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L'evoluzione dell'impiego dei mezzi subacquei delle Marine sovietica e statunitense dalla conferenza di Yalta alla fine della Guerra Fredda

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

ACCADEMIA NAVALE

Corso di Laurea in Scienze Marittime e Navali

TESI DI LAUREA IN

STORIA CONTEMPORANEA E NAVALE

L’EVOLUZIONE DELL’IMPIEGO DEI MEZZI SUBACQUEI DELLE

MARINE SOVIETICA E STATUNITENSE DALLA CONFERENZA DI

YALTA ALLA FINE DELLA GUERRA FREDDA

LAUREANDO: Guardiamarina Pietro Stipa

RELATORE: Prof. Agg. Marco Gemignani

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 1 1.1 L’eredità dei sommergibili tipo “XXI” tedeschi ... 4

1.2 Gli studi idrodinamici condotti sull’USS Albacore ... 8

1.3 Dalla propulsione diesel-elettrica a quella nucleare ... 12

1.4 Il progresso degli armamenti imbarcati ... 16

1.5 Gli anni del gigantismo subacqueo ... 20

1.6 La deterrenza ... 24

CAPITOLO 2 2.1 Il dottor John Craven... 29

2.2 Gli incidenti del K-19 ... 32

2.3 L’affondamento dell’USS Thresher ... 37

2.4 La scomparsa dell’USS Scorpion ... 43

2.5 L’operazione di recupero del K-129 ... 50

2.6 Il disastro del Kursk ... 56

CAPITOLO 3 3.1 Le operazioni statunitensi a profondità elevate ... 65

3.2 L’evoluzione delle procedure d’emergenza e d’evacuazione dei sottomarini ... 71

3.3 Le operazioni speciali condotte dall’USS Halibut ... 75

3.4 Il batiscafo Trieste e la corsa per la conquista degli abissi ... 80

CONCLUSIONI ... 84

APPENDICE ... 88

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato si propone di ripercorrere i momenti salienti che hanno caratterizzato lo sviluppo e l’utilizzo della componente subacquea degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, dagli accordi stabiliti con la conferenza di Yalta fino alla fine della Guerra Fredda. Sarà oggetto della trattazione, in primis, l’eredità tedesca nell’ambito del settore sommergibilistico con il sommergibile tipo “XXI” e in seguito si ripercorrerà l’evoluzione dei sottomarini con particolare attenzione allo svilupparsi delle tecnologie riguardanti scafo, propulsione e armamenti.

Lo sviluppo del nucleare risulterà determinante per la precisazione delle linee guida per l’impiego dei mezzi subacquei; con la crescita esponenziale del numero di unità e dei rispettivi armamenti dei due fronti contrapposti verrà evidenziato il mutare delle strategie adottate e delle ideologie divergenti tra le marine in campo, ruotando attorno al tema centrale della deterrenza.

L’attenzione si sposterà nel secondo capitolo nei disastri di maggior rilievo riguardanti il medesimo settore. Ne verranno trattati quattro nel particolare, il 19, l’USS Thresher, l’USS Scorpion e il K-129; relazionando il tutto agli eventuali tentativi di recupero e agli studi del dottor John Craven riguardanti spionaggio e localizzazione.

Infine nel terzo e ultimo capitolo si concluderà analizzando brevemente i mezzi e le relative operazioni effettuate, durante la Guerra Fredda, non con scopi prettamente bellici o militari, ma principalmente scientifici. Sebbene non furono molti gli investimenti in questo campo, in un periodo in cui la maggiore importanza veniva attribuita al varo di nuove unità o al lancio di più moderni missili, le missioni speciali dell’USS Halibut o ad esempio la corsa verso il record di profondità del batiscafo Trieste rappresentano importanti punti di svolta nella storia della subacquea.

La struttura dello scritto e l’attenta descrizione degli avvenimenti mirano ad evidenziare l’importanza della componente subacquea all’interno delle Marine degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica e il lungo processo di evoluzione che ha portato al consolidamento dell’attuale concetto di sottomarino moderno.

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CAPITOLO 1

“The sea is relentless and will find always a way to thwart the mariner.” John Pina Craven, The Silent War, New York, Touchstone Edition, 2002.

1.1 L’eredità dei sommergibili tipo “XXI” tedeschi

Uno dei campi di maggior investimento durante la Seconda Guerra Mondiale, in Germania, fu senza dubbio il settore subacqueo. Lo scopo principale di tale componente era quello di colpire il naviglio mercantile alleato, senza prediligere quindi come bersagli primari le unità di superficie militari nemiche. I quasi duemila u-boot prodotti dai cantieri tedeschi erano caratterizzati da velocità ridotte e la navigazione subacquea costituiva solo una modalità di evasione dallo scontro e non una situazione naturale di combattimento.1

Una tattica innovativa costituì la creazione e l’utilizzo di un comando centralizzato in grado di coordinare via radio l’attacco congiunto di numerosi battelli. Successivamente con l’ausilio dell’aviazione, la Germania, raggiunse in alcuni mesi del 1943 dei picchi di efficienza nella distruzione dei convogli mercantili significativi. Tuttavia non riuscirono mai a mettere in ginocchio gli Alleati e a costringere di conseguenza la resa dell’Inghilterra. Con la costruzione dei cargo modello Liberty gli Stati Uniti riuscirono non solo a rimpiazzare le perdite subite, ma persino ad aumentare il tonnellaggio della propria flotta mercantile, costringendo l’ammiraglio Karl Dönitz, comandante degli u-boot, a ritirarli in massa dall’Atlantico Settentrionale il 23 maggio 1943, al fronte delle ingenti spese di mantenimento in relazione ai risultati ormai poco soddisfacenti.2

È in tale ambito che si colloca la scoperta effettuata dagli Alleati al termine della guerra. Si tratta di una delle armi segrete tedesche più innovative, sviluppata in modo completo, senza però che ci fosse stato il tempo per un suo utilizzo neppure episodico nel corso del conflitto. Gli u-boot “XXI” della Kriegsmarine, conosciuti anche come Elektroboot, derivanti dal tipo “XVIII”, furono i primi ad essere progettati per operare stabilmente in immersione e avvicinarsi sensibilmente a formazioni nemiche senza essere individuati.3 Grazie a questa caratteristica i “XXI” rimasero i più avanzati dal

punto di vista tecnologico della Seconda Guerra Mondiale; rappresentava un’incredibile passo avanti nell’ideologia di guerra subacquea e una rivoluzione radicale sul possibile utilizzo di questa tipologia di mezzi.

La forma ed il disegno dello scafo fortemente idrodinamico sono la prima importante innovazione; venne rimosso, ad esempio, anche il cannone sul ponte, evidente conseguenza di una nuova concezione di sommergibile. Furono dotati di batterie elettriche con una capacità circa tre volte

1 John L. Harper, La guerra fredda. Storia di un mondo in bilico, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 51-52.

2 Per un’immagine del cargo modello “Liberty” vedi in Appendice l’Allegato 1; Sergio Valzania, Guerra sotto il mare,

Milano, Mondadori, pp. 32-33.

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superiore a quelle montate sulle versioni precedenti, garantendo al battello un’autonomia dai due ai tre giorni in immersione prima di doversi ricaricare a quota snorkel, operazione che richiedeva inoltre solo cinque ore di tempo, consentendo comunque all’unità di restare occulta al nemico. Altre migliorie rilevanti furono l'incremento dello spazio interno destinato alle scorte di siluri e l'installazione di un sistema idraulico per la ricarica rapida e contemporanea di tutti e sei i tubi di lancio, che garantiva al tipo “XXI” un volume di fuoco di diciotto siluri in meno di venti minuti. Per quanto riguarda i sistemi di bordo l’innovazione fu il nuovo rilevatore di minacce radar, il FuMB-35 Athos, estremamente affidabile e versatile poiché dotato di un visore a tubo catodico oltre agli allarmi sonori dei modelli precedenti. La propulsione era invece assicurata da un motore diesel che permetteva la notevole velocità in immersione di 17 nodi, quasi il doppio rispetto alle classi precedenti e di conseguenza un ampio raggio d’azione, rendendoli ancora più difficili da individuare e neutralizzare, potendo così fornire alla marina tedesca un’innegabile vantaggio tattico.4

Purtroppo il complesso processo di produzione ebbe come risultato che solamente due delle centodiciotto unità impostate ed in parte completate sarebbero divenute operative prima della fine del conflitto, l’U-2511 e l’U-3008. L'ammiraglio Karl Dönitz, contava molto su questi mezzi per riequilibrare le sorti delle operazioni in Atlantico, ma sfortunatamente per la maggior parte dei sommergibili ci fu appena il tempo di raccogliere gli equipaggi ed iniziare le prime crociere di addestramento, prima che i battelli venissero catturati dagli Alleati. Questi operarono accurate analisi e precisi studi, atti a mettere a frutto le conoscenze conquistate, nella progettazione delle classi future.56

L'U-2511, comandato da Adalbert Schnee, riuscì a salpare per l’Atlantico il 30 aprile 1945, ma appena quattro giorni dopo, ricevette l'ordine di cessare le operazioni di guerra e arrendersi. Il giorno successivo raggiunse il porto di Bergen dove si consegnò agli Alleati. Il comandante non mancò comunque di segnalare sul diario di bordo di esser riuscito, la notte prima, ad arrivare a soli 600 metri di distanza dall’incrociatore inglese HMS Suffolk scortato dai suoi cacciatorpediniere, il tutto senza minimamente esser individuato grazie alle nuove capacità dei tipo “XXI”. Anche il secondo della stessa classe, che riuscì a salpare prima della fine del conflitto, l’U-3008 del comandante Helmut Manseck, condusse un pattugliamento avvicinandosi ad un convoglio e simulando un attacco senza essere rilevato, prima di dover tornare in porto e consegnarsi agli Alleati.

Un altro sommergibile della Kriegsmarine degno di nota è l’U-234, del tipo “X”, la cui ultima missione fu quella di consegnare uranio, progetti e armi avanzate della Germania nazista, al Giappone.7 In origine gli ordini che ricevette l’ufficiale in comando dell'U-234, Johann Heinrich

Fehler, furono quelli di trasportare un carico importante che conteneva materiali che potevano capovolgere le sorti della guerra a favore dell'Asse. Il suo carico era quindi destinato direttamente all'imperatore Hirohito del Giappone. Di base a Kiel, secondo gli ordini dell'ammiraglio Karl Dönitz, avrebbe dovuto percorrere il seguente tragitto: inoltrarsi nell'Oceano Atlantico passando per il Mare del Nord, raggiungere il Capo di Buona Speranza, passare nell'Oceano Indiano e

4 Arthur R. Hezlet, Storia dei sommergibili. La guerra subacquea dalle origini all’era atomica, Bologna, Odoya, 2012,

pp. 88-89.

5 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, cit., pp. 36-37.

6 Maurizio Brescia, U-Boote per l’US Navy, in “Storia Militare”, XXVI (2018), 297, pp. 63-66. 7 Per un’immagine dell’U-234 vedi in Appendice l’Allegato 4.

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raggiungere la base di Penang in Malaysia, dove avrebbe sbarcato l'importante carico contenuto nella sua stiva.

Il 25 marzo 1945, l'U-234 partì per la sua importante missione, lasciando il porto di Kiel con rotta verso la base di Kristiansand, in Norvegia, dove si dovevano stivare altri fusti chimici. Tra il 15 e il 16 aprile il sommergibile ripartì nuovamente. L'8 maggio 1945 la Germania firmò la resa, e il nuovo capo provvisorio del governo tedesco, lo stesso ammiraglio Dönitz, impartì il seguente ordine: "Interrompere tutte le attività militari e consegnarsi agli Alleati". Il comandante dell’unità si riunì con il suo equipaggio e decise di arrendersi e consegnarsi al nemico e il 15 maggio 1945 il sommergibile venne intercettato nelle acque vicino a Terranova dalla nave statunitense USS Sutton, l'ultimo cacciatorpediniere di scorta della classe “Cannon” ad essere costruito, che lo scortò fino a Portsmouth, nel New Hampshire.8

Al momento della cattura il sommergibile conteneva 560 kg di ossido di uranio, in circa cinquanta cubi di piombo di 230 millimetri di lato; inoltre furono ritrovati:

- due jet da caccia del tipo Messerschmitt Me 262 smontati, con il relativo progetto e il piano di costruzione;

- un missile “Henschel Hs 293”;

- esemplari dei più avanzati siluri silenziosi a propulsione elettrica.

Grazie alle informazioni acquisite con i progetti catturati in Germania e a quelle giunte negli Stati Uniti con l'U-234, le unità subacquee americane furono sottoposte ad una serie di ammodernamenti, suddivisi nei programmi “BALAO” e “GUPPY I, II e III”. Al momento dell’occupazione della Germania gli Alleati si impadronirono di moltissimi esemplari di missili tedeschi e di altri progetti similari. Con modalità diverse venne arruolato per intero anche il personale scientifico e tecnico che aveva lavorato all’ideazione e fabbricazione di queste tipologie di armi.9

Per “GUPPY” si intende il Greater Underwater Power Propulsion Program (con la 'Y' usata solamente per migliorarne la pronunciabilità), un programma di ammodernamento della flotta di sommergibili statunitensi, sviluppato partendo dagli studi di reingegnerizzazione realizzati appunto sugli u-boot tipo “XXI”tedeschi.10 Lo sviluppo del progetto ebbe inizio al termine

della Seconda Guerra Mondiale e furono modificate quarantanove unità. Il programma si proponeva un miglioramento delle prestazioni subacquee, ma senza penalizzare eccessivamente quelle di superficie. I sommergibili “GUPPY” mantenevano dunque la loro forma originale a sigaro a doppio scafo, anche se vennero rimosse tutte le protuberanze, oppure furono rese retrattili, per ridurre al minimo la resistenza all’avanzamento sott’acqua.

La torretta fu ricostruita dandole una forma chiusa molto più affusolata e idrodinamica. Le superfici di controllo rimasero quelle originali con due timoni orizzontali ripiegabili a prua e due fissi a poppa e con un unico timone verticale posizionato sul piano diametrale dietro le eliche di propulsione. L’armamento principale era basato su dieci tubi di lancio per siluri pesanti da 533 millimetri, posizionati sei a prora e quattro a poppa con nuove apparecchiature per il controllo di

8 Per ulteriori informazioni sugli u-boot vedi Arthur R. Hezlet, Storia dei sommergibili. La guerra subacquea dalle

origini all’era atomica, cit., pp. 91-92.

9 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, cit., p. 38.

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fuoco, quali il sistema “PUFFS”, Passive Underwater Fire Control Feasibility System. L’apparato di propulsione rimase quello standard bielica di tipo diesel-elettrico, ma con maggiore potenza ed autonomia grazie alle più grandi batterie di accumulatori che fu possibile installare negli spazi ricavati per la scomparsa del deposito munizioni delle artiglierie, del diesel di emergenza, nonché con la ristrutturazione di altri locali. La velocità in superficie fu ridotta da 20 a quasi 18 nodi, mentre quella in immersione fu praticamente raddoppiata, superando i 18 nodi.11

Anche in Italia, venute meno nel 1952 le clausole del trattato di pace che vietavano il possesso di battelli subacquei e con l'ingresso nella NATO, nell'ambito di un programma di potenziamento navale impostato nel 1950 fu anche avviata la ricostituzione della componente subacquea, con il recupero e la messa in servizio di due sommergibili risalenti al periodo bellico, il Giada e il Vortice. Lo sviluppo della flotta subacquea avvenne con l'aiuto statunitense mediante la cessione di unità che seppur risalenti al periodo bellico, presentavano caratteristiche all'altezza dei tempi come risultato dei lavori di ammodernamento agli standard “GUPPY”. Solo alla fine degli anni Sessanta furono immessi in servizio i primi battelli di produzione nazionale, la classe “Toti”. Nonostante ciò fino all'ingresso in servizio della classe “Sauro”, la Marina Militare continuò ad avvalersi prevalentemente dei “GUPPY” statunitensi. Le loro caratteristiche generali ne facevano delle unità efficaci, nonostante le dimensioni, poiché essendo sommergibili di tipo oceanico, ne rendeva problematico l'impiego in un teatro come il Mediterraneo e di conseguenza furono utilizzati prevalentemente per l'addestramento degli equipaggi e delle navi di superficie specializzate nella lotta antisommergibile.

A questo punto, dopo gli accordi di Yalta sulle influenze delle potenze vincitrici su quelle sconfitte, l’unico deterrente a garantire la pace, da parte degli Stati Uniti, era la semplice possibilità di garantire l’annientamento delle maggiori città della Russia e degli Stati satelliti, assieme alle loro industrie, ad un minimo accenno dell’uso della forza per turbare gli equilibri concordati. Fino a quando non sarebbero state varate le classi di sottomarini più moderne il vettore per tali attacchi sarebbe rimasta l’aviazione, la quale aveva cessato la propria dipendenza dall’Esercito il 18 settembre del 1947, costituendosi come forza armata autonoma e assicurando agli statunitensi un’indubbia superiorità.

Il compito affidato alla Marina si concentrava sul presidio degli oceani, effettuato con le grandi portaerei che avevano annientato la flotta nipponica, più che dai sommergibili che avevano messo in ginocchio il sistema di rifornimenti del Giappone.12

11 Eberhard Möller-Werner Brack, The encyclopedia of U-Boats: From 1904 to the Present, London, Greenhill Books,

2004.

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1.2 Gli studi idrodinamici condotti sull’USS Albacore

Nel 1948, da parte della compagnia Undersea Warfare Committee, venne avanzata la proposta di studiare a fondo ed in modo completo il progetto di un battello con le più elevate prestazioni subacquee in termini di velocità, stabilità idrodinamica e manovrabilità. Le prove sperimentali su modelli per un nuovo tipo di carena subacquea furono condotte presso il David W. Taylor Model Basin in Carderock, Maryland. Fu studiata una serie sistematica di carene, nota come “Serie 58”, aventi la forma di un solido di rivoluzione a goccia allungata, detto tear-drop, simile a quella di un dirigibile.13 Al fine di ottenere i migliori risultati possibili, i progettisti ebbero la massima libertà di

scelta per la configurazione idrodinamica del mezzo, anche a costo di compromettere un suo eventuale impiego operativo militare. Il nuovo progetto si concretizzò nel sommergibile USS Albacore, che entrò in servizio nel dicembre 1953.14 Il nuovo mezzo sarebbe stato usato come

banco sperimentale per la prova sul campo delle diverse soluzioni riguardanti i propulsori, la geometria delle superfici di controllo, nonché le prestazioni di vari tipi di sensori. L’USS Albacore aveva una lunghezza di 62,6 metri ed una larghezza di 8,3 con un dislocamento di 1.500 tonnellate in superficie e di 1.850 in immersione.15

Le dimensioni della falsatorre furono ridotte al minimo, grazie anche alla scomparsa della torretta, ovvero del locale deputato al comando operativo del battello, che fu ricavato all’interno del corpo resistente principale. Sempre per limitare le dimensioni della falsatorre, lo snorkel, eredità del tipo “XXI”, non venne adottato ed inoltre fu installato un singolo sollevamento con un’antenna multi-funzionale, un concetto che sarebbe stato largamente riprodotto sulle future realizzazioni subacquee.

Fu il primo sommergibile con lo scafo costruito con una nuova lega d’acciaio chiamata low carbon steel STS, con la quale in seguito sarebbero stati costruiti tutti i nuovi prototipi. Grazie all’adozione di questo materiale innovativo e ad elevato limite di snervamento, fu possibile contenere i pesi ed allo stesso tempo non limitare la massima quota operativa permettendo il raggiungimento di una profondità massima di 170 metri. Venne montata un’elica singola a cinque pale sull’asse longitudinale azionata da un motore elettrico da 7500 HP. L’apparato motore, di tipo diesel-elettrico, comprendeva due motori diesel radiali da 1000 HP ciascuno, sistemati verticalmente e con due generatori collegati inferiormente; tale motorizzazione, benché più leggera e compatta di quella tradizionale, si dimostrò di non facile manutenzione e soggetta a frequenti avarie. Nel corso della sua vita operativa l’USS Albacore sperimentò diverse configurazioni riguardanti le superfici di controllo, il sistema propulsivo ed i sensori elettroacustici. Per dette sperimentazioni si possono individuare cinque differenti allestimenti.16

La prima configurazione studiata dal 1953 al 1955, prevedeva una coppia di timoni orizzontali di tipo ripiegabile montati ad estrema prora, una coppia di timoni orizzontali poppieri ed un timone verticale dietro l’elica. Quest’ultima veniva poi ingabbiata da una struttura incorporante anche le superfici di governo poppiere. Tale soluzione si dimostrò molto efficace alle basse velocità, ma

13 Per un’immagine della “Serie 58” vedi in Appendice l’Allegato 6. 14 Per un’immagine dell’USS Albacore vedi in Appendice l’Allegato 7.

15 Roy Burcher-Louis Rydill, Concepts in Submarine Design, Cambridge, New York, Cambridge University Press,

1994, pp. 76-78.

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controproducente alle alte. L’aspetto più negativo si dimostrò essere l’eccessivo rollio generato durante le manovre di accostata; erano possibili manovre di immersione alla velocità di 30 nodi con angoli di 30° e contemporaneamente virate di 180°, creando tuttavia sbandate fino a 50°, con grande disagio per l’equipaggio. La falsatorre si comportava in pratica come un grande timone verticale che generava portanza laterale e quindi sbandamento trasversale. Per contrastare questo fenomeno, la parte posteriore della falsatorre venne resa mobile e configurata come un piccolo timone verticale dorsale manovrato, attraverso una pedaliera, dal timoniere. Il governo era basato su un sistema di controllo di tipo aeronautico con una cloche di comando azionata da un solo operatore. Questo concetto, noto come one-man control, costituiva anche un’innovazione, in contrapposizione al metodo tradizionale che prevedeva l’impiego di ben tre operatori, uno per ogni coppia di timoni. Con questo sistema le manovre alle alte velocità si dimostrarono in un primo tempo piuttosto difficili da controllare da parte dei piloti, fino a quando non si dotò il battello di un software per il controllo completamente automatico, in grado di graduare i movimenti dei vari timoni al fine di attenuarne le troppo brusche risposte. In materia di manovrabilità, la configurazione dello scafo permetteva all’unità di rimanere dinamicamente stabile a tutte le velocità e di essere molto più manovrabile in immersione rispetto ai battelli coevi con scafo tradizionale, che diventavano instabili già a partire dagli 8 nodi. La navigazione in superficie risultava però alquanto critica a causa della curvatura della parte superiore prodiera.17

Nei cinque anni successivi, con la seconda configurazione, vi fu la trasformazione delle superfici di governo poppiere, che divennero di tipo cruciforme e posizionate a proravia dell’elica. Questa soluzione, seppur a scapito della manovrabilità alle basse velocità, migliorava la stabilità alle alte. Il timone dorsale sulla falsatorre venne eliminato, poiché per ridurre lo sbandamento in accostata ad alte velocità si scelse di dare meno angolo di barra ai timoni verticali. Particolare enfasi venne data alla riduzione della segnatura acustica del battello. A questo proposito venne montata una nuova elica con diametro maggiore di 4,27 metri invece di 3,34 e da un minor numero di giri, in grado di fornire la stessa spinta dell’elica originale ma in modo più silenzioso. Al fine di ridurre il rumore strutturale irradiato si iniziò a curare l’isolamento acustico interno, adottando supporti in gomma su tutti i macchinari e delle tubolature per tutti i circuiti, mentre tutte le superfici interne dello scafo a libera circolazione d’acqua, comprese le casse zavorra, furono ricoperte con uno strato di materiale fonoassorbente adatto ad assorbire le vibrazioni strutturali e smorzare così il rumore generato. Anche il rumore idrodinamico fu notevolmente abbattuto riducendo il numero e la grandezza dei fori di allagamento disposti in corrispondenza della sovrastruttura e delle altre zone di scafo a libera circolazione, ottenendo inoltre un beneficio in ambito di resistenza all’avanzamento. La diminuzione delle dimensioni di tali fori d’altronde non inficiava i requisiti operativi dell’unità, conseguenza della minore importanza tattica attribuita al tempo di immersione rapida mediante allagamento, che in questo modo si portò a circa un minuto. Altro accorgimento adottato fu quello di ridurre drasticamente il numero di attrezzature marinaresche sporgenti, di eliminare appendici poco utili e di realizzare tutta la portelleria a paro con la superficie dello scafo. I timoni orizzontali prodieri furono rimossi preferendo sacrificare la manovrabilità verticale alle basse andature al fine di migliorare le condizioni di ascolto nella zona prodiera, a tutto vantaggio dell’efficienza dei sensori elettroacustici.

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Dal 1960 al 1962 il cambiamento più significativo riguardò le superfici di governo della sezione poppiera, disposte ad X.18 In precedenza il timone verticale inferiore non poteva estendersi oltre la

linea di chiglia per ragioni legate all’immissione in bacino. La nuova configurazione rimediava a questo inconveniente e per di più consentiva un’estensione notevolmente superiore ai quattro timoni, che avevano in tal modo l’intera superficie mobile. Inoltre, tutti e quattro potevano agire contemporaneamente, sia in direzione che in quota, conferendo al battello eccellenti doti di manovrabilità subacquea. Ciò consentiva virate eccezionalmente strette, ma non senza seri problemi sul controllo dello sbandamento, che richiedeva particolare perizia da parte dei piloti. A questo proposito venne reinstallato un timone dorsale più grande sulla falsatorre per contrastare l’improvviso rollio. Per ragioni di sicurezza fu installata anche una serie di freni idrodinamici. Il battello aveva manifestato, infatti, nel corso di immersioni rapide ad alte velocità, una pericolosa isteresi ai comandi di richiamata dei timoni di profondità. Questo comportamento, in caso di operazioni a quote elevate, era estremamente pericoloso in quanto prima di iniziare la risalita, l’unità poteva raggiungere la quota di schiacciamento. Per ovviare a questo inconveniente furono montati su tutta la circonferenza dello scafo, a poppavia della falsatorre, dieci deflettori estendibili che a comando, alzandosi, ne avrebbero dovuto frenare la discesa, alla stessa stregua dei freni aerodinamici montati sui velivoli da combattimento. Questa soluzione non diede comunque i risultati sperati. Parallelamente alle eccellenti doti di manovrabilità subacquea, la configurazione ad X dei timoni poppieri evidenziò, per contro, grandi difficoltà di manovra in superficie ed all’ormeggio, nonché una totale assenza di manovrabilità in marcia addietro a causa della parziale fuoriuscita dall’acqua dei due timoni superiori. Durante la terza fase, l’USS Albacore sperimentò anche nuovi tipi di sensori elettroacustici attivi e passivi, tra cui un sensore lineare ad elementi rimorchiati ed un sensore sferico a bassa frequenza.19

Successivamente iniziò dal 1962 il processo di trasformazione più complesso ed importante che vide protagonista il sistema propulsivo, allo scopo principale di conseguire un incremento della velocità in immersione. Furono installate due eliche concentriche e controrotanti, azionate da due motori elettrici indipendenti aventi gli alberi coassiali. Le usuali batterie al piombo furono rimpiazzate con delle nuove all’argento e zinco che ne raddoppiarono praticamente la potenza permettendo l’installazione di un secondo motore elettrico, anch’esso di 7500 HP. Accorgimento particolare fu anche il diverso diametro delle due eliche: quella più avanti di 3,25 metri, mentre quella più addietro di 2,67. Al fine di assicurare la massima efficienza propulsiva furono testate diverse distanze fra le due; i 10 piedi originari furono portati a 7,5 ed ancora più tardi furono ridotti a 5, il tutto grazie ad un sistema fotografico per l’osservazione diretta delle caratteristiche di cavitazione. Vennero rimossi i timoni a X assieme ai freni idrodinamici e si ripristinarono i timoni cruciformi, ma con posizione longitudinale diversificata. In effetti, la configurazione dei timoni ad X, pur essendo stata in seguito adottata da diverse marine, non fu mai più ripresa dalla US Navy per i suoi sottomarini. Durante le prove, con il nuovo sistema propulsivo, l’USS Albacore fece registrare picchi di velocità in immersione che pare arrivassero a sfiorare i 33 nodi, anche se con autonomie limitate a causa della natura dell’apparato motore, mentre in superficie arrivò ad un massimo di 25 nodi. A testimonianza del concetto di sicurezza al quale gli americani da sempre diedero molta importanza, venne installato un nuovo sistema di emergenza, il subsafe, in grado di

18 Per un’immagine della configurazione ad X dei timoni e delle eliche controrotanti vedi in Appendice l’Allegato 9. 19 Ivi, pp. 99-100.

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svuotare le casse zavorra e portare il battello in superficie in pochi secondi. Infine fu sperimentato una specie di aquilone subacqueo a controllo remoto usato per trasportare un’antenna per telecomunicazioni appena sotto la superficie dell’acqua.

L’ultima fase è quella su cui è stato pubblicato meno. Lo scopo principale perseguito in questo periodo fu la riduzione della resistenza d’attrito, al fine sempre d’incrementare la velocità subacquea. Fu sperimentato un sistema che consisteva probabilmente nell’insufflare, attraverso appositi ugelli posizionati a prora, polimeri viscosi attorno allo scafo. Pare avesse una certa efficacia, ma operativamente era praticabile solo per impieghi limitati, dato che richiedeva la disponibilità di ingenti quantitativi di fluido polimerico, molto difficile da stivare a bordo di un sottomarino. In ogni caso, quel metodo ed i risultati ottenuti sono tutt’ora classificati. L’USS Albacore rimase in servizio fino al 1972, sempre come mezzo sperimentale, non fu mai imbarcato alcun armamento offensivo, al fine di avere la massima flessibilità di piattaforma per studiare al vero le soluzioni più adeguate per un mezzo subacqueo. Successivamente fu posto in stato di conservazione finché nel 1985 si decise di esporlo al pubblico come nave museo a Portsmouth, la stessa località dove era stato costruito trentadue anni prima.20

Dal momento della sua apparizione l’USS Albacore divenne il punto di riferimento dei progettisti americani per tutti i battelli destinati a disporre di elevate caratteristiche di agilità in manovra e velocità e lo fu anche di quelli sovietici. Mentre infatti il lavoro di questi ultimi era protetto dalla massima segretezza, la componente visibile della produzione subacquea statunitense veniva presentata alla stampa con la massima evidenza, allo scopo di giustificare le ingenti spese che le costruzioni navali richiedevano. I vari dei sottomarini erano occasioni pubbliche di notevole rilievo propagandistico, che venivano comunemente filmati dalle agenzie giornalistiche, mentre le fabbriche di modellini navali producevano senza problemi accurate riproduzioni di ogni nuova costruzione navale della flotta. La conquista della tecnologia nucleare da parte dei sovietici venne appunto agevolata, si dall’efficiente sistema di spionaggio di cui disponevano, ma anche dal tipo di propaganda impiegata dagli Stati Uniti, nella quale era evidente l’importanza attribuita all’opinione pubblica, l’unico e vero nemico dell’industria bellica americana.

20 Norman Polmar-Kenneth J. Moore, Cold war sub marines: The design and construction of U.S. and Soviet

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1.3 Dalla propulsione diesel-elettrica a quella nucleare

Le bombe atomiche e la dichiarazione di guerra dell’Unione Sovietica al Giappone, avevano concluso definitivamente il conflitto mondiale e negli anni Cinquanta in pochi dubitavano che il nucleare sarebbe stato l’energia primaria del futuro, destinato a sostituire ogni altro tipo di fonte fino ad ora utilizzata. Era solo questione di tempo e di affinamento delle tecnologie. Ancora nessuno si era reso conto di quanto fosse dannoso il nucleare, dell’inquinamento prodotto, diretto e indiretto. Gli esperimenti condotti dagli Stati Uniti a Bikini, un paradiso naturale sperduto nel Pacifico, ebbero luogo fra il 1946 e il 1958. L’atollo fu dichiarato nuovamente abitabile nel 1997, dopo consistenti lavori di bonifica.

La gara per la costruzione di un prototipo efficiente di sottomarino atomico vide ancora una volta gli Stati Uniti vittoriosi; era una questione di prestigio, riaffermare il vantaggio tecnologico occidentale rispetto al blocco sovietico, sul quale si fondava una parte notevole della propaganda. Presto si sarebbe affermata la figura dell’ammiraglio Hyman Rickover, destinato a governare per un trentennio i progetti relativi ai reattori nucleari dei sottomarini statunitensi e ad incidere in modo sempre più significativo sulle loro modalità di esercizio. Il primo passo fu la scelta del tipo di reattore; si trattava di decidere se impiegarne uno ad acqua pressurizzata od uno a sodio liquido.21

Nel Programma Navale 1952 fu prevista la costruzione di due battelli nucleari con un apparato motore diverso. Il primo, l’USS Nautilus, avrebbe imbarcato un reattore ad acqua pressurizzata, mentre il secondo, l’USS Seawolf, sarebbe stato dotato di un reattore a sodio liquido. Era evidente che tale approccio avrebbe consentito un reale confronto tra i due tipi di apparati, così da poter scegliere la soluzione più adeguata da imbarcare sui futuri battelli.22

L’esperienza successiva dimostrò che il reattore ad acqua pressurizzata, seppure più pesante, dava maggiori garanzie di affidabilità. In effetti l’USS Seawolf, entrato in servizio nel 1957, evidenziò subito l’insuccesso del suo modello a sodio liquido; una serie di inconvenienti causati da corrosioni e malfunzionamenti convinse nel 1959 la US Navy a sbarcare questo tipo di reattore ed a sostituirlo con uno ad acqua pressurizzata.

Impostato nel 1952, l’USS Nautilus fu completato tre anni dopo. Esso aveva uno scafo di forme tradizionali ed un dislocamento di 4040 tonnellate. In un primo tempo si pensò di non dotarlo di alcun tipo di armamento, ma successivamente si decise di armarlo con sei tubi lanciasiluri prodieri da 533 millimetri in modo da poter effettuare prove di valutazione complessive riguardanti la piattaforma, il sistema d’arma e l’apparato motore. Quest’ultimo, composto dal reattore e dallo scambiatore di calore, forniva vapore pulito alle due turbine collegate alle eliche mediante riduttore ad ingranaggi. Il battello era inoltre dotato di un diesel-generatore ausiliario che funzionava allo stesso modo di un sommergibile tradizionale, ossia azionava le eliche a bassa velocità o caricava le batterie. Lo scopo di questo piccolo apparato motore ausiliario era anche quello di assicurare l’eventuale rientro d’emergenza del battello ad una velocità di 2-3 nodi in caso di avaria del sistema di propulsione nucleare principale.

21 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, cit., pp. 53-54.

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Le lunghe prove effettuate sull’USS Nautilus misero in evidenza la possibilità di sviluppare alte velocità in immersione, si raggiunsero i 23 nodi, con autonomia quasi illimitata, condizionata soltanto dai limiti di sopportabilità dell’equipaggio. Il comfort offerto su tale unità non era neppure mai stato immaginato a bordo di mezzi subacquei a propulsione diesel. Oltre a uno spazio più ampio dove vivere, il nuovo sottomarino garantiva ai sui abitanti acqua fresca e aria condizionata, inoltre il puzzo di gasolio caratteristico delle vecchie unità era completamente scomparso. Comodità fino ad allora impensate, anche se non siamo ancora ai livelli che verranno raggiunti dalle classi “Ohio” statunitensi e “Typhoon” sovietici, all’interno dei quali trovano posto sauna, palestre, solarium, aree fumatori, spazi relax e televisione. Nonostante gli innumerevoli pregi l’USS Nautilus aveva però anche un grande difetto, ossia le vibrazioni e il rumore dovuto principalmente al riduttore ad ingranaggi delle turbine ed alle varie pompe per il raffreddamento del reattore e per la circolazione dell’acqua nello scambiatore di calore. Il contrammiraglio Frank Watkins, comandante delle forze sottomarine statunitensi nell’Atlantico, si esprimeva così nel 1955: “Le vibrazioni e il rumore prodotto dalle sovrastrutture impediscono una normale conversazione nel compartimento siluri a velocità superiori agli 8 nodi. E` necessario gridare per farsi sentire nello stesso compartimento quando il battello raggiunge i 15 nodi. Il rumore rende inoltre inutilizzabili tutti i sonar imbarcati, attivi e passivi”. Anche dopo che furono effettuate significative modifiche dello scafo con l’intento di ridurre al minimo le vibrazioni, il sottomarino rimase rumoroso, quindi facile da individuare e poco capace di scoprire presenze estranee nelle vicinanze.

In ogni caso l’USS Nautilus raggiunse pienamente l’obiettivo per cui era stato concepito, dimostrando la praticabilità della propulsione nucleare per le unità subacquee, tanto da cambiare di fatto anche il nome a questo tipo di unità, che passò da sommergibile a sottomarino. Gli inconvenienti, riguardanti soprattutto la stabilità idrodinamica e la manovrabilità del battello alle alte velocità, avrebbero trovato adeguate soluzioni in seguito, grazie alle ricerche sperimentali che venivano effettuate col sommergibile USS Albacore.23

Nell'ambito della guerra fredda questo costituì un vantaggio enorme per gli Stati Uniti, rispetto alla Marina Militare sovietica, fino all'immissione in servizio del sottomarino nucleare K-3 Leninskij Komsomol. Con le unità di classe “Nautilus” la Marina statunitense poteva colpire ovunque, sfruttando la lunga autonomia in immersione che la propulsione nucleare consentiva. A riprova di ciò nel periodo tra luglio e agosto del 1957 l’USS Nautilus compì il primo viaggio al di sotto della calotta polare artica, e il 3 agosto 1958 fu il primo sottomarino ad attraversare in immersione il polo nord geografico, stabilendo di fatto un primato storico. La missione venne effettuata su esplicita richiesta della Casa Bianca, che riteneva necessario un successo in grado di riaffermare le capacità della tecnologia statunitense in anni nei quali i sovietici vantavano di importanti risultati nella corsa allo spazio. Non appena l’USS Nautilus riemerse nei pressi dell’Islanda, al termine della navigazione sotto il pack, il comandante Anderson fu prelevato da un elicottero, trasportato ad una base navale americana sull’isola per poi raggiungere, in aereo ed il prima possibile, Washington, dove fu decorato personalmente dal presidente Eisenhower in modo da conferire massimo risalto all’impresa compiuta.

23 Tom Clancy-John Gresham, Submarine: A Guided Tour Inside a Nuclear Warship, New York, Berkley Books, 1993,

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La carriera del sottomarino si concluse nella primavera del 1979, quando venne ritirato dal servizio. Nel 1982 venne deciso il recupero dell'unità come pietra miliare di interesse storico nel campo della propulsione nucleare, e l'11 aprile 1986 il sottomarino entrò a far parte dello US Navy Submarine Force Museum, localizzato sul fiume Thames a Groton, dove si trova tuttora.

L’USS Skipjack, primo della sua classe di sei unità, rappresentò il primo sottomarino di attacco americano che combinava la propulsione nucleare con reattore ad acqua pressurizzata, con una forma di scafo a goccia allungata.24 Questo fu dunque il primo progetto che sintetizzava tutte le

esperienze positive fatte con l’USS Nautilus nel campo della propulsione nucleare e con l’USS Albacore nel campo della ottimizzazione della carena subacquea. L’USS Skipjack fu impostato nel 1956 ed entrò in servizio nell’aprile del 1959. Esso aveva un dislocamento in superficie di 3.075 tonnellate ed in immersione di 3.513 tonnellate. Sviluppava una velocità in superficie di 16 nodi e superava i 30 in immersione. Aveva una configurazione a scafo singolo con propulsione su un unico asse e timoni di profondità sistemati sulla vela. Con l’USS Skipjack il sottomarino aveva assunto tutte quelle caratteristiche che ancora oggi contraddistinguono una moderna unità subacquea.

Per quanto riguarda la nascita dei sottomarini a propulsione nucleare sovietici, essa fu tormentata da dubbi, incertezze e ripensamenti. Ciò fu dovuto sia alle scelte tecniche da attuare circa la tipologia di reattori da utilizzare, il loro numero ed il sistema di raffreddamento da preferire, sia alle direttive di impiego, spesso contraddittorie, assegnate alle unità da disegnare. Inoltre, l’intero programma veniva sviluppato in un’atmosfera di assoluta segretezza, in molti casi eccessiva. L’ingegnere, in servizio presso l’ufficio SKB-143, Vladimir Barantsev, incaricato di sviluppare il reattore atomico destinato al “Project 627”, testimoniò che non gli venne mai comunicato in forma ufficiale cosa stesse progettando o in che lavoro era impegnato, dovette indovinarlo lui stesso quando vide i disegni e le dimensioni dell’asse collegato al propulsore. Con la prima versione del “Project 627” il comando sovietico pretendeva di procurarsi la soluzione per il proprio principale problema strategico; possedere la bomba atomica senza disporre nello stesso tempo di un vettore utile per impiegarla contro un bersaglio in territorio statunitense.25

Poco dopo la sostituzione del vertice della Marina sovietica Kuznecov, con l’ammiraglio Sergej Gorskov, per via del disastro della corazzata Novorossijsk nella rada di Sebastopoli, venne varato il K-3, primo della classe “November” e prima unità allestita con propulsione nucleare.26

La costruzione venne intrapresa presso il cantiere navale Sevmash, a Severodvinsk, il 24 settembre 1955 ed il 1° luglio del 1958 il battello entrò in servizio. Il 12 marzo 1959 il sottomarino entrò a far parte della 206ª Brigata della Flotta del Nord, basata a Zapadnaya Litsa. Nonostante

24 Per un’immagine dell’USS Skipjack vedi in Appendice l’Allegato 12.

25 Norman Polmar-Kenneth J. Moore, Cold war sub marines: The design and construction of U.S. and Soviet

Submarines, cit., pp. 120-121.

26 Questa corazzata era l’italiana Giulio Cesare, ceduta in conto riparazioni di guerra all’Unione Sovietica nel 1949.

Venne ribattezzata Novorossijsk. Affondò il 29 ottobre 1955 per aver attivato una mina da fondo tedesca, della Seconda Guerra Mondiale, nella baia di Sebastopoli. All’epoca qualcuno sostenne che si trattasse di un sabotaggio degli italiani, ma ciò era falso, vedi Erminio Bagnasco, La tragedia e le favole, in “Storia Militare”, XXVI (2018), 298, pp. 4-15 (Iª parte); ivi, 249, pp. 20-30 (IIª parte); Per un’immagine del K-3 vedi in Appendice l’Allegato 14; Per un’immagine del K-3 e della corazzata Novorossijsk vedi in Appendice l’Allegato 13 e 14.

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alcuni documenti sovietici si fossero riferiti al K-3 come ad un’unità sperimentale, in realtà essa prestò servizio operativo per diversi anni.27

Nella metà del 1962 fu sottoposto ad alcune modifiche e lo scafo fu rinforzato e venne installato un miglior equipaggiamento per la navigazione subacquea. Il 17 luglio 1962, il K-3 raggiunse il Polo Nord ed essendo il primo sottomarino sovietico a riuscire nell'impresa ricevette il nome di K-3 Leninskij Komsomol. Il 29 settembre del 1963 il K-181, sempre della stessa classe, fu invece il primo ad emergere esattamente al Polo Nord, operazione molto complessa e mai tentata prima. Le doti dei “November” erano notevoli, dal punto di vista degli statunitensi alcune risultavano addirittura sorprendenti. A riguardo si cita l’esperienza della portaerei nucleare USS Enterprise, quando in navigazione nel Pacifico in rotta da San Francisco a Pearl Harbor, nel gennaio del 1968, si imbatté in un “November”.28 Dato che il sottomarino iniziò a seguirla, la nave accelerò, anche

con l’intento di valutarne le doti nautiche. L’equipaggio americano, che avevano riconosciuto l’inseguitore dal rumore prodotto, immaginavano che la sua velocità massima non superasse i 23 nodi. La portaerei raggiunse ben 31 nodi, insieme alla formazione che l’accompagnava, senza che il “November” perdesse il contatto, infliggendo un duro colpo alle aspettative di superiorità della flotta statunitense e provocando una riconsiderazione di una notevole parte della progettazione delle unità subacquee degli Stati Uniti.

Se i primi sottomarini sovietici erano veloci, non per questo erano privi di difetti, tutt’altro. Dal punto di vista delle limitazioni tattiche ne abbiamo appena evidenziato la rumorosità e quindi la facile individuazione, dal punto di vista meccanico lamentavano gravi difetti di costruzione, cosi che molti ebbero incidenti con conseguenze mortali; i più tragici eventi verranno trattati nel capitolo successivo. Ricollegandoci alle vicende del K-3, l'8 settembre 1967 mentre navigava in immersione nel Mar di Norvegia, scoppiò un incendio dovuto probabilmente ad un problema riguardante l’impianto di raffreddamento. Il battello fu costretto ad emergere e tornò alla base quattro giorni dopo. Ci furono trentanove vittime, in parte causate anche dal sistema antincendio, composto da un gas a base di anidride carbonica che provocò la morte di tutti gli uomini presenti nel primo e nel secondo compartimento. Nonostante ciò il K-3 Leninskij Komsomol rimase operativo fino al gennaio 1988, mese in cui fu radiato dopo trent’anni di servizio.29

Dal 1960 al 1964 entrarono in servizio le otto unità della classe “Hotel”, prima delle quali ricordiamo il K-19 del quale tratteremo più nello specifico nel capitolo successivo. La sfortunata vicenda, con il rischio di esplosione del nocciolo del reattore dello stesso battello, denunciò i limiti esistenti nelle realizzazioni sovietiche in ambito nucleare. La consapevolezza della grave situazione nella quale versava la tecnologia dei primi sottomarini con tale tipo di propulsione è alla base, insieme al costo molto più contenuto dei motori tradizionali, dell’insistenza nella costruzione di unità diesel ed elettriche in parallelo a quelle di tipo atomico, che si protrasse nei decenni successivi.30

27 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, cit., pp. 65-66.

28 Per un’immagine dell’USS Enterprise vedi in Appendice l’Allegato 15.

29 Tom Clancy-John Gresham, Submarine: A Guided Tour Inside a Nuclear Warship, cit., pp. 127-133. 30 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, cit., pp. 51-52.

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1.4 Il progresso degli armamenti imbarcati

L'avvento delle nuove unità sviluppate a partire dai primi anni Cinquanta fu accompagnato da una corrispondente evoluzione del loro armamento. Il cannone, presente su tutti i sommergibili della Seconda Guerra Mondiale, fu rimosso di fatto da tutte le unità in servizio già con i programmi di ammodernamento “GUPPY” e “BALAO”, mentre le nuove unità ne furono sprovviste. Ben presto però questo vuoto fu colmato dai missili. Il primo battello al mondo ad essere equipaggiato con questo nuovo tipo di arma fu lo USS Cusk armato con un missile Loon, nient’altro che una copia del “V1” tedesco. Il primo lancio venne effettuato il 12 febbraio 1947. L'esito soddisfacente della prova indusse la Marina ad avviare ben presto lo sviluppo di nuovi missili da crociera appositamente studiati per essere impiegati da sottomarini.

Tra questi, alcuni dei progetti più riusciti e di maggiore fama furono il “Regulus I” e il successivo “Regulus II”; tali vettori erano armi subsoniche impiegabili però solo in emersione. In vista dell’impiego di essi venne progettato e costruito l’USS Halibut e la successiva classe “Permit”, composta di quattro unità.31 L’unico lancio di un prototipo di “Regulus II” venne effettuato il 18

settembre 1958 dall’USS Greyback. Esattamente tre mesi dopo l’intero programma fu cancellato dal ministro della Marina allo scopo di potenziare e accelerare al massimo il progetto balistico nascente, il “Polaris”. Sarebbero trascorsi più di vent’anni prima che i sottomarini statunitensi venissero di nuovo equipaggiati con un missile da crociera, il modello “Tomahawk”. Le quattro unità della classe “Permit” vennero ulteriormente modificate e costituirono la nuova classe “Thresher”; l’USS Halibut rimase un’esemplare unico di una tipologia di sottomarini apparentemente priva di funzioni tattiche, che tuttavia, come vedremo nei capitoli successivi, aveva ancora molte potenzialità da mostrare.32

Un calendario iniziale prevedeva che i “Polaris”, avviati nel 1957, divenissero operativi nel 1965, ma nel corso dello sviluppo, il progetto subì numerose accelerazioni. Il 3 agosto dello stesso anno ci fu il primo lancio di un “R-7” sovietico, il quale volò per parecchie migliaia di chilometri dalla base di Baikonur fino alla Siberia. Si trattava del primo test positivo per un “ICBM”, ossia di un vettore in grado di trasportare una bomba atomica da un continente all’altro. Due mesi dopo, il 4 ottobre, l’Unione Sovietica mise in orbita lo Sputnik, il primo satellite artificiale della Terra, confermando i progressi in ambito missilistico.

La risposta degli Stati Uniti giunse nel 1960, anno di impareggiabile rilevanza nella storia dei sottomarini. Negli stessi mesi nei quali il K-19 veniva consegnato alla flotta sovietica, l’USS George Washington salpava, per l’esattezza il 15 novembre, per la sua prima missione di deterrenza, della durata di sessantasette giorni, sessantasei dei quali percorsi in immersione, conquistando in questo modo il record di permanenza ininterrotta sott’acqua.33 Non era ancora

entrato in porto e il 30 dicembre partiva per la sua prima crociera anche l’USS Patrick Henry, secondo della classe “Polaris”, così chiamata appunto per il modello di missili imbarcati, la cui progettazione finì con cinque anni di anticipo. Per la marina statunitense si trattava di un’occasione imperdibile di riguadagnare un ruolo di assoluto rilievo all’interno del sistema strategico nazionale, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale riconosciuto quasi esclusivamente all’aviazione e al suo

31 Per un’immagine dell’USS Halibut vedi in Appendice l’Allegato 16. 32 Roy Burcher-Louis Rydill, Concepts in Submarine Design, cit., pp. 120-121. 33 Per un’immagine dell’USS George Washington vedi in Appendice l’Allegato 17.

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sistema di trasporto e lancio della bomba atomica. Il privilegio dei sottomarini balistici, dal punto di vista degli investimenti, rispetto a ogni altro programma della Marina sarebbe rimasto una costante, anche a discapito delle unità subacquee d’attacco, che in conseguenza di ciò hanno pagato da questo momento in poi un prezzo decisamente maggiore in termini di incidenti mortali.34

Dato che mancava il tempo per disegnare ex novo un sottomarino in grado di imbarcare numerosi missili balistici e di garantirne il lancio, si decise di modificare il più avanzato modello esistente, ossia la classe “Skipjack”, della quale al momento ne erano state solo impostate alcune unità. L’USS Scorpion, la cui costruzione era stata avviata nel 1957, venne scelta per tale compito e il progetto venne di conseguenza modificato in corso d’opera.

Vennero inserite tre componenti:

- una, di lunghezza pari a 14 metri, utile ad ospitare l’attrezzatura per il lancio e la guida dei missili;

- la seconda, di circa 3 metri, conteneva apparecchiature di propulsione ausiliarie;

- mentre la terza, di oltre 22 metri, alloggiava le due file di otto pozzi ciascuna, dove i missili sarebbero stati collocati in verticale.35

Il progetto “Polaris” era destinato ad uno sviluppo ultradecennale che si articolò su due piani paralleli, il primo sui missili progettati per la marina e il secondo riguardante le piattaforme subacquee dalle quali essi dovevano essere lanciati. Primo grande passo in avanti dell’utilizzo del combustibile solido, fin dai primi modelli, fu il vantaggio di poter eseguire il lancio da una profondità poco inferiore ai 20 metri, il quale con la capacità di trasporto di sedici missili rendeva le unità statunitensi mezzi molto superiori alle loro controparti sovietiche. La prima pianificazione prevedeva la costruzione di quarantuno unità, chiamate “41 for freedom”, che nei soli otto anni dal 1959 al 1967 furono tutte ultimate con un progressivo e continuo miglioramento, dalle classi “George Washington”, “Ethan Allen”, “Lafayette” e “James Madison” fino alle dodici “Benjamin Franklin”. Si può collocare qui l’inizio del gigantismo subacqueo. I sottomarini sopra citati, superando tutti i 116 metri e le 7.000 tonnellate in immersione e con un equipaggio intorno ai 136 uomini, vengono considerati gli anticipatori della classe “Typhoon” sovietica.36

Data la funzione di deterrenza che queste unità erano chiamate a svolgere, era necessario che si riducessero al minimo i tempi di permanenza in porto e si allungassero sempre più i periodi delle attività operative. Per evitare di imporre ai marinai un ritmo di vita insostenibile vennero destinati ad ogni battello due diversi equipaggi, che si sarebbero alternati effettuando un turno di navigazione e uno di riposo. Le unità sovietiche invece seguivano una strategia differente, solo il 25% della flotta veniva mantenuto in mare, per la maggior parte delle forze russe era previsto l’impiego solo in caso di situazioni di forte tensione.

34 Arthur R. Hezlet, Storia dei sommergibili. La guerra subacquea dalle origini all’era atomica, cit., pp. 123-124. 35 Norman Polmar-Kenneth J. Moore, Cold war sub marines: The design and construction of U.S. and Soviet

Submarines, cit., p. 150.

36 Per un’immagine della classe “Typhoon” vedi in Appendice l’Allegato 18; Tom Clancy-John Gresham, Submarine: A

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Perché il progetto “Polaris” rappresentasse un effettivo vantaggio strategico era necessario inibire la risposta simmetrica da parte dell’Unione Sovietica, ossia impedire l’avvicinamento e l’accesso da parte dei sottomarini balistici in regioni dalle quali fosse stato possibile colpire il territorio americano. In tempo di pace non era possibile proibire ai battelli sovietici la libera navigazione, ma la posizione infelice delle loro basi operative, consentiva agli statunitensi di creare un sistema di ascolto che, funzionando in simbiosi con una flotta di sottomarini d’attacco veloci, efficienti e silenziosi, riusciva a tenere sotto costante controllo le unità lanciamissili avversarie.37

Dopo i modelli “A-1”, “A-2” e “A-3” dei missili “Polaris”, i quali raggiungevano rispettivamente le distanze di 2.225, 2.775 e 4.500 chilometri, nel 1971 vennero tutti sostituiti con i “Poseidon”, di peso più che doppio delle precedenti tipologie e con portate ancora maggiori. L’incremento delle dimensioni degli “SLBM”, Submarine Launched Ballistic Missiles, costringeva però le unità esistenti a frequenti rientri in cantiere e a modifiche significative nei progetti di quelle in costruzione, fino a raggiungere l’apice della stazza nel periodo del gigantismo subacqueo, di cui tratteremo nel paragrafo successivo.38

Con lo scopo di ovviare alla carenza di basi avanzate su cui stazionare i propri missili balistici puntati contro il territorio americano, l’Unione Sovietica sviluppò il primo sistema d’arma balistico ideato e realizzato per essere lanciato da un sottomarino, l’”R-11FM”. Si trattava di una copia aggiornata del “V-2” tedesco, stivato a coppie nella torre delle unità SSB della classe “Zulu”. Nel 1957 vennero realizzate modifiche a quattro battelli di tale classe, caratterizzata da una propulsione ancora diesel-elettrica, installando su ciascuna di esse due pozzi per il lancio del munizionamento sopra citato, la gittata dello stesso era però di appena 250 chilometri.

Potenziato e più avanzato era invece l'armamento dei ventuno nuovi sottomarini della classe “Golf” che potevano trasportare fino a tre missili del tipo “R-13” caratterizzati da una gittata di 650 chilometri. Nonostante il successo di queste due classi di SSB, il fatto che fossero sprovviste di propulsione nucleare ne limitava il raggio d'azione e l'autonomia in modo considerevole. Altro evento a peggiorare la loro considerazione fu la scomparsa in circostanze poco chiare del K-129, del quale si tratterà ampiamente nel capitolo successivo, con la perdita dell’intero equipaggio di novantotto uomini. I primi veri SSBN furono i battelli della classe “Hotel”, con il famoso K-19 come capostipite, che con la sostituzione dei missili “R-13” con gli “R-21”, erano in grado di effettuare lanci in immersione e colpire bersagli fino a 1400 chilometri.39 Per aumentare il numero

di missili apparve chiaro che essi dovevano essere stivati nello scafo, idea portata a compimento con la futura classe “Yankee” varata a partire dal 1966.40

La cantieristica sovietica fu quasi sempre all’inseguimento di quella statunitense, cercava solo di imitare e se possibile superare le prestazioni di quest’ultima, senza creare una propria cultura nautica vincente. Si dimostrò invece capace di esplorare nuove possibilità nella progettazione e di tentare l’impiego di tecnologie più avanzate e meno collaudate, quasi sempre incontrando gravi difficoltà di esercizio dopo averle impiantate. Alcuni dei problemi che sorsero si rivelarono di

37 John L. Harper, La guerra fredda. Storia di un mondo in bilico, cit., pp. 99-100.

38 Per un’immagine delle successive versioni del missile “Polaris” e del missile “Poseidon” vedi in Appendice

l’Allegato 19 e 20.

39 Per un’immagine del K-19 vedi in Appendice l’Allegato 21.

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natura ideologica oltre che pratica, di conoscenza complessiva dell’ambiente fisico e psicologico nel quale si svolgeva il confronto subacqueo.

Possiamo credere che i vertici della marina sovietica non compresero le potenzialità insite nell’avvento dei motori ad energia nucleare con la prontezza con la quale essere furono accolte negli Stati Uniti grazie all’ammiraglio Rickover. Le prime unità sovietiche dotate del nuovo sistema di propulsione avevano l’aspetto di battelli diesel adattati alle nuove esigenze imposte che non sfruttavano in alcun modo le potenzialità che il nucleare offriva. La dimostrazione più evidente di tale atteggiamento viene fornita dai quindici battelli della classe “Hotel” entrati in servizio dal 1960 al 1962. Tali unità raggiungevano le 5.500 tonnellate, rispetto alle 3.500 della precedente classe “Golf”, ma anch’essi erano armati con tre soli missili balistici, a fronte dei 16 imbarcati sulla classe “George Washington” dalle 6.900 tonnellate in immersione, in servizio negli stessi anni. Pur nella fretta con la quale erano stati obbligati a lavorare, i progettisti americani avevano saputo cogliere e valorizzare le nuove possibilità molto meglio dei loro colleghi e concorrenti sovietici.

A questi ultimi occorse un decennio per progettare e realizzare una generazione di sottomarini con caratteristiche in qualche modo paragonabili a quelle delle unità costruite dagli Stati Uniti a partire dal 1957. Si trattò di tre classi di battelli, mirate a svolgere le tre mansioni che la strategia sovietica attribuiva all’arma subacquea in caso di guerra:

- bombardamento nucleare strategico;

- eliminazione delle portaerei e delle maggiori unità di superficie nemiche; - negazione del dominio degli oceani alla flotta avversaria.

Le sigle assegnate dalla Nato a queste tre classi sono: “Yankee”, “Charlie” e “Victor”. Di queste tipologie ne furono costruite rispettivamente trentacinque, dodici e ventidue unità, con riferimento alla prima versione dei progetti, a partire dal 1967, anno di svolta nella produzione sovietica in tale ambito.41

Gli “Yankee” erano la risposta sovietica alla classe “George Washington”, ai quali erano analoghi per tonnellaggio, numero di missili balistici imbarcati e disposizione dei pozzi di lancio. I “Victor” potevano venire assimilati agli “Sturgeon”, rispetto ai quali avevano simile dislocamento e molte altre caratteristiche. I “Charlie”, in quanto lanciamissili da crociera, non avevano controparti fra i sottomarini statunitensi.

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1.5 Gli anni del gigantismo subacqueo

Per una complessa serie di ragioni, in parte già descritte nei paragrafi precedenti, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica imboccarono nel corso degli anni Sessanta strade divergenti nella progettazione e costruzione di sottomarini. È in questi anni che si definì la funzione strategica che sarebbe stata assegnata alla componente subacquea delle due forze contrapposte; un periodo in cui giunsero infine a piena maturazione gli atteggiamenti mentali e le basi ingegneristiche delle due scuole, le quali si sarebbero affrontate fino alla fine della Guerra Fredda. Per entrambe le Marine vennero investite ingenti somme nel settore in questione, portando a quello che oggi è chiamato il gigantismo subacqueo.42

Partendo dal fronte americano, forte della sua capacità di lobbing presso i membri del congresso, l’ammiraglio Rickover vinse la sua battaglia per sviluppare sottomarini con caratteristiche di massima sicurezza garantita appunto dalle grandi dimensioni, inoltre la propulsione sarebbe stata assicurata dai reattori di nuova generazione “S6G”. Tutte le unità entrate in servizio dopo il 1961 fecero parte di due macro famiglie: i lanciamissili balistici, con funzioni strategiche e gli “hunters”, ossia i cacciatori, destinati alla lotta antisom. In entrambi i casi si procedette per classi, con miglioramenti progressivi e una dotazione di accorgimenti elettronici e tecnologici sempre più sofisticati, determinando un continuo aumento delle capacità, delle prestazioni e di conseguenza dei costi. Nella prima filiera si passò dalle 6.700 tonnellate in immersione della classe “George Washington” alle 8.250 dell’USS Nathanael, consegnato nel 1964. Per i sottomarini d’attacco si partì dalle 3.500 del capostipite USS Skipjack del 1956 per giungere alle 4.300 dell’USS Richard B. Russel entrato in servizio nel 1975, ultimo della classe “Sturgeon”. I due principali obiettivi nella realizzazione dei nuovi battelli furono la riduzione della rumorosità e la necessità di imbarcare le nuove e più voluminose tipologie di armi che si andavano sviluppando. Le unità sopra citate rappresentarono solo una fase transitoria. Con la classe “Los Angeles”, che rimpiazzò definitivamente la “Sturgeon” si arrivò alle 6.000 tonnellate, mentre con gli “Ohio”, che seguirono gli ultimi “Lafayette” di 8.250 tonnellate, si raggiunse il record statunitense di 18.700. Si pensi che queste ultime pareggiarono il dislocamento della corazzata Dreadnought risalente al 1906 e degli incrociatori più moderni della Seconda Guerra Mondiale. Il Los Angeles entrò in servizio il 13 novembre del 1976 e la sua classe si sarebbe rilevata la più numerosa fra tutte quelle mai realizzate a propulsione atomica, raggiungendo le quarantasette unità nel 1991 e le sessantadue negli anni successivi. Dimostrarono grande adattabilità nella progettazione, diventando la prima classe statunitense adibita al lancio di missili da crociera, i nuovi “Tomahawk”, imbarcati dal 1984.43

Il 13 novembre del 1981 il segretario per la Marina John Lehman annunciò ufficialmente il ritiro dal servizio attivo dell’ammiraglio Hyman Rickover, ormai ottantenne. Usciva così di scena il padre e padrone del sommergibilismo nucleare statunitense, del quale aveva condizionato in modo decisivo lo sviluppo. Due giorni prima della comunicazione del suo ritiro, entrò in servizio la più grande e costosa unità mai realizzata, appunto l’Ohio, il quale imbarcava il nuovo reattore “S8G”, progettato appositamente per questo gigante dal settore diretto per oltre trent’anni da Rickover. Quest’ultimo disponeva di ventiquattro missili balistici, i “Trident”, prodotti in due generazioni. I “C-4” dal 1980,

42 Norman Polmar-Kenneth J. Moore, Cold war sub marines: The design and construction of U.S. and Soviet

Submarines, cit., p. 188.

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con una gittata di 7.400 chilometri e un peso di 33 tonnellate e i “D-5” dal 1990, con peso quasi doppio rispetto ai primi e con portata di 12.000 chilometri, imbarcati solo dalla classe “Ohio” per le considerevoli dimensioni. L’Ohio partì per la sua prima missione di deterrenza nell’ottobre 1982 e la lentezza nello sviluppo di questa classe consentì ai sovietici di organizzare la loro risposta cantieristica in tempi che si rivelarono molto ravvicinati rispetto a quelli statunitensi e che si concretizzò nella mastodontica classe “Typhoon” della quale si tratterà a breve.44

I tratti propri dei sottomarini sovietici del periodo rispetto a quelli statunitensi sono molteplici: - una compartimentazione più frazionata;

- un sistema di macchina basato su due reattori anziché uno;

- una superiore riserva di galleggiabilità, mantenuta a garanzia di una più agevole emersione; - migliori doti di resistenza alla pressione, con la conseguente possibilità di raggiungere

profondità maggiori;

- l’impiego preferenziale della doppia elica, protratto a lungo nel tempo e mantenuto fino alla fine per le unità balistiche;

- la propensione a ridurre il numero di componenti dell’equipaggio attraverso la massima automazione possibile, per la scarsa disponibilità di personale specializzato.

La differenza più significativa con le realizzazioni americane stava inoltre nella classe “Charlie”, i lanciamissili da crociera, prodotti prima in una serie di undici e poi in una seconda da sei. Il tipo di missili imbarcati da queste era il modello “SS-N-9”, con una gittata di 100 chilometri, rendendo tali unità molto temibili per le portaerei avversarie. Bisogna notare che i “Charlie”, nonostante imbarcassero numerosi missili antinave, avevano un dislocamento contenuto, meno di 4.550 in immersione. Non ci sono tracce di tendenza al gigantismo da parte degli ingegneri sovietici durante gli anni Sessanta e Settanta.

Un ulteriore testimonianza dell’importanza conferita dai sovietici ai battelli antinave è il varo, nel 1968, del K-162, ribattezzato K-222, ma conosciuto anche come Zolotaja Rybka, il pesce d’oro in russo, per il costo elevatissimo che la sua realizzazione comportò. A quasi ogni innovazione avanzata dal governo sovietico, il K-162, forniva una risposta convincente, a cominciare dal materiale impiegato per la costruzione, il titanio. I pregi dell’utilizzo di tale lega in questo settore consistono in un peso inferiore ai materiali precedentemente utilizzati, una maggiore resistenza alla corrosione e all’essere antimagnetico, caratteristica molto utile.45 L’armamento principale previsto

era costituito da dieci tubi orientati in avanti e ubicati nella zona anteriore del battello, contenenti altrettanti nuovissimi “Amethyst”, gli “SS-N-7” nella denominazione NATO, missili da crociera a propellente solido, lanciabili in immersione a 30 metri di profondità con una gittata di 60 chilometri. Già dai primi test e collaudi il sottomarino dimostrò eccellenti doti. Raggiunse la profondità massima di 400 metri e toccò l’impensabile velocità di 44,7 nodi, stabilendo il record per un veicolo subacqueo con equipaggio a bordo. Ovviamente ne risentì altrettanto incredibilmente la rumorosità, che in aggiunta al fattore costi, convinse la Marina sovietica a non produrre altre unità della stessa classe. La funzione di lanciamissili da crociera rimase affidata ai “Charlie” e agli

44 Per un’immagine delle unità della classe “Ohio”vedi in Appendice l’Allegato 22. 45 Sergio Valzania, Guerra sotto il mare, cit., pp. 110-112.

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