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LA GOVERNANCE DELLE LISTE DI ATTESA NEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE : IL CASO A.O.U. PISANA

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea Magistrale

La Governance delle liste di attesa nel Sistema Sanitario Nazionale: Il caso AOUP

Candidato Relatore

Valeria Barone Prof. Simone Lazzini

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

(2)
(3)

Ai miei genitori

Che con sacrificio e amore

Hanno reso possibile tutto questo….

Alla forza di non arrendersi nonostante le avversità .

(4)

Indice

Introduzione

1

Capitolo 1 – Nascita del servizio sanitario nazionale: principi ed

obiettivi

4

1.1 Evoluzione del Servizio Sanitario Italiano

6

1.2 Liste e tempi di attesa

10

1.3 Normative e linee guida sulle liste di attesa

15

1.4 Il progetto Mattoni SSN

20

Capitolo 2 – La Governace nel SSN

33

2.1

Le liste di attesa nella relazione domanda-offerta

34

2.2 I determinanti dell’attesa: possibili interventi migliorativi

37

2.3 Interventi volti a razionalizzare la domanda

41

2.4 L’efficacia del cambiamento organizzativo nella Sanità

49

(5)

Capitolo 3 – Il Caso A.O.U. Pisana

56

3.1

Punti di forza

63

3.2 Il modello “Open Access”

66

3.3 Dalla costruzione del modello al risultato finale

71

3.4 L’ “Open Access” come processo di miglioramento

della qualità

79

Capitolo 4 – Analisi qualitativa

83

4.1

Indagine quantitativa: comparazione tra A.o.u. Cisanello

e A.o.u. Mater Domini

86

4.2 La misurazione del grado di efficienza su standard

quantitativi

96

4.3 Considerazioni conclusive

105

Conclusioni

109

(6)
(7)

Introduzione

Il sistema sanitario nazionale SSN è il complesso dell funzioni, e delle attività assistenziali svolte dai servizi sanitari regionali, dagli enti e istituzioni di rilievo nazionali e dallo Stato, volte a garantire la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo; è un sistema pubblico di carattere universalistico che garantisce l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini.

Liste e tempi di attesa sono una componente intrinseca dei servizi sanitari: il razionamento degli accessi è infatti possibile tramite l’attesa e avere una lista di persone da cui attingere permette un utilizzo pieno di risorse ed impianti mantenendo saturato e a pieno regime il sistema ospedale. La problematica nasce nel momento in cui l’attesa diventa troppo elevata, portando con sé il rischio di un peggioramento delle condizioni di salute del paziente o addirittura alla sua morte. Ci si focalizza sui servizi ospedalieri elettivi o programmabili, per i quali cioè le condizioni di salute dei pazienti non sono particolarmente gravi da render necessaria un’erogazione immediata. La sfida sui tempi di attesa ci impone di affrontare il problema di garantire l’erogazione di prestazioni in un tempo adeguato, la certezza è che le Regioni hanno perfettamente metabolizzato la criticità della questione dei temp di attesa come sfida estrema del sistema pubblico e non eludibile. Con gradi e intensità diversi, ma con impegno crescente, si sono impegnate con questa sfida coscienti della responsabilità verso i propri cittadini e della necessità di trovare soluzioni adeguate. Proprio per la stessa spravvivenza del sistema pubblico, è necessario che si inizi a considerare il valore dell’assistenza sanitaria come fattore proplsivo dell’economia di un Paese e non solo come fattore di costo. L’elaborato presenta diversi aspetti riguardanti questa particolare problematica.

Nel primo capitolo, dopo un’introduzione sul contesto italiano, si entra nel dettaglio delle normative che si sono avvicendate sull’argomento e ci si sofferma sulle linee guida che regolano il fenomeno delle liste di attesa. Nella Conferenza Stato-Regioni del 2002 “Linee guida sui criteri di priorità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche sui tempi massimi di attesa” vengono definiti degli standard di attesa che

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2

le strutture sanitarie devono garantire su tutto il territorio nazionale relativamente ad alcune prestazioni particolarmente critiche e clinicamente rilevanti. Si sottolinea, in particolare, l’importanza della definizione dei criteri di priorità sia per l’assistenza ambulatorilae sia per le attività di ricovero, quale strumento di garanzia al cittadino di un accesso equo ed omogeneo. Inoltre è stato fatto riferimento anche al progetto Mattoni SSN che nasce dall'esigenza di individuare una metodologia che consenta di rilevare sistematicamente il tempo di attesa per l'erogazione delle prestazioni sanitarie.

Infatti, la verifica dei livelli di assistenza erogati al cittadino, anche in termini del tempo di attesa che intercorre tra il manifestarsi del bisogno al SSN e il soddisfacimento dello stesso, è garanzia di equità del sistema. L'obiettivo principale di questo Mattone è quello di giungere alla definizione del set di informazioni rilevanti per la descrizione del fenomeno, di individuare una metodologia per la rilevazione sistematica dei tempi di attesa prospettati ed effettivi e delle modalità di lettura ed interpretazione degli stessi, sia per le prestazioni erogate in regime di ricovero ordinario che per quelle erogate in ambulatorio, esso intende definire Linee Guida per la progettazione dei Centri Unificati di Prenotazione (CUP), per la stratificazione della domanda secondo criteri di priorità e per la misurazione dei tempi di attesa sui percorsi diagnostico-terapeutici.

Nel secondo capitolo ci si è concentrari sulla relazione che c’è tra domanda e offerta domanda di servizi ospedalieri; si sono analizzate le determinanti che influenzano questi due flussi, il cui sbilanciamento porta al crearsi dello stock delle liste di attesa e del conseguente tempo che il paziente dovrà attendere. Viene messa in luce l’eterogeneità nelle metodologie di misurazione, che rende difficile la possibilità di fare confronti tra diversi paesi ed anche tra diverse regioni dello stesso paese. Vengono brevemente presentate le linee d’azione messe in campo dai vari paesi per governare la problematica e farvi fronte, si è parlato del cambiamento organizzativo come una possibile soluzione al problema delle liste di attesa, infine è stata posta l’attenzione anche sul rapporto tra pubblico e privato facendo quache accenno sull’evoluzione normativa riguardante l’attività intramoenia dei medici, che ha una certa influenza sul problema dell’attesa.

Nel terzo capitolo si è fatto particolare riferimento all’azienda ospedaliera universitaria Pisana, dopo averla brevemente presentata nella sua struttura organizzativa e aver

(9)

evidenziato i punti di forza che la caratterizzano , in quanto ad oggi occupa i primi posti nelle classifica Nazionale, si è presentato un nuovo modello definito “Open Access” nato nel 2015 che si pone come obiettivo finale quello di bilanciare la domanda con l’offerta nella dimensione temporale tipica del just in time ovvero “fare oggi quello che viene chiesto oggi” , per ridurre drasticamente le liste di attesa . Poichè i consumatori stanno sviluppando sempre più una crescente coscienza sulla qualità, si è posta attenzione ai programmi di miglioramento della qualità sviluppati dalle organizzazioni sanitarie per il soddisfacimento dei bisogni del cliente, si è visto come la nuova modalità Open Access ha potuto migliorare la qualità del servizio offerto in termini di tempi di attesa.

Nel quarto e ultimo capitolo si è fatta un’analisi di tipo qualitativo e quantitativa si sono visti quali sono i principali indicatori soggettivi ed oggettivi ai quali si è fatto riferimento per condurre l’analisi, in particolar modo si sono messe in risalto due aziende ospedaliere, l’Aou Pisana in comparazione con l’Aou Mater Domini di Catanzaro che non presenta una situazione agiata in termini di liste di attesa. Attraverso il reperimento dei dati nell’amministrazione trasparente, si sono potuti analizzare i tempi di attesa di diverse prestazioni specialistiche di ambedue le aziende. È stata fatta una prima differenza evidenziando quanti giorni di attesa per la medesima prestazione sono richiesti dalle due aziende, successivamente si è ipotizzato un grado di efficienza raggiunto dalle due aziende negli anni presi in esame, tenendo appunto presente l’implemetazione da parte dell’Aou Pisana del modello Open Access che è stato sicuramente determinante per raggiungere la massima efficienza.

(10)

4

CAPITOLO 1

NASCITA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: PRINCIPI E OBIETTIVI.

Il Servizio Sanitario Nazionale rientra nell’ambito dei modelli di tipo universalistico e pubblico, la cui caratteristica saliente consiste nel tutelare il diritto alla salute di tutti i cittadini presenti sul territorio nazionale che presentano un problema di salute o richiedono una prestazione sanitaria.

Ai sensi dell’art 1 della legge 833/1978, “il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso, delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo le modalità che assicurino l’uguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L’attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle Regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini "1.

I principi fondamentali su cui si basa il servizio sanitario nazionale ispirati all’art 32 della Costituzione, sono i seguenti:

- Principio di universalità, secondo cui vengono garantite prestazioni sanitarie a tutti, senza distinzione di condizioni individuali, sociali e di reddito;

- Principio di uguaglianza, in virtù del quale tutti, a parità di bisogno, hanno diritto alle medesime prestazioni;

- Principio di globalità, secondo il quale non viene presa in considerazione la malattia, bensì la persona in generale, la qual cosa implica inevitabilmente il collegamento di tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura e riabilitazione 2.

Gli obiettivi del SSN elencati dettagliatamente all’art. 2 della legge 833/1978, riguardano:

- La formazione di una moderna conoscenza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;

1 http://www.comune.jesi.an.it/MV/leggi/l833-78.htm 2 www.salute.gov.it

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- La prevenzione delle malattie e degli infortuni in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro; - La diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia

e la durata;

- La riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità somatica e psichica;

- La promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di

vita e di lavoro;

- L’igiene degli alimenti, delle bevande, dei prodotti e degli avanzi di origine animale per

le implicazioni che attengono alla salute dell’uomo, nonché la prevenzione e la difesa sanitaria degli allevamenti animali e il controllo della loro alimentazione integrata e medicata;

- Una disciplina della sperimentazione, produzione, immissione in commercio e distribuzione dei farmaci (e dell’informazione scientifica sugli stessi) volta a garantire l’efficacia terapeutica, la non nocività e l’economicità del prodotto;

- La formazione professionale e permanente, nonché l’aggiornamento scientifico-

culturale del personale del Servizio sanitario nazionale3.

Inoltre il SSN, nell’ambito delle proprie competenze, persegue:

- Il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del paese; - La sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni,

per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli alla salute e per garantire nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro gli strumenti e i servizi necessari;

- Le scelte responsabili e consapevoli di procreazione e la tutela della maternità e dell’infanzia, per assicurare la riduzione dei fattori di rischio connessi con la gravidanza e con il parto, le migliori condizioni di salute per la madre e la riduzione del tasso di patologia e di mortalità perinatale e infantile;

- La promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attuazione dei servizi

medico-scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati;

- La tutela sanitaria delle attività sportive;

(12)

6

- La tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione;

- La tutela della salute mentale, privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali, in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione, pur nella specificità delle misure terapeutiche, e da favorire il recupero e il reinserimento sociale dei disturbati psichici4.

1.1 Evoluzione del Servizio Sanitario Italiano

Il moderno Servizio Sanitario Nazionale Italiano è il risultato di cambiamenti evolutivi occorsi nelle società contemporanee europee e mondiali. Nella maggior parte dei casi quest’evoluzione ha sancito vari passaggi: dal concetto di carità e assistenza tipico del sistema liberalista si è passati al concetto di diritto alle cure proprio di un sistema definito assicurativo, fino ad approdare al diritto alla salute, punto focale del SSN moderno5.

Nel 1929 la sanità veniva affidata a enti mutualistici-assicurativi, come l'INAM (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le malattie) che garantivano, seppur con gravi carenze, l'assistenza sanitaria ai lavoratori iscritti.

Il diritto alla tutela della salute era quindi correlato non all’essere cittadino ma all’essere lavoratore (o suo familiare) con conseguenti casi di mancata copertura; vi erano, inoltre, ingiuste distribuzioni tra gli stessi assistiti, vista la disomogeneità delle prestazioni assicurate dalle varie casse mutue.

Nel 1948, la concezione di salute cambiò in quanto, grazie all’Articolo 32 della Costituzione Italiana, essa viene riconosciuta come diritto fondamentale dell’individuo

4 L._23_dicembre_1978,_n._833_-_Istituzione_del_Servizio_Sanitario_Nazionale 5 http://www.istud.it

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e interesse per la collettività.

Il sistema mutualistico costringeva lo Stato a coprire frequenti disavanzi economici ed era caratterizzato da un'estrema lentezza a causa della complessità delle procedure burocratiche.

Per migliorare il sistema, quindi, fu effettuata nel 1968 la “Riforma ospedaliera” (Legge Mariotti n.132), in cui si ottenne la pubblicizzazione degli ospedali con l’introduzione dell’ente ospedaliero e l’attuazione del Piano ospedaliero nazionale e regionale.

Anticipando l’attuazione dell’ordinamento regionale gli enti ospedalieri sono configurati come enti regionali, costituiti con decreto del Presidente della Regione su delibera della Giunta su cui la regione esercita funzioni di vigilanza e tutela.

Nel 1978, con la legge n.833 (votata dall’85% del Parlamento) nasceva in Italia il Servizio Sanitario Nazionale pubblico, un complesso di funzioni e servizi destinati alla tutela della salute di tutta la popolazione, una risposta elaborata in seguito all'inefficacia del precedente modello assistenziale.

L'intento della riforma era di porre il cittadino al centro del sistema, in modo tale che il diritto alla salute non fosse limitato alla cura delle malattie ma che si estendesse alla prevenzione ed al controllo delle stesse, aspetti dei quali il sistema precedente non aveva tenuto conto.

Questa legge al fine di garantire il finanziamento del servizio sanitario nazionale aveva istituito un fondo sanitario nazionale, annualmente determinato con la legge di approvazione del bilancio dello stato.

Il passaggio al nuovo sistema era segnato dalla creazione dell' Unità Sanitaria Locale (USL), uno strumento operativo diffuso su tutto il territorio, che provvedeva a fornire direttamente ai cittadini le prestazioni sanitarie. Benché dotate di una certa autonomia, le USL erano enti operativi dei Comuni strettamente vincolati ad una gestione di natura politica e pertanto penalizzati dalla lentezza di procedure eccessivamente burocratizzate. Inoltre, l'eccessivo aumento del deficit dei bilanci ed una gestione del personale non proprio di tipo manageriale, resero questo modello di SSN obsoleto già al suo apparire, rendendo necessaria una profonda ristrutturazione con una nuova definizione del ruolo delle USL.

(14)

8

L'USL era diventata ASL, Azienda Sanitaria Locale, dotata di autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e gestionale, dunque svincolata dalle vicende politiche locali, sul modello di una impresa privata.

La nuova riforma tentava di simulare la gestione privata all'interno di un modello che restava pubblico.

Si iniziava a finanziare l'attività sanitaria in base alle prestazioni effettivamente erogate dalle varie aziende, introducendo un chiaro meccanismo di mercato e di concorrenza all'interno del sistema pubblico.

Quindi, il cittadino-utente, scegliendo la fruizione di un servizio presso una struttura piuttosto che un'altra, avrebbe orientato i flussi di spesa e influenzato la distribuzione delle risorse da parte del sistema.

Alla programmazione sanitaria veniva posto il vincolo di non eccedere rispetto alle risorse finanziarie messe a disposizione del bilancio nazionale.

Qualora una regione decideva di finanziare servizi eccedendo dalla quota assegnata, si sarebbe dovuto ricorrere a forme alternative di finanziamento.

Si è così giunti al decreto legislativo n. 229 del 19 giugno 1999, più comunemente chiamato decreto Bindi, il quale rafforza la regionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale riconoscendo alle Regioni nuove e più ampie facoltà sia in sede di programmazione regionale che di gestione dei servizi. In particolare, vengono attribuite alle Regioni funzioni di regolazione riguardanti l’articolazione sul territorio regionale delle aziende sanitarie e il loro finanziamento, le modalità di vigilanza, controllo e valutazione dei risultati, nonché l’organizzazione e il funzionamento delle attività inerenti all’accreditamento delle strutture private.

Questo decreto si basa su un'idea di rafforzamento dei processi di aziendalizzazione e qualificazione dell'assistenza.

Infine, con la previsione dei LEA, il SSN garantisce ai Cittadini uniformità delle prestazioni sanitarie su tutto il territorio nazionale, grazie al quale questo sistema segna un'altra fondamentale tappa della

sua evoluzione.

I LEA rappresentano tutti quei servizi e prestazioni standard che il SSN deve assicurare ad ogni cittadino, in maniera gratuita o compartecipata attraverso le risorse acquisite con

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il sistema fiscale.

La struttura del nuovo sistema sanitario, così come derivato dalla riforma, è articolata in: Stato, Regioni, ASL e AO gestite dai direttori generali o manager, assunti con contratto di diritto privato dalle Regioni stesse.

Il direttore generale, insieme al direttore sanitario e a quello amministrativo (nominati dal direttore generale stesso), assunti con contratto di diritto privato a termine (non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni), vengono confermati o meno, in base al principio di responsabilità, ossia se hanno o meno raggiunto gli obiettivi e i risultati stabiliti, o ancor meglio il pareggio del bilancio.

Infine, si da l’avvio al federalismo in ambito sanitario quando la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, realizzata da Amato e approvata dal successivo governo Berlusconi, ha stabilito una riforma del titolo V della Costituzione. La legge composta da 11 articoli sancisce uno spostamento delle competenze verso Regioni e province autonome. Il Ministero ha solo funzione di indirizzo e controllo mentre tutti i poteri sono stati devoluti alle Regioni che hanno facoltà di dettare norme equiparandole allo Stato e vigilano nell’attuazione delle leggi dello Stato stesso.

Alle Regioni viene così delegata la gestione della spesa, dell’organizzazione, del personale, dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica e delle Aziende Ospedaliere, e tramite i LEA ci si propone di garantire un uguale diritto alla Salute per tutti i cittadini indipendentemente dalla Regione di residenza. I Piani Sanitari Regionali (PSR) sono l’espressione di questa autonomia e sono una modalità di verifica della programmazione e gestione della Sanità da parte delle Regioni6.

(16)

1.2 Liste e tempi di attesa

Il problema dei lunghi tempi di attesa per le principali prestazioni di diagnostica e per alcune prestazioni chirurgiche è presente in tutti gli Stati dove esiste un sistema sanitario universalistico che offre un livello di assistenza avanzato; è tra le criticità alle quali i cittadini prestano la maggiore attenzione. L'abbattimento di tali tempi è uno degli obiettivi prioritari del SSN, per il raggiungimento del quale sono

impegnati tutti i livelli istituzionali7. “Scrivere oggi un intervento sui tempi di

attesa è un’impresa ardua e lo è ancora di più come coordinamento delle regioni”

dice il coordinatore degli assessori alla sanità delle regioni Enrico Rossi. A questo

riguardo è bene tenere presente che esistono una serie di variabili generali che è necessario analizzare brevemente in quanto sono gli elementi sui quali si fonda la questione dei tempi di attesa. La percezione del bene salute sta sempre più assumendo una funzione suppletiva rispetto alla pressione che i modelli comportamentali delle società sviluppate generano sugli individui. Quindi un atteggiamento da parte dei singoli di estremo affidamento nelle potenzialità (direi nel dovere), del sistema di ripristinare la propria condizione di salute e di conseguenza un uso fortemente reiterato dei servizi8. Gli indubbi successi del sistema in termini di aumento della sopravvivenza per determinate patologie che solo pochi anni fa erano considerate stadi finali dell’esistenza (le patologie cardiologiche o quelle tumorali, solo per citare quelle di più diretta percezione) generano un numero crescente di soggetti che hanno bisogno di un maggior ricorso ai servizi sanitari. Lo stesso fenomeno dell’invecchiamento della popolazione concorre a determinare un incremento costante delle prestazioni. Un’affermazione ovvia, ma quello che impressiona è la sua entità: le prestazioni pro-capite delle fasce più anziane sono quasi tre volte quelle della popolazione di età media. In sostanza, gli innegabili successi del sistema pubblico, sia in termini di capacità generale di aumentare la vita media delle persone, sia in termini di maggiore

7 www.miowelfare.it

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accessibilità ai servizi stessi, ha generato e genera un incremento costante nell’utilizzazione dei servizi offerti. Non possiamo certo dolerci di questa condizione che peraltro arreca una fonte notevole di ricchezza: economica certamente (la possibilità di una vita lavorativa più lunga, di una diminuzione delle ore di lavoro perse in conseguenza di malattie evitate o di complicazioni sempre più prevenute) ma anche una ricchezza che deriva dalla serenità dei cittadini nella vita quotidiana al pensiero che comunque, con tutti i suoi difetti, il sistema pubblico rappresenta una fonte di sicurezza.

A fronte di queste considerazioni lusinghiere, esiste la necessità di assicurare un equilibrio finanziario non solo e non tanto per i problemi di compatibilità che ogni Regione è chiamata a garantire, pena l’introduzione di misure “pesanti” per la struttura economica regionale, ma proprio per la stessa sopravvivenza del modello universalistico del nostro sistema sanitario pubblico. Non può essere sfuggito, almeno agli addetti ai lavori, come spesso siano arrivate critiche al modello stesso del nostro servizio sanitario, critiche nelle quali si affermava che era la stessa struttura del modello pubblico che non avrebbe mai consentito la soluzione del problema delle liste d’attesa. Quindi la necessità di riformare in modo sostanziale il modello verso una forma di privatizzazione crescente, magari iniziando da alcuni settori specifici (ad esempio la privatizzazione della diagnostica per immagini – TAC e Risonanze – attraverso l’introduzione di forme di assicurazione privata per queste prestazioni).

Il tema delle liste d’attesa deve quindi essere letto in questo scenario di complessità.

A questi elementi di complessità che potremmo definire di ambito generale si aggiungono quelli relativi alla complessità specifica del fenomeno.

La complessità del fenomeno può essere rappresentata da alcuni numeri stimati. Non esiste, infatti, a tutt’oggi un sistema nazionale che rilevi in modo adeguato il numero di prestazioni ambulatoriali erogate.

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Considerando una media di circa 14-15 prestazioni ambulatoriali per cittadino italiano, in un anno vengono erogate in Italia circa 900 milioni di prestazioni ambulatoriali. Pressappoco significa che ogni minuto vengono erogate oltre 3.500 prestazioni.

La sfida sui tempi di attesa ci impone di affrontare il problema di garantire l’erogazione di ognuna di queste singole prestazioni in un tempo adeguato. La soluzione di un puro incremento delle prestazioni che è stato, con varia intensità, tentato negli ultimi anni ‘90, ha evidenziato da una parte come dopo un momento di apparente riduzione dei tempi di attesa, questi tornavano a crescere, dall’altro si è scontrato con la limitatezza delle risorse disponibili; questi elementi hanno spinto il sistema ad una profonda riflessione in merito alla sostenibilità finanziaria, ma anche all’opportunità di un puro incremento di prestazioni. Questa riflessione si è sostanzialmente tradotta in alcune direttrici di lavoro:

a) cercare di migliorare l’efficienza del sistema per ottenere un uso ottimale delle risorse disponibili;

b) intervenire sui livelli di utilizzazione delle prestazioni attraverso il concetto di appropriatezza;

c) responsabilizzare i cittadini ad un uso corretto dei servizi sanitari. Vale la pena di approfondire meglio questi tre elementi.

Il miglioramento dell’efficienza del sistema significa sostanzialmente rendere l’organizzazione dell’offerta di prestazioni meno dispersiva possibile, in sostanza fare più cose eliminando eventuali inefficienze organizzative9.

In questo quadro si collocano gli interventi che hanno spinto un po’ tutte le Regioni a dotarsi di sistemi di prenotazione unificati (i CUP) che, da una parte, svolgono un ruolo di democratizzazione del sistema, rendendo l’accesso ai servizi trasparente e controllabile ai cittadini, dall’altro rappresentano una valida modalità di organizzazione della stessa struttura di erogazione.

(19)

I CUP infatti presuppongono una specifica pianificazione del lavoro degli operatori sanitari, il che consente di programmare e rendere appunto trasparente per i cittadini la capacità erogativa dei sistemi. Oggi è impensabile, in relazione alla complessità del fenomeno, affrontarlo senza dotarsi di adeguati strumenti tecnologici, che possano supportare le stesse strutture di erogazione nella valutazione del potenziale erogativo e nella misurazione scientifica dei tempi di attesa generati. Il concetto di appropriatezza rappresenta la sfida professionale che, sebbene attivata in diverse realtà regionali e presente nei vari provvedimenti nazionali, deve ancora trovare il suo pieno sviluppo. Si tratta in sostanza di rendere operativi alcuni principi di carattere squisitamente sanitario: garantire il giusto trattamento nel tempo adeguato. La semplificazione non rende conto del complesso scenario che si genera in termini di riassunzione di responsabilità da parte del mondo professionale. La prima parte dell’assunto, il giusto trattamento, coinvolge specificamente il ruolo dei medici prescrittori nel non fermarsi ad una mera funzione di soddisfazione della richiesta del paziente di ricevere una prestazione sanitaria; lo scopo del sistema non è tanto quello di dare prestazioni, ma di garantire la stabilità delle condizioni di salute, cosa che non necessariamente richiede l’erogazione di una prestazione o la somministrazione di un farmaco. In sostanza l’erogazione di un servizio è lo strumento attraverso il quale si garantisce la salute delle persone. Sembra un’affermazione banale, ma le analisi sui dati, che progressivamente iniziano ad essere disponibili, evidenziano comportamenti che inducono a pensare al rischio di una sorta di “resa” del mondo professionale rispetto alle richieste pressanti degli utenti. Si pensi ad esempio allo slittamento consistente a cui stiamo assistendo nell’utilizzazione di alcune tecnologie moderne come la diagnostica per immagini: sta diminuendo il numero di TAC e crescono quelle di risonanza magnetica, tecnologia più recente e quindi ritenuta migliore in assoluto.

In realtà il concetto è che anche queste due tecnologie hanno ambiti di utilizzazione specifici, in sostanza ci sono patologie che possono tranquillamente essere

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diagnosticate con la TAC invece di ricorrere alla RMN.

Riteniamo che questa ipotesi di mera funzione di soddisfazione di una richiesta di prestazione deve essere decisamente rifiutata dal mondo dei professionisti sanitari, che devono richiedere tutto quello che è effettivamente necessario a garantire la salute dei cittadini. La seconda parte dell’assunto, “nel tempo adeguato”, incide direttamente sul cuore stesso del problema dei tempi di attesa. In sostanza si tratta per il mondo professionale di non delegare più la determinazione del tempo entro il quale una prestazione deve essere erogata a fattori del tutto occasionali. La determinazione del quando una prestazione deve essere erogata è una variabile sanitaria e non organizzativa. La responsabilizzazione dei cittadini ad un uso corretto dei servizi è la contropartita che si richiede ad ogni singolo utente per impostare un percorso di avvicinamento alla soluzione del problema dei tempi di attesa. Si tratta in sostanza di rendere gli utenti maggiormente consapevoli che ogni singola prestazione è una risorsa preziosa, non tanto (ma anche) dal punto di vista finanziario, quanto perché rappresenta una potenziale risposta ad un bisogno di salute concreto, che non può essere sottratta a chi ne ha realmente bisogno.

A titolo esemplificativo, utilizzando le maggiori conoscenze che progressivamente si stanno acquisendo, risulta sia elevato il numero di cittadini che, dopo la prenotazione, non si presenta all’appuntamento. In questo modo quel tempo “occupato” non viene utilizzato da nessuno. Sicuramente la presenza di tempi di attesa consistenti è una forte spinta a prenotare in più posti, per tentare la “sorte” di una prestazione più vicina nel tempo, ma è altrettanto certo che si dovrebbe provvedere a disdire quelle prenotazioni che il cittadino sa da subito che non verranno utilizzate. Queste in estrema sintesi sono le direttrici di lavoro.

Come sono state interpretate fino ad oggi? Certamente le azioni intraprese sono il frutto di compromessi, la stessa limitatezza delle disponibilità finanziarie ne costituisce uno dei più evidenti, ma non l’unico. L’eterogeneità degli interlocutori,

(21)

la dimensione del problema connessa agli elementi individuati nella parte iniziale di questo intervento hanno portato a risposte che spesso tendono a stimolare il sistema (inteso nella sua interezza, inclusi quindi gli utenti) con determinazioni forse non direttamente allineate con le direttive di lavoro sopra individuate. Lo stesso piano nazionale per la riduzione dei tempi di attesa è il frutto di un lavoro molto faticoso e mosso da una logica di compromesso stringente con il precedente governo. La certezza è che le Regioni hanno perfettamente metabolizzato la criticità della questione dei tempi di attesa come sfida estrema del sistema pubblico e non eludibile; con gradi e intensità diversi, ma con impegno crescente, si sono impegnate in questa sfida coscienti della responsabilità verso i propri cittadini e della necessità di trovare soluzioni adeguate proprio per la stessa sopravvivenza del sistema pubblico. È certamente necessario che questa sfida sia sostenuta da tutte le compagini coinvolte, dagli amministratori pubblici, dal sistema delle aziende, dagli operatori sanitari e dalle loro organizzazioni rappresentative, dai cittadini stessi e dalle loro associazioni di tutela.

È anche necessario, però, che si inizi a riconsiderare il valore dell’assistenza sanitaria come fattore propulsivo dell’economia di un Paese e non solo come fattore di costo10.

1.3 Normative e linee guida in tema sulle liste di attesa

La crescente attenzione rivolta alla problematica delle liste d’attesa è ben sottolineata anche dai numerosi provvedimenti e richiami alla riduzione delle stesse da parte delle istituzioni politiche. Dal momento che l’obiettivo principale del SSN è garantire a tutti i cittadini la tutela della salute, l’equità nell’accesso alle prestazioni e la fruizione di livelli essenziali ed uniformi di attesa, una lunghezza eccessiva delle liste e dei tempi d’attesa costituisce un evento fortemente critico anche per le potenziali ripercussioni negative in termini di qualità del servizio e di

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soddisfazione percepite dal paziente/utente11. Non necessariamente da considerare in termini negativi, la lista d’attesa rappresenta in realtà un fenomeno che richiede di essere gestito e regolato in modo da rendere operativi i valori etico-sociali fondanti il SSN in una prospettiva di appropriatezza clinica e organizzativa, ovvero garantendo al cittadino prestazioni efficaci, nella giusta quantità e in tempi congruenti alle effettive necessità assistenziali. Le liste e i tempi d’attesa hanno acquisito un peso sempre crescente nell’ambito dei servizi sanitari, fino a diventare componente strutturale dei Livelli Essenziali di Assistenza del Servizio Sanitario Nazionale, in quanto in grado di influenzare con buona probabilità il risultato clinico delle prestazioni sanitarie e la condizione di vita sociale dei cittadini. Questi ultimi investono sempre maggiore attenzione nei confronti della tutela della propria salute, hanno capacità di influire sulle scelte sanitarie in quanto dotati di maggiori conoscenze e non sono più disponibili a svolgere un ruolo passivo nel processo diagnostico-terapeutico12. In ambito sanitario le molteplici specificità e complessità rendono il tema dei tempi di attesa assai diverso da quello che osserviamo al momento di un qualsiasi altro tipo di prenotazione. Le specificità riguardano principalmente il bene oggetto implicito della richiesta, cioè la tutela della salute e la sua rilevanza individuale e collettiva. In Italia, nonostante i recenti sforzi adottati in senso correttivo e migliorativo, la situazione delle liste d’attesa risulta essere alquanto disomogenea con aree virtuose affiancate da aree molto critiche nonché di notevole salienza nelle aspettative dei cittadini. Ad oggi sono ancora molte le prestazioni sanitarie, siano esse visite specialistiche, interventi chirurgici, esami strumentali, la cui erogazione richiede dei tempi tali da limitare la garanzia dell’equità di accesso e la fruizione dei livelli essenziali di assistenza da parte degli utenti e la conseguente percezione di scarsa qualità del servizio sanitario. Esse minano quelle che sono le caratteristiche salienti del sistema sanitario, ovvero l’equità e l’universalità danneggiando nel contempo la gestione pubblica del SSN dal momento che incrementano il ricorso a strutture sanitarie

11 Derlet & Richards, 2000

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private in grado di offrire le medesime prestazioni in tempi più rapidi. In tale direzione si colloca il Dpcm del 16 aprile 2002 “Linee guida sui criteri di priorità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e sui tempi massimi di attesa”. Nel Decreto le Regioni, in casi di urgenza e di sovraccarico delle liste di attesa, devono garantire da una parte forme di incentivi alle équipe sanitarie che rispettano i tempi di attesa, dall’altra, prevedere l’espletamento di prestazioni libero professionali del personale dipendente al di fuori dell’orario di servizio senza superare quelle rese in regime ambulatoriale nonché la stipula di contratti a termine con liberi professionisti accreditati. Nella Conferenza Stato-Regioni del 2002 “Linee guida sui criteri di priorità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche sui tempi massimi di attesa” vengono definiti degli standard di attesa che le strutture sanitarie devono garantire su tutto il territorio nazionale relativamente ad alcune prestazioni particolarmente critiche e clinicamente rilevanti. Si sottolinea, in particolare, l’importanza della definizione dei criteri di priorità quale strumento di garanzia al cittadino di un accesso equo ed omogeneo. Tali criteri, sempre secondo l’accordo, vanno valutati tenendo conto della severità del quadro clinico, della prognosi, della tendenza al peggioramento, della presenza di dolore o deficit funzionale, delle implicazioni sulla qualità della vita, di particolari condizioni che richiedono un trattamento da erogarsi in tempi prefissati e di speciali caratteristiche del paziente dichiarate dal medico prescrittore. Nello specifico vengono individuate 3 classi di priorità per l’assistenza ambulatoriale (Fig. 1) e 4 classi di priorità per il ricovero (Fig. 2) relativamente alle prestazioni di particolare rilevanza, quelle per cui si registrano dei tempi d’attesa elevati. Le Regioni individuano autonomamente le prestazioni ambulatoriali e di ricovero e le condizioni cliniche specifiche da inserire nelle suddette classi tenendo in considerazione quelle prestazioni o quei servizi in cui le liste raggiungono tempi di attesa superiori ai valori standard regionali e/o nazionali, che presentano un’alta complessità diagnostica terapeutica o un alto valore socio-sanitario e per le quali viene richiesta una certa tempestività di esecuzione. A livello ambulatoriale, le prestazioni critiche e rilevanti, definite prestazioni “traccianti”, concernono la risonanza magnetica, la tac cerebrale, l’ecodopller, la visita cardiologica, la visita

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oculistica, l’esofagogastroduodenoscopia e l’ecografia dell’addome. Per i servizi di ricovero le prestazioni chirurgiche di carattere elettivo maggiormente problematiche sono l’intervento di cataratta, di protesi dell’anca e la coronarografia. Un’attenzione particolare è stata posta nel fissare tempi d’attesa massimi in relazione all’iter diagnostico per sospetta neoplasia, che richiede rapidità e tempestività nella diagnosi e nella terapia affinché si raggiungano buoni risultati in termini di guarigione, miglioramento della qualità della vita e di tassi di sopravvivenza. In questo caso la prima visita va garantita entro due settimane dalla richiesta, l’intervento di asportazione di neoplasia maligna così come l’inizio del trattamento chemio/radioterapico entro trenta giorni dalla richiesta dello specialista. In riferimento ai tempi di accesso alle cure anticancro si sottolineano gli ottimo risultati raggiunti dal nostro Paese secondo la rilevazione dell’Health Consumer Power (2007): più della metà dei casi non superano i 21 giorni mentre in Paesi come la Gran Bretagna, la Finlandia e l’Irlanda più del 50% dei casi aspetta oltre le tre settimane.

(Figura 1) Le classi di priorità per l’assistenza ambulatoriale

Classi di priorità per l’assistenza ambulatoriale

Indicazioni

Classe A

Prestazioni la cui tempestiva esecuzione condiziona in arco di tempo breve la prognosi a breve del paziente o influenza marcatamente il dolore, la disfunzione o la disabilità. Da eseguirsi entro 10 giorni.

Classe B

Prestazioni la cui tempestiva esecuzione non influenza significativamente la prognosi a breve ma è richiesta sulla base della presenza di dolore o di disfunzione o disabilità. Da eseguirsi entro 30 giorni per le visite e entro 60 giorni per le

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Classe C

Prestazione che può essere programmata in un maggiore arco di tempo in quanto non influenza la prognosi, il dolore, la disfunzione, la disabilità. Da eseguirsi entro 180 giorni.

(Figura 2) Le Classi di priorità per il ricovero.

Classi di priorità per il ricovero Indicazioni

Classe A

Ricovero entro 30 giorni per i casi clinici che potenzialmente possono aggravarsi rapidamente al punto di diventare emergenti, o comunque da recare grave pregiudizio alla prognosi.

Classe B

Ricovero entro 60 giorni per i casi clinici che presentano intenso dolore, o gravi disfunzioni o grave inabilità, ma che non presentano la tendenza ad aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi.

Classe C

Ricovero entro 180 giorni per i casi clinici che presentano minimo dolore, disfunzione o inabilità, e non manifestano tendenza ad aggravarsi né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi.

Classe D

Ricovero senza attesa massima definita per i casi clinici che non causano alcun dolore, disfunzione o inabilità. Devono comunque essere effettuati entro 12 mesi.

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1.4 Il progetto mattoni SSN

La legislazione che affronta il problema dei tempi d’attesa è consistente e soprattutto negli ultimi anni l’obiettivo della riduzione dei tempi di attesa è ripreso in ogni legge finanziaria, accompagnato da una serie di sanzioni (in genere in termini di impossibilità di accesso per le regioni a determinate risorse finanziarie se non previo adempimento a precisi vincoli).

Già la legge istitutiva del SSN (L. 23 dicembre 1978 n. 833), all’articolo 25 (commi 8-10) affermava: L'utente può accedere agli ambulatori e strutture convenzionati per le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio per le quali, nel termine di tre giorni, le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare la richiesta di accesso alle prestazioni stesse. Le unità sanitarie locali attuano misure idonee a garantire che le prestazioni urgenti siano erogate con priorità nell'ambito delle loro strutture.13

Questa norma rappresentava un primo tentativo di conciliare le esigenze di una tempestiva risposta ai bisogni di salute del cittadino e gli ambiti di azione del servizio pubblico.

Si trattava, in ogni caso, di una possibilità circoscritta a quelle prestazioni per le quali la Unità sanitaria locale aveva stipulato una convenzione con una o più strutture private, e si richiedevano altre condizioni: il cittadino doveva richiedere, per singola prestazione, l’autorizzazione della USL di competenza; il rilascio era condizionato all’impossibilità delle strutture pubbliche a soddisfare la richiesta entro 3 giorni. La cosiddetta “regola dei 3 giorni” è stata superata teoricamente con l’entrata in vigore del Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (come modificato dal D.Lgs.517/93), e concretamente solo negli anni 1996 e successivi, con l’attivazione effettiva delle aziende sanitarie locali e l’avvio del sistema di autorizzazione e accreditamento.

13https://it.wikisource.org/wiki/L._23_dicembre_1978,_n._833_Istituzione_del_Servizio_Sanitario_Nazi

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In quest’ambito, infatti, si prevede che il cittadino abbia una libertà di scelta sul luogo di cura (da cui il superamento dell’obbligo di una previa autorizzazione della USL) tra le strutture pubbliche e private “accreditate” con il SSN, previa stipula di appositi accordi contrattuali con l’azienda sanitaria locale. Negli anni ’90 si affronta il tema dei “Criteri e requisiti per la codificazione degli interventi di emergenza”, nell’ambito del sistema dell’emergenza-urgenza in fase di attivazione in tutta Italia ai sensi del DPR 27 marzo 1992 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza”.

A tal fine il Decreto del Ministro della Sanità 15 maggio 1992 stabilisce le modalità con cui vanno codificate le chiamate del 118, compreso l’aspetto della “criticità dell'evento”. Il modello previsto è quello tuttora applicato nelle Centrali Operative del “118”, ripreso anche dalle Linee guida sul “Triage intraospedaliero (valutazione gravità all'ingresso)” approvate con Accordo Stato-Regioni del 25 ottobre 2001.

Il tema dei tempi di attesa viene spesso ripreso nelle manovre finanziarie. Così, la legge n. 724 del 23 dicembre 1994 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), all’art. 3, comma 8, stabilisce le modalità per garantire la trasparenza nella gestione delle liste d’attesa, creando registri di prenotazione e rendendo disponibili i dati sulle prenotazioni in ciascuna sede di erogazione delle prestazioni. A tal fine la norma prevede che “…i presidi ospedalieri e le aziende ospedaliere devono tenere, sotto la personale responsabilità del direttore sanitario, il registro delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, di diagnostica strumentale e di laboratorio e dei ricoveri ospedalieri ordinari. Tale registro sarà soggetto a verifiche ed ispezioni da parte dei soggetti abilitati ai sensi delle vigenti disposizioni. Tutti i cittadini che vi abbiano interesse possono richiedere alle direzioni sanitarie notizie sulle prenotazioni e sui relativi tempi di attesa, con la salvaguardia della riservatezza delle persone”.

In seguito, il D.P.C.M. del 19 maggio 1995 “Schema generale di riferimento della Carta dei Servizi pubblici sanitari” si sofferma invece maggiormente nel

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sottolineare l'importanza dell’informazione e della comunicazione al cittadino e la necessità di prestarvi un’adeguata attenzione. Lo schema si rapporta a quanto previsto dalla legge fondamentale in materia di accesso ai servizi, la legge 7 agosto 1990, n. 241 («Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi») che ha dettato le nuove regole per i rapporti tra i cittadini e le amministrazioni, viste nel momento dell'esercizio di poteri autoritativi.

La «Carta» è essenzialmente volta alla tutela dei diritti degli utenti: non si tratta di una tutela intesa come mero riconoscimento formale di garanzie al cittadino, ma di attribuzione allo stesso di un potere di controllo diretto sulla qualità e tempestività dei servizi erogati. La Carta dei servizi, pertanto, deve indicare quali prestazioni sanitarie eroga l’azienda sanitaria (USL o AO), con quali modalità di accesso e con quali tempi di attesa. Inoltre, ribadisce che ogni azienda sanitaria dovrà approvare un «registro dei ricoveri ospedalieri ordinari» e un «registro delle prestazioni specialistiche ambulatoriali e di diagnostica di laboratorio», con indicazioni dei tempi massimi di attesa, consultabili dai cittadini presso tutti i centri di prenotazione dell'USL, gli uffici informazioni e, comunque, presso gli uffici USL per i rapporti con il cittadino utente, oltreché presso i medici di famiglia e le farmacie. Ulteriori indicazioni specifiche si trovano nel Decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124 “Ridefinizione del sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni, a norma dell'articolo 59, comma 50, della Legge 27 dicembre 1997, n. 449”. Questo decreto, (più noto col termine di “Sanitometro”), all’art. 3, commi 10 – 15, prevede una serie di obblighi per le Regioni e le Aziende sanitarie e correla ciascun adempimento con l’indicazione dei termini e delle sanzioni per l’eventuale inosservanza. In particolare, attribuendo alla Regione il compito di definire i criteri generali e prevedere idonee misure da adottarsi nei confronti del direttore generale dell'Azienda USL o dell'Azienda Ospedaliera in caso di reiterato mancato rispetto dei termini per l’erogazione delle prestazioni. Devono, inoltre, adottare interventi per: razionalizzare la domanda, aumentare i tempi di effettivo utilizzo delle apparecchiature e delle strutture, incrementare la capacità di offerta delle aziende

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(eventualmente attraverso il ricorso all'attività libero-professionale intramuraria, ovvero a forme di remunerazione legate al risultato).

I Direttori generali delle Aziende USL e delle Aziende Ospedaliere devono definire i tempi massimi di attesa e vigilare sul loro rispetto.

Tra questi, sono stati inseriti anche i progetti presentati dalle Regioni al fine della riduzione dei tempi di attesa. Interessante evidenziare che si chiede anche al cittadino una precisa responsabilità nell’uso dei servizi; pertanto “L'utente che non si presenti ovvero non preannunci l'impossibilità di fruire della prestazione prenotata è tenuto, ove non esente, al pagamento della quota di partecipazione al costo della prestazione”. In seguito, il PSN 1998-2000 richiama la necessità di adottare significativi interventi per abbattere le liste di attesa, anche tramite linee guida cliniche o protocolli diagnostico-terapeutici. Inoltre, in attuazione del Piano, la riduzione dei tempi di attesa diviene un obiettivo di rilievo prioritario e di interesse nazionale, ai sensi del articolo 1, commi 34 e 34- bis della legge n. 662/9614.

La “Commissione per la formulazione di proposte operative e lo studio delle problematiche relative alla gestione dei tempi di attesa”, istituita con decreto del Ministro della sanità del 28 dicembre 2000, nella relazione finale ”Analisi e proposte in tema di liste di attesa nel S.S.N.”, pubblicata a maggio 2001, sottolineava la fondamentale importanza del monitoraggio “costante ed uniforme dei tempi di attesa, che abbia come oggetto alcune prestazioni particolarmente critiche”, costituendo un apposito flusso informativo. “Le prestazioni oggetto di monitoraggio riguardano sia l’ambito ambulatoriale sia i ricoveri.” La Commissione ha sottolineato l’importanza di avere un monitoraggio costante del fenomeno: “Una corretta gestione delle attese richiede che la direzione strategica

14 www.mattoni.salute.gov.it/mattoni/paginaInternaMenuMattoni.jsp?id=9&menu=mattoni– mattone 6

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delle aziende sanitarie sia in grado di monitorare i bisogni e le priorità assistenziali della propria utenza e le caratteristiche dell’offerta fornita; tale conoscenza rappresenta un indispensabile strumento di programmazione sanitaria nell’ambito dell’azienda e dell’intero territorio regionale e nazionale. Risulta perciò necessario individuare delle definizioni condivise e degli idonei strumenti di misura che consentano una rilevazione standardizzata del fenomeno delle liste d’attesa ed eventuali comparazioni tra i diversi erogatori e tra le diverse realtà territoriali.” Anche relativamente alle modalità di rilevazione, sono state formulate precise indicazioni metodologiche: “La rilevazione può avvenire in due forme:

• Ex ante, che consiste nella rilevazione (prospettica) ad un determinato giorno indice della differenza tra data di esecuzione prospettata e data della richiesta rivolta all’erogatore (rappresenta, in sostanza, il tempo d’attesa così come percepito dall’utente);

• Ex post, che consiste nella rilevazione (retrospettiva) della differenza tra la data della effettiva erogazione della prestazione e quella della richiesta rivolta all’erogatore (rappresenta, in sostanza, il punto di vista dell’azienda); tale valutazione richiede un sistema informatizzato che rilevi i tempi di attesa per le prestazioni realmente erogate, escludendo sia il drop out che le prestazioni annullate dall’azienda. È da notare che la rilevazione ex post in genere produce tempi di attesa inferiori a quelli valutati con il metodo ex ante.

Alcune regioni utilizzano i tracciati economici di rendicontazione per il monitoraggio dei tempi di attesa. Tale metodologia, con le criticità insite in un tracciato nato per finalità economiche, pur ampliato nel tempo per più ampi intenti di governance, se a regime e di buona qualità, può fornire un’ampia base dati utile a fini analisi statistiche ed al governo del sistema.

I dati elementari di interesse relativi alle prestazioni selezionate vanno rilevati, a livello aziendale e per ogni punto di erogazione (ivi comprese le strutture private accreditate che insistono sul territorio), con riferimento ad una data stabilita (giorno indice). La data relativa al primo posto disponibile in agenda può essere

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soggetta a variabilità casuale, ma è di più semplice rilevazione; modalità più precise, quale la prima disponibilità utile ad eseguire la prestazione seguita da una o più disponibilità nei successivi 3 giorni (come attuato da alcune regioni), possono essere considerati di utilità per le regioni e per le aziende laddove il sistema di rilevazione sia già a regime”15.

Dagli anni 2000 ad oggi, il tema delle liste di attesa trova una collocazione specifica e rilevante nell’ambito della definizione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), in quanto il D.Lgs.229/99 sul riordino del SSN e il provvedimento di “Definizione dei LEA” adottato con il DPCM 29 novembre 2001, pongono la necessità di chiarire non solo quali prestazioni il SSN deve erogare ai cittadini, ma anche con quali caratteristiche (sicurezza, qualità, tempestività). Le riflessioni su LEA e tempi di attesa portano all’adozione, in rapida successione, di due importanti Accordi sul tema delle liste di attesa (14 febbraio 2002 e 11 luglio 2002), sanciti nell’ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni e Province Autonome (cosiddetta “Conferenza Stato-Regioni”).

I LEA sono finalizzati a garantire ai cittadini un servizio sanitario omogeneo in termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate e a individuare il corretto livello di erogazione dei servizi resi; in questo contesto, il tempo di attesa esprime il grado di tutela dei diritti di accesso alle cure e di eguaglianza nell’ambito del Servizio sanitario, e lo sviluppo del modello delle priorità perfeziona l’aspetto applicativo, dovendo garantire omogenea tempestività di accesso in base alla necessità di cura. Sono di riferimento per lo sviluppo del modello delle priorità anche i primi due principi fondamentali sui quali è costruita la definizione di LEA:

a) il livello dell’assistenza erogata, per essere garantita, deve poter essere misurabile tramite opportuni indicatori;

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b) le prestazioni, che fanno parte dell’assistenza erogata, non possono essere considerate essenziali se non sono appropriate.

Gli obiettivi strategici per il mantenimento dei LEA prevedono due aspetti che vanno ad integrarsi con il modello delle priorità:

1) il rendere pubblici i valori monitorati dei tempi di attesa, garantendo il raggiungimento del livello previsto.

2) il costruire indicatori di appropriatezza a livello del territorio che siano centrati sul paziente e non sulle prestazioni.

Il primo obiettivo comprenderà il coinvolgimento della cittadinanza e la regolare e trasparente informazione sull’accesso ai servizi, mentre il secondo dovrà integrare il modello delle priorità per singola prestazione con il modello organizzativo dei percorsi diagnostico terapeutici e con la gestione complessiva del paziente, visto non come utilizzatore di singole prestazioni ma come cittadino che necessita di una presa in carico complessiva. Questo secondo obiettivo merita un approfondimento relativamente al concetto dell’appropriatezza centrata sul paziente e non sulle prestazioni. Innanzi tutto, l’appropriatezza non è un attributo intrinseco delle prestazioni, ma nasce dalla correlazione tra esse ed il bisogno (diagnostico, terapeutico, ecc.) di uno specifico paziente, in rapporto alla efficacia della prestazione rispetto al problema di salute, al rapporto tra benefici attesi e rischi possibili, ecc.. In secondo luogo, al variare delle caratteristiche del problema dello specifico paziente, può variare la dimensione del tempo entro il quale la prestazione deve essere erogata in considerazione del rischio di vita o inabilità, della sofferenza, ecc., ma anche di aspetti quali il rapporto benefici/costi. Si conferma quindi come anche la dimensione temporale, per essere equa ed appropriata, non può essere astratta e generica, ma deve essere calibrata sull’esigenza del paziente o di classi di pazienti con tipologia di problemi simile. L’Accordo sancito dalla Conferenza Stato-Regioni il 14 febbraio 2002 (Repertorio atti n. 1386) prevedeva che, entro tre mesi, fossero individuate le soluzioni più

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efficaci per la fissazione dei tempi massimi di attesa per prestazioni selezionate in relazione a particolari patologie. Con il DPCM 16 aprile 2002 “Linee Guida sui criteri di priorità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e sui tempi massimi d’attesa”, i contenuti dell’Accordo sono stati inseriti nell’Allegato 5 al DPCM 29 novembre 2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”. Il successivo Accordo dell’11 luglio 2002 (Repertorio atti n. 1488) ha fornito indicazioni sulle modalità di accesso alle prestazioni e indirizzi per l’individuazione di soluzioni efficaci per la fissazione dei tempi di attesa specificando l’elenco di prestazioni selezionate, richieste dall’accordo del 14 febbraio. L’accordo di luglio ha inoltre affrontato il problema del monitoraggio dei tempi e delle liste di attesa, focalizzando l’attenzione sui ricoveri in elezione e sul primo accesso alle prestazioni ambulatoriali. L’accordo prevedeva che, in attesa dell’attivazione di un flusso informativo del Nuovo Sistema Informativo Sanitario Nazionale sui tempi e le liste di attesa, le Regioni avrebbero fornito dati attraverso una rilevazione ad hoc che il Ministero e il Tavolo di monitoraggio e verifica dei livelli essenziali di assistenza sanitaria di cui al punto 15) dell’accordo 8 agosto 2001, per il tramite dell’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, avrebbero condotto entro l’anno. Il compito di definire la metodologia per svolgere la rilevazione è stato attribuito dal Ministero della salute ad uno specifico Gruppo tecnico sulle liste di attesa costituito presso l’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali con rappresentanti delle Regioni e del Ministero.

Le attività del Gruppo tecnico hanno avuto inizio nel luglio 2002. L’Accordo non sostituisce quanto già previsto dal D.Lgs124/98, ma integra il precedente disposto normativo. Rispetto a quanto già previsto, le novità introdotte dall’Accordo del 14 febbraio 2002 riguardano la precisazione degli obblighi:

- alle Regioni è richiesto di indicare i criteri di priorità per l’accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche sulla base di valutazioni di appropriatezza e di urgenza e le modalità per una corretta gestione delle liste di prenotazione al fine di garantire l’uniformità e la trasparenza delle stesse

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- i direttori generali delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sono responsabili dell’attuazione (l’inadempienza incide sulla possibilità di compenso aggiuntivo dei Direttori generali).

Un ulteriore passi in avanti nel definire il razionale per la riduzione dei tempi di attesa e l’utilizzo del modello delle priorità per l’accesso alle prestazioni specialistiche, lo troviamo anche nei principi essenziali del Servizio Sanitario Nazionale, come delineati nel DPR 23.5.2003 (Piano Sanitario Nazionale 2003- 2005).

Il rispetto dei principi essenziali costituisce un passaggio obbligato nella realizzazione ed applicazione del modello basato sulle priorità:

a) il diritto alla salute comporta la necessità di non differenziare i tempi di accesso per stato sociale ed economico, problema anche evidenziato dalla letteratura internazionale;

b) l’equità, all’interno del sistema, relativamente ad accesso, appropriatezza e qualità delle cure sottolinea il ruolo della componente clinica ed assistenziale nella definizione di priorità, che va di pari passo con la definizione di appropriatezza delle prestazioni;

c) la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti obbliga a rendere espliciti i percorsi di cura ed i criteri per l’accesso secondo priorità, dovendo altresì individuare i tre livelli dell’organizzazione deputati a rendere praticabile e sostenibile l’applicazione del modello: il livello esecutivo, il livello operativo, il livello di supervisione;

d) la dignità ed il coinvolgimento dei cittadini, evidenzia l’importanza di coinvolgere i cittadini e le loro organizzazioni, essendo sempre più depositari di una percezione della qualità sostenibile, oltre che essere di fatto considerati “clienti” nel gergo deontologico degli stessi professionisti e pertanto consapevoli attori di “contratti” di cura;

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e) la qualità delle prestazioni richiede un costante impegno di aggiornamento clinico e organizzativo, divenendo il modello di applicazione delle priorità di fatto un moderno strumento di formazione sul campo;

f) l’integrazione socio-sanitaria presuppone che in determinati casi gli aspetti “meno sanitari” e “più sociali” possano influire sulla priorità di accesso, potendo la componente sociale associata al problema di salute essere ulteriore potenziale causa di rischio e di effettivo danno per il cittadino;

g) lo sviluppo della conoscenza e della ricerca è favorito dallo sviluppo di nuovi modelli clinici ed organizzativi;

h) la sicurezza sanitaria dei cittadini è un principio dal quale non può prescindere la definizione di priorità di accesso a servizi erogati per tutta la cittadinanza. La riduzione dei tempi di attesa diventa, nel PSN 2003-05, una modalità per l’attuazione dei LEA ed una priorità strategica.

L’orientamento è definire l’equilibrio fra la complessità ed urgenza delle prestazioni ed i tempi di erogazione delle stesse, ed in questo senso c’è una chiara indicazione sulle priorità per l’accesso alle prestazioni.

Nel nuovo PSN 2006-2008, recentemente approvato, vi è una conferma degli indirizzi già presenti nelle normative precedentemente citate, con una sottolineatura in merito all’appropriatezza, alla diffusione dei Centri Unici di Prenotazione (CUP), all’utilizzo sistematico delle priorità per l’accesso (sia in termini generali, sia più marcato per alcuni settori, quali l’oncologia e l’urgenza). Infine, la recente Legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria 2006) all’articolo 1 commi 283, 284, 288, 289, 309, affronta il tema dei tempi e delle liste di attesa con disposizioni vincolanti ed indirizzi per il successivo Piano Nazionale per il contenimento dei Tempi di Attesa, Piano approvato in sede di

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Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 28 marzo 2006. Tra gli elementi più significativi di questi due atti, ricordiamo in particolare:

- L’obbligo di definire i tempi massimi d’accesso garantiti per una serie di prestazioni di ampio utilizzo - il divieto di sospendere le attività di prenotazione delle prestazioni (sono previste sanzioni amministrative per i trasgressori)

- Indicazione all’uso sistematico delle priorità per l’accesso alle prestazioni

- Il potenziamento dei CUP, anche con uno specifico finanziamento La Legge 266/2005 stabilisce che le Regioni sono tenute ad alcuni adempimenti per accedere agli ulteriori finanziamenti del SSN per gli anni 2006, 2007 e 2008 rispetto a quanto previsto dall’Accordo Stato-Regioni del 1° agosto 2001, tra cui:

- L’attivazione nel Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio delle liste di attesa (la trasmissione dei dati da parte Pag.30/195 Mattoni SSN – Mattone 6 Tempi d’attesa delle regioni costituisce preciso “obbligo informativo”, che può incidere sull’erogazione degli ulteriori finanziamenti previsti dalla legge finanziaria);

- La previsione che a certificare la realizzazione degli interventi in attuazione del Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa provveda il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), di cui all’articolo 9 dell’Atto di intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005.

- Le regioni devono adottare, sentite le associazioni a difesa dei consumatori e degli utenti, operanti sul proprio territorio, disposizioni per regolare i casi in cui la sospensione dell’erogazione delle prestazioni è legata a motivi tecnici, informando successivamente, con cadenza semestrale, il Ministero della salute.

Inoltre, il comma 283 prevede l’istituzione, con decreto del Ministro della salute, della Commissione nazionale sull’appropriatezza delle prescrizioni, cui sono affidati compiti di promozione di iniziative formative e di informazione per il personale medico e per i soggetti utenti del Servizio sanitario, di monitoraggio,

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studio e predisposizione di linee-guida per la fissazione di criteri di priorità di appropriatezza delle prestazioni, di forme idonee di controllo dell’appropriatezza delle prescrizioni delle medesime prestazioni, nonché di promozione di analoghi organismi a livello regionale e aziendale. Alla Commissione è altresì affidato il compito di fissare i criteri per la determinazione delle sanzioni amministrative relative agli obblighi sui tempi di attesa; le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dovranno poi applicare le sanzioni. Il Piano Nazionale approvato il 28 marzo 2006 ha definito nel dettaglio una serie di aspetti, tra i quali i contenuti dei piani regionali ed aziendali, l’elenco delle prestazioni (elenco che sarà rivisto annualmente d’intesa tra Governo e Regioni) per le quali stabilire i tempi massimi di attesa da garantire ad almeno il 90% dei cittadini.

Le prestazioni sono state selezionate considerando ambiti ove si ritiene maggiore il livello di appropriatezza (oncologia, cardiovascolare), oppure ad alta domanda (visite specialistiche), alta complessità tecnologica o che presentano forti differenze di accessibilità tra le regioni. Esse sono divise in due categorie: 52 che richiedono immediatamente l’intervento delle Regioni, 48, per le quali le Regioni potranno rinviare l’inserimento nei piani attuativi, in quanto si riconosce la necessità di un maggiore approfondimento conoscitivo, che si dovrà realizzare attraverso un’attività di monitoraggio da condursi a partire dal secondo semestre del 2006 e Pag.31/195 Mattoni SSN – Mattone 6 Tempi d’attesa con termine entro il 2008, coordinata a livello nazionale dall’ASSR e con rapporti annuali sull’attività svolta ed i risultati prodotti. L’obiettivo del monitoraggio dovrebbe essere quello di permettere di valutare la variabilità dei tassi di accesso e rilevare le criticità del sistema dell’offerta Il Piano prevede l’attivazione, all’interno del NSIS, di uno specifico flusso informativo che costituisce obbligo informativo ai sensi dell’articolo 3, comma 6 dell’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005.

In realtà, il piano prevede tre diverse tipologie di monitoraggio ed una rilevazione sperimentale:

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a) Monitoraggio di sistema del fenomeno liste di attesa: inizialmente le prestazioni ambulatoriali da monitorare saranno le stesse già in precedenza oggetto di sperimentazione da parte del Gruppo Tecnico coordinato dall’ASSR, ma dovranno progressivamente essere incrementate; Il monitoraggio dovrà verificare il rispetto degli standard temporali indicati in periodi di rilevazione indicati (inizialmente una giornata ogni tre mesi, per arrivare progressivamente ad una rilevazione su di una settimana);

b) Monitoraggio specifico delle prestazioni elencate nel piano: questo si riferisce ad un controllo puntuale presso le strutture indicate dalle ASL come luoghi ove è garantita l’erogazione entro i tempi massimi regionali; per queste strutture si richiedono anche informazioni sui volumi erogati;

c) Monitoraggio delle eventuali sospensioni delle attività di prenotazione: in realtà, la sospensione delle prenotazioni è proibita e sanzionata sul piano amministrativo, mentre la sospensione dell’erogazione deve essere regolamentata, e su questa si attiva uno specifico flusso informativo;

d) Monitoraggio delle prestazioni “evidenziate in grigio”: viene dato incarico all’ASSR di coordinare un monitoraggio di queste prestazioni, al fine di valutare la variabilità nei tassi d’accesso e le criticità del sistema dell’offerta che possano richiedere interventi sull’organizzazione.

Alla luce di quanto sopra riportato, si evidenzia come il quadro normativo di riferimento ha recentemente avuto una accelerazione nel rendere obbligatorie una serie di azioni, tra le quali si segnalano l’indicazione all’uso sistematico delle classi di priorità come primo strumento per garantire l’equità e la risposta tempestiva ai bisogni dell’utente, dei tempi massimi garantiti per una numerosa serie di prestazioni di ampia diffusione, il divieto alla sospensione delle prenotazioni16.

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