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CORRELAZIONE TRA VARIABILI CLINICO-PATOLOGICHE, UTILIZZO DEL BEVACIZUMAB, STATO MUTAZIONALE DEL BRCA E OUTCOME CLINICO NELLE PAZIENTI CON CARCINOMA OVARICO AVANZATO SOTTOPOSTE A CHIRURGIA CITORIDUTTIVA PRIMARIA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN GINECOLOGIA E OSTETRICIA

Direttore: Prof. T. Simoncini

Tesi di specializzazione

CORRELAZIONE TRA VARIABILI CLINICO-PATOLOGICHE, UTILIZZO DEL BEVACIZUMAB, STATO MUTAZIONALE DEL BRCA E OUTCOME CLINICO NELLE

PAZIENTI CON CARCINOMA OVARICO AVANZATO SOTTOPOSTE A CHIRURGIA CITORIDUTTIVA PRIMARIA

RELATORE Chiar.mo Prof. Angiolo Gadducci

CANDIDATO

Dr.ssa Ilaria Guiggi

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SOMMARIO

RIASSUNTO ... 1 INTRODUZIONE ... 4 Epidemiologia ... 4 Classificazione istologica ... 6 Patogenesi ... 12

Fattori di rischio e fattori protettivi del carcinoma ovarico ... 17

Clinica ... 20 Screening e prevenzione ... 21 Diagnosi ... 23 Stadiazione ... 25 Vie di diffusione ... 27 Fattori prognostici ... 29 Terapia ... 30 Trattamento chirurgico ... 30 Trattamento medico ... 36 Follow up ... 45

OBIETTIVI DELLA TESI ... 47

MATERIALI E METODI ... 48

RISULTATI ... 51

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 67

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RIASSUNTO

Il carcinoma ovarico occupa il settimo posto tra i tumori maligni diagnosticati nella donna e rappresenta circa il 30% delle neoplasie dell’apparato genitale femminile. L’attuale standard di trattamento della malattia avanzata consiste nella chirurgia citoriduttiva primaria (Peritoneal Debulking surgery, PDS) seguita da chemioterapia a base di carboplatino (CBDCA) e taxolo (PTX); sebbene il carcinoma ovarico epiteliale sia una malattia sensibile alla chemioterapia, la prognosi rimane infausta. La ricerca degli ultimi anni ha quindi cercato di sviluppare nuove terapie a bersaglio molecolare da affiancare alla terapia standard per migliorare l’outcome clinico di questa malattia (Bevacizumab e PARP inibitori).

Obiettivi della tesi sono stati:

i. L’analisi della sopravvivenza libera da progressione (Progression free survival PFS) e della sopravvivenza globale (Overall Survival, OS) nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato di alto grado con i fattori prognostici clinici, patologici e biologici; ii. Lo studio del comportamento clinico del carcinoma ovarico recidivante in funzione dell’utilizzo o meno del Bevacizumab nel trattamento di prima linea e dello stato mutazionale del BRCA germinale.

In questa tesi sono state analizzate retrospettivamente 143 pazienti affette da carcinoma ovarico di alto grado in stadio FIGO III-IV sottoposte a PDS seguita da chemioterapia a base di CBDCA e PTX. Le percentuali di citoriduzione completa (58,7%) sono sovrapponibili a quelle riportate nei lavori dei Centri Oncologici di riferimento internazionali. Le percentuali di risposte cliniche complete (81,8%), la PFS a 5 anni (25,6%) e la OS a 5 anni (65,1%) sono in accordo con i dati della letteratura. La malattia residua dopo chirurgia e la risposta clinica al trattamento di prima linea correlano significativamente sia con la PFS sia con la OS.

Per quanto riguarda l’utilizzo del Bevacizumab in prima linea in aggiunta al regime CBDC e PTX, le percentuali di risposta completa al trattamento primario sono maggiori nelle

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pazienti che hanno ricevuto questo farmaco rispetto a quelle che non lo hanno ricevuto e le percentuali di ripresa di malattia nelle complete responders sono più basse in chi ha ricevuto l’antiangiogenetico rispetto a chi non lo ha ricevuto. Tuttavia, nelle complete responders andate incontro a ripresa di malattia, abbiamo osservato una peggior sopravvivenza post-recidiva nelle pazienti trattate con il Bevacizumab in prima linea rispetto a quelle non trattate (p<0.001). Confrontando le 71 pazienti sottoposte a terapia di prima linea con Bevacizumab e le 72 che non hanno ricevuto l’antiangiogenico, abbiamo osservato un trend a una migliore PFS a 2 anni (si versus no: 65,0% versus 46,5%, p=0,074) che viene successivamente perso a 5 anni (si versus no: 17,7% versus 27,4%, p=0,396), senza alcun vantaggio in termini di OS, in accordo con i dati della letteratura. Ulteriori studi sono necessari per verificare se il comportamento biologico della ripresa di malattia è diverso nelle pazienti trattate con il Bevacizumab rispetto a quelle non trattate con questo anticorpo monoclonale e se questo può, almeno in parte, spiegare l’apparente assenza di beneficio in termini di OS dell’aggiunta del Bevacizumab alla chemioterapia.

Recenti studi hanno osservato un migliore outcome clinico dei carcinomi ovarici associati a mutazione germinale di BRCA (gBRCAm), caratterizzato da una più giovane età alla diagnosi, una maggiore incidenza di istologia sierosa di alto grado, uno stadio più avanzato al momento della diagnosi, una più ampia distribuzione viscerale di malattia ma più alte percentuali di risposta al platino sia in prima linea che in ulteriori linee di trattamento. Il BRCA è anche biomarker predittivo di sensibilità al trattamento con i PARP inibitori recentemente approvati per l’utilizzo terapeutico nel carcinoma ovarico. Nel nostro centro l’uso sistematico del test è stato introdotto solo recentemente e, per questo motivo, i numeri a disposizione non ci consentono ancora di raggiungere la significatività statistica nello studio dei dati clinici. Tuttavia, dall’analisi delle 99 pazienti per le quali era disponibile il risultato del gBRCA, sono emersi dati coerenti con il comportamento biologico descritto in letteratura. Analizzando i pattern di sviluppo di platino-resistenza in funzione dello stato mutazionale di BRCA, abbiamo osservato che le pazienti gBRCAm vanno incontro a sviluppo di platino-resistenza dopo un più lungo intervallo di tempo (46 mesi versus 32 mesi, p=0,8123) rispetto a quelle senza mutazione BRCA (gBRCAwt) e analizzando le complete responders andate incontro a ripresa di malattia, abbiamo riscontrato un trend ad una miglior sopravvivenza dopo la recidiva nelle pazienti gBRCm rispetto a quelle gBRCwt. Questo risultato, come riportato in letteratura, potrebbe essere legato a una

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maggior chemiosensibilità legata al deficit nella riparazione per ricombinazione omologa BRCA correlato. Ulteriori ricerche serviranno per confermare tale ipotesi e svilupparne le implicazioni cliniche, anche in relazione alla recente introduzione dei PARP inibitori.

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INTRODUZIONE

Epidemiologia

Il carcinoma ovarico occupa il settimo posto tra i tumori maligni diagnosticati nelle donne e rappresenta circa il 30% delle neoplasie dell’apparato genitale femminile.1 Ogni

anno nel mondo sono stimati circa 239.000 nuovi casi di carcinoma ovarico e circa 152.000 decessi per tale patologia.1 L’incidenza maggiore è in Europa e in Nord America, la più bassa

in Africa ed in Asia.2 Secondo il censimento ufficiale dell’Associazione Italiana di Oncologia

Medica (AIOM) e dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) nel 2017 sono state circa 5.200 le diagnosi stimate in Italia. Per quanto riguarda l’età, il tumore dell’ovaio rappresenta il 3%, il 4% e il 3% di tutti i tumori femminili, rispettivamente nelle fasce 0-49, 50-69 e 70+ anni3. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore dell’ovaio nell’arco della

vita di una donna sia di 1 su 74: il rischio è estremamente basso nelle donne giovani (1 caso su 503) ed è pari nelle due fasce di età successive (1 caso su 175 e 169 donne, rispettivamente). Il trend di incidenza appare in diminuzione, in maniera statisticamente significativa: -1,1% per anno.

La sopravvivenza a 5 anni delle donne con tumore dell’ovaio in Italia è pari al 39,5%3,

infatti, a causa della sintomatologia aspecifica e tardiva, la malattia si presenta tipicamente in fase avanzata. Raro è il riscontro iniziale di una neoplasia limitata agli annessi o alla pelvi, scoperta il più delle volte occasionalmente durante un controllo di routine.

Le neoplasie ovariche primitive possono essere suddivise in epiteliali, germinali o dello stroma- cordoni sessuali. Le neoplasie epiteliali rappresentano il 75% di tutti i tumori ovarici e la stragrande maggioranza di quelli maligni (90%). Sono classificate secondo l’istotipo e sottoclassificate in base agli aspetti architetturali, alle caratteristiche nucleari e alla presenza o assenza di invasione stromale (benigni, maligni e borderline). Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza clinica in quanto si correla con la prognosi e con l’approccio terapeutico.

Le neoplasie non epiteliali costituiscono il restante 10% dei tumori maligni e si dividono in base alla loro origine, in tumori germinali e tumori stromali-cordoni sessuali: i primi originano dalle cellule germinali, mentre gli altri dallo stroma gonadico differenziato. I tumori a cellule germinali sono le più comuni neoplasie ovariche in età pediatrica e

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giovanile, mentre i tumori stromali sono più frequenti nelle donne adulte. Questi ultimi sono i più frequenti tumori funzionanti associati a manifestazioni endocrine, in quanto sono composti da cellule dello stroma ovarico, specializzate nella produzione di ormoni steroidei (estrogeni o androgeni).

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Classificazione istologica

La classificazione anatomopatologica classica del tumore ovarico epiteliale prevedeva come istotipi principali:

• Tumori sierosi; • Tumori mucinosi; • Tumori endometrioidi; • Tumori a cellule chiare; • Tumori a cellule transizionali;

Ogni istotipo veniva ulteriormente sottoclassificato in benigno, borderline e maligno a seconda dell’entità della proliferazione epiteliale, della presenza o meno di atipie cellulari e della presenza o assenza di invasione stromale. Istotipi più rari erano: tumori squamosi, misti e indifferenziati. 4

Numerosi studi scientifici eseguiti negli ultimi anni hanno portato ad una nuova comprensione della biologia del carcinoma ovarico, come conseguenza nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) ha pubblicato una revisione di tale classificazione. Nell’ultima edizione gli istotipi principali sono:

• Tumori sierosi; • Tumori mucinosi; • Tumori endometrioidi; • Tumori a cellule chiare; • Tumori di Brenner; • Tumori siero-mucinosi

Per ogni istotipo permane la sotto-classificazione in benigno, borderline e maligno. Il nome del precedente gruppo di tumori chiamato “tumori a cellule di transizione” è stato sostituito da “tumori di Brenner” ed è stata introdotta una nuova entità, il gruppo dei “tumori sieromucinosi”. I tumori misti e i tumori squamosi sono stati eliminati dalla classificazione. 4, 5

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Tumori sierosi

Rappresentano la variante più comune (42%), più frequentemente sono benigni o borderline (75%). La variante benigna è caratterizzata da cellule epiteliali che assomigliano a quelle tubariche, comprese le cellule ciliate. La componente epiteliale può essere associata a una prominente componente stromale (cistoadenofibroma, adenofibroma) può non presentare componente stromale (cistoadenoma) o formare una lesione papillare interamente superficiale (papilloma di superficie). Possono coesistere diverse combinazioni di pattern di crescita. Macroscopicamente i tumori cistici variano da 1 fino a 30 cm di diametro, hanno superficie esterna liscia e contengono uno o più cisti a pareti sottili riempite con fluido chiaro. I cistoadenofibromi sono composti da cisti circondate da tessuto fibroso, gli adenofibromi sono tipicamente solidi e i papillomi di superficie sono esofitici.

I tumori sierosi borderline (serous borderline tumours, SBT) o tumori sierosi a proliferazione atipica (atypical proliferative serous tumours, APST) sono tumori non invasivi che mostrano proliferazione epiteliale e atipie citologiche di media entità tra la variante benigna e quella maligna. Nella maggioranza dei casi i pazienti presentano una lesione confinata all’ovaio, tipicamente cistica spesso associata a una componente di superficie. Sono bilaterali in circa un terzo dei casi. Istologicamente sono caratterizzati da papille irregolari che si ramificano gerarchicament, terminando in piccoli gruppi sparsi di cellule epiteliali. In circa 50% dei casi sono presenti mutazioni somatiche di KRAS e BRAF. La prognosi è ottima. I casi di decesso legati a SBT o APSTs sono dovuti a trasformazione maligna, che avviene in circa 5% dei casi.

Esistono due varianti maligne di tumore ovarico sieroso, caratterizzate da due differenti percorsi patogenetici: il carcinoma sieroso di basso grado (slow-grade serous

carcinoma, LGSC) e il carcinoma sieroso di alto grado (high-grade serous carcinoma, HGSC).

Il LGSC rappresenta circa 5% dei carcinomi sierosi. È un tumore invasivo con cellule con atipia citologica di basso grado. È spesso bilaterale. Macroscopicamente è caratterizzato da lesione ovarica cistica, con papille sottili ed esili, calcificazioni. Spesso è associato a una componente borderline. In confronto all’ HGSC, la necrosi è rara, i corpi psammomatosi sono più frequenti e l’attività mitotica è inferiore. Dal punto di vista molecolare presenta mutazione di KRAS e BRAS.

L’ HGSC è un carcinoma invasivo composto da cellule epiteliali a crescita papillare, ghiandolare o solida, con atipie cellulari di alto grado. È spesso bilaterale, e si presenta

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come massa solida di dimensioni variabili, con aree necrotico-emorragiche e aree cistiche, a crescita esofitica, con papille. Dal punto di vista immunoistochimico l’espressione nucleare di WT1 è marker diagnostico. Dal punto di vista genetico è caratterizzato da alterazioni di p53. Inoltre è stimata l’inattivazione di BRCA1 e BRCA2 in circa la metà dei casi di HGSC.

Vi è inoltre una forma anatomo-patologica definita tumore borderline a variante micropapillare/carcinoma sieroso di basso grado non invasivo (non-invasive LGSC) che è una forma di tumore sieroso non invasivo, caratterizzato dal punto di vista istologico da una miriade di esili micropapille a crescita non gerarchica. Epidemiologia e aspetti macroscopici sono simili a quelli dei tumori borderline, ma istologicamente l’indice mitotico e le atipie nucleari sono lievemente peggiori. La prognosi degli stadi iniziali è eccellente, ma in caso di stadio avanzato i tassi di sopravvivenza sono simili a quelli del LGSC invasivo.5

Tumori mucinosi

La variante benigna è caratterizzata da una formazione cistica rivestita da epitelio mucinoso di tipo gastrointestinale (cistoadenoma mucinoso), Nel 95% dei casi sono tumori unilaterali, a superficie liscia, uniloculari o multiloculari, di dimensioni variabili dai pochi centimetri a oltre 30 cm. Molto raramente tumori benigni mucinosi presentano denso stroma fibroso (adenofibroma mucinoso).

La variante borderline è caratterizzata da atipie lievi e moderate e proliferazione cellulare maggiore di quella mostrata nella variante benigna. L’ invasione stromale è assente. Questo tipo di tumori sono unilaterali, a superficie esterna liscia, composti da cisti di varie dimensioni contenenti mucina e alcune volte aree solide. Questo tipo di tumore sembra svilupparsi dal cistoadenoma mucinoso e può essere associato ai tumori dermoidi o di Brenner. Dal punto di vista genetico presenta mutazioni di KRAS.

Il carcinoma mucinoso rappresenta il 3% dei casi di carcinoma ovarico. Tipicamente forma larghe masse solido-cistiche unilaterali. Al contrario della forma sierosa, la maggior parte dei casi di carcinoma mucinoso si presentano in stadio iniziale. Dal punto di vista microscopico spesso vi è un continuum cito-architetturale che include aree benigne, borderline e maligne. Il pattern di invasione può essere di tipo espansivo o di tipo infiltrativo, più raro. In caso di tumore mucinoso di tipo infiltrativo e bilaterale, deve essere posto il sospetto di metastasi da carcinoma mucinoso di origine extraovarica. Dal punto di

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vista istogenetico i carcinomi mucinosi si siluppano dalla forma borderline, tuttavia in alcuni casi possono originare da un teratoma o da tumori di Brenner. Mutazioni somatiche di KRAS sono tipiche. Nel 15-20% dei casi vi può essere amplificazione di HER2.

Tumori endometrioidi

Il carcinoma endometrioide è il secondo più comune istotipo di carcinoma ovarico, rappresentando il 10-15% dei casi; è un tumore invasivo che ricorda le caratteristiche anatomo-patologiche del carcinoma dell'endometrio del corpo uterino. Fino al 42% dei casi sono associati ad endometriosi e il 15-20% dei casi sono coesistono col carcinoma endometriale, suggerendo che alcuni casi di carcinoma ovarico endometrioide possano condividere fattori di rischio col carcinoma endometriale. Il grading del carcinoma endometrioide ovarico è lo stesso del carcinoma endometriale. La variante di alto grado ha lo stesso aspetto dell’HGSC e si distingue da quest’ultimo grazie a caratteristiche istologiche e immunochimiche. La presenza di alterazioni genetiche simili nell’endometriosi, nei tumori borderline endometrioidi e nel carcinoma endometrioide di basso grado supporta l’ipotesi dell’endometriosi come precursore delle lesioni. L’istogenesi del carcinoma endometrioide di alto grado non è chiara, poiché molti tumori che sono stati classificati nel passato come endometrioidi in realtà erano dei HGSC con differenziazione ghiandolare pseudoendometrioide. Tuttavia in alcuni carcinomi endometrioidi di alto grado con diagnosi certa si è visto essere presenti le stesse alterazioni molecolari del carcinoma endometrioide di basso grado, come ad esempio mutazioni di p53, e sono stati ritrovate aree ben differenziate nel contesto di aree moderatamente e scarsamente differenziate, suggerendo che i carcinomi scarsamente differenziati possano derivare da una progressione carcinomatosa dei carcinomi di basso grado. Inoltre sia i carcinomi che i borderline endometriodi sono stati frequentemente associati all’endometriosi. Tale associazione è supportata dai recenti studi di biologia molecolare, che hanno evidenziato in questi tumori mutazioni genetiche simili (Inattivazione ARID1A e mutazioni di PTEN). 5, 6

Tumori a cellule chiare

Il carcinoma a cellule chiare è’ una variante che rappresenta il 5% dei carcinomi epiteliali ovarici. Nel 50-70% dei casi è associato ed endometriosi. Macroscopicamente si

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presenta come formazione di circa 15 cm di diametro, monolaterale, che in consistenza varia da solida a solido-cistica a principalmente cistica, con noduli giallo pallido carnosi circondanti cisti endometriosiche. Microscopicamente è costituito da cellule chiare, così chiamate per l’abbondante presenza di glicogeno nel loro citoplasma che conferisce ad esse un aspetto otticamente vuoto, distribuite in papille, aree solide o aree tubulo-cistiche. Spesso si ritrovano cellule “hobnail” così definite per la presenza di nuclei apicali ipercromatici. Le alterazioni geniche più comuni includono mutazioni geniche di ARID1A, PIK3CA e PTEN. Il carcinoma a cellule chiare è inoltre associato alla sindrome di Lynch, più comunemente con mutazioni germinali di MSH2. Questo tipo di neoplasia presenta una bassa risposta alla chemioterapia standard, determinando basse percentuali di sopravvivenza negli stadi avanzati.

Tumori di Brenner

I tumori di Brenner sono soprattutto benigni o borderline. La variante maligna rappresenta meno del 5% dei casi. La variante benigna è caratterizzata da nidi di cellule di tipo transizionale, simili alle cellule uroteliali, con stroma fibromatoso. Macroscopicamente sono tumori piccoli, raramente superano i 10 cm. Sono solidi, a consistenza gommosa, giallo-grigi al taglio. Un quarto dei casi è associato ad altri istotipi istologici, soprattutto mucinosi. L’istogenesi non è molto chiara. Alcuni studi hanno ipotizzato che possano originare da nidi di cellule di epitelio metaplastico di transizione che si sono invaginati all’interno del sottostante tessuto paratubarico (Walthard cells). 6 Alcuni autori hanno

anche suggerito che l’associazione coi tumori mucinosi sia dovuta alla proliferazione di epitelio mucinoso presente nel tumore di Brenner con sviluppo di un cistoadenoma, che crescendo comprime e oblitera il tumore di Brenner stesso. Questa ipotesi è supportata anche da un recente studio che ha individuato componenti clonali correlati.6 La variante

maligna ricorda il carcinoma uroteliale invasivo, è composto da masse irregolari di cellule transizionali maligne, più raramente da cellule squamose. Macroscopicamente sono tumori solidi di circa 15-20 cm di diametro e tipicamente presentano una componente benigna fibrosa e calcifica. Componenti mucinose possono coesistere. Circa l’80% dei casi sono in stadio iniziale, a buona prognosi. 5

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Tumori sieromucinosi

Il cistoadenoma sieromucinoso è una neoplasia benigna caratterizzata da due o più tipi cellulari di origine mülleriana, più spesso sieroso e mucinoso di tipo endocervicale, ma possono essere presenti cellule endometrioidi, cellule chiare, transizionali o squamose. Costituiscono circa l’1% di tutti i tumori benigni ovarici. Nel passato venivano considerati come subset di tumori mucinosi (tumori mucinosi di tipo endocervicale). Circa un terzo dei casi è associato ad endometriosi. I tumori borderline macroscopicamente sono formazioni ovariche di circa 8-10 cm, uniloculari, a superficie liscia e contenuto fluido con escrescenze papillari friabili che occupano porzioni variabili di parete e occasionali aree solide. Possono essere presenti foci emorragici, indicanti frequentemente presenza di endometriosi. Sono bilaterali fino al 40% dei casi. L’associazione con l’endometriosi, positività di ER a mancanza di espressione di WT1 suggeriscono una stretta relazione con le neoplasie endometrioidi e a cellule chiare, associazione che è ulteriormente supportata dal ritrovamento di mutazioni di ARID1A. La variante maligna è piuttosto rara, con pochi dati epidemiologici disponibili. L’istogenesi di questo tipo tumorale dati gli scarsi dati è incerta, ma la coesistenza con i tumori borderline e l’endometriosi fanno presupporre che l’endometriosi possa essere il precursore.5

Carcinoma indifferenziato

Il carcinoma indifferenziato è un tumore maligno epiteliale che non mostra differenziazione tipica di nessun tipo cellulare mülleriano. È poco comune e molto aggressivo. Si presenta come massa solida con ampie aree di necrosi. In un subset di carcinomi indifferenziati è stata evidenziata un’associazione coi tumori endometrioidi di basso grado, suggerendo una possibile progressione dal carcinoma endometrioide. In quasi la metà dei casi è stata identificata alterazione del mismatch repair. 5

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Patogenesi

L’origine e la patogenesi del carcinoma ovarico hanno reso perplessi i ricercatori per decenni. Nonostante numerosi studi che hanno attentamente analizzato le ovaie alla ricerca di lesioni che potessero dare origine al carcinoma, nessun precursore era stato individuato. La visione prevalente sulla carcinogenesi ovarica considerava i carcinomi ovarici come un’unica malattia, essendo la grande maggioranza rappresentata da carcinomi sierosi di alto grado, e prevedeva che originassero da cisti di inclusione corticale (cortical inclusion cysts, CIC) che si sviluppano dall’epitelio ovarico di superficie (ovarian surface epithelium, OSE). 7, 8

Nel 1971 Fathalla propose la teoria dell’ovulazione incessante (Incessant Ovulation) per spiegare l’eziopatogenesi del carcinoma ovarico. Secondo questa teoria il carcinoma ovarico deriverebbe dall'epitelio di rivestimento della gonade stessa, che in realtà è un mesotelio. La soluzione di continuo della superficie ovarica, dovuta alla deiscenza follicolare, rappresenterebbe il primum movens del processo di carcinogenesi; in particolare, in seguito alla soluzione di continuo, si verificherebbe un processo di invaginazione delle cellule dell’epitelio superficiale, le quali approfondandosi nello stroma sottostante, andrebbero a formare una cisti inclusionale. L’epitelio superficiale così intrappolato nelle CIC avrebbe un rischio più elevato di trasformazione neoplastica. Le numerose rotture e riparazioni sarebbero responsabili della trasformazione dell’epitelio (da mesotelio a epitelio mülleriano), delle mutazioni genetiche a suo carico e della successiva trasformazione maligna. Successive ricerche hanno confermato l’importanza dei processi infiammatori che seguono al traumatismo dell’epitelio ovarico nel periodo post-ovulatorio e che potrebbero avere un ruolo nella promozione della trasformazione maligna.

8, 9

Successivi studi morfologici e molecolari hanno illuminato la comprensione dell’eziopatogenesi del carcinoma ovarico, provocando un cambiamento radicale nell’approccio e al management di tale malattia. Innanzitutto si è visto come il carcinoma ovarico non sia un’unica entità, ma sia un insieme eterogeneo di diversi tipi tumorali con peculiari aspetti clinicopatologici.7 Nel 2004 Kurman propose un modello dualistico di

carcinogenesi ovarica che divideva i tumori epiteliali ovarici in due grandi gruppi (tumori di tipo I e tipo II) nel tentativo di svelare e correlare i complicati meccanismi molecolari coinvolti nella patogenesi tumorale con la classificazione istopatologica.10 Recentemente

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tale modello è stato rivisitato integrando le ultime scoperte che hanno fatto luce sulla carcinogenesi ovarica con la nuova classificazione anatomopatologica redatta dal WHO nel 2014.

Tumori di tipo I

I carcinomi di tipo I solitamente si presentano come grandi formazioni cistiche, unilaterali. Sono tumori di basso grado, con l’eccezione del carcinoma a cellule chiare, che non presenta grading ma è considerato di alto grado. Tendono a progredire in modo lento e indolente. Quando confinati all’ovaio hanno una prognosi eccellente, ma in caso di stadio avanzato l’outcome è pessimo. Sono responsabili di circa il 10% dei decessi per carcinoma ovarico. I tumori di tipo I comprendono: il LGSC, il carcinoma endometrioide, il carcinoma a cellule chiare, il carcinoma mucinoso, il carcinoma di Brenner e il carcinoma sieromucinoso. Dal punto di vista molecolare i tumori di tipo I si distinguono per la relativa stabilità genetica, al contrario dei tumori di tipo II caratterizzati da marcata instabilità cromosomica. Altre importanti caratteristiche molecolari sono le frequenti mutazioni somatiche a carico di PIK3CA, PTEN, beta1 catenina, KRAS, BRAF, MAP, ERK, ARID1A che determinano anormalità nei percorsi che regolano la cancerogenesi. Tra questi vi sono la via ERRB2/KRAS/BRAF/MEK (trasduzione del segnale coinvolto nell’attivazione della mitosi cellulare), la via PI3K/AKT (coinvolta nella crescita cellulare e apoptosi), la via Wnt (coinvolta nella proliferazione e nella motilità cellulare), l’inattivazione di PTEN (gene oncosoppressore), il rimodellamento della cromatina ARID1A correlato e i meccanismi del mismaitch repair.

Una differenza fondamentale tra tumori di tipo I e tumori di tipo II è la progressione tumorale originante da lesioni precursori differenti. I tumori di tipo I si sviluppano da lesioni benigne ben definite, soprattutto borderline o tumori a proliferazione atipica, mimando la sequenza adenoma/carcinoma del carcinoma colorettale. 6

Tumori di tipo II

I carcinomi di tipo II si presentano quasi sempre in stadio avanzato. Sono tumori di alto grado, aggressivi e a rapida progressione. Solitamente il volume delle masse ovariche, tipicamente bilaterali, è inferiore a quello delle lesioni di tipo I, ma la diffusione di malattia

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è di gran lunga maggiore, con importante coinvolgimento peritoneale e ascite. Sono responsabili di circa il 90% dei decessi per carcinoma ovarico.

I tumori di tipo II comprendono: l’HGSC, il carcinoma indifferenziato e il carcinosarcoma. Nel nuovo modello l’HGSC viene ulteriormente diviso in due gruppi morfologici: “usual type” e “SET variant” (solido, pseudoendometrioide e transizionale) e in quattro sottogruppi molecolari, dei quali tuttavia non si ha ancora riscontro morfologico.

Dal punto di vista molecolare i tumori di tipo II si caratterizzano per la marcata instabilità cromosomica, causata sia da alterazioni a carico dei meccanismi di riparazione del DNA mediante ricombinazione omologa, sia a inattivazione della via p53 e attivazione del pathway ciclina E. Da sottolineare che la mutazione di p53, importante gene oncosoppressore, è ubiquitaria ed è stata caratteristica distintiva di questo gruppo tumorale fin dalla prima classificazione. In passato si pensava che i tumori di tipo II si sviluppassero de novo dall’ OSE, poiché nessun precursore tumorale era stato identificato. Negli ultimi anni è stato dimostrato che molti tipi di carcinoma di tipo II originano da un carcinoma intraepiteliale tubarico, generalmente localizzato a livello delle fimbrie, denominato STIC. 6

Origine dell’HGSC

Lo STIC è stato descritto inizialmente in donne con familiarità positiva per carcinoma ovarico affette da mutazioni germinali BRCA e sottoposte a salpingo-ovariectomia bilaterale (SOB) profilattica. Fu sorprendente per i ricercatori non riscontrare la stessa lesione nelle ovaie, poiché vigeva l’assunto che il precursore del tumore ovarico sarebbe stato individuato nell’ovaio stesso. Tale ritrovamento si deve all’introduzione di nuove metodiche di campionamento istologico che prevedevano una sezione accurata dell’intera tuba di Falloppio, in particolare a livello della fimbria.11-14 Successivamente lo STIC fu

individuato nel 50-60% delle pazienti con HGSC sporadico, sottoponendo le tube a questo tipo di analisi estensiva.15, 16 È stato osservato che lo STIC potesse essere una metastasi

invece che un precursore del carcinoma ovarico, ma le evidenze che si sono accumulate supportano lo STIC come precursore tumorale per almeno la maggioranza dei casi di HGSC. Innanzitutto già inizialmente lo STIC era stato ritrovato in donne BRCA positive sottoposte a SOB in assenza di un franco carcinoma ovarico. Più recentemente lo stesso ritrovamento è avvenuto in modo accidentale in donne sottoposte a SOB per chirurgia benigna.17, 18

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Ricerche molecolari che confermano questa teoria hanno evidenziato in donne affette in modo concomitante da HGSC e STIC lo stesso tipo di mutazione di p53 in entrambe le lesioni.19 Inoltre sempre in questo tipo di pazienti, si è visto come lo STIC presenti telomeri

più brevi del concomitante HGSC, e l’accorciamento dei telomeri rappresenta una delle alterazioni più precoci nei processi di cancerogenesi.20 Uno studio di ingegneria molecolare

eseguito su modelli animali, ha dimostrato come l’inattivazione di BRCA, PTEN, p53 comporti lo sviluppo di STIC e HGSC. In questi modelli, eseguendo una salpingectomia profilattica precoce, non si sviluppava nessun tumore, mentre né l’ovariectomia né l’isterectomia potevano prevenire il carcinoma.21 Infine, studi epidemiologici hanno

dimostrato che donne sottoposte a salpingectomia preventiva il rischio di HGSC era significativamente inferiore a donne non sottoposte a tale chirurgia.22

Sono stati inoltre ritrovati precursori dello STIC stesso. Lo STIC è un carcinoma confinato all’epitelio e nell’epitelio tubarico sono state descritte lesioni con atipie citologiche simili a quelle dello STIC ma insufficienti a soddisfare i criteri di diagnosi, definite lesioni sierose tubariche intraepiteliali o lesioni tubariche intraepiteliali di transizione. Inoltre sono state riportate in letteratura casi di aree di epitelio tubarico normale esprimenti p53, denominate “p53 signatures”. Il significato sia delle lesioni sierose tubariche intraepiteliali che delle “p53 signatures” non è stato ancora chiarito. 23, 24

Nel nuovo modello l’HGSC viene diviso in due gruppi morfologici: usual type e SET

type. I tumori SET type sono composti da cellule aggregate in masse solide che mimano i

carcinomi endometrioidi e a cellule di transizione ma con lo stesso profilo immunoistochimico degli HGSC usual type, inclusi p53, PTEN e WT1 e la stessa frequenza di mutazioni molecolari di p53. Comparati agli HGSC usual type, gli HGSC SET type sono più frequentemente associati a mutazioni BRCA1, ma meno frequentemente associati con lo STIC. È stato inoltre riportato che le pazienti affette da questo tipo di tumore siano più giovani e presentino un miglior outcome clinico. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che queste neoplasie, presentando un deficit nella riparazione per ricombinazione omologa, siano più chemiosensibili, come riportato per i carcinomi a cellule transizionali. 6

Sulla base delle differenze clinicopatologiche tra HGSC usual type e SET type, alcuni autori hanno proposto che possano svilupparsi attraverso differenti percorsi patogenetici, originando ad esempio da differenti tipologie di STIC. Sono ipotesi interessanti ma che richiedono ulteriori approfondimenti. 256

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16

Alcuni studi eseguiti sui carcinosarcomi e sul carcinoma peritoneale primitivo hanno mostrato che anche neoplasie sono associate allo STIC.6

La probabilità che altre sedi anatomiche come l’OSE o le CIC possano dare origine ad alcuni sottotipi di HGSC non può essere esclusa, ma attualmente soltanto pochi dati in letteratura supportano questa teoria. 6

Fattori tubarici e ovarici che influenzano lo sviluppo dell’HGSC

Dopo le nuove acquisizioni sulla carcinogenesi ovarica risulta importante la comprensione dei motivi per cui un tumore che sembra originarsi nella tuba si sviluppi più comunemente in sede ovarica. Per dare risposta a tale quesito Kurman ha proposto di interpretare il sistema tuba-ovaio-peritoneo come un ecosistema, influenzato da diversi fattori locali.7 Primo fattore è l’ovulazione, il cui ruolo importante era già stato riconosciuto

nella teoria di Fathalla del 1971.8 L’ipotesi è che il processo mensile di riparazione e

distruzione dell’epitelio di superficie ovarica, accompagnato da reazione infiammatoria, contribuisca al processo di carcinogenesi. Inoltre, il fluido follicolare rilasciato al momento dell’ovulazione e il sangue emolizzato a livello ovarico da mestruazione retrograda sono fonti di radicali liberi. Il ruolo dell’ovulazione è supportato anche da studi epidemiologici che hanno mostrato una riduzione del rischio di sviluppo del carcinoma ovarico direttamente correlato alla parità e all’uso di contraccettivi orali. 26 Altro fattore importante

sotto studio è lo stroma ovarico. Recentemente sono state individuate cellule stromali fortemente positive ai marker istochimici di steroidogenesi (inibina, calretinina, SF1) situate intorno a gruppi di cellule tumorali epiteliali, a loro volta esprimenti recettori ormonali (non solo HGSC ma anche LGSC e tumori endometriosi-correlati). L’ipotesi dei ricercatori è che cellule stromali attivate funzionalmente alla produzione ormonale, secernano ormoni steroidei che possano stimolare l’epitelio impiantatosi sull’ovaio. 27 È

noto infatti che le neoplasie ovariche possano esprimere recettori per estrogeni, progesterone ed androgeni. Queste osservazioni preliminari possono offrire importanti spunti di ricerca per la spiegazione del motivo per cui l’ovaio e non la tuba rappresenti il sito preferenziale per la crescita tumorale. 6

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Fattori di rischio e fattori protettivi del carcinoma ovarico

Contraccettivi orali

La letteratura epidemiologica degli ultimi decenni ha riportato in modo consistente che l’uso dei contraccettivi orali sia inversamente associato al rischio di carcinoma ovarico, indipendentemente dalla combinazione ormonale. L’effetto protettivo aumenta con una durata più lunga della terapia con circa il 20% di decremento del rischio ogni 5 anni di utilizzo, effetto protettivo che persiste fino a 20-30 anni dalla sospensione del farmaco. L’utilizzo dei contraccettivi oralicorrisponde alla prevenzione di circa30,000 casi ogni anno, ed è stato stimato abbia già prevenuto 200,000 casi e 100,000 morti negli ultimi 50 anni. 28

I contraccettivi a base di solo progestinico sono stati meno studiati, soprattutto per la minor prevalenza del loro uso, ma i dati disponibili suggeriscono un simile effetto protettivo. 29

Parità

L’associazione tra gravidanza e rischio di carcinoma ovarico è stata studiata ampiamente. Rispetto alle nullipare, le donne che hanno partorito hanno circa il 30%-60% di rischio in meno di sviluppare carcinoma ovarico e ogni gravidanza a termine successiva diminuisce il rischio di circa il 15%. L’effetto protettivo associato alla parità sembra essere evidente per tutti gli istotipi tumorli, sebbene risulti leggeremente più debole per i carcinomi sierosi rispetto a ad altri istotipi, soprattutto a cellule chiare ed endometriodi (20% di riduzione di rischio versus 50-70%). 1

Alimentazione

Nonostante numerosi studi epidemiologici, il legame tra dieta e carcinoma ovarico non è stato risolto. L’unica eccezione riguarda il consumo di vegetali e cereali, per i quali una maggiore assunzione sembra essere corelata a un rischio minore. Associations con specifici grassi e oli, pesce e carne e alcuni latticii sono inconsistenti e non permettono di trarre conclusioni certe. In modo simile, si hanno datti incoclusioni riguardo all’assunzione di tè e caffè.

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Fumo di sigaretta

La maggioranza degli studi finora effettuati concordano sul fatto che il fumo non rappresenti un fattore di rischio per il carcinoma ovarico. Alcuni dati da ricerche più recenti, condotte analizzando in modo separato il rischio per subset istologici, suggeriscono che il fumo possa essere correlato al rischio di carcinoma ovarico mucinoso in modo direttamente proporzionale alla dose, analogamente alle neoplasie mucinose gastrointestinali. 1

Consumo di Alcol

Consumo di alcol è stato correlato a un aumentato rischio di carcinoma mammario, in quanto provoca un aumento della concentrazione sierica e urinaria di androgeni, estrogeni e altri ormoni sessuali. Tuttavia studi legati al rischio di sviluppo di carcinoma ovarico sono risultati inconcludenti. 1

Talco

La polvere di talco è un silicato che è stato studiato ampiamente in relazione al carcinoma ovarico con risultati inconcludenti. Infatti mentre alcune ricerche di tipo patologico e biologico non supportano l’evidenza del talco come fattore cancerogeno, alcuni studi epidemiologici hanno indicato una possibile associazione tra talco e aumento del rischio di carcinoma ovarico. Analogamente non si hanno dati certi riguardo all’esposizione all’asbesto.

Familiarità

La storia familiare costituisce il più importante fattore di rischio per questo tipo di tumore.30 Le tre più comuni sindromi genetiche sono:

breast ovarian cancer syndrome

site specific ovarian cancer syndrome

• sindrome di Lynch tipo 2

Le prime due sindromi sono associate alla mutazione dei geni onco-soppressori BRCA1 e BRCA2, mentre quella di Lynch è associata alla mutazione dei geni del mismatch

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Nella breast ovarian cancer syndrome vi è un aumentato rischio di sviluppare sia il carcinoma mammario che quello ovarico. Le donne portatrici della mutazione BRCA1 hanno un rischio del 51% di sviluppare un tumore della mammella entro i 50 anni e dell’85% entro i 70. Per il tumore dell’ovaio vi è un rischio del 30% e del 66% rispettivamente entro i 60 e i 70 anni. In caso di mutazione BRCA2, l’insorgenza del tumore sarà più tardiva e il rischio è più basso per la mammella e per l’ovaio (11-30%) rispetto alla mutazione di BRCA1, ma vi è un maggior rischio di sviluppare un carcinoma mammario nel sesso maschile, un carcinoma pancreatico e il sottotipo B dell’anemia di Fanconi.

La site specific ovarian cancer syndrome è molto meno frequente rispetto alla precedente. In questa sindrome le pazienti hanno il rischio di sviluppare unicamente un tumore ovarico.

La sindrome di Lynch tipo 2 comporta un aumentato rischio di sviluppo di carcinoma del colon non associato a poliposi, carcinoma dell’endometrio, carcinoma dell’ovaio (2-4% dei tumori ovarici), carcinoma gastrico e mammario. É legata alla trasmissione autosomica dominante di mutazioni a carico di geni del Mismatch Repair System, implicati nella riparazione del DNA. 31

Un esiguo numero di carcinomi ovarici fa parte dello spettro di neoplasie che si possono sviluppare nella sindrome di Li-Fraumeni. Questa sindrome è caratterizzata da una mutazione del gene p53 (17p13), gene oncosoppressore essenziale nella protezione nei confronti di eventuali danni arrecati al DNA. Gli individui portatori di questa mutazione hanno un rischio aumentato di sviluppare diverse neoplasie, quali tumori del seno e dell’ovaio, sarcomi, leucemie acute, tumori cerebrali e carcinomi adrenocorticali.

Altre manifestazioni del carcinoma ovarico nel contesto di una sindrome eredito- familiare, ma con un’incidenza minore rispetto alle precedenti, sono: la Sindrome di Cowden, legata a una mutazione di PTEN, con associazione tra tumori ovarici e tumori cerebrali e la Sindrome di Gorlin, legata a una mutazione di PTC, con associazione tra tumori ovarici e nevi multipli. 3233

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Clinica

La clinica del carcinoma ovarico differisce tra i tumori di tipo 1 e di tipo 2. I primi si presentano come delle voluminose masse ovariche a lenta crescita, provocando una sintomatologia da compressione sulle strutture adiacenti, che può permettere una diagnosi precoce e conseguente incidenza favorevole sulla prognosi. I carcinomi di tipo 2, invece, hanno tipicamente un volume minore e quindi minori disturbi ginecologici, tuttavia risultano biologicamente più aggressivi e si diffondono rapidamente all’interno della cavità addominale, tanto che in oltre il 70% dei casi la diagnosi avviene in stadio avanzato. I sintomi, quando presenti, sono del tutto aspecifici; le pazienti riferiscono astenia, dolore e gonfiore addominale oppure possono riferire sintomi di natura gastrointestinale come nausea, vomito, sazietà precoce, dispepsia e costipazione oppure sintomi urinari. Oltre alla classica sintomatologia da malattia oncologica che si manifesta con astenia, cachessia, anoressia e decadimento fisico-psichico si aggiunge la distensione addominale, dovuta alla presenza di ascite legata alla produzione ingente di vascular endothelial growth factor [VEGF] da parte del tumore stesso; tale fattore, aumentando la permeabilità dei vasi determina un’abbondante trasudazione all’interno del cavo peritoneale. Il versamento addominale, se cospicuo, può causare una diminuita escursione del diaframma promuovendo quadri dispnoici. Oltre all’ascite il tumore può dare segno della sua presenza con fenomeni di tipo sub-occlusivo o francamente occlusivo a carico dell’intestino o una compressione a livello delle vie urinarie. Altri sintomi frequenti quanto aspecifici sono: senso di pesantezza e tensione addominale o vaga e mal delimitabile dolenzia lombare.

Uno studio prospettico caso-controllo ha analizzato i sintomi del carcinoma ovarico in 1709 donne. Il sintomo più comune è stato il dolore lombare (45%), seguito da astenia (34%), gonfiore addominale secondario ad ascite (27%), stipsi (24%), dolore addominale dovuto alle complicanze cui il tumore può andare incontro come emorragia, rottura o torsione del peduncolo (22%) e sintomi urinari quali stipsi, pollachiuria e disuria, dispareunia (16%). Tale studio mette in evidenza come questi sintomi siano più frequenti e di entità maggiore in donne affette dalla forma maligna del tumore rispetto a coloro che hanno una variante benigna. L’ occlusione intestinale è una tipica manifestazione tardiva ed è dovuta alla carcinosi peritoneale che provoca la compressione o infiltrazione di tratti di intestino. 34

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Screening e prevenzione

Nonostante i molteplici sforzi compiuti nel cercare un metodo affidabile di screening nella popolazione generale, ad oggi non esiste ancora un sistema che possa portare ad una diagnosi precoce di questa malattia. Un test di screening valido, infatti, dovrebbe avere sensibilità e specificità adeguate in modo da evitare di sottoporre inutilmente donne sane ai rischi delle procedure chirurgiche vanificando i vantaggi di una possibile diagnosi precoce.

Uno dei primi studi a riguardo è stato un trial multicentrico americano che tra il 1993 ed il 2001 ha arruolato 78.232 donne, di età compresa tra i 55 e i 74 anni, dividendo le pazienti in due diversi gruppi. Un gruppo non veniva sottoposto a nessun controllo routinario e l’altro, invece, veniva sottoposto ad una ecografia transvaginale per 4 anni e al dosaggio del Ca125 per 6 anni. I risultati furono deludenti visto che questi strumenti non solo non riuscivano a ridurre la mortalità ma si associavano ad una incidenza non trascurabile di morbilità iatrogena per interventi chirurgici non necessari nell'ambito di patologia ovarica benigna. 35 Uno studio successivo inglese, lo United Kingdom

Collaborative Trial of Ovarian Cancer screening (UKCTOCS), condotto tra il 2001 ed il 2005

mirava a dimostrare come, nello screening del carcinoma ovarico, misurazioni seriate del Ca125 potessero essere più affidabili ed attendibili del mero riscontro di un singolo valore dell’antigene al di sopra di un c e r t o cut-off.Questo studio aveva arruolato circa 202.360 donne in post menopausa divise in tre gruppi: le pazienti del primo braccio erano di controllo e quindi non sottoposte a nessuna indagine, quelle del secondo gruppo invece venivano sottoposte ad una ecografia trans-vaginale annuale; il terzo gruppo infine veniva sottoposto ad uno screening multimodale, ossia veniva dosato il Ca125 annualmente e la sua interpretazione era valutata attraverso l’utilizzo dell’algoritmo ROC (Risk Ovarian

Cancer algorithm, un particolare algoritmo ottenuto dalla valutazione della retta di

regressione, riportando il valore esponenziale del Ca 125 in scala logaritmica) al quale si aggiungeva, qualora il dato ottenuto fosse risultato anomalo, una ecografia trans-vaginale come esame di secondo livello. I dati ottenuti sono stati molto incoraggianti avendo ottenuto una specificità ed una sensibilità rispettivamente del 99,8% e dell’89,0% nel gruppo sottoposto a screening multimodale rispetto al gruppo sottoposto solamente ad ecografia, tuttavia è necessario attendere i dati relativi alla mortalità prima di definire

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l’effettiva efficacia di questo programma di screening. É' stato evidenziato un nuovo marcatore per il carcinoma ovarico, l'HE4 (Human epididymis protein 4), analizzato per la prima volta nel secreto prostatico; questo marker ha una maggiore specificità del Ca125 in quanto, a differenza di quest’ultimo, non si positivizza in caso di endometriosi ed endometriomi. 3 6

Diverso invece il discorso resta per lo screening di quelle pazienti che presentano una familiarità positiva per carcinoma ovarico o che sono portatrici di mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2 o appartenenti a famiglie con sindrome di Lynch; in questi casi le linee guida National Comprehensive Cancer Network (NCCN) raccomandano una ecografia trans-vaginale ed il dosaggio del Ca125 ogni 6 mesi a partire dai 35 anni. In questa categoria di pazienti ad alto rischio, è stato suggerito come test di screening l’OVALiFE, test più completo e complesso del semplice dosaggio del Ca125, dal momento che avrebbe una sensibilità del 95,3% e una specificità del 99%. L’OVALiFE consiste nel dosaggio sierico di sei diversi marcatori: leptina, prolattina, osteopontina, IGF2, Ca125 ed il fattore inibitorio dei macrofagi (MIF). Tuttavia non si dispone ancora di dati attendibili sulla validità di questo metodo. 3733

Dal punto di vista della prevenzione per le donne ad alto rischio genetico, la salpingo-ovariectomia profilattica è risultata il modo più efficace per ridurre la mortalità causata dal carcinoma ovarico. La rimozione delle ovaie in età precoce, tuttavia può avere effetti detrimentali legati alla carenza estrogenica. 38 Alla luce di recenti studi che individuano il

precursore tumorale nelle tube, si apre l’opzione di eseguire la salpingectmia bilaterale con conservazione ovarica, mantenendo così la funzionalità ormonale e la fertilità. 6Il momento

migliore in cui eseguire tale chirurgia non è stato stabilito. Alcuni studi eseguiti in donne che sono state sottoposte a chirurgia sia per rischio ereditario che per cause benigne hanno individuato lo STIC raramente in quelle al di sotto dei 50 anni. 18 Per quanto riguarda la

popolazione generale, varie società scientifiche hanno raccomandato di offrire al momento di un eventuale ’isterectomia per patologia benigna, la salpingectomia profilattica (salpingecttomia opportunistica) allo scopo di ridurre il futuro sviluppo di carcinoma ovarico. 39

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Diagnosi

Il processo diagnostico è complesso e articolato in varie fasi; il sospetto clinico nei confronti di una massa pelvica di incerta natura si basa sull’integrazione di dati che provengono dall’anamnesi, dai rilievi clinici, dai risultati dell’ecografia transvaginale e/o di altre metodiche di imaging (TC e RMN) e dal dosaggio di markers tumorali. La diagnosi di certezza è affidata alla chirurgia che permette l’asportazione della massa tumorale e di conseguenza ci consente di ottenere la diagnosi istologica definitiva e la stadiazione di malattia. In caso di sospetto di neoplasia ovarica, è importante eseguire un’accurata raccolta dei dati anamnestici; La visita ginecologica permette di identificare la massa pelvica mediante palpazione bimanuale retto-vaginale e verificare l'eventuale infiltrazione del cavo del Douglas o dello spazio vescico-vaginale, valutare la sede e le dimensioni della massa ma anche la sua consistenza, i rapporti che essa contrae con gli organi pelvici e la mobilità. L’esame obiettivo generale permette una valutazione dell’eventuale diffusione del tumore tramite metastasi linfonodali superficiali, di ascite, di versamento pleurico e di edema agli arti inferiori.

La principale indagine strumentale utilizzata è l’ecografia pelvica transvaginale associata eventualmente all’ecografia addominale (caratterizzata da elevata affidabilità, bassa invasività, l’elevata disponibilità e bassi costi).

La TC addome ed eventualmente RMN permettono di definire dettagliatamente le caratteristiche della lesione, la sua estensione e l’eventuale presenza di metastasi endo-addominali o linfonodali, informazioni importanti per la stadiazione della malattia e la programmazione dell’intervento chirurgico.

La PET/TC sembra avere un ruolo nella valitazione prechirurgica e pianificazione terapeutica per valutare la citoriducibilità del carcinoma ovarico.

Rettoscopia, cistoscopia e gastroscopia, sono indicati in caso di dubbio clinico di infiltrazione degli organi contigui o di secondarietà della lesione ovarica. 33

I markers tumorali

Ca125. L’antigene carboidratico 125 è il marcatore sierico più attendibile per il

carcinoma ovarico. È una glicoproteina umana della famiglia delle mucine che viene prodotta dalle sierose; è conosciuta anche come Mucina 16 (o MUC16). Dal momento che

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viene prodotta dalle sierose, una certa reattività per il Ca 125 è stata trovata anche nelle cellule mesoteliali della pleura, del pericardio e del peritoneo. È normalmente espresso nel tessuto endometriale, per cui elevati livelli possono essere evidenziati durante la fase mestruale e nella gravidanza iniziale. Fu scoperto nel 1981 da Bast e colleghi grazie all’utilizzo dell’anticorpo monoclonale OC125, ottenuto per immunizzazione di animali da laboratorio con una linea cellulare di tumore ovarico; essi videro che OC125 era in grado di reagire con ognuna delle sei varianti di carcinoma epiteliale ovarico, ma non reagiva con alcune delle forme benigne. 39 Tutti gli istotipi di carcinoma ovarico esprimono questo

antigene, ad eccezione di quello mucinoso; esiste inoltre una correlazione positiva tra i livelli sierici di Ca125 e la dimensione dei tumori. Di notevole importanza nell’accuratezza diagnostica è l’associazione del dosaggio del Ca125 con i risultati dell’indagine ecografica. Un incremento del Ca 125 oltre le 35 U/ml si verifica in circa l’80% dei carcinomi ovarici di istotipo non mucinoso; in particolare la percentuale di positività al test è alta nelle fasi avanzate di malattia (> 90%) e bassa negli stadi iniziali (circa 50%). Il Ca 125 è inoltre molto utile per monitorare il carcinoma ovarico nel tempo; la diminuzione dei valori di Ca 125, rispetto ai valori iniziali, nel corso del primo ciclo di chemioterapia costituiscono un importante indice prognostico. Valori elevati sono osservabili in altre patologie ginecologiche, sia neoplastiche, quali il carcinoma dell’endometrio, sia benigne, come l’endometriosi e la malattia infiammatoria pelvica. Anche patologie extra-ginecologiche possono presentare elevati livelli sierici di Ca 125; è il caso dei tumori del pancreas, della mammella, del colon retto o del polmone, o di altre condizioni patologiche non neoplastiche che possono alterare la clearance dell’antigene o irritare la sierosa peritoneale, quali epatopatie, insufficienza renale e pancreatite. 40

He-4. È un altro marcatore tumorale del carcinoma ovarico studiato attentamente

negli ultimi anni. È una glicoproteina a basso peso molecolare espressa principalmente nei tessuti epiteliali normali dell’apparato genitale femminile. È iperespresso nel 93% dei carcinomi sierosi, nel 100% di quelli endometrioidi e nel 50% di quelli a cellule chiare, ma non nei carcinomi mucinosi; risulta più sensibile negli stadi iniziali di malattia, ed è meno frequentemente iperespresso in alcune patologie ovariche benigne come l’endometriosi.41, 42

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Stadiazione

La stadiazione del carcinoma ovarico è chirurgica. Secondo quanto previsto dalle linee guida della Federazione Italiana di Ginecologia e Ostetricia (FIGO), si tiene in considerazione dei reperti istologici e citologici, della presenza di ascite, della presenza del tumore sulla superficie della capsula, dell’integrità o della rottura della capsula stessa.

Le pazienti vengono sottoposte a:

1. Washing peritoneale o raccolta del liquido ascitico per la citologia; 2. Isterectomia totale extra-fasciale e annessiectomia bilaterale; 3. Linfoadenectomia pelvica e lombo-aortica;

4. Omentectomia;

5. Biopsie peritoneali multiple; 6. Appendicectomia.

Staging classification for cancer of the ovary, fallopian tube, and peritoneum (FIGO 2014):43

• Stadio I: Tumore limitato alle ovaie:

▪ Stadio IA: Tumore limitato ad un ovaio (capsula integra) o ad una tuba di Falloppio; assenza di tumore sulla superficie dell’ovaio o della tuba; assenza di cellule maligne nell’ascite o nel liquido di lavaggio peritoneale;

▪ Stadio IB: Tumore limitato ad entrambe le ovaie (capsula integra) o a entrambe le tube di Falloppio; assenza di tumore sulla superficie ovarica o delle tube di Falloppio; assenza di cellule maligne nel liquido ascitico o nel liquido di lavaggio peritoneale; ▪ Stadio IC: Tumore limitato ad una o entrambe le ovaie o alle tube di Falloppio, con

una dei seguenti caratteristiche:

o 1C1: Rottura intraoperatoria (spilling) della capsula;

o 1C2: Capsula rotta prima dell’intervento o presenza di tumore sulla superficie dell’ovaio e/a della tuba;

o 1C3: Cellule maligne nell’ascite o nel liquido di lavaggio peritoneale;

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pelvica o carcinoma peritoneale primitivo:

▪ Stadio IIA: Estensione e/o metastasi all’utero e/o alle tube e/o alle ovaie; ▪ Stadio IIB: Estensione ad altri tessuti pelvici intraperitoneali;

• Stadio III: Tumore che coinvolge una o entrambe le ovaie o le tube, o carcinoma peritoneale primitivo, con diffusione confermata citologicamente o istologicamente al peritoneo fuori dalla pelvi e/o metastasi ai linfonodi retro- peritoneali:

▪ Stadio IIIA1: Soltanto linfonodi retro-peritoneali positivi (dimostrati citologicamente, istologicamente).

o IIIA1(i): Metastasi con diametro massimo fino a 1 cm

o IIIA1(ii): Metastasi con diametro massimo maggiore di 1 cm;

▪ Stadio IIIA2: Metastasi peritoneali microscopiche extra-pelviche, con o senza metastasi nei linfonodi retroperitoneali;

▪ Stadio IIIB: Metastasi peritoneali macroscopiche extra-pelviche di diametro massimo fino a 2 cm, con o senza metastasi nei linfonodi retro- peritoneali;

▪ Stadio IIIC: Metastasi peritoneali macroscopiche extra-pelviche di diametro massimo superiore a 2 cm, con o senza metastasi nei linfonodi retroperitoneali (inclusa l’estensione del tumore alla capsula del fegato e della milza, senza interessamento parenchimale dell’uno o dell’altro organo);

• Stadio IV: Metastasi a distanza, con esclusione delle metastasi peritoneali: ▪ Stadio IVA: Diffusione pleurica con citologia positiva;

▪ Stadio IVB: Metastasi parenchimali e metastasi a organi extra-addominali (inclusi i linfonodi inguinali e i linfonodi al di fuori della cavità addominale).

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Vie di diffusione

Il carcinoma ovarico può diffondere per via peritoneale, per via linfatica retro- peritoneale, per via linfatica trans-diaframmatica, per via ematica e per contiguità.

La via TRANSPERITONEALE rappresenta la principale modalità di diffusione del tumore. Le cellule neoplastiche si sfaldano dalla superficie del tumore, tendono a depositarsi, per gravità, nel cavo del Douglas, ossia il punto più basso della cavità peritoneale. Le cellule tendono inoltre a seguire la via circolatoria del fluido peritoneale, spinto delle variazioni pressorie endoaddominali, dovute ai movimenti respiratori del diaframma e alla peristalsi intestinale. Questa circolazione avviene soprattutto attraverso la doccia paracolica di destra che è la comunicazione principale tra compartimento sovra e sotto mesocolico dell’addome. La doccia paracolica di sinistra invece è anatomicamente meno ampia rispetto alla controlaterale e contiene il legamento freno-colico di sinistra che contribuisce ad ostacolare il processo di migrazione delle cellule neoplastiche. Trasportate da questo circolo, le cellule neoplastiche possono impiantarsi in varie sedi intraddominali, coinvolgendo soprattutto la superficie peritoneale dell’intestino ed i suoi mesenteri, le docce paracoliche, la cupola epatica, l’omento e la superficie peritoneale del diaframma. Da quest’ultimo, attraverso i vasi linfatici, possono localizzarsi in sede pleurica.

Per quanto riguarda la diffusione per via LINFATICA sono descritte due vie di drenaggio: il peduncolo gonadico e il peduncolo iliaco esterno. Il primo, seguendo i vasi ovarici, raggiunge a destra i linfonodi pre- e para-cavali e gli intercavo-aortici all’altezza di L1-L2; a sinistra raggiunge i linfonodi pre- e para-aortici. Il peduncolo iliaco esterno drena, invece, verso i linfonodi iliaci esterni ed iliaci comuni e, successivamente, verso i linfonodi aortici. I linfonodi regionali (iliaci esterni, iliaci comuni e lomboaortici) sono coinvolti nel 5-24% dei casi, in apparente stadio iniziale, ed in circa il 70% dei casi in stadio avanzato. Il peduncolo ovarico drena a destra verso i linfonodi intercavo-aortici, para-cavali e pre-cavali, a sinistra ai linfonodi pre- aortici e para-aortici. Anche i linfonodi inguinali, seppur raramente, possono essere interessati, o per via retrograda dai linfonodi iliaci esterni, o per via diretta attraverso i vasi linfatici che decorrono nel legamento inguinale.

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La via EMATICA; è la via di diffusione più rara e più tardiva; interessa più frequentemente il parenchima epatico e i polmoni, molto raramente le ossa e il SNC. La presenza di metastasi cerebrali si ritrova soprattutto nelle pazienti che sopravvivono più a lungo.

Il 60% delle pazienti muore per occlusione intestinale, ma altro fattore che può accelerare il decesso (nel 30% dei casi) è la cachessia, dovuta all’intensa richiesta metabolica del tumore. Cause di morte, nel restante 10%, sono ostruzione e sepsi urinaria o metastasi a distanza. 40

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Fattori prognostici

La prognosi del carcinoma ovarico è infausta, a causa sia della diagnosi tardiva sia dell’aggressività intrinseca del tumore. La sopravvivenza globale si attesta intorno al 38-40% a 5 anni, ma questa è influenzata da diversi fattori:

Stadio. È il principale fattore prognostico. Secondo i dati del FIGO Annual Report n.

26, la sopravvivenza a 5 anni decresce progressivamente all’aumentare dello stadio, passando dal 90% nei casi di tumore confinato all’ovaio, al 15-20% degli stadi avanzati. In particolare è: IA 89.6%, IB 86.1%, IC 83.4%; IIA 70.7%, IIB 65.5%, IIC 71.4%; IIIA 46.7%, IIIB 41.5%, IIIC32.9%; IV 18.6%;

L’istotipo. Il carcinoma indifferenziato e quello a cellule chiare hanno la prognosi

peggiore. Il grado istologico. Nelle pazienti in stadio iniziale, secondo lo stesso Annual Report, più alto è il grado peggiore è la prognosi. La sopravvivenza a 5 anni delle pazienti con malattia in stadio I-II risulta del 90,3% per il G1, 79,9% per il G2 e 75% per il G3, con un rischio relativo di morte per il G3 doppio rispetto al G1;

L’età. La prognosi peggiora all’aumentare dell’età. L’età non sembra un fattore

prognostico indipendente, in quanto, le pazienti sopra i 65 anni si presentano più spesso con malattia in fase avanzata; inoltre, a causa della presenza di comorbidità, spesso vanno incontro ad una citoriduzione non ottimale;

La malattia residua dopo chirurgia è il principale fattore prognostico in pazienti in

stadio avanzato. Secondo l’Annual Report, la sopravvivenza a 5 anni in pazienti in stadio IIIC era 62,1% in assenza di malattia residua macroscopica, 32,9% se ≤ 2cm e 24,8% se >2cm.

I livelli sierici di Ca125. Un significativo e precoce dimezzamento dei livelli sierici di Ca125 in corso di chemioterapia di prima linea sembra sembra essere segno prognostico favorevole.40

Mutazione BRCA. Donne affette da carcinoma ovarico con mutazioni del BRCA hanno

una prognosi migliore rispetto a chi non è portatrice di tali mutazioni. Le prime, infatti, sono caratterizzate da una più alta percentuale di riposta alla terapia a base di platino, da un più lungo intervallo libero da malattia e da migliore sopravvivenza globale. Anche nei casi di carcinomi sporadici con mutazione BRCA sembrano riscontrarsi tali vantaggi.

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Terapia

Trattamento chirurgico

Ogni caso di neoplasia ovarica, o sospetta neoplasia, deve essere sottoposto ad intervento chirurgico se le condizioni generali della paziente lo consentono.

Gli obiettivi della chirurgia sono essenzialmente:

1. Permettere l’accertamento istopatologico della natura della lesione; 2. Definire l’esatta diffusione del tumore;

3. Asportare tutta la massa tumorale (intervento radicale) oppure, se ciò non è possibile, la maggior quantità asportabile (intervento citoriduttivo).

Pertanto la chirurgia può essere radicale o conservativa, citoriduttiva, palliativa o esclusivamente esplorativa.

Inizialmente la chirurgia viene usata per confermare la diagnosi, per fare la stadiazione del tumore ovarico, e se possibile, effettuare una cito-riduzione. Successivamente, nel caso si decida di eseguire anche il trattamento chemioterapico, la chirurgia può essere usata per valutare la persistenza di un residuo di malattia in pazienti con esami clinici negativi che, al primo intervento, non hanno subito un intervento radicale.

Citoriduzione chirurgica primaria

La chirurgia citoriduttiva della malattia in stadio iniziale, ovvero stadi I e II della classificazione FIGO, si avvale di una incisione mediana sovraombelicale o pubo-xifoidea. L’approccio laparoscopico non è raccomandabile; anzi, alcuni autori hanno riscontrato un peggioramento della prognosi per le donne trattate in via laparoscopica, verosimilmente legato ad una maggiore incidenza di rottura delle cisti neoplastiche. 44

In una paziente con neoplasia apparentemente confinata alla gonade si procede secondo steps ben codificati eseguendo: esame citologico del liquido ascitico (minimo 250 mL) o lavaggio peritoneale, ispezione sistematica e palpazione degli organi peritoneali e retro- peritoneali, esplorazione della pelvi e del peritoneo pelvico e addominale, valutazione dell’estensione della neoplasia e asportazione della neoformazione, che verrà sottoposta a diagnosi istopatologica estemporanea, evitandone la rottura o lo spillage.

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I successivi tempi chirurgici della stadiazione prevedono: omentectomia, isterectomia totale extrafasciale, ovaro-salpingectomia bilaterale con asportazione del legamento infundibolo-pelvico all’origine dei vasi ovarici, appendicectomia, biopsie multiple di ogni area sospetta e delle aree a maggior rischio di micro-metastasi (peritoneo pelvico e diaframmatico, docce parieto-coliche, radice del mesentere) e linfoadenectomia pelvica e lombo-aortica sistematica per ampliare la ricerca della diffusione di malattia; tuttavia questa procedura non sembra aumentare la sopravvivenza libera da progressione né la sopravvivenza globale. L'eventuale positività di questi linfonodi colloca il tumore nello stadio IIIC FIGO.

Per questi pazienti, trattate tradizionalmente con interventi radicali, l'infertilità è un effetto collaterale drammatico e frequente. Inoltre, questa complicanza grave viene spesso sottovalutata e risulta incidere pesantemente sulla qualità di vita delle pazienti. Per questo motivo, nel caso di pazienti giovani (il 12% ha meno di 45 anni) e desiderose di prole, è possibile prendere in considerazione un trattamento conservativo della fertilità (fertility

sparing surgery, FSS) che permette di integrare il miglior trattamento oncologico possibile con la discussione delle strategie disponibili per evitare l'infertilità. Questa procedura prevede l'annessiectomia mono-laterale, il curettage endometriale, il washing e le biopsie peritoneali, la linfoadenectomia (almeno monolaterale) delle stazioni pelviche e lombo-aortiche. Benefici, rischi e la sicurezza di queste procedure devono essere sempre equilibrati e discussi in centri di riferimento appropriati.45

Secondo le linee guida della European Society for Medical Oncology (ESMO) il trattamento FSS può essere riservato alle pazienti che presentano uno stadio di malattia IA o IB con grado G1-G2 e disposte a sottoporsi a visite di controllo ravvicinate nel tempo. 50

Studi recenti condotti dal gruppo – Gynecologic Cancer Study Group of the Japan Clinical Oncology Group – hanno dimostrato che pazienti stadiate IC o pazienti con istologia maligna (es. clear cells) possono beneficiare dal trattamento conservativo. 46 Uno studio

italiano su 36 pazienti condotto nel 2014 da Ditto et al. ha dimostrato che riservare la FSS a pazienti con Epithelial Ovarian Cancer (EOC) in stadio iniziale poteva essere considerata oncologicamente sicura, comparabilmente alla chirurgia radicale.46, 47

La chirurgia citoriduttiva nella malattia avanzata (stadio III e IV FIGO) si propone di ridurre il numero di cellule tumorali ad un livello tale da consentire alla chemioterapia la massima possibilità di cura. La chirurgia dovrebbe asportare tutta la malattia

Riferimenti

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