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Integrazione di Sistemi di Gestione in ottica di Circolarità: l'esperienza di Geofor S.p.A.

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Anno Accademico 2017/2018 Master Universitario di II livello in “Gestione e Controllo dell’Ambiente: Economia Circolare e Management efficiente delle risorse” (GECA)

Project Work

“Integrazione di Sistemi di Gestione in ottica

di Circolarità: l'esperienza di Geofor S.p.A.”

Autore

Dott.ssa Serena Carlesi

Tutor Scientifico

Dott. Andrea Sbandati

Tutor Aziendale – Geofor S.p.A.

Geom. Federico Trolese

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INDICE

Introduzione pag. 5

CAPITOLO 1 Quadro normativo italiano pag. 7

1.1 Ambiente pag. 7

1.2 Sicurezza e Salute nei luoghi di Lavoro pag. 8

1.3 Qualità pag. 10

1.4 Trasparenza ed Anticorruzione pag. 11

1.5 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle

società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica pag. 13

1.6 Codice Appalti pag. 13

CAPITOLO 2 Il “Pacchetto sull’Economia Circolare” pag. 14

2.1 Direttiva (UE) 2018/849 pag. 15

2.2 Direttiva (UE) 2018/850 pag. 15

2.3 Direttiva (UE) 2018/851 pag. 15

2.4 Direttiva (UE) 2018/852 pag. 16

2.5 Il nuovo metodo di calcolo introdotto dal Pacchetto pag. 17

2.6 Altre azioni nell’ambito dell’”Economia Circolare” pag. 17

2.6.1 Strategia della Plastica pag. 19

2.6.2 Indicatori di monitoraggio dell’Economia Circolare nella Gestione dei Rifiuti pag. 19

2.7 Direttiva (UE) 2012/19 pag. 19

2.8 Appalti Pubblici Verdi pag. 20

3.1 CAPITOLO 3 Il Sistema di Gestione Integrato pag. 21

3.2 ISO 9001:2015 e SGQ pag. 22

3.3 ISO 14001:2015 e SGA pag. 24

3.4 BS OHSAS 18001:2007 e SGSL pag. 25

3.5 L’Integrazione dei Sistemi di Gestione pag. 27

3.6 Il Modello MOG 231 pag. 28

CAPITOLO 4 GEOFOR pag. 31

4.1 Inquadramento dell’Azienda pag. 31

4.2 Il Sistema di Gestione Integrata dell’Azienda pag. 34

4.3 La “circolarità” all’interno del SGI di Geofor pag. 38

4.3.1 La “Circolarità” come strumento per ottimizzare la gestione in procedure/istruzioni

operative: caso-studio della gestione di un Centro di Raccolta pag. 38 4.3.2.1 Approfondimento normativo relativo ai Centri di Raccolta pag. pag. 38

4.3.2.2 I Centri di Raccolta gestiti da Geofor pag. 41

4.3.2.3 Gestione del Centro di Raccolta all’interno del SGI di Geofor pag. 42 4.3.2 Il concetto “Prospettiva del Ciclo di Vita” secondo UNI EN ISO 14001:2015 pag. 50 4.3.1.1 L’applicazione del concetto “Prospettiva del Ciclo di Vita” nel SGI di Geofor pag. 51 4.3.3 La situazione attuale della gestione aziendale in riferimento al Pacchetto Economia

Circolare e agli Appalti Verdi: possibili spunti di miglioramento pag. 58

4.3.3.1 Periodo di “transizione” di Geofor pag.58

4.3.3.2 Obiettivi della Direttiva (UE) 2018/850 pag. 59

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4.3.3.4 Obiettivi della Direttiva (UE) 2018/852 pag. 64

4.3.3.5 Obiettivi della Direttiva (UE) 2012/19 pag. 65

4.3.3.6 Appalti Pubblici Verdi e fornitori certificati/qualificati pag. 66

Riflessioni e Conclusioni pag. 68

Bibliografia e Sitografia pag. 72

Allegato 1: Descrizione del Processo (IST-SA-01) pag. 81

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Introduzione

In un mondo sempre attivo e popolato, garantire a tutti un futuro sostenibile significa porsi e risolvere il problema della scarsità delle risorse naturali e della loro capacità di rigenerazione. Per mantenere stabile il sistema economico attuale, un continuo flusso di energia e di materia di alta qualità è indispensabile. Materia ed energia quando usate e trasformate, però, degradano e riducono di conseguenza la loro utilità. Sprecare vuol dire accelerare questo processo di degrado senza ottenere da esso i massimi benefici possibili. Usare materia ed energia in modo efficiente significa ottenere il massimo valore dall’uso delle cose. Se per l’energia, la speranza di un continuo approvvigionamento è data soprattutto dalle fonti rinnovabili, per la materia, però, è necessario agire in modo intelligente, con nuove conoscenze e idee innovative. La soluzione che si prospetta per la materia è la circolarità dei flussi, come da sempre avviene in natura. Questa è l’Economia Circolare, un modello di economia che ritiene il “rifiuto” un concetto relativo, che dipende dalle nostre capacità di trasformare ciò che ora scartiamo in risorsa rinnovabile per l’economia. Si tratta di un ripensamento complessivo e radicale rispetto al modello produttivo classico basato sull’iper-sfruttamento delle risorse naturali e orientato all’unico obiettivo della massimizzazione dei profitti tramite la riduzione dei costi di produzione. Adottare un approccio circolare significa rivedere tutte le fasi della produzione e prestare attenzione all’intera filiera coinvolta nel ciclo produttivo: dalla progettazione, alla produzione, al consumo, fino alla destinazione a fine vita – bisogna riuscire a cogliere ogni opportunità per ridurre al minimo l'apporto di materia prima, energia in ingresso, scarti e perdite, cercando di prestare maggiore attenzione anche alla prevenzione delle esternalità ambientali negative. L'approccio circolare ha il grande vantaggio di consentire alle aziende non solo di affrancarsi dai vincoli delle risorse, ma anche di aumentare la resilienza e la

competitività, favorendo la piena integrazione della sostenibilità nelle loro strategie e creando

valore condiviso per l'intera società. Altro aspetto da non sottovalutare è come i principi dell'economia circolare rappresentino un motore di innovazione a tutti i livelli: non esistono comparti in cui l'economia circolare non sia in grado di portare benefici condivisi.

Un’Azienda che opera nel settore rifiuti interviene nel cosiddetto “fine-vita” dei prodotti e, nonostante questo, in una visione di circolarità, anch’essa può contribuire al processo di rigenerazione e di riduzione degli sprechi ed impatti ambientali sia grazie all’attività di raccolta/trattamento rifiuti, in quanto tale, che come singola Azienda, avente una propria “vita” e proprie caratteristiche/esigenze.

Sempre più Aziende adottano i Sistemi di Gestione per essere aiutate nel perseguimento e raggiungimento dei propri obiettivi, quali la soddisfazione dei clienti, fornitori, organismi di controllo, ecc., il rispetto degli adempimenti normativi, il miglioramento continuo e l’adeguamento ai requisiti di settore richiesti. Un Sistema di Gestione, in breve, può essere definito come un sistema di regole e procedure, stabilite in una norma riconosciuta a livello internazionale (es. riconosciute dall’ISO, International Organization for Standardization). È possibile, allora, integrare un Sistema di Gestione di un’Azienda operante nel settore rifiuti con un’ottica di Circolarità?

Lo scopo del seguente lavoro è quello di approfondire come il concetto di “circolarità-ciclo di

vita” possa essere utilizzato e possa concretizzarsi all’interno di un Sistema di Gestione

Integrato, abbreviato SGI, di un’Azienda che ha come core-business la gestione integrata dei rifiuti.

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Vengono presi in considerazione tre aspetti, secondo cui tale concetto può relazionarsi al SGI di un’Azienda di tale tipologia, sia direttamente che indirettamente:

1) Circolarità come strumento per ottimizzare procedure/istruzioni operative: il caso-studio della gestione di un Centro di Raccolta (Livello micro – singola azienda); 2) Circolarità come approccio “Prospettiva del Ciclo di Vita”, secondo la norma UNI

EN ISO 14001:2015: approfondimento di come possa essere applicata la prospettiva del ciclo di vita ad un’azienda che sta in fondo alla “filiera” (Livello meso – regione/distretto);

3) Circolarità nei confronti dei nuovi obiettivi e modifiche, in materia di gestione rifiuti, proposti dalle direttive costituenti il nuovo “Pacchetto sull’Economia

Circolare”: possono scaturire spunti di miglioramento per il SGI e il SGI può

diventare al contempo anche un utile strumento per elaborare un quadro di analisi di quale sia lo stato attuale dell’Azienda e delle vie da Questa intraprese per il futuro prossimo (Livello macro – stato paese).

L’Azienda, oggetto del seguente studio, è Geofor S.p.A. che si occupa delle attività inerenti alla gestione integrata dei rifiuti all’interno della Provincia di Pisa: raccolta differenziata, raccolta porta a porta, ritiro materiale ingombrante e operazioni di trattamento/smaltimento. Attualmente serve circa 385.000 utenti per un bacino di 24 comuni. Geofor S.p.A. è dotata di un Sistema di Gestione Integrato Qualità, Ambiente e Sicurezza secondo i principi delle norme UNI EN ISO 9001:2015, UNI EN ISO 14001:2015 e BS OHSAS 18001:2017.

Il lavoro si sviluppa nelle seguenti fasi:

fase 1) approfondimento del quadro normativo italiano in riferimento ad un’Azienda pubblica che si occupa di gestione integrata di rifiuti, ponendo il focus nelle materie: Ambiente; Sicurezza e Salute nei luoghi di Lavoro; Qualità; Trasparenza ed Anti-corruzione; Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica; Codice degli Appalti.

fase 2) approfondimento degli obiettivi, modifiche e novità delle direttive costituenti il “Pacchetto sull’Economia Circolare” pubblicate, nella Gazzetta Ufficiale Europea, il 14 giugno 2018. In aggiunta, breve panoramica di altre azioni attinenti alla materia dell’Economia Circolare come Appalti Pubblici Verdi e la nuova direttiva dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche).

fase 3) approfondimento di cosa sia un Sistema di Gestione Aziendale e dei vantaggi che derivano da una sua integrazione. Si focalizza l’attenzione sulle tre norme internazionali adottate nel SGI di Geofor S.p.A., ovvero le norme UNI EN ISO 9001:2015 (Sistema di Gestione della Qualità - SGQ), UNI EN ISO 14001:2015 (Sistema di Gestione Ambientale - SGA) e la BSOHSAS 18001:2007 (Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza dei Lavoratori - SGSL). Infine, approfondimento del Modello Organizzativo 231.

fase 4) presentazione di Geofor S.p.A. e del suo Sistema di Gestione aziendale. A seguire, analisi di come si relaziona direttamente ed indirettamente il concetto di circolarità all’interno di quest’ultimo, secondo i tre aspetti sopraelencati (istruzione operativa; prospettiva ciclo di vita; direttive del Pacchetto Economia Circolare descritto nella fase 2). Per ciascun aspetto, ove necessario, si propone un approfondimento specifico del quadro di riferimento.

Sono state effettuate sia analisi desk che analisi dei dati forniti dall’Azienda medesima (tramite la documentazione del SGI e tramite interazione con gli Uffici specifici, coinvolti secondo necessità).

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CAPITOLO 1 Quadro normativo italiano

Nel seguente capitolo verrà presentato un breve approfondimento del quadro normativo italiano di riferimento per un’azienda pubblica che si occupa di gestione integrata di rifiuti. Si precisa che tale trattazione non ha alcuna pretesa di essere esaustiva, ma di fornire delle linee guida. 1.1 Ambiente

Il 3 aprile 2006 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 152 (D.lgs. 152/2006) che si è proposto come obiettivo quello di dettare “norme in materia ambientale” sotto forma di Testo Unico. Il Testo Unico in materia Ambientale, abbreviato TUA, è costituito da circa 318 articoli e diviso in sei parti. Questo testo disciplina la VAS (Valutazione Ambientale Strategica), la VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale); la difesa del suolo e delle acque; l’aria; il danno ambientale e le “norme in materia di gestione dei

rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” (all’interno della parte IV). In questi anni il TUA ha subito

varie modifiche, tra cui l’aggiunta di altre due parti, la V bis (“Disposizioni per particolari installazioni”) e la VI bis (“Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”), inserita nel 2015 dalla legge sugli ecoreati (Legge n. 68 del 22/05/2015).

Il TUA ha proseguito il percorso avviato dal decreto legislativo del 5 febbraio 1997 n. 22 per quanto concerne la gestione dei rifiuti (il cosiddetto "Decreto Ronchi", D.lgs. 22/1997). Le modifiche più significative in tale settore hanno riguardato la definizione di rifiuto (Articolo

183), la responsabilità estesa del produttore (abbreviato ERP) (Articolo 188), l’introduzione del

concetto di “cessazione della qualifica di rifiuto” (Articolo 184-ter) e i sottoprodotti (Articolo

184-bis), la modifica della definizione di deposito temporaneo (Articolo 183), ecc. ma anche

l’introduzione del Sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) (Articolo 188-bis).

La “gerarchia di gestione dei rifiuti” è disciplinata, in particolare, negli Articoli da 179 a 182, dove coerentemente con la linea già definita dal “Decreto “Ronchi”, vengono stabilite quali misure prioritarie le azioni volte a prevenire e ridurre la produzione di rifiuti, cui seguono le attività di recupero e, come ultima ipotesi, lo smaltimento. In base a quanto indicato all’Articolo

184 del D.lgs. 152/2006, i rifiuti possono essere distinti: secondo l’origine in rifiuti speciali e urbani; secondo le caratteristiche di pericolosità in rifiuti pericolosi e non pericolosi. Inoltre,

tutti i rifiuti sono identificati da un codice a 6 cifre secondo il Catalogo Europeo dei Rifiuti (C.E.R. 2002 e allegato alla parte quarta ed articolato in 20 classi, a secondo del ciclo produttivi che ha dato origine al rifiuto) (Articolo 184).

Il D.lgs. 152/2006 non tratta tante altre discipline ambientali quali ad esempio il rumore (Legge quadro sull’inquinamento acustico 447/1995), l’elettrosmog (Legge quadro sull’inquinamento elettromagnetico 36/2001), le aree protette (Legge quadro sulle aree protette 394/1991) ecc. Pertanto, per un loro approfondimento, si rimanda alla normativa specifica.

Altre fonti legislative di rilievo per la normativa ambientale italiana, nell’ambito dei rifiuti, sono rappresentate da:

• decreto ministeriale del 5 febbraio 1998 (D.M. 5 febbraio 1998) che disciplina le norme tecniche per il recupero dei rifiuti non pericolosi in procedura semplificata;

• decreto ministeriale del 12 giugno 2002 n. 121 (DM ambiente 161/2002) che definisce le norme tecniche per recuperare i rifiuti pericolosi in regime semplificato;

• decreto legislativo del 20 novembre 2008 n. 188 (D.lgs. 188/2008), che contiene la normativa di riferimento per i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche; • decreto legislativo del 14 marzo 2014 n.49 (D.lgs. 49/2014) che ha normato lo

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• per ciò che concerne i centri di raccolta si fa riferimento ai decreti ministeriali dell’8 aprile 2008 (D.M. 8 aprile 2008) e del 13 maggio 2009 (D.M. 13 maggio 2009) che disciplinano i centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato;

• per ciò che concerne le discariche, il decreto legislativo del 13 Gennaio 2003, n. 36 (D.lgs. 36/2003), il quale si propone di determinare i criteri costruttivi e gestionali delle stesse anche mediante l'emanazione di successive disposizioni tecniche;

• con riguardo ai termovalorizzatori, il decreto legislativo dell’11 maggio 2005, n. 133 (D.lgs. 133/2005), il quale si propone di determinare i criteri e le norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, nonché le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti, con particolare riferimento alle esigenze di assicurare una elevata protezione dell'ambiente contro le emissioni prodotte.

• per quanto concerne la definizione delle linee guida per l'individuazione e l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili in materia di gestione dei rifiuti e impianti di incenerimento rifiuti, si fa riferimento al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (D.lgs. 59/2005) e ai BREFs, Best Available Techniques Reference Documents consultabili nella sezione “Joint Research Centre” del sito della Unione Europea (https://europa.eu/european-union/index_it)

• per quanto concerne le autorizzazioni, il D.P.R. del 13 marzo 2013 n. 59 (D.pr. 59/2013) che introduce l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) per semplificare gli adempimenti amministrativi ambientali, soprattutto per piccole-medie imprese, oltre che per gli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di AIA.

1.2 Sicurezza e Salute nei luoghi di Lavoro

Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 (D.lgs. 81/2008), conosciuto come Testo Unico in

materia di Salute e Sicurezza nei luoghi di Lavoro, qui abbreviato come TUSL, rappresenta il

testo di riferimento per questa materia. Si tratta di 306 articoli e più di 50 allegati tecnici che disciplinano gli ambienti di lavoro e chi li occupa. Il TUSL elenca tutte le misure generali di tutela del sistema di sicurezza aziendale che vanno poi integrate con le misure di sicurezza previste per rischi specifici o settori di attività.

Il D.lgs. 81/2008 si pone come obiettivi quelli di tutelare:

• la persona sotto ogni aspetto (salute, sicurezza, dignità, provenienza geografica e di genere);

• il lavoro, in qualunque forma svolto e in tutti i settori, siano essi pubblici o privati, cui siano adibiti lavoratori dipendenti o ad essi equiparati;

• il principio dell’effettività della tutela, ovvero il diritto di tutti coloro che operano negli ambienti di lavoro, qualunque sia il rapporto o contratto di lavoro.

Il TUSL ha abrogato la maggior parte dei testi normativi pubblicati in passato in questa materia, come ad esempio il D.lgs. 626/94 (attuazione di otto direttive, riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro) e i DPR 547/55 (norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), DPR 164/56 (norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni) e DPR 303/56 (norme generali per l’igiene del lavoro).

Tra le misure generali, previste dal TUSL, si trovano (Articolo 15):

• l’istituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione, abbreviato SPP, all’interno dell’azienda;

• la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza con redazione del documento corrispondente (Documento Valutazione dei Rischi, DVR);

• l’eliminazione dei rischi, o se non è possibile la riduzione di essi, in relazione alle conoscenze di tipo tecnico;

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• la sostituzione dei rischi alla fonte;

• l’utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro; • la sorveglianza sanitaria dei lavoratori;

• l’informazione e la formazione adeguate per i lavoratori;

• l’informazione e la formazione adeguate a dirigenti e preposti della sicurezza;

• l’informazione e la formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

• la partecipazione e la consultazione dei lavoratori;

• la partecipazione e la consultazione dei rappresentanti per la sicurezza;

• la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo del livello di sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e buone prassi.

La maggior parte delle misure sopraelencate sono sotto diretta responsabilità del Datore di Lavoro, abbreviato DL. Il DL può utilizzare lo strumento della delega per adempierli. Sono compiti indelegabili solamente la valutazione dei rischi e la nomina del RSPP, Responsabile Servizio di Prevenzione e Protezione (Articolo 17). Gli obblighi per il DL sono molto stringenti e “non devono comportare oneri finanziari per i lavoratori”. Accanto alla “sanzione civile”, nel TUSL, sono previste anche “sanzioni amministrative e penali” connesse all’inadempimento di tali obblighi da parte del DL.

Per completare il quadro normativo di riferimento per la materia Salute e Sicurezza nei luoghi di Lavoro, il TUSL rimanda:

• alla Direttiva Macchine recepita in Italia con il D.lgs. 17/2010: fabbricanti e Datori di Lavoro devono assicurare la conformità dei macchinari (il rispetto dei RES, ovvero i Requisiti Essenziali di Sicurezza) presenti in azienda secondo l’Articolo 70 del TUSL. Questa Direttiva altro non è che una lista di regole elaborate per disporre la produzione delle macchine e un insieme di adempimenti da soddisfare in ogni fase e fino al momento della loro commercializzazione (D.lgs. 17/2010).

• all’Accordo Stato-Regioni: la formazione in materia di Sicurezza sul Lavoro rappresenta un tema vasto ed è disciplinato in primis dal TUSL e dall’Accordo Stato Regioni del 7/7/2016 che impongono specifici percorsi formativi e diverse scadenze per l’aggiornamento. Il mancato rispetto delle scadenze formative di legge è sanzionato come previsto dal TUSL (Accordo del 7/7/2016).

• alla Sicurezza Antincendio: le principali disposizioni che disciplinano la prevenzione antincendio sui luoghi di lavoro si rintracciano nell’Articolo 46 del TUSL (Prevenzione

incendi) che affronta l’argomento, seguendo linee di principio generali e introduce il

ruolo cardine del corpo dei Vigili del Fuoco che, sia a livello centrale che periferico, assumono importanza strategica dal punto di vista funzionale ed operativo, come nucleo territoriale preposto alla vigilanza, alla supervisione ed alle attività di consulenza. Per entrare più nello specifico altri riferimenti importanti sono rappresentati dal: D.M. 3 agosto 2015 conosciuto come il Codice Prevenzione Incendi (DM 3 agosto 2015); il D.lgs. 8 marzo 2006, n. 139 “Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai

compiti del corpo nazionale dei vigili del fuoco” (D.lgs. 139/2006) e il D.P.R. del 1° agosto 2011, n.151 “Regolamento recante semplificazione dei procedimenti relativi alla

prevenzione incendi” (DPR 151/2011).

Il Diritto alla Tutela dei Lavoratori è ribadito, oltre che nel TUSL, anche all’interno della/dell’: • Costituzione che afferma: la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo

e della collettività (Articolo 32), l’importanza della tutela del lavoro (Articolo 35); che qualsiasi iniziativa economica non può essere svolta in contrasto con l’utilità sociale o

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in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana (Articolo 41) (Costituzione della Repubblica Italiana);

• Articolo 2087 del Codice Civile: “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio

dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". Tale norma non solo attua i principi delineati nell'articolo 41 della Costituzione,

ma pone a carico del Datore di Lavoro un vero e proprio obbligo di tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore.) (RD 262/1942);

• Articolo 9 dello Statuto dei Lavoratori che parla di “tutela della salute e dell’integrità

fisica”, accennando all’importanza dei rappresentanti e al loro diritto di controllare

l’applicazione delle norme per prevenire gli infortuni e le malattie professionali, oltre a promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee per tutelare la salute e l’integrità fisica (Legge 300/1970);

• Carta Sociale Europea, risalente al 1961, che sottolinea l’importanza di garantire ai lavoratori sicurezza e igiene sul luogo di lavoro (Carta Sociale Europea).

1.3 Qualità

La legge 27 dicembre 2017, n. 205 (D.lgs. 205/2017) ha attribuito all'Autorità di Regolazione

per Energia Reti e Ambiente, abbreviato ARERA, funzioni di regolazione e controllo del ciclo

dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati, da esercitarsi "con i medesimi poteri e nel

quadro dei principi, delle finalità e delle attribuzioni, anche di natura sanzionatoria, stabiliti dalla legge 14 novembre 1995, n. 481" e già esercitati negli altri settori di competenza.

In particolare, tra le funzioni conferite rientrano ad ARERA (cfr. comma 527, lett. a-n): • l'emanazione di direttive per la separazione contabile e amministrativa della gestione,

la valutazione dei costi delle singole prestazioni, anche ai fini della corretta disaggregazione per funzioni, per area geografica e per categorie di utenze, e la definizione di indici di valutazione dell'efficienza e dell'economicità delle gestioni a fronte dei servizi resi;

• la definizione dei livelli di qualità dei servizi, sentiti le Regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori, nonché la vigilanza sulle modalità di erogazione dei servizi;

• la diffusione della conoscenza e della trasparenza delle condizioni di svolgimento dei servizi a beneficio dell'utenza;

• la tutela dei diritti degli utenti, anche tramite la valutazione di reclami, istanze e segnalazioni presentati dagli utenti e dai consumatori, singoli o associati;

• la definizione di schemi tipo dei contratti di servizio di cui all'articolo 203 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;

• la predisposizione e l'aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di esercizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali, sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio «chi inquina paga»;

• la fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento;

• l'approvazione delle tariffe definite dall'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale o dall'autorità competente a ciò preposta per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento;

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• la formulazione di proposte relativamente alle attività comprese nel sistema integrato di gestione dei rifiuti da assoggettare a regime di concessione o autorizzazione in relazione alle condizioni di concorrenza dei mercati;

• la formulazione di proposte di revisione della disciplina vigente, segnalandone altresì i casi di gravi inadempienze e di non corretta applicazione;

• la predisposizione di una relazione annuale alle Camere sull'attività svolta.

L'attribuzione di tali funzioni e poteri è finalizzata a "migliorare il sistema di regolazione del

ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati, per garantire accessibilità, fruibilità e diffusione omogenee sull'intero territorio nazionale, nonché adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione, armonizzando gli obiettivi economico-finanziari con quelli generali di carattere sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse, nonché di garantire l'adeguamento infrastrutturale agli obiettivi imposti dalla normativa europea, superando così le procedure di infrazione già avviate con conseguenti benefici economici a favore degli enti locali interessati da dette procedure".

L'Autorità con la deliberazione 4 gennaio 2018, (delibera 1/2018/A), ha avviato le necessarie attività funzionali alla prima operatività dei predetti compiti di regolazione e controllo.

Con le successive deliberazioni del 15 febbraio 2018 e del 5 aprile 2018 sono stati avviati tre procedimenti per l'adozione di provvedimenti rispettivamente in materia di:

• predisposizione di un sistema di tutele per la gestione dei reclami e delle controversie degli utenti (delibera 82/2018/R/rif);

• regolazione tariffaria (delibera 225/2018/R/rif);

• regolazione in materia di qualità del servizio (delibera 226/2018/R/rif). 1.4. Trasparenza ed Anticorruzione

La legge n. 190 del 2012 (Legge 190/2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione

della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”) configura la trasparenza

dell'attività amministrativa come “livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti

sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione"

(Articolo 1, comma 15), in quanto rappresenta uno degli strumenti essenziali per garantire la legalità ed il buon andamento dell’azione amministrativa, la lotta ai fenomeni di corruzione ed una più efficace gestione delle risorse.

Secondo il decreto legislativo n. 33 del 2013 (D.lgs. 33/2013, “Riordino della disciplina

riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”), la trasparenza amministrativa è intesa come accessibilità totale

delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle Pubbliche Amministrazioni, abbreviate PA, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche (Articolo 1).

Il decreto legislativo n. 33 del 2013 (D.lgs. 33/2013) disciplina in dettaglio (Articolo 13) le informazioni che le PA sono tenute a pubblicare sul proprio sito istituzionale, in modo da consentire a tutti i cittadini di accedervi direttamente senza autentificazione né identificazione e di conoscere lo stato dei procedimenti amministrativi che li riguardano, seguendo le fasi attraverso cui l’attività amministrativa si articola.

Per favorire l’accesso le informazioni sono riportate all’interno di un’apposita sezione, denominata “Amministrazione trasparente” (Articolo 9). In particolare, devono essere fornite tutte le informazioni utili riguardanti:

• l’organizzazione interna, con riferimento sia agli organi di indirizzo politico e di amministrazione e gestione, che all'articolazione degli uffici e dei relativi responsabili; • il curriculum ed i compensi sia del personale politico che del personale amministrativo,

ivi inclusi i consulenti;

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• i provvedimenti adottati, con specifico riferimento a bandi di concorso, appalti ed affidamenti di lavori e forniture, concessioni ed autorizzazioni, sussidi e sovvenzioni; • gli adempimenti a carico delle imprese e le tipologie dei controlli effettuati per il rispetto

degli obblighi relativi;

• le spese sostenute dai gruppi consiliari;

• i dati di bilancio e quelli sul patrimonio immobiliare; • i servizi erogati e gli adempimenti a carico del cittadino;

• gli atti relativi alla pianificazione urbanistica, alla gestione del territorio e alla tutela

dell’ambiente.

Il 25 maggio 2016 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 97 (D.lgs. 97/2016), recante “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione,

pubblicità e trasparenza” (denominato “Decreto Madia”) che ha apportato alcune modifiche ai

primi 14 commi della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Legge 190/2012) e al Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (D.lgs. 33/2013). In accordo alla Legge 190/2012 e al D.lgs. 33/2013, la PA era chiamata a individuare il “Responsabile per la Prevenzione della Corruzione” e il “Responsabile per la Trasparenza” a cui era dato il compito di redigere il “Piano Triennale di

Prevenzione della Corruzione” (abbreviato PTPC) (fornisce una valutazione del diverso livello

di esposizione degli uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio); il “Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità” (indica le iniziative volte a garantire un adeguato livello di trasparenza dell’attività amministrativa, nonché le iniziative previste per garantire la legalità e lo sviluppo della cultura dell’integrità) e infine, il “Piano Triennale della Perfomance” (da adottare in coerenza con i contenuti e il ciclo della programmazione finanziaria e di bilancio, individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici e operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali e intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori). Nel D.lgs. 97/2016 si assiste ad una integrazione tra le due materie di “Prevenzione della Corruzione” e “Trasparenza”, arrivando all’abrogazione del Programma Triennale per la Trasparenza e l’Integrità con conseguente definizione di un Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza e un Piano Triennale Integrato della Perfomance. Oltre a questo, il nuovo Decreto porta ad una ri-definizione dell’ambito di applicazione del D.lgs. n. 33/2013 e ad una nuova formulazione dell’accesso civico. L’”accesso civico” (Articolo 5 del D.lgs. n. 33/2013) si sostanzia nel diritto per qualsiasi cittadino a richiedere, a titolo gratuito e senza necessità di motivazione, tutti i dati e documenti detenuti dalle PA, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nell'osservanza dei limiti relativi alla tutela degli interessi giuridicamente rilevanti.

Infine, il decreto legislativo n. 39 del 2013 (D.lgs. 39/2013 “disposizioni in materia di

inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico”), riguardante il conferimento degli incarichi presso le

pubbliche amministrazioni e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, al fine di evitare interferenze o commistioni tra politica e amministrazione e situazioni di conflitto di interesse, detta la disciplina su:

• inconferibilità, che comporta la preclusione, permanente o temporanea, a conferire incarichi a coloro che sono stati condannati per reati contro la pubblica amministrazione, oppure provengano da enti di diritto privato regolati o finanziati, ovvero siano stati componenti di organi politici di livello nazionale, regionale e locale; la preclusione si applica anche per gli incarichi di direzione delle aziende sanitarie locali;

• incompatibilità, che determina l’obbligo, per il soggetto interessato, di scegliere quale incarico mantenere in caso di altra carica di vertice in un’amministrazione pubblica ovvero in enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico o finanziati.

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1.5 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica

L’8 giugno 2001 con il decreto legislativo n. 231 (D.lgs. 231/2001) è stata istituita in Italia la responsabilità amministrativa a carico di società, enti e associazioni, anche prive di responsabilità giuridica.

Tale Decreto prevede pesanti sanzioni per i reati presupposto, in esso previsti, commessi nell’interesse dell’ente sia da soggetti apicali (amministratori, direttori generali, direttori di divisione) sia dai loro subordinati (dipendenti, collaboratori, consulenti). I reati-presupposto per cui può sorgere la responsabilità amministrativa della società sono quei “fatti criminosi” che rappresentano a loro volta la condizione per la commissione di un altro reato. In altri termini, costituiscono l’antecedente necessario per concretizzazione di un altro tipo di reato. I reati presupposti sono riportati all’Articolo 25 e successivi aggiornamenti del suddetto Decreto (es. Reati nei rapporti con la PA; reati informatici e trattamento illecito di dati; reati colposi in materia di Igiene e Sicurezza sul Lavoro; reati societari; reati di abuso di mercato; delitti in materia di violazione del diritto di autore; delitti contro l’industria e il commercio; induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria; reati transnazionali; ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita; reati contro la personalità individuale; reati di falsità in monete; reati aventi finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico; delitti di criminalità organizzata; mutilazione organi genitali femminili; reati ambientali).

All’Articolo 6 del D.lgs. 231/2011 viene posta l’attenzione su come debba essere progettato l’assetto organizzativo di una Società, perché questa possa raggiungere la condizione esimente per la responsabilità amministrativa in presenza della commissione di reati. Viene fatto riferimento all’adozione del Modello di Organizzazione e di Gestione, abbreviato MOG. Un approfondimento del MOG 231 sarà fornito nel Capitolo 3 sezione 3.5.

1.6 Codice Appalti

I contratti pubblici sono disciplinati dal decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 (D.lgs. 50/2016) che è andato ad abrogare il decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163. Il D.lgs. 50/2016, conosciuto come il Codice degli Appalti, disciplina la materia in temi di appalti pubblici per lavori (opere), forniture (beni) e servizi, ed in generale la materia delle opere pubbliche. Vengono, inoltre, stabiliti:

• le caratteristiche che le stazioni appaltanti e le centrali di committenza devono possedere;

• i requisiti che gli operatori economici, ovvero i soggetti privati o pubblici partecipanti alle gare d’appalto, devono necessariamente possedere;

• le procedure competitive e non competitive che devono essere eseguite per affidare i contratti pubblici.

Tra le novità del nuovo codice degli appalti si trovano la clausola sociale obbligatoria, il criterio del prezzo più basso, i piccoli cantieri, il rating di impresa ora volontario, gli aiuti alle piccole medie imprese, il saldo delle fatture e non solo.

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CAPITOLO 2 Il “Pacchetto sull’Economia Circolare”

L’ Economia Circolare nasce come risposta alla maturata consapevolezza che i modelli di economia tradizionale, tipicamente detti lineari, risulterebbero nel lungo periodo insostenibili, sia da un punto di vista economico che ambientale (Accredia e Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, 2018).

Fig. 1: Modello dell’Economia Circolare (COM (2014) 398 final).

Come descritto dalla Ellen Mac Arthur Foundation nel report “Growth within: a circular

economy vision for a competitive Europe”, nel 2012 l’Europa riciclava o riutilizzava solo il

40% dei prodotti giunti a fine vita, conferendone il restante 60% in discarica o in impianti di incenerimento. Ciò in termini di valore comportava una perdita complessiva del 95% di materiale e di valore energetico da esso ricavabile: dal riciclo dei materiali e dal recupero di energia l’Europa riusciva a catturare solo il 5% del valore originale delle materie prime (Ellen Mac Arthur Foundation, 2015). A partire dal 2010 l’Europa ha avviato un percorso caratterizzato da un susseguirsi di tappe che hanno di volta in volta generato nuove consapevolezze rispetto all’esigenza di impiegare le risorse in maniera più efficiente e sostenibile (Accredia e Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, 2018). Tutto ciò ha portato la Commissione Europea a definire nella “Comunicazione (2015) 614 final” uno specifico Piano

d’Azione sull’Economia Circolare, un insieme organico e armonizzato di azioni che si pongono

alla basa del perseguimento di tutti quegli obiettivi che orientano l’attività dell’Unione Europea - UE verso una radicale trasformazione del proprio sistema economico (COM (2015) 614 final). La direzione seguita dalla Commissione Europea nella definizione del nuovo Piano d’Azione ruota attorno alla volontà di configurare un quadro di interventi volti all’implementazione dell’Economia Circolare in tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti, traducendo in azioni concrete e specifiche, le principali linee politiche poste a fondamento dell’intera strategia. Al Piano d’Azione sull’Economia Circolare sono state affiancate una serie di proposte di modifica di direttive europee sui rifiuti, che per loro natura ricadono nell’ambito dell’Economia Circolare; così facendo si è andato a configurare quello che è stato definito il Pacchetto

sull’Economia Circolare (Accredia e Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, 2018). Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 14 giugno 2018, n. 150 sono state pubblicate le quattro direttive costituenti tale Pacchetto. Le nuove regole dovranno essere recepite dai singoli Stati Membri entro il 5 luglio 2020.

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In questa sede si vogliono approfondire i principali obiettivi e modifiche che le quattro direttive propongono in materia di rifiuti.

2.1 Direttiva (UE) 2018/849 Questa direttiva modifica:

• la Direttiva 2000/53/CE (recepita dal D.lgs. 24/06/2003 n.209) relativa ai veicoli fuori uso;

• la Direttiva 2006/66/CE (recepita dal D.lgs. 20/11/2008 n.188) relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori;

• la Direttiva 2012/19/UE (recepita dal D.lgs. 14/03/2014 n.49) sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Le modifiche introdotte mirano a migliorare la gestione dei rifiuti nell’UE per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana, garantire un utilizzo accorto, efficiente e razionale delle risorse naturali e promuovere i principi dell’economia circolare, con particolare riferimento alle suddette categorie di rifiuti.

Questa Direttiva si pone l’obiettivo che gli Stati membri adottino misure necessarie affinché le autorità competenti riconoscano reciprocamente e accettino i certificati di rottamazione delle suddette categorie di rifiuti emessi in altri Stati membri. Sul fronte pile e accumulatori, inoltre, la seguente Direttiva prevede che gli Stati membri inizino a tenere conto dell’evoluzione tecnica di nuovi tipi di batterie che non utilizzano sostanze pericolose.

2.2 Direttiva (UE) 2018/850

Questa Direttiva modifica la Direttiva 1999/31/CE (recepita dal D.lgs. 13/01/2003 n. 36) relativa alle discariche di rifiuti. Al fine di garantire una progressiva riduzione del collocamento in discarica dei rifiuti, la seguente Direttiva prevede che gli Stati Membri:

• debbano adoperarsi per garantire che, entro il 2030, tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani, non siano ammessi in discarica, a eccezione dei rifiuti per i quali il collocamento in discarica produce il miglior risultato ambientale conformemente all’Articolo 4 (Gerarchia dei rifiuti) della Direttiva 2008/98/CE (recepita dal D.lgs. 03/04/2006 n. 152, parte IV).

• debbano adottare le misure necessarie per assicurare che entro il 2035 la quantità di rifiuti urbana collocata in discarica sia ridotta al 10% o a una percentuale inferiore del totale dei rifiuti urbani prodotti per peso.

2.3 Direttiva (UE) 2018/851

La seguente Direttiva modifica la Direttiva 2008/98/CE (recepita dal D.lgs. 03/04/2006 n. 152, parte IV) relativa ai rifiuti. Al fine di promuovere i principi dell’economia circolare per il raggiungimento di un alto livello di efficienza delle risorse e per aumentare in via prioritaria la prevenzione nella produzione dei rifiuti, le modifiche introdotte invitano gli Stati membri ad adottare misure aggiuntive per aumentare la preparazione al riutilizzo, la raccolta differenziata, il riciclaggio e il recupero energetico. Tra le misure previste si invita all’adozione di vari strumenti fiscali tra cui regimi di tariffe puntuali (pay-as-you-throw) che gravano sui produttori di rifiuti sulla base della quantità effettiva di rifiuti prodotti e forniscono incentivi alla separazione alla fonte dei rifiuti riciclabili e alla riduzione dei rifiuti indifferenziati. Ulteriori strumenti sono elencati nell’Allegato IV bis della suddetta Direttiva.

Con particolare riferimento ai termini di conseguimento degli obiettivi, questa Direttiva prevede che la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani (e assimilati) debbano raggiungere il 55% in peso entro il 2025, il 60% in peso entro il 2030 e il 65% in peso entro il 2035. Inoltre, i prodotti tessili e i rifiuti pericolosi provenienti da nuclei domestici dovranno essere raccolti separatamente entro il 2025, così come i rifiuti biodegradabili. Per

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questi ultimi si invita anche ad un’implementazione del loro riciclo direttamente nelle case attraverso una migliore diffusione della pratica del compostaggio domestico.

In aggiunta a tutto questo, la Direttiva prevede che gli Stati membri debbano ridurre gli sprechi alimentari del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030. In tale ambito, si invita anche ad una revisione del sistema di etichettatura attuale e del sistema di raccolta dei prodotti invenduti. Altre novità sono riportate di seguito. La seguente Direttiva va a modificare gli Articoli 5 (Sottoprodotti) e 6 (End-of-Waste), riconoscendo maggiore iniziativa in capo agli Stati membri. Nella nuova formulazione è previsto che laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di UE, gli Stati membri possano stabilire, caso per caso, i criteri dettagliati sull’applicazione delle condizioni a sostanze, a oggetti specifici o a rifiuti (Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, 2018). All’Articolo 8 vengono introdotti i Requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore - EPR, rafforzando il concetto che le misure EPR rappresentino un mezzo

per incentivare la produzione di prodotti e componenti maggiormente efficienti dal punto di vista delle risorse. Queste misure devono essere in linea con la gerarchia dei rifiuti e prendere in considerazione le potenzialità dei materiali riciclabili molteplici volte.

L’Articolo 38 è anch’esso modificato. Nella nuova formulazione invita allo scambio di informazioni e alla condivisione delle migliori pratiche tra gli Stati membri, anche in relazione alle innovazioni presenti nel settore gestione dei rifiuti. In tale contesto una raccolta e diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecnologie non solo permette a tutti i soggetti interessati di accedere alle stesse opportunità, ma anche di stimolare ulteriori avanzamenti (Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, 2018).

La seguente Direttiva introduce anche nuove definizioni. Tra le più importanti si segnalano le seguenti:

• rifiuto urbano: viene escluso da tale novero il flusso che proviene dallo svolgimento delle attività produttive, oltre che i rifiuti dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione;

• rifiuto alimentare: è costituito da alimenti destinati al consumo umano, commestibili o non commestibili, rimossi dalla catena di produzione o di approvvigionamento per essere scartati, anche a livello di produzione primaria, trasformazione, produzione, trasporto, conservazione, vendita al dettaglio e di consumatori, ad eccezione delle perdite nelle attività della produzione primaria;

• recupero di materiale: si mira ad isolare la forma di recupero energetica;

• riempimento: è una nuova operazione di recupero, in cui i rifiuti idonei non pericolosi sono utilizzati a fini di ripristino in aree escavate o per scopi ingegneristici nei rimodellamenti morfologici. I rifiuti usati per il riempimento devono sostituire i materiali che non sono rifiuti;

• regime di responsabilità estesa del produttore: rappresenta una serie di misure adottate dagli Stati membri volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto.

2.4 Direttiva (UE) 2018/852

Questa direttiva modifica la Direttiva 94/62/CE (recepita dal D.lgs. 05/02/1997 n.22 ed ora D.lgs. 03/04/2006 n. 152, parte IV) sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio.

La seguente Direttiva prevede misure intese a prevenire, in via prioritaria, la produzione di rifiuti da imballaggio attraverso l’aumento del riutilizzo degli imballaggi, del riciclaggio e delle altre forme di recupero, con conseguente riduzione dello smaltimento finale di tali rifiuti. In particolare si parla di “misure volte a incoraggiare l’aumento della percentuale di imballaggi

(17)

riutilizzabili immessi sul mercato nonché di sistemi per il riutilizzo degli imballaggi in modo ecologicamente corretto e nel rispetto del trattato, senza compromettere l’igiene degli alimenti né la sicurezza dei consumatori. Queste misure possono includere, tra l’altro: l’utilizzo di sistemi di restituzione con cauzione; la fissazione di obiettivi qualitativi o quantitativi; l’impiego di incentivi economici; la fissazione di una percentuale minima di imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato ogni anno per ciascun flusso di imballaggi”.

Per quanto concerne i termini per il conseguimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio, la seguente Direttiva prevede che dovrà essere riciclato almeno il 65% in peso entro il 31/12/2025 e almeno il 70% in peso entro il 31/12/2030 di tutti i rifiuti da imballaggio. Inoltre, vengono definiti degli obiettivi minimi specifici per i singoli materiali:

• Plastica: almeno il 50% entro il 2025 e il 55% entro il 2030; • Legno: almeno il 25% entro il 2025 e il 30% entro il 2030;

• Metalli ferrosi: almeno il 70% entro il 2025 e l’80% entro il 2030; • Alluminio: almeno il 50% entro il 2025 e il 60% entro il 2030; • Vetro: almeno il 70% entro il 2025 e il 75% entro il 2030;

• Carta e cartone: almeno il 75% entro il 2025 e l’85% entro il 2030. 2.5 Il nuovo metodo di calcolo introdotto dal Pacchetto

Il nuovo testo comunitario introduce, infine, nuove regole di calcolo degli obiettivi sia in materia di gestione di rifiuti che degli specifici obiettivi per la gestione dei rifiuti da imballaggio, in modo da creare uniformità tra i vari Stati membri (Direttiva (UE) 2018/851; Direttiva (UE) 2018/852).

L’approccio seguito è comune e di fatto chiarisce che il peso dei rifiuti da prendere in considerazione è quello dei rifiuti che “dopo essere stati sottoposti a tutte le necessarie

operazioni di controllo, cernita e altre operazioni preliminari, per eliminare i materiali di scarto che non sono interessati dal successivo ritrattamento e per garantire un riciclaggio di alta qualità, sono immessi nell’operazione di riciclaggio con la quale i materiali di scarto sono effettivamente ritrasformati in prodotti, materiali o sostanze”. Per ottenere il valore

percentuale, il quantitativo di rifiuti va diviso, nel caso dei rifiuti urbani, sui rifiuti prodotti, e, nel caso degli imballaggi, per il peso dei rifiuti da imballaggio prodotti, il quale può essere considerato “equivalente alla quantità di imballaggi immessi sul mercato nel corso dello stesso

anno” su base nazionale. Nel calcolo dei rifiuti da imballaggio riciclati possono essere

conteggiati i rifiuti da imballaggio biodegradabile diventati compost e reimmessi sul mercato. I rifiuti da imballaggio che hanno cessato di essere rifiuti a seguito di un’operazione preparatoria prima di essere ritrattati possono essere considerati anch’essi riciclati come i metalli separati dopo l’incenerimento dei rifiuti, proporzionalmente alla quota di rifiuti di imballaggio inceneriti. Anche i rifiuti di imballaggio inviati in un altro stato per essere riciclati possono essere conteggiati ai fini del raggiungimento degli obiettivi.

2.6 Altre azioni nell’ambito dell’“Economia Circolare”

La Commissione Europea ha presentato a gennaio 2018 una nuova serie di misure volte a dare maggiore attuazione a quanto già previsto nell’ambito del Piano d’Azione del 2015:

• comunicazione su una strategia europea per la plastica (COM (2018) 28 final); • comunicazione sul quadro di monitoraggio per l’economia circolare (COM (2018)

29 final);

• comunicazione sull’interazione tra la normativa in materia di sostanze chimiche, prodotti e rifiuti (COM (2018) 32 final);

• proposta di Direttiva sugli impianti portuali di raccolta (COM (2018) 33 final); • relazione sulle materie prime critiche (SWD (2018) 36 final);

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• relazione sull’impatto dell’uso della plastica oxo-degradabile (COM (2018) 35 final).

In questa sede saranno brevemente approfondite le prime due misure, in quanto più rilevanti per il seguente progetto. Si fornisce di seguito un prospetto sintetico relativo alle azioni promosse dall’UE sul tema dell’Economia Circolare (Fig. 2).

Fig. 2: Sintesi delle azioni dell’UE in tema Economia Circolare (Accredia e Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, 2018)

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2.6.1 Strategia della Plastica

Nella “Comunicazione (2018) 35 final” (COM (2018) 35 final) viene illustrata la Strategia per la plastica dell’UE.

L’UE ha definito quattro obiettivi: 1) migliorare gli aspetti economici e la qualità del riciclaggio della plastica (la Commissione vuole potenziare il riciclaggio della plastica, semplificando i processi produttivi e aumentando la qualità per il riuso, oltre che aumentare il mercato della plastica riciclata. Nuovi orientamenti sull’ampliamento e perfezionamento della differenziazione di questa tipologia di rifiuto saranno pubblicati nel 2019); 2) arginare i rifiuti di plastica e il loro abbandono nell’ambiente (la Commissione sta lavorando ad una revisione della Direttiva sull’acqua potabile allo scopo di incentivare il consumo di acqua potabile dai rubinetti oltre che alla possibilità di nuove misure fiscali a livello europeo, l’attuazione di sistemi cauzione-rimborso, l’estensione dell’ERP); 3) orientare l’innovazione e gli investimenti verso le soluzioni circolari (la Commissione è interessata allo sviluppo di materie prime alternative che possano sostituire le risorse fossili. Secondo l’UE gli Stati membri dovrebbero, inoltre, incentivare la ERP come risorsa di finanziamento); 4) sfruttare l’azione condotta a livello mondiale (la Commissione sta esplorando la possibilità di sviluppare l’industria del riciclo della plastica a livello globale, anche a seguito del divieto di importazione di rifiuti plastici in Cina emanato il 1° gennaio 2018 che ha spinto ad un ripensamento del sistema di smaltimento europeo e non solo. Potrebbe rappresentare un’occasione per ampliare le opportunità dei gestori del riciclo in Europa) (Confindustria, 2018).

2.6.2 Indicatori di monitoraggio dell’Economia Circolare nella Gestione dei Rifiuti Nella “Comunicazione (2018) 29 final” (COM (2018) 29 final) è stato predisposto un quadro di monitoraggio, basato su dieci indicatori chiave, volto a valutare i pregressi compiuti rispetto all’implementazione dell’Economia Circolare a livello UE e a livello degli stati membri. In particolare, per l’aspetto dell’Economia Circolare “Gestione dei rifiuti” sono stati definiti due indicatori chiave:

• 5a-b: tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani e di tutti i rifiuti, ad eccezione dei rifiuti minerali più importanti;

• 6a-f: tasso di riciclaggio del totale dei rifiuti di imballaggio, degli imballaggi in plastica, degli imballaggi in legno, dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti organici pro capite e tasso di recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione.

2.7 Direttiva (UE) 2012/19

La Direttiva (UE) 2012/19 è stata recepita dal D.lgs. 14/03/2014 n.49 e rappresenta la nuova Disciplina in materia di apparecchiature elettriche ed elettroniche – AEE e dei rifiuti corrispondenti, i cosiddetti RAEE. Questa Direttiva si basa fortemente sull’estensione del principio della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) per riuscire a ridurre gli impatti negativi derivanti dalla progettazione, produzione, distribuzione e fine-vita delle AEE. Per raggiungere questi obiettivi essa sancisce l’obbligo di finanziamento del recupero e del riciclo delle AEE immesse sul mercato da parte dei produttori e distributori. Inoltre, a partire dal 15 agosto 2018 è entrato in vigore l’”Open Scope” che ha determinato l’introduzione di AEE precedentemente escluse dall’EPR. Sono state, infatti, definite nuove categorie all’interno dell’Allegato III, dove i prodotti AEE sono classificati adesso sulla base dei criteri dimensionali, anziché merceologici. L’effetto di questa estensione porterà ad un aumento considerevole di RAEE che verranno gestiti con corretti processi di riciclo.

Per l’aspetto relativo alla gestione dei RAEE, ulteriori importanti novità sono le seguenti: • privilegio delle operazioni di riutilizzo e preparazione per il riutilizzo (Articoli 6 e

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• per i produttori di AEE obiettivi minimi di recupero e di riciclaggio per le 6 categorie individuate nell’Allegato IV (Allegato VI). Il raggiungimento di questi obiettivi è calcolato, per ciascuna categoria, dividendo il peso dei RAEE che entrano nell’impianto di recupero, riciclaggio o preparazione per il riutilizzo, a seguito di trattamento adeguato, per il peso di tutti i RAEE raccolti separatamente per ciascuna categoria, espresso in percentuale;

• differenziazione tra RAEE domestici e professionali;

• nuovi obiettivi di raccolta differenziata (dal 1° gennaio 2019 deve essere conseguito il tasso minimo di raccolta pari al 65% del peso medio delle AEE immesse sul mercato nei tre anni precedenti o, in alternativa, deve essere conseguito un tasso minimo di raccolta pari all’85% del peso dei RAEE prodotti nel territorio nazionale). 2.8 Appalti Pubblici Verdi

Quello dei cosiddetti Appalti Pubblici Verdi è un argomento che si affaccia in Europa già a partire dalla fine degli anni 90’, all’interno di quello che è stato definito il Libro Verde degli

Appalti Pubblici del 1996 (COM (1996) 583 def). Considerando che solo in Europa la spesa pubblica per beni, opere e servizi ammonta a circa 1.800 miliardi di euro l’anno, è ben comprensibile come l’approvvigionamento da parte delle autorità pubbliche di prodotti e servizi green, rispettosi di specifici criteri ambientali, rappresenti una leva importante per muovere flussi economici di notevoli dimensioni e accelerare, di conseguenza, la trasformazione del sistema economico verso la “circolarità” (Accredia e Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, 2018). Nell’ampio ventaglio di strumenti e politiche adottabili in funzione di supporto all’implementazione dell’Economia Circolare, assume, quindi, un ruolo strategico il tema del

Green Public Procurement (GPP), in Italia, Appalti Pubblici Verdi.

Il 18 aprile 2016 è stato pubblicato in Italia il Nuovo Codice degli Appalti Pubblici con D.lgs. n.50 che ha permesso al GPP di assumere un ruolo di leva strategica capace di qualificare e, quindi, razionalizzare gli acquisti delle Pubbliche Amministrazioni. Tale ruolo è stato sancito dall’obbligo di introdurre i Criteri Ambientali Minimi (CAM) in tutte le procedure d’acquisto pubblico riguardanti servizi/prodotti/lavori sui quali siano stati emanati i relativi decreti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Articolo 34 del D.lgs. 50/2016). Questo obbligo garantisce che la politica nazionale in materia di GPP sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma anche nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili e circolari. Oltre alla valorizzazione della qualità ambientale e al rispetto dei criteri sociali, l’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi risponde anche all’esigenza della Pubblica amministrazione di razionalizzare i propri consumi, riducendone ove possibile la spesa (www.minambiente.it).

I CAM sono definiti per alcune o tutte le fasi di definizione della procedura di gara: a) selezione candidati; b) specifiche tecniche; c) criteri premianti; d) clausole contrattuali (Accredia e Scuola Superiore Sant’Anna Pisa, 2018; www.minambiente.it).

Ad oggi sono stati adottati CAM per 17 categorie di forniture ed affidamento. L’elenco aggiornato è consultabile direttamente sul sito del MATTM (www.minambiente.it).

Nel Nuovo Codice degli Appalti, oltre all’Articolo 34, risultano interessanti ai fini della diffusione del GPP anche l’Articolo 50 (introduzione delle clausole sociali nei bandi di gara), l’Articolo 87 (certificazioni delle qualità ambientali), l’Articolo 93 (riduzione del deposito cauzionale per gli operatori economici certificati ISO 14001, SA8000, OHSAS 18001, UNI CEN EN ISO 5000 o Uni CEI 11352, EMAS o fornitori di prodotti Ecolabel UE), l’Articolo 95 (possibilità di considerare tra i criteri premianti l’offerta il possesso di un marchio Ecolabel UE, l’attestata compensazione delle emissioni di gas serra, la qualità) e l’Articolo 96 (possibilità di poter valutare le offerte sulla base del costo del ciclo di vita inteso come i costi sostenuti dall'amministrazione aggiudicatrice) del suddetto D.lgs. (D.lgs. 50/2016).

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CAPITOLO 3 Il Sistema di Gestione Integrato

L’ISO (International Organization for Standardization) definisce un Sistema di Gestione, abbreviato SG, come un insieme di elementi correlati o interagenti per stabilire politica e

obiettivi e per conseguire tali obiettivi (UNI ISO 9000:2015 punto 3.2.2.).

Utilizzando una definizione più ampia, un SG può essere definito come un sistema di regole e procedure, stabilite in una norma riconosciuta a livello internazionale, che un’organizzazione o qualsiasi azienda può applicare per perseguire diversi obiettivi tra i quali la soddisfazione del cliente, il miglioramento continuo delle prestazioni dell’organizzazione e per dimostrare agli stakeholder, quali clienti, fornitori, organismi di controllo, ecc., la propria capacità di adeguamento, di soddisfare con continuità i requisiti richiesti e il rispetto degli adempimenti normativi.

Esistono diversi SG, a seconda del settore in cui si applicano, e per ognuno di essi esiste una norma internazionale ben definita che ne stabilisce le regole di gestione. Tra le norme più diffuse si hanno: la UNI EN ISO 9001 (per i Sistemi di Gestione di Qualità), la UNI EN ISO 14001 (per i Sistemi di Gestione Ambientale) e la OHSAS 18001 (per i Sistemi di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro) (Mazzi et al., 2018).

L’adozione di un SG è una scelta volontaria dell’organizzazione che assume tale decisione per sviluppare ed attuare una serie di strumenti che gli permettono di tenere sotto controllo i propri processi ed attività. L’adesione a tali norme per essere riconosciuta ha bisogno di una

certificazione: a tale scopo esistono organismi accreditati secondo norme internazionali che

rilasciano la certificazione dei SG a seguito di verifiche ispettive, dette audit, condotte, secondo precisi regolamenti concordati presso l’organizzazione richiedente. Un ente indipendente verifica il comportamento di questi Organismi di Certificazione e quando accerta che operano in conformità alle norme di riferimento, li accredita, sorvegliandone il comportamento nel tempo (RE (CE) 765/2008). L’ente di accreditamento italiano è Accredia (www.accredia.it). Gli standard dei SG si sono sviluppati in maniera costante negli ultimi 15 anni. L’ISO ogni anno realizza una survey per individuare quali siano le norme ISO più diffuse nel mondo. Le norme UNI EN ISO 9001 e 14001 al 31 dicembre 2017 risultano le più diffuse al mondo con 1.058.504 e 362.610 aziende certificate rispettivamente (ISO, 2018).

Queste norme volontarie negli ultimi dieci anni hanno iniziato ad avere una rilevanza sempre più riconosciuta all’interno degli ordinamenti e comportano di fatto importanti agevolazioni per le aziende che decidono di adottarle (ad esempio per la normativa italiana si rimanda a: D.lgs. 152/2006 e smi; D.lgs. 50/2016 e smi.; D.lgs. 81/2008 e smi.; ecc.) (UNI, 2013; Accredia et al., 2015).

Pur avendo scopi diversi, tutti i SG prevedono una responsabilizzazione dell’impresa, un impegno al miglioramento continuo, l’autocontrollo e la conformità agli impegni assunti. Tutti, infatti (Andreani, 2010):

• si basano sul concetto di miglioramento continuo;

• adottano un approccio fondato sul Ciclo di Deming, il cosiddetto ciclo Plan-Do-Check-Out (P-C-D-A);

• prevedono l’analisi dello stato dell’arte iniziale; • prevedono la formulazione della politica; • prevedono la definizione di obiettivi strategici;

• prescrivono, sulla base dei risultati, la definizione di piani di miglioramento, mediante l’individuazione di relativi obiettivi, responsabili, tempi, risorse, modalità di misurazione del loro raggiungimento.

La fase di attuazione prevede per i diversi SG, pur con alcune differenze specifiche, l’individuazione di (Andreani, 2010):

(22)

• esigenze di formazione ed addestramento; • modalità di comunicazione (interna ed esterna); • la gestione delle “non conformità”;

• gli audit;

• le informazioni documentate di tutte le attività svolte.

In questa sede verranno approfonditi i tre SG e le relative norme internazionali che costituiscono il SGI dell’azienda oggetto di questo progetto. In aggiunta, verrà trattato anche il Modello Organizzativo 231.

3.1 ISO 9001:2015 e SGQ

Il Sistema di Gestione della Qualità, abbreviato SGQ, viene definito nella ISO 9000:2015 (Sistemi di gestione per la qualità – Fondamenti e vocabolario) come quella parte del sistema

di gestione di un’organizzazione che si propone, con riferimento agli obiettivi per la qualità, di raggiungere i risultati per soddisfare adeguatamente le esigenze, le aspettative ed i requisiti di tutte le parti interessate (UNI EN ISO 9000:2015).

La certificazione del SGQ assicura ad un’organizzazione di strutturarsi e gestire le proprie risorse e i propri processi produttivi in modo tale da riconoscere e soddisfare i bisogni dei clienti, inclusi quelli relativi al rispetto dei requisiti cogenti, in un’ottica di miglioramento continuo (www.accredia.it). In parole più semplici si può affermare che il SGQ ha come obiettivo quello di garantire la soddisfazione del cliente in maniera sistematica, migliorando continuamente le proprie prestazioni.

Lo standard di riferimento internazionale certificabile è la norma UNI EN ISO 9001 (Sistemi di gestione per la qualità – Requisiti) che specifica i requisiti di un SGQ. Questa norma è stata emessa nel 1987, rivista per la prima volta nel 1994 e revisionata sostanzialmente nel 2000 con un notevole cambiamento nell’approccio e nella visione. Successivamente ha subito una revisione nel 2008 per poi, giungere all’attuale edizione UNI EN ISO 9001:2015 che è stata pubblicata il 23 settembre 2015 (Fig. 3). Al 31 dicembre 2017, in Italia risultavano 78.996 aziende certificate UNI EN ISO 90001 (www.accredia.it). Le principali novità presenti in questa ultima edizione sono riportate qui di seguito:

• La nuova norma UNI EN ISO 9001:2015 è stata pensata con una nuova struttura denominata HLS (High Level Structure), articolata su 10 punti che non ne modifica sostanzialmente la finalità, ma corrisponde ad una volontà strategica dell’ISO di facilitare le aziende ed organizzazioni nel loro percorso di integrazione (Annex SL); • La nuova edizione della norma ha allargato la sua applicazione anche al settore delle

imprese che erogano servizi sia nei requisiti che nel vocabolario (UNI EN ISO 9001:2015 punto 1);

• Uno dei nuovi obiettivi è quello di spingere le imprese a valutare la propria organizzazione ed il proprio contesto, attraverso un’attenta analisi iniziale dei fattori esterni (per esempio, l’analisi del mercato e della concorrenza) e dei fattori interni (per esempio, valori e cultura). Tale analisi deve essere estesa anche ai processi di outsourcing che abbiano influenza sulle prestazioni del SGQ (UNI EN ISO 9001:2015 punto 4);

• Viene introdotto l’approccio “risk-based-thinking”. Per tutti i processi aziendali diventa fondamentale individuare, valutare e gestire i rischi. La qualità, pertanto, si configura come il risultato di una corretta gestione di questi rischi. A fronte di un rischio vi è sempre un’opportunità di miglioramento (UNI EN ISO 9001:2015 punto 6.1).

• L’impegno per la qualità deve essere realizzato a tutti i livelli, attraverso una leadership diffusa e responsabile. Gli obiettivi devono essere allineati con gli orientamenti

Figura

Fig. 1: Modello dell’Economia Circolare ( COM (2014) 398 final).
Fig. 2: Sintesi delle azioni dell’UE in tema Economia Circolare ( Accredia e Scuola Superiore Sant’Anna  Pisa, 2018)
Fig. 3: Struttura base di un SGQ secondo la nuova struttura HLS ( www.mitconsulting.it)
Fig. 4: Struttura base di un SGA secondo la nuova struttura HLS ( www.mitconsulting.it)
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