte del Progetto CARG, nei seguenti luoghi: Cima Forcola, Cima Marmotta, Cima Venezia, Croda Rossa, Cima Sternai lungo la cresta colleganti le cime di Saent-Gioveretto-Tovo, sulla cresta che collega Orecchia di Lepre a Guardia Alta, lungo il versante sinistro della Val D’Ultimo e nel fondovalle, lungo la Cresta Monte dei Metalli-Collechio. L’unità di Pejo è ben definita da rocce metamorfiche in facies anfibolitica di età varisica, con una tendenza al metamorfismo alpino di facies scisti verdi; si tratta di un complesso caratterizzato da: micascisti, quarziti, ortogneiss, anfiboliti e marmi. La parte al tetto di questa unità è definita dalla presenza di rocce con “marcata retrocessione alpina” come descritto da Martin & alii (2009); queste rocce affiorano lungo la dorsale che separa la Val d’Ultimo dalla Val Martello, alla testata delle Valli di Rabbi, Pejo e Ultimo. Unità di Lasa L’unità di Lasa affiora nella parte più settentrionale in Val di Lasa e nella bassa Val Martello. Questa unità costituisce l’elemento più profondo della falda OrtlesCampo; il suo limite meridionale è rappresentato dalla linea di Lasa mentre il suo limite settentrionale è coperto dai depositi quaternari della Val Venosta. Questa unità è costituita da micascisti e paragneiss alternati a bande, quarziti, ortogneiss, anfiboliti e marmi di Lasa ed è caratterizzata da un metamorfismo in facies anfibolitica di età varisica, con una sovraimpronta in facies di scisti verdi di età alpina. Gran parte dell’unità di Lasa ha subito delle deformazioni molto intense, con una milonitizzazione e ricristallizzazione alpina molto pervasiva. Scaglia dello Zebrù La Scaglia dello Zebrù si estende nell’alta valle del fiume Plima, nella Val Madriccio e lungo il versante destro della Valle Peder. La Scaglia dello Zebrù si colloca al tetto dell’Unità di Pejo e alla base della sequenza sedimentaria della Falda dell’Ortles-Campo; essa costituisce un’unità indipendente, caratterizzata dal punto 17.

(24) di vista litologico da: filladi, quarziti, ortogneiss, cloritoscisti, serpentiniti e marmi. Essa è delimitata da due faglie inverse date dai sovrascorrimenti alpini, visibili in Val Martello: alla base abbiamo la linea del Madriccio, mentre al tetto troviamo la Linea dello Zebrù; entrambe convergono ad Ovest del Lago di Gioveretto. La Linea dello Zebrù è caratterizzata dalla presenza di miloniti e cataclasiti, mentre la Linea del Madriccio da scaglie di serpentiniti, gessi e carniole. Una curiosità è che le scaglie di serpentiniti presenti nella Linea del Madriccio potrebbero derivare dalle unità ofiolitiche relative all’oceano nord-penninico. Magmatismo alpino Il basamento della falda Ortles-Campo include gli ortogneiss granodioritici del complesso magmatico della Cima Verdignana (Val de la Mare) datato all’Ordoviciano e il complesso di ortogneiss quarzodioritici dell’Angelo Grande (che affiora in Val Martello, Val di Lasa e Val di Solda) di formazione pre-varisica. Esistono due complessi pre-alpini di età permiana che passo a descrivere: 1) un complesso di ortogneiss granitico esteso per alcuni km quadrati che affiora in Val Martello all’interno dell’Unità di Pejo, il quale dà origine a pareti ripide e canaloni; 2) un complesso intrusivo del Lago Quaira, di composizione granodioritica, formato da un corpo maggiore associato ad una serie di filoni di piccole dimensioni di età permiana; in questo corpo la deformazione alpina e l’impronta metamorfica sono meno evidenti rispetto all’ortogneiss del primo complesso descritto. “Il magmatismo alpino comprende tutte le intrusioni di composizione basica e intermedia che tagliano la pila di falde alpine, incluse le falde austro-alpine Tonale e Ortles-Campo, il basamento sud-alpino e le coperture meso-cenozoiche delle Alpi Meridionali e gli eventi intrusivi da sin a post collisionali avvenuti durante il terziario” come descritto da Martin et alii (2009). Nella falda Ortles-Campo, “numerosi filoni porfirici sono stati osservati sulla cresta Sternai in alta Val di Rabbi” come descritto da Canale (1982) e “nell’area Giogo Nero – Collecchio, in alta Val d’Ultimo” descritti da Riello (1982). “Alcuni filoni aplitici sono stati rilevati sul versante sinistro della Val d’Ultimo” come descritto da Werling (1992) e Viola (2000) e “in Val Martello” come descritto da Purtscheller & Mogessie (1988). L’andamento di gran parte dei filoni della falda Ortles-Campo 18.

(25) è circa ENE-WSW, parallelo alla scistosità regionale; alcuni filoni hanno l’andamento NNE-SSW e solo raramente NNW-SSE. Metamorfismo alpino Il metamorfismo alpino, di cui abbiamo già parlato, “decresce dal basso verso l’alto e da Est verso Ovest. Le temperature diminuiscono da circa 500°C nelle rocce delle unità di Lasa e di Pejo in Val Venosta, fino a circa 400° nei micascisti di Pejo nell’area della Val Madriccio, per raggiungere temperature di 300° nei metasedimenti del trias nell’alta Val Solda” come descritto da Kurman et alii, (1989) e Ferreiro et alii (1991). La paragenesi eo-alpina dei micascisti presenti nella Val Martello risulta essere di età Cretacea superiore, data da varie datazioni svolte su mica bianca e biotite. Lungo la cresta che separa la Val Martello dalla Val d’Ultimo si può osservare una seconda fase di cristallizzazione alpina che ha dato origine ai micascisti a clorite e sericite. Nei marmi associati ai micascisti retrocessi si possono osservare ricristallizzazioni di vari minerali facenti parte delle rocce originarie, tra cui calcite, clorite e stilpnomelano. In Val Martello la deformazione eo-alpina ha localmente portato alla luce i limiti del plutone di Martello e numerosi filoni di apliti e pegmatiti. Depositi Quaternari La presenza di estese aree glacializzate durante il Pleistocene ha fortemente condizionato lo spessore, l’estensione e le caratteristiche dei sedimenti quaternari, infatti i versanti e soprattutto il fondovalle sono ricoperti da abbondanti depositi glaciali di quel periodo. I depositi glaciali e proglaciali Olocenici si trovano esclusivamente presso le testate delle valli e sono presenti in prossimità delle attuali fronti glaciali. I depositi glaciali formano delle morene frontali. Alla base dei versanti si ha una copertura essenzialmente data da ampie falde e coni detritici che si adagiano sulla piana alluvionale (creata dalle acque di fusione glaciale, incanalate all’interno del Rio Plima), a tratti pianeggiante, a tratti interrotta da ripidi scapate e da estesi conoidi di deiezione che si possono trovare nell’intero fondovalle.. 19.

(26) I depositi crioclastici hanno alimentato falde e coni detritici che coprono estesamente i piedi delle scarpate, al di sopra del limite della vegetazione. I rock glacier sono molto diffusi, soprattutto nei circhi esposti a nord nella Val Martello. Se si dovesse collocare cronologicamente tutti questi tipi di deposito sopraelencati, sicuramente le forme glaciali e i depositi quaternari appartengono essenzialmente al Pleistocene superiore e all’Olocene. Non sono visibili depositi antecedenti all’ultima massima espansione glaciale. Sintema del Garda Il Sintema del Garda è composto dai depositi derivanti dall’ultima massima espansione glaciale (con picco massimo datato attorno a 22.000 anni BP). Questo tipo di depositi è molto abbondante “sul versante meridionale della Val Venosta, in Val d’Ultimo, in Val di Rabbi e in Val di Bresimo” come descritto da Martin et alii (2009). I versanti sia in destra che sinistra idrografica della Val Martello sono ampiamente ricoperti dai depositi glaciali dell’ultima espansione fino alle quote più basse nel fondovalle. Lo spessore dei depositi legato a questo sintema varia da pochi metri a circa un centinaio di metri. Alla base di questi depositi si ritiene che il substrato roccioso sia stato estesamente eroso. Il limite al tetto di questo sintema è inconforme rispetto al Postglaciale e nei luoghi in cui esso coincide con l’attuale piano campagna si è formato un suolo di modesto spessore (0,5-1 m) durante l’Olocene. In questo sintema sono state racchiuse tutte le sequenze sedimentarie deposte durante la fase di avanzamento e ritiro dei ghiacciai, estesi sia nel bacino dell’Adige, che del Noce. “Durante la massima espansione il ghiacciaio che percorreva la Val Venosta ha travalicato la dorsale che divide questa valle dalla Val Martello, in prossimità della Forcella di Covelano, lasciando come prove del suo passaggio numerosi massi erratici (Alpe del Succhio di Fuori)” come descritto da Martin et alii (2009). Il sintema del Garda quindi è prevalentemente costituito da depositi di tipo glaciale, ma anche da depositi di contatto glaciale, osservabili sul versante meridionale della Val Venosta.. 20.

(27) Unità delle Alte Valli Le Unità delle Alte Valli derivano dal ritiro e da una successiva espansione dei ghiacciai: dell’Adige, in Val Venosta e delle valli laterali in esso affluenti e del Noce in Val di Sole e in Val di Non. Questa nuova fase di crescita dei ghiacciai “si è manifestata inizialmente con una avanzata delle fronti glaciali in tutte le valli principali, riconducibile allo stadio di Gschnitz” come descritto da Dal Piaz et alii (2007). La sedimentazione irregolare nelle stesse valli, unita alla presenza di till e cordoni morenici a diverse quote indica che le fasi di avanzata e ritiro dei ghiacciai autoctoni si sono ripetute molte volte durante il periodo post-glaciale (dopo l’ultima grande glaciazione) lasciando molti depositi inseriti nelle Unità delle Alte Valli. Nelle fasi di avanzata le fronti dei ghiacciai possono aver bruscamente interrotto, morene già deposte durante l’ultima massima espansione, oppure possono aver ridepositato nuovo materiale al di sopra di morene presenti già da alcuni secoli. Quadro delle unità continentali quaternarie della Val Martello e delle valli limitrofe come descritto da Martin et alii (2009): Età. Unità climatiche. Nome formazionale. Nome formazionale. Attuale Olocene. P.E.G. Attuale. Subsintema dell’Amola (PTG1). Subsintema dell’Amola (PTG1). Olocene – Pleistocene sup.. Post Tardiglaciale. Sintema Postglaciale Alpino (PTG). Sintema Postglaciale Alpino (PTG). Bacino dell’Adige Unità delle Alte Valli -Subsintema di Malga Fontana Bianca (Val d’Ultimo) (SGD8). Bacino del Noce. Pleistocene sup.. Tardiglaciale superiore. Pleistocene sup.. Tardiglaciale inferiore. Unità di Fondovalle -Subsintema di San Pancrazio (Val d’Ultimo) (SGD4). Pleistocene sup.. Tardiglaciale Pleniglaciale. Sintema del Garda (SGD). 21. Attributi generali Depositi della P.E.G. ed altri ad essi correlati Depositi glaciali alluvionali e di versante. Autori precedenti. Unità delle Alte Valli -Subsintema di Bondo (Val di Pejo) (SGD2). Depositi glaciali ed altri ad essi collegati. Fasi stadiali tardiglaciali (Egesen, Daun, Gschnitz). Unità di Fondovalle -Subsintema di Cloz (Val di Bresimo) (SGD3) Subsintema di Malè (Val di Sole) (SGD1). Depositi glaciali vallivi e lacustri. Ultime fasi dell’U.M.G. (Buhl, Steinach). Sintema del Garda (SGD). Depositi glaciali ed altri ad essi collegati. Wurm III. Depositi olocenici Depositi olocenici.

(28) 5. Inquadramento geomorfologico L’assetto morfologico attuale della Val Martello, anche se non esclusivamente imputabile all’azione glaciale, mostra ancora evidentissimo, il modellamento dovuto al glacialismo pleistocenico. La Val Martello presenta, infatti, una morfologia tipicamente alpina caratterizzata da ben definiti truogoli glaciali, creste aguzze (arétè), circhi, horn, e numerosi depositi glaciali e morene.. Fig. 5.1: profilo longitudinale della Val Martello, sull'asse delle x sono riportate le distanze in m tra l'imbocco della Val Martello (0 m) e la vetta del Cevedale (22.000 m), mentre sull'asse delle y sono riportati i dati di quota sempre in m.. La valle principale presenta un caratteristico profilo trasversale ad U, tipico delle vali di origine glaciale, mentre il profilo longitudinale (Fig. 5.1) è caratterizzato da una successione di gradini (riegel) e da depressioni, che localmente si presentano come vere e proprie conche di sovraescavazione, che, nella valle in esame, si riconoscono sino alla confluenza nella Val Venosta. Dalla destra e dalla sinistra idrografica confluiscono numerosi valli tributarie che risultano in taluni casi sospese sulla valle principale. Il maggiore approfondimento della valle principale rispetto alle valli tributarie genera, oltre alle valli sospese, speroni troncati. Alla testata delle valli sono presenti circhi glaciali che in parte tuttora ospitano corpi glaciali (circhi esposti verso i quadranti settentrionali), in parte accolgono solo piccoli nevai permanenti o ridotti glacionevati (circhi esposti verso i quadranti meridionali) oppure risultano completamente deglaciati. Sebbene il modellamento della valle veda nella morfogenesi glaciale il principale agente, si riconoscono oltre a forme e depositi di genesi glaciale, anche forme e depositi di versante all’azione delle acque superficiali (fluviali, di fusione nivale e glaciale), forme e depositi crionivali (e.g., canaloni di valanga e rock glacier) e forme e depositi dovuti alla gravità (e.g., falde e coni di detrito, frane). I depositi glaciali sono diffusi in tutta la valle e testimoniano diverse fasi di. avanzata e di ritiro dei ghiacciai. La storia glaciale antica (Pleistocene sup.) di 22.

(29) questa valle, come quella di molte altre valli alpine, è articolata e complessa e vede, a partire dalla deglaciazione che ha fatto seguito all’Ultimo Massimo Glaciale, alternate fasi di avanza e di ritiro nel Tardoglaciale sino ad arrivare alle variazioni più recenti oloceniche.. Fig. 5.2: imbocco Val Martello con morena frontale vegetata (ortofoto 2008).. Lavori specifici sull’evoluzione geomorfologica della Val Martello non sono noti, eccezion fatta per alcuni lavori dei primi anni del novecento, di carattere più glaciologico, tra i quali si citano Penck (1907), Penck & Brückener (1909) e Klebelsberg (1927) che approfondiscono, tra gli altri, il tema del limite delle nevi durante l’Ultimo Massimo Glaciale e Tardiglaciale; con gli studi di Desio (1927) sul glacialismo del Gruppo Ortles-Cevedale e con la monumentale opera sull’intero Gruppo e le sue valli (Desio,1967), vengono sviluppate e descritte con grande dettaglio le variazioni glaciali più recenti. In tempi più recenti sono state condotte due tesi di laurea (Bastoncelli, 2001 e Rocchi, 2002 tesi inedite) che hanno rilevato carte geomorfologiche di dettaglio dell’area studiata e hanno ricostruito i limiti della PEG sulla base dei rilevamenti condotti. Dagli studi di Penck e Bruckner (1909), ripresi da Secchieri (1983), alcune morene, per esempio quelle che sbarrano la parte terminale della Val Madriccio, possono essere ascritte al Tardoglaciale (presumibilmente allo stadio di Daun, 23.

(30) circa 15 mila anni fa) nella zona in cui la fronte di questo ghiacciaio scendeva dall'Alpe Martello (1800 m) fino all’area oggi occupata dal lago del Gioveretto; un’altra testimonianza di morene antiche è data dalla morena frontale situata allo sbocco della Val Martello nella Venosta (Fig. 5.2), sulla quale sorgono il Castel Montani e la chiesetta di S. Stefano, che Penck e Bruckner (1909) fanno risalire alla stadio Gschnitz (tra i 16 e i 15 mila anni fa). Dalla carta redatta da Desio (1967), è possibile individuare altre morene ascrivibili al Tardoglaciale, situate in gran parte in prossimità di quote comprese tra i 2600 m e i 2900 m. I depositi olocenici riconducibili alla PEG (Piccola Età Glaciale) sono diffusi e presenti su entrambi i versanti: essi si caratterizzano per una relativa freschezza delle forme, presentano, di norma, un caratteristico profilo a lama di coltello e sono presenti nella zona di testata della valle principale e nelle valli tributarie.. Fig. 5.3: morena deposta presso Cima di Fuori (Ortofotogrammi del 2008).. L’esempio più suggestivo è dato dalla morena mediana presente alla base del Ghiacciaio del Cevedale (Fig. 5.3), presso Cima di Fuori (Oussen Kofl, 2710 m), dove la morena risulta molto ben preservata, mentre in altri casi il cordone appare affetto da fenomeni di crollo e erosione accelerata (rill erosion e gully erosion), oppure risultano erose da torrenti di fusione glaciale. Oltre alle forme e depositi dovute all’azione dei ghiacciai, si riconoscono nelle zone di fondovalle depositi fluviali e fluvioglaciali. 24.

(31) Questi ultimi, come segnalato in Martin et alii (2009), sono presenti presso la piana dove oggi si estende il lago di Gioveretto, molto utilizzata fino al 1954 per gli allevamenti di bestiame, oppure presso Ganda di Martello, Gran parte del materiale presente sul fondovalle è legato a processi che agiscono direttamente sui versanti, quali il dilavamento superficiale e i fenomeni gravitativi. Nel primo caso le precipitazioni e le acque di fusione nivale agiscono da agenti primari per la mobilizzazione del materiale dando origine, ad esempio, a conoidi alluvionali, localizzate prevalentemente in corrispondenza della confluenza delle valli tributarie in quella principale. Un altro processo molto importante da tenere in considerazione è la messa in moto di materiale eterogeneo dovuta a fenomeni di debris flow: dagli ortofotogrammi sono visibili in val Gioveretto e nelle piccole valli limitrofe le tipiche forme che contraddistinguono questo fenomeno. Sono presenti, inoltre, in Val Peder, Val Livi e Val Madriccio forme e i depositi gravitativi testimoniati da falde di detrito, in parte stabilizzate ma in buona parte attive, che si sviluppano al piede di scarpate in roccia, e frane di crollo. Sono segnalate (Martin et alii, 2009) anche DGPV (Deformazioni Gravitative Profonde di Versante) localizzate in prossimità di contatti tettonici, e caratterizzate dalla presenza di contropendenze, fratture di transizione, trincee e depressioni di dimensioni notevoli allungate secondo direzioni che coincidono con faglie e fratture, come quella presente fra il torrente Peder e il Lago di Gioveretto. Alle quote più elevate si riconoscono forme e depositi crionivali, riconducibili all’azione delle valanghe o alla presenza di rock glaciers, i quali rappresentano certamente le forme più suggestive. I rock glacier hanno un aspetto molto simile alle colate e si originano “dalle falde detritiche dei versanti e dei circhi” Castiglioni (1979).. 25.

(32) Fig. 5.4: esempio di rock glacier (ortofotogramma del 2008). La loro forma ricorda molto quella di una lingua glaciale, ovvero appare rilevata rispetto al terreno circostante, e nella zona frontale termina con un ripido versante. Il movimento si sviluppa con modalità differenti tra le zone laterali rispetto a quelle centrali, dove è più veloce e quindi tende a creare dei lobi. Sono molto frequenti in Val Martello e presumibilmente ancora attivi; si trovano principalmente nelle aree situate sul versante esposto verso i quadranti meridionali. Nella Fig. 5.4 è mostarto un rock galcier situato in Val di Rosim a circa 2400 m di quota. La maggior parte di essi presenta nella parte frontale dalle acque di ruscellamento superficiale e accumuli di crollo al piede derivanti dal materiale distaccatosi dallo stesso rock glacier. Un altro fenomeno connesso ai processi crionivali è rappresentato dalle valanghe che rappresentano uno degli eventi più temuti dai cittadini che abitano in Val Martello e più precisamente nell’abitato di Martello. Nell'estate 2013, la Ripartizione Opere Idrauliche ha proseguito gli interventi di messa in sicurezza dell'abitato di Martello con l’inserimento di opere paravalanghe nella zona denominata “Eberhöfer” (Fig. 5.6) (rassegna stampa: http://www.provincia.bz.it). I lavori, iniziati nel 2007, per la 26.

(33) realizzazione di un argine sopra l'abitato di Martello hanno portato alla costruzione di un manufatto di protezione dalle valanghe lungo 250 metri e alto 18 (Fig 5.7) con il suo completamento avvenuto tra giugno e settembre 2007. Un aneddoto interessante riguarda una diga in terra e roccia (Fig. 5.5) che è stata costruita allo sbocco dell’alta valle del torrente Plima; quest’opera risale all’inizio del secolo scorso ed impediva alle acque di fusione, provenienti dai ghiacciai che scendono dal Monte Cevedale, di creare fenomeni di sovralluvionamento a causa della fusione del ghiaccio nel periodo primaverile-estivo.. Fig. 5.5: diga in terra e roccia (ortofotogrammi del 2008). Si tratta di una diga a secco, costruita, in pietrame tra il rifugio Nino Corsi e la lingua glaciale del Cevedale, nel 1893 ad opera della Dieta del Tirolo. La costruzione avvenne dopo che l’avanzata dei ghiacciai del Cevedale e della Vedretta Lunga, nel corso della Piccola Età Glaciale (PEG) aveva provocato la formazione di un lago di sbarramento che periodicamente riversava nel Rio Plima ingenti quantità di acqua, causando l’allagamento dei centri abitati presenti lungo tutto il fondovalle fino allo sbocco nella valle dell’Adige come descritto da Secchieri (1985). Da metà XX secolo ad oggi non si sono più sviluppati fenomeni di allagamento e quindi la diga ha perso il suo ruolo di protezione.. 27.

(34) Fig. 5.6 e 5.7: località Eberhöfer (immagine in alto, ortofotogrammi del 2006), paravalanghe costruito nella stessa località (immagine in basso, ortofotogrammi del 2008).. 28.

(35) 6. Metodo di studio Lo scopo della presente tesi è stato quello di ricostruire l’evoluzione e le variazioni recenti (areali e volumetriche) dei ghiacciai della Val Martello in un intervallo temporale cha va dalla massima espansione Olocenica (Piccola Eta’ Glaciale) al 2012. Il metodo di indagine adottato è di tipo indiretto e si basa principalmente sull’analisi di documenti cartografici e aerofotografici prodotti in anni differenti, integrata da un’accurata raccolta del materiale fotografico di archivio presente presso il Comitato Glaciologico Italiano e affiancati dai dati di letteratura, in particolare. da. quelli. provenienti. dalle. Campagne. Glaciologiche. (www.glaciologia.it/campagne.htlm). Tutti i dati raccolti sono stati gestiti in ambiente GIS, utilizzando in particolare il software opensource QuatumGis e, per specifiche operazioni, ArcGis. Per valutare e quantificare le variazioni di volume, sono stati costruiti e confrontati Modelli Digitali del Terreno relativi al 1850, massima espansione della Piccola Età Glaciale (PEG) e del 2006. Le fasi di studio possono essere sintetizzate come segue:  Raccolta dei documenti bibliografici, cartografici e fotografici (fotogrammi e fotografie terrestri di archivio) relativi ai ghiacciai esaminati;  Acquisizione in ambiente GIS della documentazione cartografica e aerofotografica;  Costruzione di ortofotografie relative al 1954;  Interpretazione delle ortofotografie;  Delimitazione dei corpi glaciali dalle ortofotografie e dalla cartografia;  Costruzione di DTM per il calcolo delle variazioni volumetriche dei ghiacciai tra la Piccola Età Glaciale e 2006.  Calcolo delle variazioni volumetriche mediante l’impiego di formule empiriche (Paul et alii, 2006) a partire dalle estensioni areale ottenute.. 29.

(36) Raccolta dei dati bibliografici Nella raccolta del materiale bibliografico, particolare attenzione è stata rivolta alla letteratura esistente in materia di ghiacciai delle alpi, in particolare di quelli situati sul Massiccio dell’Ortles Cevedale, che fornissero indicazioni sulla loro estensione sia in termini di dati numerici sia come loro rappresentazione cartografica. Tra i documenti a scala regionale si ricorda il primo censimento dei corpi glaciali italiani, l’“Elenco dei Ghiacciai Italiani” del 1925, pubblicato dall’Ufficio Idrografico del Po sotto la direzione del Generale Carlo Porro: si tratta di una monografia statistica nella quale sono riportati il nome di 774 corpi glaciali allora riconosciuti nelle Alpi e in Appennino e le cui schede originali sono conservate nell’archivio del CGI. Successivamente, nel 1927, il Comitato Glaciologico Italiano, in collaborazione con l’Istituto Geografico Militare, pubblica la prima parte dell’Atlante dei Ghiacciai Italiani, curata sempre dal Generale Porro e dall’Ing. Pietro Labus. Si tratta di quattro tavole alla scala 1:500.000 nelle quali sono rappresentati i 55 gruppi montuosi. delle. Alpi. e. dell’Appennino in cui ricadono i ghiacciai italiani. Il documento bibliografico di riferimento per il lavoro di questa tesi è certamente “Il Catasto dei Ghiacciai Italiani” redatto nel 1962 dal Comitato Glaciologico Italiano (CGI) con il supporto del Consiglio. Nazionale. delle. Ricerche (CNR). Si tratta di un’opera. in. quattro. volumi. pubblicata tra il 1959 e il 1962 sotto il coordinamento scientifico di Giuseppe Nangeroni. Nel Catasto dei Ghiacciai Italiani, tutti. i. corpi. glaciali. sono. catalogati secondo un numero progressivo. e. toponimo, 30. Fig. 6.1: esempio di scheda tratta dal “Catasto dei Ghiacciai” relativa al Ghiacciaio del Cevedale, www.glaciologia.it.

(37) classificazione seguita anche nella presente tesi. Nel Catasto del CGI ogni singolo ghiacciaio è corredato di una scheda (Fig. 6.1) nella quale sono riportate numerose informazioni alcune delle quali geografiche (bacino idrografico di appartenenza, gruppo montuoso, latitudine e longitudine) altre descrittive delle caratteristiche morfometriche del corpo glaciale (e.g., quota massima e minima, lunghezza massima e minima, inclinazione media, estensione), nonché la sua classificazione (pirenaico, di circo, ecc), il tipo di alimentazione (diretta o indiretta), alcune note descrittive e infine le variazioni frontali subite dal ghiacciaio. I dati del Catasto del CGI sono stati aggiornati mediante restituzioni fotogrammetriche digitali di fotografie aeree del Volo Italia 1988-’89 (Biasini e Salvatore, 1995): il confronto tra il Catasto del 1962 del CGI e il suo aggiornamento al 1988-’89 evidenzia, tra le altre, che il numero di ghiacciai registrati è salito di 118 unità, dato che sottolinea la loro progressiva frammentazione, conseguenza della tendenza al ritiro che caratterizza l’ultimo trentennio (Ajassa et al. (1994, 1997; Orombelli, 2007). Un altro importante archivio di dati glaciologici è quello del World Glaciers Monitoring Service (Zurigo) che ha elaborato il Catasto Internazionale dei Ghiacciai, nel quale è contenuto il censimento del patrimonio glaciale globale. Un’altra opera molto importante è rappresentata da “I Ghiacciai Dell’OrtlesCevedale” redatto nel 1967 da Ardito Desio, organizzata in due volumi,. nella. quale. vengono. descritti tutti i ghiacciai del gruppo montuoso. dell’Ortles-Cevedale.. Anche in quest’opera, corredata da una. ricca. fotografica, ghiacciai,. documentazione sono. illustrati. descritta. la. collocazione sintetizzati. geografica alcuni. dei. i. loro e dati. climatico-ambientali. All’opera di Desio è allegata una carta in scala 1:50.000 Fig. 6.2: Relazione della Campagna Glaciologica del 1992.. 31. sulla. quale. sono. rappresentate le posizioni dei.

(38) ghiacciai in diversi anni e l’ubicazione delle principali morene risalenti al Tardoglaciale. Il primo volume tratta essenzialmente delle condizioni climatiche presenti nel Gruppo montuoso dell’Ortles Cevedale, includendo le precipitazioni (solide e liquide), la temperatura e dati riguardanti il manto nevoso; successivamente sono illustrate le fluttuazioni dei corpi glaciali, gli spessori, le estensioni e i volumi per gli anni considerati dall’autore (dal 1865 al 1961), anche se non tutti i ghiacciai della Val Martello sono presenti e negli anni in cui sono presenti, i dati sono parziali e riferiti soltanto ad alcuni corpi glaciali. Le variazioni subite dai ghiacciai, sia frontali sia areali, sono sia descritte all’interno dell’opera sia sintetizzate in tabelle riassuntive; inoltre, nella parte conclusiva del primo volume sono presentati i risultati derivanti dal confronto e dalle correlazioni tra i dati climatici e i dati quantitativi riferiti ai ghiacciai in esame. Di estrema importanza risultano i dati raccolti nell’ambito delle Campagne Glaciologiche (Fig. 6.2) svolte sin dal 1915 dagli operatori del Comitato Glaciologico Italiano alla fine di ogni anno idrologico. I report delle campagne glaciologiche, liberamente scaricabili dal sito web del CGI (www.glaciologia.it.), forniscono importanti informazioni sulle variazioni frontali dei ghiacciai campione monitorati e, per alcuni ghiacciai, sul loro bilancio di massa.. Fig. 6.3: Ghiacciaio del Cevedale nel 1930, immagine proveniente dagli archivi del Comitato Glaciologico Italiano.. 32.

(39) Nel corso delle Campagne Glaciologiche, gli operatori del CGI hanno eseguito numerose fotografie dei ghiacciai (Fig. 6.3) monitorati da stazioni fisse; questo importante patrimonio fotografico, ma anche cartografico, acquisito in 100 anni di ricerche glaciologiche è conservato presso gli archivi del Comitato Glaciologico Italiano a Torino. Lo studio effettuato in questa tesi è stato indirizzato anche alla ricostruzione delle variazioni volumetriche, e quindi bilanci di massa, mediante misure. Tale operazione, ha visto da un lato il confronto tra Modelli digitali del terreno (come sara’ spiegato nei successivi paragrafi) dall’altro l’impiego di formule empiriche, note dalla letteratura glaciologica, attraverso le quali calcolare i volumi a partire dalla conoscenza dell’estensione della massa glacializzata. Dei numerosi lavori che trattano tale tematica si citano quelli Rea (2009), Radic et alii (2007), Osmaston (2005) e Benn et alii (1997, 2000): nella presente tesi è stata utilizzata la formula empirica suggerita da Paul et alii (2006), ampiamente utilizzata in glaciologia, in quanto non solo è relativamente semplice da utilizzare ma anche perchè l’errore medio nel calcolo risulta minore rispetto a quello derivato da altre formule. La formula è stata adottata di Paul et alii (2006) per il calcolo dei volumi dei ghiacciai vallivi alpini situati prevalentemente sul versante Svizzero; l’errore che gli Autori stimano nel calcolo del volume attraverso la formula empirica è di circa il 10-15%.. 33.

(40) Raccolta documenti cartografici I documenti cartografici utilizzati (Tab. 1), messi a disposizione dalla collezione personale del Prof. Carlo Baroni, sono in gran parte stati realizzati dall’Istituto Geografico Militare Italiano, e coprono un intervallo temporale di circa cento cinquanta anni. In questo arco di tempo, dal 1865 al 1962, sono cambiati molto i metodi e le modalità di rappresentazione del territorio: queste carte topografiche mostrano caratteristiche diverse non solo nel tipo di proiezione e nel sistema di riferimento adottato, ma anche nello stesso graficismo. Tabella 1: Elenco del materiale cartografico utilizzato. Anno. Scala. Nome documento. Fonte. 1885. 1:25.000. Monte Cevedale (9IIINE). I.G.M.. 1903. 1:50.000. Gruppo Ortles-Cevedale. D. O. A. V.. 1908. 1:25.000. Monte Cevedale (9IIINE). I.G.M.. 1910. 1:25.000. Cima Sternai (9IINO). I.G.M.. 1915. 1:25.000. Cima Vertana (9IVSE). I.G.M.. 1917. 1:25.000. Martello (9ISO). I.G.M.. 1917. 1:25.000. San Niccolò (9ISE). I.G.M.. 1922. 1:25.000. Cima Sternai (9IINO). I.G.M.. 1922. 1:25.000. Cima Vertana (9IVSE). I.G.M.. 1922. 1:25.000. Monte Cevedale (9IIINE). I.G.M.. 1922. 1:25.000. Martello (9ISO). I.G.M.. 1922. 1:25.000. San Niccolò (9ISE). I.G.M.. 1959. 1:25.000. Cima Sternai (IINO). I.G.M.. 1959. 1:25.000. Martello (ISO). I.G.M.. 1959. 1:25.000. Cima Vertana (9IVSE). I.G.M.. 1959. 1:25.000. Monte Cevedale (9IIINE). I.G.M.. 1959. 1:25.000. San Niccolò (9ISE). I.G.M.. 1865-1961. 1:50.000. Gruppo Ortles-Cevedale. Desio A.. Di seguito vengono descritte le caratteristiche dei documenti cartografici utilizzati. 34.

(41) 1.. “I ghiacciai del gruppo Ortles-Cevedale”, scala 1:50.000, 1965, contenente la. posizione delle fronti dei ghiacciai dal 1865 al 1961 e la distribuzione dei cordoni morenici (Fig. 6.4).. Fig. 6.4: stralcio della carta “I ghiacciai del Gruppo Ortles-Cevedale” di Desio (1965).. Questa carta è una rappresentazione a colori del Gruppo dell’Ortles Cevedale, redatta da A. Desio nel 1965, con scala 1:50.000 e basata sui rilievi svolti dall’Istituto Geografico Militare Italiano. Essa raffigura i limiti delle aree glacializzate in quattro periodi ben distinti, ovvero: . 1865-1868, dai rilievi svolti da J. Payer (1872) (con risultati parziali) in rosso;. . 1908-1912 sulla base della cartografia dell’Istituto Geografico Militare Italiano, in viola;. . 1925-1926, dai rilievi svolti da A. Desio, in verde;. . 1960-1961, dai rilievi svolti da A. Giorcelli, in blu.. Sono rappresentati, inoltre, i cordoni morenici (in rosso in fig. 1), le isoipse relative all’anno 1962, i punti quotati e la toponomastica.. 35.

(42) 2.. Tavoletta Monte Cevedale della Carta d’Italia alla scala 1:50.000, F. 9 III NE,. dell’Istituto Geografico Militare Italiano, edizione del 1885 disegnata dalle levate del 1885 (Fig. 5).. Fig. 6.5: stralcio della tavoletta Monte Cevedale della Carta d’Italia dell’IGM (1885). Questa tavoletta presenta la particolarità, rispetto alle altre carte, di aver rappresentato in essa il territorio italiano secondo i confini politici antecedenti alla Prima Guerra Mondiale: per tale ragione la zona presa in esame in questa tesi, la Val Martello, non risulta rappresentata in quanto ancora annessa al territorio austriaco. In questa carta i corpi glaciali sono riferiti al 1885, sulla loro superficie sono presenti curve di livello e punti quotati. La rappresentazione delle scarpate è quella tipica della cartografia dei primi anni del ‘900, dove esse risultano molto enfatizzate e talvolta con un effetto prospettico che comporta una non perfetta sovrapposizione con la cartografia più recente.. 36.

(43) 3.. Special Karte Ortler-Gruppe elaborata dal D. O. A. V. alla scala 1:50.000, del. Club Alpino austro-tedesco, edizione del 1891 disegnata dalle levate del 1891 (Fig. 6.6).. Fig. 6.6: stralcio della Special Karte Ortler-Gruppe elaborata dal D. O. A. V. (1903).. La carta del Club Alpino austro-tedesco (D.u.Oe.A.V) alla scala 1:50.000 del 1903, è uno tra i più importanti documenti cartografici antichi (Baroni & Carton, 1990). La rappresentazione a tre colori (nero, marrone e azzurro) è molto precisa nei dettagli ed eccellente (considerando che risale ai primi anni del ‘900) nel disegno; sebbene sia una rappresentazione a media scala, sono riportate, seppure in modo schematico, le isoipse anche sulla superficie dei ghiacciai. A margine della carta sono indicate le coordinate geografiche e il meridiano di riferimento che nello specifico risulta essere quello passante per l'Isola del Ferro1.. 1. L'isola del Ferro è la più occidentale delle Isole Canarie. Considerandola l'estremo limite occidentale del mondo, gli antichi geografi calcolavano la longitudine a partire da essa. Ancora nel XIX secolo, alcuni stati continuarono a basarsi su tale meridiano (Mori, 1922).. 37.

(44) 4.. Tavoletta Monte Cevedale della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 III NE,. dell’Istituto Geografico Militare Italiano, edizione del 1908 disegnata dalle levate del 1908 (Fig. 6.7).. Fig. 6.7: stralcio della tavoletta Monte Cevedale dell’IGM (1908).. Questa carta è una rappresentazione a un colore (nero) dell’area del Monte Cevedale disegnata sulla base delle levate del 1908 dal topografo A. Galli. In essa sono rappresentati i ghiacciai nel 1908, il cui andamento altimetrico è messo in evidenza da isoipse talvolta interotte; ove sono presenti speroni rocciosi emergent dalla superficie glacializzata è possibile individuare anche punti quotati. Nele zone proglaciali sono ben rappresentati i torrenti di fusione glaciale; sono rappresentati, inoltre, i confini di Stato, gli elementi relativi alla rete di comunicazione (strade, gallerie, viadotti, ferrovie) e i sentieri.. 38.

(45) 5.. Tavoletta Cima Sternai della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 II NO,. dell’Istituto Geografico Militare Italiano, edizione del 1922 disegnata dalle levate Austriache del 1910 (Fig. 6.8).. Fig. 6.8: stralcio della tavoletta Cima Sternai dell’IGM (1910).. Questa carta è una rappresentazione a un colore (nero) dell’area di Cima Sternai disegnata in base alle levate austriache del 1910 dal topografo E. Giua, dal capitano A. Ferrara e dal Capitano C. Ferrero. Al suo interno sono rappresentati i corpi glaciali del 1910 e l’andamento topografico della superficie glacializzata è rappresentato da linee discontinue; sono raffigurate le isole in roccia all’interno dei ghiacciai, le scarpate, molto accentuate, caratteristiche della cartografia dei primi anni del ‘900 e i torrenti di fusione glaciale.. 39.

(46) 6.. Tavoletta Cima Vertana della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 IV SE,. dell’Istituto Geografico Militare Italiano, edizione del 1915 disegnata dalle levate del 1915 (Fig. 6.9).. Fig. 6.9: stralcio della tavoletta Cima Vertana dell’IGM (1915).. Questa carta è una rappresentazione in bianco e nero dell’area di Cima disegnata in base alle levate del 1915. All’interno della carta sono rappresentati i corpi glaciali del 1915, alcune isolinee che mostrano l’andamento della superficie dei ghiacciai e i punti quotati. Sono rappresentate inoltre le isole in roccia e scarpate, le quali risultano più enfatizzate rispetto rispetto alla cartografia più recente, costruita per via fotogrammetrica; inoltre troviamo i confini di Stato, Provincia e Comune e la rappresentazione di strade e sentieri.. 40.

(47) 7.. Tavoletta S. Nikolaus (Fig. 6.10) della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 I. SE, e Tavoletta Mortell della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 I SO, dell’Istituto Geografico Militare Italiano, edizione del 1917 disegnate dalle levate del 1917.. Fig. 6.10: stralcio della tavoletta S. Nikolaus dell’IGM (1917).. Le carte sono una rappresentazione in bianco e nero dell’area di S. Nicolò e Martello, disegnate in base alle levate del 1917. Al loro interno sono rappresentati i corpi glaciali del 1917, con isoipse accennate da linee a tratti discontinue, da considerare solo indicative e non rappresentative del reale andamento altimetrico, e punti quotati. Per la rappresentazione delle scarpate e dei pendii acclivi è utilizzata la tecnica del tratteggio lumeggiato che agevola l’interpretazione dell’andamento del rilievo. Sono rappresentate le isole in roccia presenti all’interno del corpo glaciale, e i torrenti di fusione glaciale.. 41.

(48) 8.. Tavoletta Monte Cevedale della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 III NE. (Fig. 6.11), Tavoletta Cima Sternai della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 II NO, Tavoletta S. Nicolò della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 I SE, Tavoletta Martello della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 I SO e Tavoletta Cima Vertana della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 IV SE dell’Istituto Geografico Militare Italiano, edizione del 1922 disegnate dalle levate Austriache del 1922.. Fig. 6.11: stralcio della tavoletta Monte Cevedale dell’IGM (1922).. Questa carta è una rappresentazione in bianco e nero dell’area del Monte Cevedale e dei territori limitrofi, nel raggio di 8-10 km, disegnata in base alle levate del 1922 dai topografi A. Galli ed E. Giua, dal Maggiore M. Giannuzzi e dal Capitano C. Ferrero. Al suo interno sono rappresentati i ghiacciai del 1922, il cui andamento altimetrico è rappresentato da isoipse con equidistanza 25 m, mentre le intermedie sono solo accennate; sulla superficie dei ghiacciai ove affiora roccia e sui versanti è possibile osservare dei punti quotati. All’interno di queste tavolette si trovano elementi di toponomastica, strade e sentieri presenti nella valle.. 42.

(49) 9.. Tavoletta Monte Cevedale della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 III NE. (Fig. 6.12), Tavoletta Cima Sternai della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 II NO, Tavoletta S. Nicolò della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 I SE, Tavoletta Martello della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 e Tavoletta Cima Vertana della Carta d’Italia alla scala 1:25.000, F. 9 IV SE I SO dell’Istituto Geografico Militare Italiano, edizione del 1962 disegnate dalle levate del 1959.. Fig. 6.12: stralcio della tavoletta Monte Cevedale dell’IGM (1962).. Queste carte sono una rappresentazione a 4 colori dell’area del Monte Cevedale e dei territori limitrofi, costruite mediante restituzione fotogrammetrica di fotografie aeree del 1962. Al loro interno sono rappresentati i ghiacciai del 1962, le isoipse e i punti quotati presenti sia sulla superficie dei ghiacciai, sia sui versanti; le scarpate sono rappresentate differentemente alle carte precedentemente prese in esame, poiché sono stati adottati nuovi metodi di restituzione cartografica. Al di sopra della superficie glacializzata possiamo vedere le isoipse principali che corrono ogni 100 m, mentre le secondarie ogni 25. Per quanto riguarda la valle sono presenti elementi di toponomastica, strade e sentieri.. 43.

(50) Oltre alla cartografia storica, si è provveduto alla raccolta anche dei documenti cartografici più recenti, in gran parte già in formato digitale. Tab. 2: materiale utilizzato. MATERIALE UTILIZZATO ANNO RISOLUZIONE SCALA PROVENIENZA CTR (Carte Tecniche Regionali) 1991. 1:10.000. Regione Alto Adige Regione Alto. Lidar. 2006. 2,5 m. Curve di Livello. 2006. 1:10.000. CTR (Carte Tecniche Regionali) 2006. 1:10.000. Adige Regione Alto Adige Regione Alto Adige. Il materiale indicato in Tab. 2, eccetto le CTR del 1991, è stato utilizzato per calcolare la differenza di volumi tra gli anni 1850 (limite di massima espansione glaciale olocenica) e 2006. Le CTR (Carte Tecniche Regionali), sia del 1991 sia del 2006, sono state prodotte ad una scala di 1:10.000 per tutta la regione Alto Adige e ricoprono tutta la Val Martello. Esse sono state indispensabili durante il processo di georeferenziazione delle carte storiche. Le curve di livello del 2006 derivano direttamente dal Lidar del 2006 e coprono tutta la regione Alto Adige ad una scala di 1:10.000; l’acquisizione dei dati del territorio è stata effettuata mediante l’utilizzo del laser scanner attraverso misurazione di first e last pulse; ciò che viene chiamato semplicemente Lidar è il modello ottenuto mediante questa tecnica di acquisizione. Per quanto riguarda l’area esaminata si farà riferimento solo al last pulse relativamente alla densità dei punti rapportati all’area. Le aree con altitudine superiore ai 2000 m.s.l.m. prevedono un’accuratezza di 55 cm, mentre le aree al di sotto dei 2000 m.s.l.m. prevedono. un’accuratezza. di. 40. cm. (http://www.provincia.bz.it/informatica/cartografia). Il sistema di riferimento di tutti gli elementi provenienti dal portale della Regione Alto Adige è UTM WGS84 Zona 32N, fatta eccezione per le Carte Tecniche Regionali del 1991 che avevano come sistema di coordinate interno UTM ETRS89, e sono state successivamente convertite nell’altro (UTM WGS84 Zona 32N) 44.

(51) mediante un file di conversione, fornito dalla Regione, per poterle utilizzare all’interno di un ambiente GIS e confrontarle con le altre produzioni più recenti. Raccolta dei documenti aerofotografici Le fotografie aeree, nate per fini militari prima e cartografici poi, rappresentano uno degli strumenti di indagine indiretta maggiormente utilizzati per il monitoraggio ambientale. Esistono molti voli effettuati durante tutto il XX secolo, alcuni dei quali con una copertura nazionale (per quanto riguarda l’Italia), basti pensare al volo GAI del 1954. Prima di questo volo le fotografie aeree venivano scattate quasi esclusivamente per scopi militari, infatti molto spesso venivano commissionate da organi militari per particolari siti di interesse strategico. Esistono numerosi voli regionali eseguiti a scale diverse e a diversa risoluzione, ma è solo a partire dalla fine degli anni ‘80 che sono stati eseguiti con una certa sistematicità voli a scala nazionale. I documenti aerofotografici utilizzati per la delimitazione dei corpi glaciali interessano un intervallo temporale di circa sessanta che va dal 1954 al 2012 (Tab. 3). I documenti aerofotografici utilizzati si differenziano oltre che per la scala di rilevamento, anche per la risoluzione a terra. Di seguito vengono indicate le caratteristiche delle immagini utilizzate. Tabella 3: Elenco del materiale aerofotografico impiegato nella presente tesi. Materiale a disposizione. Anno. Tipo. Data volo. Colore. Fotogrammi aerei. 1954. Digitale. Primavera – Estate 1954. Ortofotogramma. 1989. Digitale. 03/08/1989. Ortofotogramma. 1994. Digitale. 01/06/1994. Ortofotogramma. 2006. Digitale. 31/08/2006 – 11/09/2006. Bianco e nero Bianco e nero Bianco e nero. Ortofotogramma. 2008. Digitale. Estate 2008. Colore. Ortofotogramma. 2011. Digitale. Autunno 2011. Colore. Immagini satellitari di Bing. 2012. Digitale. Ottobre 2012. Colore. 45. Colore.

(52) 1.. Volo GAI 1954 (noto anche come Volo Base) alla scala nominale 1:33.000,. strisciata 12E, fotogrammi da 5093 a 5097, ripresa del 14/10/1954 (Fig. 6.13). Rappresenta il documento aerofotografico più antico, Si tratta di un volo pancromatico in bianco e nero eseguito per l’intero territorio nazionale tra il 1954 e il 1955. Nelle migliori condizioni di contrasto, la risoluzione a terra può spingersi fino a circa un metro (Salvatore, 1995).. Fig. 6.13: stralcio delle ortofotografie del 1954.. 46.

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