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IL SEGRETO STATO: PROFILI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

IL SEGRETO DI STATO: PROFILI

NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

Relatore:

Candidato:

Chiar.mo Prof.

Roberto Romboli Dolores Scotto di Perta

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2

A mia madre e al suo amore per me incondizionato … A mio padre e al suo ricordo …

(3)

3

INDICE

PREFAZIONE

... 6

CAPITOLO I: DEMOCRAZIA E POTERE INVISIBILE

... 9

1.

Il potere invisibile: cenni storici

... 9

2

.

Democrazia come governo del potere visibile

... 13

CAPITOLO II: LA DISCIPLINA DEL SEGRETO DI STATO

... 16

1.

Profili costituzionali

... 16

1.1. Il fondamento del segreto di Stato ... 17

1.2. Bilanciamento con altri valori costituzionali. ... 19

1.2.1. La libertà di informazione e il segreto... 21

2.

Il segreto di Stato prima della legge n. 801/1977

... 23

2.1. Dai codici preunitari al codice di procedura penale del 1913... 23

2.2. I codici Rocco del 1930 ... 26

2.3. La sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 1977... 27

3.

La legge 24 ottobre 1977, n. 801

... 31

3.1. L’oggetto del segreto di Stato e i limiti della segretazione... 31

3.2. L’atto di apposizione... 34

3.2.1. Il ruolo centrale della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella legge n. 801/1977 ... 36

3.3. L’atto di opposizione e la conferma del Segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio... 38

3.4. Il controllo parlamentare: l’istituzione del COPACO ... 39

CAPITOLO III: LA LEGGE 3 AGOSTO 2007 N. 124

... 42

1.

Il nuovo oggetto del segreto di Stato

... 44

1.1. Ancora un’estensione della materia segretabile: i luoghi... 46

(4)

4 2.1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri come titolare esclusivo del

potere di apporre il segreto di Stato ... 52

2.2. I limiti formali all’apposizione ... 55

2.2.1. L'irretroattività dell'atto di apposizione: il caso di Abu Omar. ... 56

2.2.2. La doverosa motivazione dell’atto di apposizione ... 60

2.2.3. La segretazione dell’atto appositivo del segreto: un precedente, il caso di Villa “La Certosa”... 61

2.3. I limiti materiali: l’articolo 39 comma 11. ... 63

2.3.1. L’introduzione delle cosiddette garanzie funzionali. ... 65

2.3.2. Le sentenze della Corte Costituzionale n. 106/2009 e n. 40/2012... 69

2.3.3. La diversa interpretazione data dalla CEDU... 72

3.

Il principio di temporaneità del segreto di Stato

... 76

3.1. Le cause estintive del segreto di Stato... 77

CAPITOLO IV: SVILUPPI PROCESSUALI DEL SEGRETO DI

STATO

... 79

1.

Il principio di leale collaborazione tra Esecutivo e Autorità

giudiziaria in tema di segreto di Stato.

... 80

1.1. La sentenza della Corte Costituzionale n. 110/1998 ... 81

1.2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 106/2009 ... 83

2.

Il segreto di Stato nella prova testimoniale: l’opposizione del

segreto da parte del testimone.

... 86

2.1. I testimoni non più in possesso della qualifica precedentemente rivestita……… 90

3.

L’opponibilità del segreto anche da parte dell’imputato:

l’articolo 41 comma 1 l. n. 124/2007

... 91

3.1. Segreto di Stato e diritto di difesa: possibilità di bilanciamento?... 93

3.2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 106/2009 ... 97

3.3. La sentenza della Corte Costituzionale n. 40/2012 ...100

4.

Le conseguenze processuali dell’opposizione.

...103

4.1. L’omessa opposizione e i suoi effetti sul processo...105

(5)

5

CAPITOLO V: IL SISTEMA DEI CONTROLLI

...109

1.

Il controllo parlamentare: il COPASIR

...111

1.1. Composizione, organizzazione e funzionamento del COPASIR...113

1.1.1. L’obbligo del segreto per i suoi membri...117

1.2. Le funzioni di controllo del COPASIR in tema di segreto di Stato...118

2.

Il sindacato della Corte Costituzionale

...123

2.1. Le prescrizioni legislative in tema di segreto di Stato: la Corte come «giudice del segreto»?...127

2.1.1. Il self restraint della Corte: una giurisprudenza costante. ...130

2.1.2. Villa «La Certosa»: un sindacato incompleto? L’ordinanza della Corte Costituzionale n. 404/2005...134

BIBLIOGRAFIA

...138

(6)

6

PREFAZIONE

Il segreto di Stato ha sempre esercitato nell'immaginario collettivo un certo fascino, costituendo, sin dai tempi più remoti, una sorta di “strumento del potere”, di cui i sovrani e i governanti si sono avvalsi per mantenere salda la propria autorità e influenzare le masse. Le grandi decisioni politiche erano adottate al riparo da qualsiasi sguardo indiscreto; il potere si riteneva tanto più efficace quanto più rimaneva nascosto agli occhi del volgo.

Oggi il segreto di Stato costituisce uno degli istituti più complessi dell’ordinamento, poiché la sua apposizione comporta la lesione di alcuni principi ritenuti fondamentali per il nostro sistema in egual misura a quelli che il segreto è chiamato a proteggere; è chiaro che il nostro scopo deve anche essere quello di capire in che modo si configurino tali deroghe e come si giustificano all’interno di un apparato democratico – liberale come quello italiano.

Ripercorrendo quindi le antiche origini di quest'istituto, il presente lavoro intende sviluppare l'argomento analizzando dapprima l'evoluzione che la nozione di segreto di Stato ha avuto nell'ordinamento italiano, a partire dalla sua comparsa ufficiale nel codice penale sardo-piemontese del 1859, poi evidenziando come l'istituto, seppur con iniziali lacune giuridiche, abbia acquistato sempre maggior importanza e tutela, sino a ottenere un pieno riconoscimento legislativo con la legge del 24 ottobre 1977, n. 801. Tale testo normativo rappresenta la prima disciplina organica e innovativa della materia, incentrata su un concetto unitario di segreto di Stato e sul ruolo primario del

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7

Presidente del Consiglio dei Ministri, al quale è demandata la gestione del segreto.

La trattazione centrale sarà poi riservata alla normativa attuale, contenuta nella legge del 24 agosto 2007 n. 124, e ad alcuni aspetti dell’istituto particolarmente innovativi rispetto alla disciplina previgente. L’analisi sarà in questo caso accompagnata dall’illustrazione di alcuni casi concreti affinché il riscontro pratico possa aiutare nella comprensione della realtà, cosa piuttosto difficile qualora si rimanesse solo su un piano puramente teorico.

Il capitolo conclusivo riguarderà, infine, il ruolo dei due diversi organi di controllo in tema di segreto di Stato, un organo di natura politica, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR) e un organo, quale la Corte Costituzionale che, in sede di conflitto di attribuzioni tra poteri, assume il ruolo di vero e proprio “giudice del segreto”.

Proprio alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, nell’arco di tutta la trattazione, faremo poi riferimento, al fine di integrare, o anche solo precisare, la disciplina di alcuni profili del segreto di Stato. Numerose sono state, infatti, le pronunce della Corte in materia, emanate tutte a conclusione dei conflitti di attribuzione tra Autorità giudiziaria ed Esecutivo, conflitti che, suo malgrado, si era trovata, e si trova tuttora, ad affrontare. E’ inutile dire, tali pronunce assumono un’importanza fondamentale, basti pensare solo all’influenza che la sentenza n. 86/1977 ha avuto nel procedimento di approvazione della legge n. 801. Altre decisioni sono poi sopraggiunte (con la sentenza n. 110/1998 la Corte ha ribadito, ad esempio, il principio di leale collaborazione che deve sussistere nei rapporti tra Autorità giudiziaria ed Esecutivo), fino ad arrivare a

(8)

8

quelle più recenti, nelle quali tuttavia la Corte, ad avviso di qualcuno, sembra aver adottato alcune posizioni piuttosto inquietanti.

In ogni caso, tutte le pronunce costituiscono, nel bene e nel male, un punto di riferimento per gli operatori del settore, laddove nella disciplina legislativa vi siano lacune o disposizioni poco chiare che, non sarebbe opportuno lasciare unicamente all’interpretazione discrezionale dell’Esecutivo nel momento dell’apposizione del segreto.

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9

CAPITOLO I

DEMOCRAZIA E POTERE INVISIBILE

1. Il potere invisibile: cenni storici

Il termine “segreto” deriva etimologicamente dal latino secretum, participio passato del verbo secernere, separare: il verbo, nel suo significato letterale, individuava l’operazione con cui si separava qualcosa ritenuta di valore, che veniva poi occultata. Il termine, nel corso dei secoli e fino ad oggi, è stato utilizzato riguardo ad un determinato sapere: il segreto da un lato separa le informazioni, dall’altro seleziona i soggetti ammessi alla conoscenza e quelli che ne sono invece esclusi.

La necessità, da parte dello Stato, di non rendere di pubblico dominio determinati avvenimenti e circostanze, ha origini lontane nel tempo. La segretezza, l’inganno, utilizzati come strumenti ai fini politici ci hanno accompagnato fin dall’inizio della storia scritta; la veridicità non è mai stata una virtù politica.

Fu lo storico Tacito1 a utilizzare per primo l’espressione arcana imperii -

letteralmente “segreti del potere”- la quale indicava quelle res che per ragioni di opportunità politica non dovevano essere divulgate alla cittadinanza e dalle quali, a volte, dipendeva la stessa stabilità dell’ordinamento. Già verso la fine del VI sec a.C. si avvertì l’esigenza di punire il comportamento di chi avesse rivelato notizie che avrebbero potuto

1 P.C. Tacito, Historiae, Libro I, 4.

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10 avvantaggiare il nemico; tali norme furono poi perfezionate man mano che le mire espansionistiche di Roma andavano ad accrescersi, anche se il nucleo della fattispecie sanzionatoria rimase sempre lo stesso: erano puniti, con la pena capitale, tutti quelli che avessero rivelato notizie segrete, di natura militare.

In età medievale la questione del segreto di Stato era strettamente connessa alla volontà del principe; tuttavia il suo potere non era illimitato2 giacché il

diritto era considerato originario e indipendente rispetto allo Stato stesso. L’idea in base alla quale il potere del principe è tanto più efficace quanto più è nascosto agli sguardi indiscreti del popolo, raggiunge il culmine nel periodo assolutistico, dove si realizza una totale identificazione tra gli interessi del sovrano e quelli dello Stato3. La segretezza si ritiene essere connaturata al

potere e alla stessa convinzione sembra arrivare Giacomo I, re d’Inghilterra dal 1603 al 1625, che definì il potere regio come un “mistero di stato” e i re come “immagini viventi di Dio in terra”. Il sovrano dichiarò inoltre che ciò che riguardava il mistero del potere regio non avrebbe potuto essere legittimamente discusso poiché questo avrebbe significato indebolire la posizione dei principi.

Un altro esempio merita di essere poi ricordato. Nella Francia dell’Ancien

Regime che, rispetto a tutte le altre monarchie dell’epoca, è stata quella che

più a lungo ha impersonato il modello di Stato assoluto, il Re era affiancato da tre Consigli, dei quali, l’ultimo, il Consiglio Segreto, era composto da tre o

2 A. Passerin d’Entreves, La dottrina dello Stato, Torino, Giappichelli (1962) 2009. 3

Celebre, in relazione a ciò, una massima di Ulpiano, II-III sec d.C. “quod principi placuit, legis

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11 quattro persone scelte fra «le più sagge ed esperte4» ed era consultato dal

sovrano riguardo alle questioni più importanti prima che esse fossero sottoposte al Consiglio Ordinario.

Tra le ragioni a favore della segretezza, due prevalgono e sono ricorrenti: la necessità di non far sapere al nemico le proprie mosse con la convinzione che qualsiasi mossa è più efficace se costituisce una sorpresa per l’avversario e il disprezzo del volgo, ritenuto incapace di autodeterminarsi e di assumere consapevolmente su di sé la responsabilità di scelte politiche. Interessante può essere in questo senso rammentare il rimprovero che il cardinale Bellarmino fece a Galileo Galilei, non tanto per aver scoperto delle verità scientifiche che avrebbero messo in crisi tutti i capisaldi dell’ideologia religiosa, politica e sociale sui quali poggiava il mondo di allora, quanto semplicemente per non aver scritto le sue teorie in latino – com’era in uso tra gli scienziati del tempo - ma in italiano così da renderne la lettura e la comprensione accessibile a tutti5.

Laddove vi è un potere supremo invisibile esiste poi un contropotere altrettanto invisibile e segreto che si esprime sottoforma di congiure, complotti, cospirazioni, colpi di stato tramati all’interno delle corti e dei palazzi o di rivolte, ribellioni ideate lontano da sguardi e orecchie indiscrete. La storia ne è stata e ne è tuttora testimone.

Sul piano teorico una svolta non indifferente si ebbe invece con l’avvento del pensiero illuminista, del quale Immanuel Kant fu uno dei maggiori esponenti.

4 Claude de Seyssel, la Monarchie de France, 1515. V. N. Bobbio La democrazia e il potere

invisibile, in Rivista italiana di scienza politica, 1980, 181.

5

G. Miglio, Il Segreto politico, in AA.VV., Il segreto nella realtà giuridica italiana, Cedam, Padova 1983, p. 171.

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12 Secondo il filosofo tedesco, l’illuminismo costituiva l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, stato che egli doveva imputare a se stesso; oltretutto alla base di questo stava la più semplice di tutte le libertà, cioè la libertà di fare uso pubblico della propria ragione: essa sola avrebbe potuto attuare l’illuminismo tra gli uomini.

Ecco quindi che per l’uomo uscito dalla minorità, il potere non deve più avere segreti; perché l’uomo possa fare pubblico uso della propria ragione è necessario che egli abbia una conoscenza piena degli affari di stato e perché egli possa avere una piena conoscenza degli affari di stato è necessario che il potere agisca in pubblico.

Tali considerazioni nella realtà pratica trovarono tuttavia poco riscontro; nei secoli successivi continuarono sostanzialmente a prevalere la logica della ragion di stato e la concezione per cui la salus Rei Publicae sarebbe stata più adeguatamente preservata attraverso lo strumento del segreto.

L’apice fu nuovamente raggiunto durante la prima metà del secolo scorso con l’avvento dei due regimi dittatoriali - il nazismo e il fascismo - che profondamente hanno segnato la storia e le vicende non solo europee ma anche mondiali. E’ al legislatore fascista che, infatti, attraverso il codice penale del 1930, il Codice Rocco, si deve il definitivo potenziamento e ampliamento della sfera del segreto di Stato.

La fine della seconda guerra mondiale porta con sé invece un vento di cambiamento: a seguito delle passate esperienze si avverte la necessità di tutelare appieno i diritti e le libertà fondamentali di ogni individuo, e ciò avviene sia a livello internazionale ed europeo (per fare qualche esempio, la

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13 Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, siglata a Parigi nel 1948, la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, adottata da parte dell’Onu nel 1966, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma nel 1950 ecc) sia a livello statale con l’entrata in vigore della Costituzione l’1 gennaio 1948. Nel nuovo contesto dello Stato costituzionale il segreto di Stato deve trarre fondamento in determinati valori fondamentali, è soggetto al principio di legalità e quindi deve essere regolato dalla legge e in maniera organica al fine di evitare la discrezionalità delle valutazioni che lo riguardano.

2. Democrazia come governo del potere visibile

Se negli ordinamenti totalitari il segreto costituiva la regola, nei moderni ordinamenti democratici costituisce invece l’eccezione, giacché essi sono caratterizzati dal principio della pubblicità e della trasparenza. Non si può non ricordare a tal fine la celebre definizione data da Norberto Bobbio del governo della democrazia come «governo del potere pubblico in pubblico6»,

nella quale il termine «pubblico» deve essere inteso in entrambi i suoi significati: come ambito contrapposto a quello privato – come ambito cioè in cui viene trattata la cosa pubblica – e come azione manifesta e palese contrapposta a occulta, invisibile e segreta. Quando si parla di democrazia, si fa quindi riferimento al «governo del potere visibile»: visibile, in primo luogo, per essere controllato dal popolo sovrano – che d’altronde ne è il titolare – e poi perché altrimenti, senza la pubblicità degli atti del governo, non vi

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14 sarebbe rispetto del principio di rappresentanza, non potrebbe formarsi quella che è l’opinione pubblica, gradino fondamentale su cui poggia l’intera costruzione democratica. In merito, vale la pena di citare anche il pensiero di Costantino Mortati7, che aveva incluso l’informazione quale premessa

immancabile del controllo popolare e della conseguente responsabilità di chi esercita il potere tra le esigenze fondamentali dell’ordinamento democratico. Ciò non vuol dire, sia chiaro, che la segretezza debba essere esclusa in qualsiasi caso; essa talvolta può essere opportuna (si pensi ai regolamenti parlamentari che ancora oggi prescrivono, per determinate votazioni, lo scrutinio segreto, oppure si pensi all’assenza dell’obbligo di pubblicità delle sedute delle commissioni) ma allo stesso tempo non può negare quello che un altro giurista e filosofo politico tedesco, Carl Schmitt, aveva saputo cogliere e cioè che «la rappresentanza può aver luogo solo nella sfera della pubblicità. Non c’è alcuna rappresentanza se si svolge in segreto e a quattr’occhi [….]. Un parlamento ha carattere rappresentativo solo in quanto crede che la sua attività sia pubblica8».

Tuttavia, e come lo stesso Bobbio nei suoi scritti non ha mancato di rilevare, la democrazia come governo del potere visibile è una finzione, il potere invisibile continua ad esistere: «non si capisce nulla del nostro sistema di potere se non si è disposti ad ammettere che al di sotto del governo visibile c’è un governo che agisce nella penombra (il cosiddetto sottogoverno) e

7

C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, p. 1066 ss. 8 Cifr. N. Bobbio, Democrazia e Segreto, Einaudi, 2011, p. 36.

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15 ancora più in fondo un governo che agisce nella più assoluta oscurità e che possiamo permetterci di chiamare cripto - governo9».

Vi è sempre stato, e vi è ancora, prima di tutto, un potere invisibile diretto contro lo Stato, che comprende le associazioni a delinquere, le organizzazioni criminali, i gruppi terroristici ed è diretto a debellare le fondamenta sulle quali poggia l’ordinamento statale; vi è, inoltre, un potere invisibile dentro lo Stato, che riguarda i servizi segreti e le agenzie di intelligence per la sicurezza interna ed esterna dello Stato. Non a caso, sembra che la presenza del potere invisibile si rilevi soprattutto nel momento in cui entrano in considerazione i rapporti internazionali. Il principio della ragion di stato difatti ha sempre trovato terreno particolarmente fertile nella politica estera tanto che per lo stesso Machiavelli, quando era in gioco la «salus Rei Publicae», non avrebbe dovuto esserci alcun apprezzamento «né di giusto né di ingiusto, né di pietoso, né di crudele».

Possiamo quindi dire che la democrazia, in linea di massima, esclude il potere invisibile, il segreto di Stato; tuttavia la sua permanenza attraverso la creazione delle agenzie di intelligence, ma non solo, che operano nel segreto, viene ritenuta, allo stesso tempo, strumento necessario per la difesa dell’ordinamento istituzionale e, essendo esso un ordinamento democratico, per la difesa della democrazia stessa. Ci troviamo di fronte a un’eccezione che conferma la regola o a un cane che si morde la coda?

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16

CAPITOLO II

LA DISCIPLINA DEL SEGRETO DI STATO

1. Profili costituzionali

Nella Costituzione italiana non troviamo menzione del concetto di segreto in maniera specifica. In alcune disposizione rileva piuttosto la contrapposizione tra «segreto» e «palese», in relazione a determinati diritti o obblighi, quali la segretezza della corrispondenza (art 16 Cost), il divieto di associazioni segrete (art 18 Cost), la segretezza del voto (art 48 Cost), la pubblicità delle sedute parlamentari e la possibilità di deliberare specificamente riunioni segrete (art 64 Cost) ecc.

La questione del segreto di Stato pone tuttavia un problema basilare, quello della gerarchia dei valori.

Il segreto di Stato difatti non può essere considerato un valore in sé, costituendo esso uno strumento finalizzato alla tutela di altri beni e valori. Quali valori però tutela il Segreto di Stato? Quali sono i diritti fondamentali che possono essere limitati dall’apposizione del Segreto di Stato? A questi interrogativi hanno cercato di dare una risposta - come successivamente approfondiremo - dapprima la giurisprudenza costituzionale, poi il legislatore, disciplinando in maniera organica la materia. Si tratta di situazioni eccezionali, che, proprio in quanto tali, devono essere circoscritte e regolamentate in modo dettagliato dalla legge.

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17

1.1. Il fondamento del segreto di Stato

Il fondamento del potere di apporre il segreto di Stato non può che trovarsi nella Costituzione in quanto l’apposizione del segreto comprime non solo diritti e libertà fondamentali ma incide anche sullo svolgimento di funzioni pubbliche disciplinate da norme costituzionali, come ad esempio quella giurisdizionale e quella ispettiva da parte del parlamento.

Una parte consistente della dottrina e della giurisprudenza ha sempre ravvisato il fondamento del segreto di Stato nell’articolo 52 primo comma della Costituzione che sancisce il “sacro dovere” di difesa della patria da parte del cittadino. Quello della difesa della patria, come si evince anche dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, è considerato uno dei più alti doveri posti in capo al cittadino e riguarda in modo particolare la tutela del nostro paese contro le aggressioni da parte degli Stati esteri; si fa riferimento al concetto di guerra difensiva. Il segreto andrebbe a preservare in questo caso la sicurezza esterna dello Stato giacché avrebbe lo scopo di tutelare l’interesse dello stesso alla sua integrità territoriale, indipendenza e sovranità.

Che il nucleo centrale di tale impostazione non è errato sarà confermato in seguito da una decisione della Corte Costituzionale, la sentenza n. 82 del 1976. La Corte afferma che il fondamento di quello che essa definisce “segreto militare” deve essere ricercato nel supremo e preminente interesse alla sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale così come espresso nell’articolo 52 della Costituzione. La successiva pronuncia del 1977 ne precisa ulteriormente il significato: la sicurezza dello Stato è un concetto

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18 che deve essere posto in relazione con altre norme costituzionali che fissano principi supremi del nostro ordinamento, quali quello di una repubblica democratica (articolo 1), dell’indipendenza nazionale e dell’unità e indivisibilità dello Stato (articolo 5). In base a tali disposizioni «si può allora parlare della sicurezza esterna ed interna dello Stato, della necessità di protezione da ogni azione violenta o comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a Stato e che come si è detto possono coinvolgere la sua stessa esistenza10». Potrebbe sembrare superfluo

specificarlo ma è chiaro che «gli interessi (quelli giustificativi dell’apposizione del segreto, ndr) debbano attenere allo Stato – comunità e di conseguenza rimangono nettamente distinti da quelli del Governo e dei partiti che lo sorreggono11».

Una diversa corrente di pensiero individua il fondamento del segreto di Stato in un altro dovere, quello di fedeltà alla Repubblica, espresso dall’articolo 54 della Costituzione12. L’indirizzo interpretativo prevalente intende il dovere di

fedeltà come l’obbligo di rispettare i principi supremi dell’ordinamento, esigendo da parte di tutti i soggetti, pubblici e privati, cittadini e non cittadini, non solo di astenersi da ogni comportamento materiale volto a sovvertire il sistema costituzionale, ma anche di porre in essere ogni atto idoneo a consolidare e sostenere tali valori a esso connaturati. È all’Esecutivo che spetta prevenire ogni possibile minaccia, pericolo o lesione di questi valori e

10 Corte Costituzionale, sentenza n 86 del 1977. 11

Ibidem.

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19 in relazione a ciò il Governo deve procurarsi tutte le informazioni essenziali e necessarie all’esercizio tempestivo di tale prevenzione; allo stesso tempo deve disporre tutte le misure opportune a fronteggiare un’eventuale verificarsi del fenomeno, facendo ricorso, qualora risulti indispensabile, anche allo strumento del segreto di Stato.

Vi sono poi alcuni autori che tendono a identificare il fondamento del segreto di Stato in entrambi i doveri sanciti dalla Costituzione13. Sia il dovere di

difesa, sia quello di fedeltà, hanno l’obiettivo di garantire la sicurezza della Repubblica in tutte le sue sfaccettature e quindi non solo la sicurezza esterna, ma anche quella interna, salvaguardando quindi l’insieme di principi sui quali si basa l’ordinamento costituzionale.

Sarebbe invece privo di legittimazione – nonostante non manchi in merito qualche opinione contraria - il segreto di Stato apposto al fine di tutelare un generico interesse politico, interno e internazionale dello Stato14 trovandosi

esso in contrasto sia con l’articolo 80 della Costituzione, che impone l’obbligo di pubblicità della politica estera sia con la libertà di informazione.

1.2. Bilanciamento con altri valori costituzionali.

L’apposizione del segreto di Stato incide, non senza conseguenze, su altri principi e valori costituzionali. Bisogna ricordare tra questi sia quelli che riguardano la divisione dei poteri, e in particolare quelli che disciplinano i rapporti tra governo, parlamento e potere giudiziario, sia quelli che tutelano i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo, fra cui il diritto di

13

P. Barile, Democrazia e Segreto, Quaderni Costituzionali, 1987, p. 30.

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20 manifestazione del pensiero, il diritto di cronaca e di informazione, il diritto di difesa. Nei paragrafi e capitolo successivi analizzeremo nel dettaglio la relazione tra segreto di Stato e ognuno di questi valori, dei quali ormai nessun ordinamento democratico può fare a meno.

Sopravviene quindi l’esigenza di operare un bilanciamento tra gli interessi costituzionalmente rilevanti per la cui tutela è necessaria l’apposizione del segreto di Stato e gli altri principi e libertà che trovano ugualmente fondamento nella Carta costituzionale ma che da tale atto vengono limitati. Secondo alcuni autori, conflitti di questo genere possono essere risolti esclusivamente con una valutazione che opera caso per caso escludendo la preminenza a priori dei valori protetti dall’atto di segretazione. Il pregiudizio che si determina nei confronti degli altri beni costituzionali deve essere valutato di volta in volta. L’operazione di bilanciamento deve tuttavia essere sempre accompagnata da un giudizio basato sul criterio della ragionevolezza: essendo il segreto uno strumento di tutela utilizzabile solo in via eccezionale, il sacrificio imposto ad altri valori costituzionali deve essere soltanto quello «ragionevolmente» necessario per la realizzazione dell’interesse protetto dal segreto15. Infatti la presenza di un fondamento costituzionale, necessaria per

giustificare il segreto di Stato, probabilmente non può risultare sufficiente: se qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante potesse giustificare la limitazione di qualunque altro principio costituzionale, quest’ultimi verrebbero in un baleno svuotati del loro contenuto sostanziale.

(21)

21 Altra corrente di pensiero, e in tale direzione si muove anche la giurisprudenza costituzionale maggioritaria, ritiene che dall’operazione di bilanciamento debbano risultare prevalenti i valori protetti dal segreto di Stato, «a condizione però che sussista un nesso di strumentalità fra l’uno e gli altri16». Tale nesso di strumentalità costituisce la condizione imprescindibile

affinché l’apposizione del segreto possa legittimante comprimere diritti e libertà costituzionalmente garantiti.

In merito al bilanciamento degli interessi che entrano in conflitto nel momento in cui si appone il segreto di Stato sono stati sollevati non pochi dibattiti sul ruolo che avrebbe dovuto assumere la Corte Costituzionale. In proposito la Corte è stata definita «giudice del segreto»; ciò diventa possibile se si ammette un sindacato nel merito dell’atto di apposizione del segreto, ma, come successivamente vedremo, tale impostazione è stata rifiutata dallo stesso giudice costituzionale che preferisce lasciare ogni giudizio di merito alla discrezionalità dell’autorità politica preposta.

1.2.1. La libertà di informazione e il segreto

Uno dei primi valori costituzionalmente rilevanti a essere ostacolati dall'apposizione del segreto di Stato ė per l'appunto la libertà d’informazione. Tale espressione, secondo un certo orientamento dottrinale17, non si riferisce

a un diritto unitario, bensì comprende in sė vari diritti tra loro eterogenei ma tutti riconducibili alla stessa matrice di fondo: sono la libertà di informare, la libertà di essere informati e la libertà di informarsi.

16 A. Morrone, Il nomos del segreto di Stato, Nuovi profili del segreto di Stato e dell’attività di intelligence, a cura di G. Illuminati, Giappichelli editore, Torino.

(22)

22 Nel primo caso si tratta del diritto di diffondere e comunicare informazioni, notizie e quant'altro, direttamente tutelato dall'articolo 21 della Costituzione. La libertà d’informazione, così intesa, sembra corrispondere alla libertà di espressione.

La libertà di essere informati può essere intesa o come mero riflesso passivo della libertà di informazione o può assumere il rango di un vero e proprio diritto soggettivo a ottenere l'informazione.

Infine la libertà di informarsi riguarda la possibilità di ciascun soggetto di agire per rintracciare e ottenere le notizie attraverso l'utilizzo degli strumenti di ricerca più vari.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, oggi negli Stati a ordinamento democratico l’apposizione del segreto costituisce un’eccezione; pubblicità e trasparenza costituiscono invece la regola. La libertà d’informazione, nel significato appena descritto, rappresenta uno dei mezzi attraverso i quali si realizza la visibilità del potere pubblico, dato anche il fatto che il nostro sistema, almeno in linea di principio, consente una notevole apertura delle fonti d’informazione nei confronti dei cittadini che ne vogliono usufruire. Inoltre, grazie all’esercizio di tali diritti, i cittadini possono realizzare un’attività di controllo e di critica permanente, limitando così al massimo i casi di violazione da parte dei dirigenti e funzionari pubblici.

Talvolta infine il principio di pubblicità può risultare soccombente rispetto a un altro principio di rango costituzionale. Sembra, tuttavia, che non si possa dire altrettanto della libertà di informare: anch’essa garantita da una norma costituzionale può essere limitata in virtù di qualche altro interesse sancito

(23)

23 dalla Costituzione solo nel caso di eccezioni espressamente o implicitamente previste18.

2.

Il segreto di Stato prima della legge n. 801/1977

Nel nostro ordinamento la disciplina del segreto di Stato ha subito una profonda evoluzione e ha conosciuto il suo momento di svolta durante la seconda metà degli anni ’70, nel corso della quale vi sono state le prime importanti pronunce in materia della Corte Costituzionale e i primi interventi normativi da parte del legislatore. Tra questi un particolare rilievo deve essere riconosciuto alla legge n. 801 del 1977, ma prima di analizzarla nel dettaglio, una digressione storica si rende necessaria, al fine, in particolar modo, di fornire un quadro completo e unitario sull’evoluzione dell’istituto.

2.1. Dai codici preunitari al codice di procedura penale del 1913

Prima del 1861 la disciplina del segreto di Stato era riconducibile a due diversi modelli: quello francese e quello toscano19.

Il primo si ispirava al codice napoleonico del 1810 e aveva un ambito di applicazione piuttosto ristretto. Era punita, infatti, solo la comunicazione di segreti «politici» o «militari» al nemico o ad agenti di paesi stranieri, a condizione però che si fosse in una situazione di conflitto bellico.

Il secondo invece trovava il suo fondamento nel codice penale del 1853 del Granducato di Toscana e propendeva a una certa «elasticizzazione» del concetto di segreto di Stato. Infatti in questo caso lo stato di guerra costituiva

18 G. Pitruzzella, Il Segreto, profili costituzionali, voce in Enciclopedia giuridica, 1992. 19

C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, I servizi di informazione e il segreto di

(24)

24 un’aggravante, non un presupposto per la sussistenza del reato e inoltre più ampia era la categoria degli interessi giuridici tutelati, tra i quali erano comprese anche le «ragioni politiche e giuridiche» dello Stato.

Il modello francese trovò applicazione principalmente nel Regno delle Due Sicilie, ma anche la legislazione sardo – piemontese ne subì l’influenza, nonostante in essa possiamo ritrovare pure elementi propri del modello toscano.

Molto simili, nella normativa degli Stati preunitari, erano invece i meccanismi processuali di tutela del segreto, caratterizzati dal divieto per il giudice di obbligare a deporre avvocati, procuratori o chi esercitava professioni sanitarie, su fatti di cui avevano avuto conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni o ancora ogni altra persona – purché qualificata - che, a causa del suo stato o della sua professione, era entrata in possesso di qualche segreto. Con il codice del 1865 non si registrarono particolari novità sul piano della legislazione; dottrina e giurisprudenza cominciarono tuttavia a sollevare alcune questioni.

In primo luogo si pose la necessità di limitare le categorie dei soggetti che avrebbero potuto chiedere di essere esentati dalla prova testimoniale, poiché tale esenzione costituiva un’eccezione alla regola seppur motivata dalla tutela del segreto di Stato. Si stabilì perciò che ad essere dispensati dalla prova testimoniale sarebbero stati soltanto coloro che rivestivano la qualifica di «pubblico ufficiale».

Un’interpretazione estensiva fu data invece dalla dottrina per quanto riguarda gli interessi tutelati dall’apposizione del segreto di Stato, giacché

(25)

25 essa fece riferimento a tutti i fatti «o direttamente toccanti la suprema ragion di Stato o che si riferivano allo svolgimento di pubbliche funzioni20».

Una svolta si ebbe con l’emanazione del codice penale Zanardelli nel 1889. Venne, infatti, ampliato l’ambito di tutela del segreto fino a ricomprendere i segreti «politici o militari, riguardanti la sicurezza dello Stato21» e la

rivelazione, colposa o dolosa, fu punita sia che si fosse in tempo di pace che in tempo di guerra.

Tuttavia la disciplina del segreto di Stato sembrò arrivare a un punto fermo solo nel 1913 con il nuovo codice di procedura penale. Superando le lacune del codice del 1865, furono indicati nello specifico quali soggetti non potessero essere obbligati a deporre. L’articolo 248 recita che i pubblici ufficiali non possono essere interrogati sui segreti politici e militari riguardanti la sicurezza dello Stato; allo stesso modo ai sensi dell’articolo 240 l’autorità giudiziaria non può acquisire atti, documenti o altre cose esistenti presso i pubblici uffici quando fanno riferimento a segreti politici e militari riguardanti la sicurezza dello Stato.

Inoltre, alla vigilia della prima guerra mondiale, il 24 marzo del 1915 fu approvata la legge n. 273, la quale, per la prima volta, attribuì al Governo l‘incarico di indicare le notizie non divulgabili in modo assoluto.

20 C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, I servizi di informazione e il segreto di

Stato (Legge 3 agosto 2007, n. 124), Giuffrè, Milano 2008.

21 Ibidem. Vedi anche Pisa, Segreto. Tutela penale del segreto, voce in Enciclopedia

(26)

26 Con l’avvento del regime fascista le modifiche alla disciplina legislativa vigente non si fecero attendere: furono inasprite le sanzioni penali a tal punto che fu introdotta, per le ipotesi più gravi di rivelazione del segreto, la pena di morte e fu istituito in merito un organo giurisdizionale speciale, il Tribunale per la difesa dello Stato.

2.2. I codici Rocco del 1930

Ulteriori novità furono introdotte dai codici Rocco, i nuovi codici penali e di procedura penale, emanati dall’amministrazione fascista, ormai in pieno regime, nel 1930.

In primo luogo, difatti, negli articoli 256 e ss. c.p., collocati nel titolo I del libro II dedicato ai “Delitti contro la personalità dello Stato”, viene specificato l’oggetto della tutela, includendovi tutte le notizie che, nell’interesse della sicurezza dello Stato o nell’interesse politico interno o internazionale dello stesso, sarebbero dovute rimanere segrete. Dalle notizie segrete sono poi distinte invece le notizie riservate, cioè quelle di cui l’autorità competente ha vietato la divulgazione. A tale distinzione corrispondeva anche un diverso trattamento sanzionatorio: più rigoroso per le prime fattispecie, più lieve per le seconde.

Oltre a ciò fu ampliata la categoria dei soggetti abilitati a opporre il segreto: nell’articolo 342 c.p.p. non solo i pubblici ufficiali, ma in maniera esplicita furono indicati anche gli impiegati pubblici e gli incaricati di pubblico servizio. L’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art 352 c.p.p. non avrebbe potuto sottoporre a interrogatorio tali soggetti sulle notizie che rientravano

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27 nell’ambito della tutela sancita dal già citato articolo 256. In questi casi, il magistrato che riteneva infondata l’apposizione del segreto poteva solo far rapporto al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, che, a sua volta ne informava il Ministro di Grazia e Giustizia.

2.3. La sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 1977

Quando si giunse alla seconda metà degli anni settanta non vi era ancora una disciplina legislativa organica in materia di segreto di Stato, nonostante fosse stato posto più volte il problema della mancanza di indicazioni specifiche circa le fattispecie che avrebbero potuto essere coperte dal segreto.

La disciplina legislativa era inquadrata, come abbiamo visto nelle norme penali e in quelle di rito, mentre l’individuazione delle singole fattispecie, sulla base di una formula generica, era rimessa alla discrezionalità degli organi politici e in particolare del Governo.

Anche quando una classificazione vi era, come nel campo del segreto militare22, non era tassativa, potendo sempre l’autorità preposta qualificare

segrete anche altre fattispecie qualora lo avesse ritenuto necessario.

Inoltre, in seguito all’apposizione del segreto di Stato, non era prevista l’attivazione di nessun controllo, né da parte del Parlamento, né da parte di organi giurisdizionali. Ma anche se ci fosse stata una simile possibilità, su quali criteri di giudizio l’organo di controllo si sarebbe basato nel valutare la fondatezza e la legittimità dell’atto di apposizione?

22 R.d. 11 luglio 1941 n. 1161, gli articoli 1-8 e l’allegato, contengono l’elenco delle materie di carattere militare e bellico in relazione alle quali, nell’interesse della sicurezza dello Stato, era vietata la diffusione di informazioni.

(28)

28 Molte delle questioni sopra indicate furono affrontate nella legge 801/1977 ma un forte contributo all’approvazione di questo atto legislativo venne da una sentenza della Corte Costituzionale dello stesso anno.

Un giudice istruttore presso il Tribunale di Torino23 aveva sollevato

questione di legittimità costituzionale degli articoli 342 e 352 del c.p.p. nelle parti riguardanti il segreto politico-militare, in relazione agli articoli 101, 102, 112 della Costituzione. La questione non aveva a oggetto l’illegittimità del segreto di Stato in sé e per sé ma il rapporto tra potere giurisdizionale ed esecutivo nel momento in cui l’esercizio del primo incontrava dei limiti per mezzo di poteri riconosciuti al secondo. Infatti, la disciplina prevista negli articoli 342 e 352 c.p.p. costituiva – a detta del giudice a quo – uno sbarramento all’esercizio della funzione giurisdizionale, poiché erano stati richiesti, all’Autorità nazionale per la sicurezza, alcuni documenti sull’imputato, ma di essi, ne era stata trasmessa solo una parte. Per la rimanente era stato allegato il segreto politico-militare in quanto «materiale attinente ad attività di controspionaggio24».

La Corte ritenne doveroso in primo luogo procedere a una delimitazione del concetto di segreto, dando a esso un’interpretazione conforme ai principi della Costituzione. Legittimo è considerato il segreto apposto su fatti, atti, notizie che avrebbero potuto compromettere la sicurezza esterna ed interna dello Stato, che avrebbero potuto mettere in pericolo la salus rei publicae. Sono questi interessi supremi e imprescindibili dello Stato, che, come

23 Si era nell’ambito di un giudizio penale volto all’accertamento della commissione del reato di eversione dell’ordinamento costituzionale. Il caso è noto come “il colpo di Stato bianco” ideato da Edgardo Sogno il cui obbiettivo era il passaggio ad una repubblica presidenziale.

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29 abbiamo già avuto modo di vedere, trovano tutela nell’articolo 52 della Costituzione e il segreto costituisce il mezzo, lo strumento necessario alla loro garanzia. «Mai - precisa inoltre la Corte – il segreto potrebbe essere allegato per impedire l’accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale25».

Un altro dei principali elementi di novità introdotto dalla sentenza della Corte riguarda l’attribuzione al Presidente del Consiglio della decisione definitiva sull’apposizione del segreto. Quella di allegare il segreto di Stato costituisce una «suprema attività politica» che spetta non al Ministro di grazia e giustizia come invece era previsto dagli articoli 342 e 452 del c.p.p., ma piuttosto «a chi si pone al vertice dell’organizzazione governativa deputata a ciò in via istituzionale» e quindi al Presidente del Consiglio dei Ministri sulla base dei poteri ad esso riconosciuti dall’ articolo 95 della Costituzione26. Infatti – afferma la Corte – nonostante vi possano essere

alcuni casi in cui si rende necessario che il Ministro di grazia e Giustizia esprima il proprio parere, la sua posizione nell’ordinamento repubblicano è molto diversa da quella che aveva nell’ordinamento precedente in quanto la sua competenza riguarda un singolo settore e non arriva a conoscere altri e rilevanti aspetti che riguardano la sicurezza nazionale.

La Corte quindi non ha potuto fare altro che dichiarare l’illegittimità costituzionale degli articoli 342 e 352 c.p.p. nella parte in cui conferiscono il

25 Ibidem.

26

Sul tema A. Anzon, Interrogativi sui riflessi sostanziali della nozione di Segreto di Stato

(30)

30 potere di decidere in via definitiva sulla conferma o meno del segreto di Stato al Ministro di grazia e giustizia e non al Presidente del Consiglio dei Ministri. L’apposizione del segreto, ciò nonostante, non è priva di conseguenze, ma può comportare uno sbarramento all’esercizio dell’attività giurisdizionale. Ed è proprio sulla legittimità costituzionale di tale sbarramento che la Corte è stata chiamata a pronunciarsi, quindi a operare un bilanciamento fra l’interesse alla sicurezza e quello alla giustizia nei casi in cui vengano in conflitto, risolvendolo a favore del primo.

La potestà dell’Esecutivo non è comunque illimitata, non è sciolta da qualsiasi vincolo e non è incontrollabile. Per prima cosa il Presidente del Consiglio deve indicare «le ragioni essenziali che stanno a fondamento del segreto»; su tale motivazione tuttavia il giudice non potrà effettuare alcun controllo in quanto ogni sindacato nel merito è demandato al Parlamento, il quale potrà sempre far valere la responsabilità politica del Governo ex articolo 94 e 95 della Costituzione. Il parlamento costituisce difatti «[...] la sede naturale nella quale l’Esecutivo deve dare conto del suo operato rivestente un carattere politico: è dinanzi alla rappresentanza del popolo, cui appartiene quella sovranità che potrebbe essere intaccata, che il Governo deve giustificare il sui comportamento e è la rappresentanza popolare che può adottare le misure più idonee per garantire la sicurezza di cui trattasi27».

La Corte con questa pronuncia ha escluso ogni sindacato di tipo giurisdizionale sull’atto di apposizione del segreto di Stato, dando vita a una

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31 giurisprudenza che rimarrà costante e non conoscerà cambiamenti anche nei decenni successivi, fino ai nostri giorni.

3. La legge 24 ottobre 1977, n. 801

Solo nella seconda metà degli anni settanta il legislatore decise di riformare profondamente la disciplina del segreto di Stato, emanando una prima legge organica in materia che colmava le lacune della legislazione precedente e riformulava i rapporti tra potere giudiziario ed esecutivo.

Fu evidente, secondo un’opinione comune, come la legge 801 del 1977 si fosse in larga misura ispirata alla giurisprudenza costituzionale e in particolare, i principi, le definizioni e i concetti contenuti nella sentenza n. 86 emanata dalla Corte nel maggio dello stesso anno costituirono le linee guida della riforma.

3.1. L’oggetto del segreto di Stato e i limiti della segretazione

Restando fedele ai propri propositi di riforma ma allo stesso tempo cercando di dare un assetto organico ed esauriente a una materia tanto delicata, il legislatore, fin da principio, si preoccupò di individuare, con maggiore rigorosità, le materie coperte da segreto. Furono così indicati tutta una serie di interessi fondamentali, più o meno determinati, gli unici in grado di giustificare la forte tutela attribuita al segreto di Stato e il sacrificio di altri valori, costituzionalmente garantiti, in conflitto con le esigenze di segretezza. Ai sensi dell’articolo 12, comma 1, della Legge n. 801/1977 «costituiscono – infatti, ndr- segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e

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32 quant’altro, la cui diffusione sia idonea a recar danno all’integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali28, alla difesa delle

istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni fra essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato29».

Già da una prima analisi è possibile osservare come, e lo abbiamo anche più volte affermato, il legislatore non abbia voluto allontanarsi da ciò che la Corte Costituzionale aveva statuito solo pochi mesi prima dell’entrata in vigore della presente legge: ritorna il concetto di “integrità dello Stato” inteso nella sua duplice accezione di pieno esercizio dei poteri sovrani e conservazione del territorio, vi è di nuovo un richiamo alla «difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a fondamento dello Stato democratico». E’ importante precisare però che con tale ultimo rimando non si vuol sicuramente alludere a un generico concetto di «sicurezza interna» ma piuttosto a organi e istituti specifici che contribuiscono a definire la forma di Stato attuale e tra i quali devono essere compresi anche i cosiddetti “principi supremi dell’ordinamento” come la sovranità popolare, le libertà fondamentali dell’individuo, il principio di rappresentanza. Si fa perciò riferimento a piani di difesa antisovversivi, a misure antiterroristiche orientate a garantire la protezione soprattutto di obiettivi strategici (Parlamento, sede del Governo, basi militari ecc).

28 Da specificare che I trattati internazionali conclusi dall’Italia con Stati esteri, non possono formare, in tutto o in parte, oggetto di Segreto di Stato. Sul tema vedi S. Labriola, Segreto di

Stato, voce in Enciclopedia del diritto, 1989.

(33)

33 In merito poi alla nuova nozione di segreto di Stato – una nozione tra l’altro autonoma, staccata da quella di segreto amministrativo e segreto d’ufficio per la mancanza di principi comuni e rapporti di analogia – la dottrina, anche molto tempo dopo l’entrata in vigore della legge, non mancò di rilevarne gli aspetti critici.

Individuare, infatti, in maniera precisa in quali circostanze e con quali modalità il segreto di Stato potesse tutelare «il libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali» avrebbe potuto porre qualche problema30 in

quanto vi era il rischio di ritenere coperti da segreto di Stato atti, informazioni sottoposti magari invece semplicemente alla disciplina del segreto d’ufficio.

Suscitò inoltre molti dubbi e perplessità il riferimento al segreto internazionale, posto a tutela delle relazioni con altri Stati. Si trattava, a parere di autorevoli studiosi di diritto31, di una formula eccessivamente

generica e ampia a tal punto da «coprire potenzialmente tutte le informazioni che possono in qualsiasi modo nuocere a qualsiasi relazione con qualsiasi Stato»32. Mentre chiaramente comprensibile potrebbe apparire l’imposizione

del segreto ai funzionari diplomatici, in ragione del loro ufficio, assurdo sembra il divieto, nei confronti di tutti i cittadini, di diffondere notizie lecitamente conosciute relative ai rapporti tra l’Italia e gli Stati esteri.

Cosi la dottrina, sulla base degli orientamenti assunti dalla giurisprudenza costituzionale, ha precisato che deve intendersi coperto da segreto di Stato

30 Sul tema vedi Pisa, Segreto, tutela penale del segreto, voce in Enciclopedia Giuridica 1992. 31

Ibidem.

(34)

34 non qualsiasi aspetto delle relazioni del nostro paese con altri Stati ma solo quelli che riguardano la difesa nazionale33.

La segretazione di atti, notizie, informazioni ecc non è tuttavia priva di limiti. Un primo limite viene esplicitamente posto dal secondo comma dell’art 12 della Legge 801/1977: «in nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell’ordine costituzionale34».

Si tratta in realtà di un limite già implicito nel precedente comma; il fatto che sia stato ribadito assume valore pleonastico, al fine cioè di sottolineare e affermare nuovamente il carattere vincolato, non libero, della potestà di segretazione, soprattutto alla luce del comportamento estremamente grave tenuto dall’Esecutivo nella segretazione di fatti invece tipicamente eversivi. Si pensi solo alla strage di Piazza Fontana avvenuta nel centro di Milano il 12 dicembre del 1969: i familiari delle vittime, che in quell’occasione furono diciassette, aspettano ancora dopo tanti anni di ottenere una qualche forma di giustizia e conoscere i nomi di chi ha causato, non solo a loro, ma all’intero paese, tanto dolore e sgomento.

3.2. L’atto di apposizione

L’atto di apposizione è il provvedimento che individua in concreto la singola fattispecie di segreto di Stato. Tra i requisiti formali per la sua validità spiccano il riferimento certo e non equivoco al soggetto che l’ha posto in essere, la data e la riconoscibilità; non sembra essere necessaria invece la forma scritta.

33 Cifr. P. Barile, Democrazia e segreto, Quaderni Costituzionali 1987, p. 38. 34 Articolo 12, comma 2. Legge n. 801/1977.

(35)

35 Riguardo all’attribuzione della relativa competenza, l’articolo 1 della l. 801/1977, al secondo comma, conferiva al Presidente del Consiglio dei Ministri il controllo «sull’applicazione dei criteri relativi all’apposizione del segreto di Stato e all’individuazione degli organi a ciò competenti35».

L’articolo appena citato, prevedeva in termini quasi espliciti, la possibilità, poi concretamente realizzatasi36, che soggetti diversi dal Presidente del

Consiglio dei Ministri potessero apporre il vincolo del segreto. Fu così che in dottrina si consolidò l’opinione secondo la quale, nonostante le norme non indicassero in base a quali criteri dovesse essere effettuata la ripartizione delle competenze, sarebbe stato possibile ugualmente risalire ai titolari del potere di segretazione, attraverso un’interpretazione sistematica delle norme contenute nella legge. Dovevano dunque ritenersi tali i direttori dei Servizi di sicurezza (S.I.S.M.I e S.I.S.D.E), i Ministri da cui dipendevano i servizi, nonché il Presidente del Consiglio37.

Secondo parte della dottrina l’atto di apposizione avrebbe natura politica, non amministrativa; la stessa Corte Costituzionale nella sentenza 86/1977 aveva affermato che «il giudizio sui mezzi idonei e necessari a garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente politica38». In merito tuttavia vi

sono anche opinioni discordanti. Secondo altra parte della dottrina39 l’atto di

35 Articolo 1, comma 2, Legge n. 801/1977.

36 Almeno in un caso, divenuto conoscibile perché fu oggetto di conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato di fronte alla Corte Costituzionale, ciò è certamente accaduto. In quella vicenda – denominata da tutti “il caso di Villa la Certosa” – fu il Ministro dell’Interno ad apporre il segreto di Stato e non il Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale non provvide personalmente neppure a confermarlo, delegando a ciò il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

37 Cifr. C. Mosca S., Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, I servizi di informazione e il segreto

di Stato (Legge 3 agosto 2007, n. 124), Giuffrè, Milano 2008.

38

Corte Costituzionale, sentenza n 86 del 1977.

(36)

36 apposizione avrebbe invece natura amministrativa; lo stesso riferimento fatto dalla Corte doveva essere collegato alle direttive che il Presidente del Consiglio impartisce ai sensi dell’articolo 1 primo comma della l. n 801/1977, e non all’atto con il quale materialmente viene imposto il segreto. Tale secondo orientamento trovava sostanzialmente il suo fondamento nella notazione che il potere di dichiarare il segreto di Stato non fosse limitato al solo Presidente del Consiglio dei Ministri ma anche ad altri soggetti40

3.2.1. Il ruolo centrale della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella legge n. 801/1977

Anche se quindi la legge non aveva attribuito al Presidente del Consiglio l’esclusività del potere di segretazione41, gli aveva comunque conferito un

ruolo centrale in materia di servizi di informazione, in maniera pienamente conforme a quanto sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale. Ai sensi dell’articolo 1, primo comma, erano infatti ad esso attribuite «l’alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza nell’interesse e per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento42».

A loro volta, i Ministri della difesa e dell’interno, dai quali dipendevano per l’appunto il SISMI e il SISDE, erano in ogni caso vincolati alle direttive e alle disposizioni dello stesso Presidente del Consiglio.

40

Cifr. C. Mosca S., Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, I servizi di informazione e il segreto

di Stato (Legge 3 agosto 2007, n. 124), Giuffrè, Milano 2008.

41 Nel paragrafo successivo vedremo come invece, di fronte a un’eventuale opposizione in giudizio del segreto di Stato al solo Presidente del Consiglio spettava confermarne l’esistenza.

42

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37 A sostegno di tale ruolo preminente, la legge n. 801 istituì inoltre un apposito organo presso la Presidenza del Consiglio, il Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di sicurezza (CESIS), con il compito specifico di assistere il Capo del Governo nell’esercizio delle sue funzioni in materia di politica informativa e di sicurezza.

L’articolo 3, al comma 2 così recita: «è compito del Comitato fornire al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai fini del concreto espletamento delle funzioni a lui attribuite dall’articolo 1, tutti gli elementi necessari per il coordinamento dell’attività dei Servizi previsti dai successivi articoli 4 e 6; l’analisi degli elementi comunicati dai suddetti Servizi; l’elaborazione delle relative situazioni. È altresì compito del Comitato il coordinamento dei rapporti con i servizi di informazione e di sicurezza degli altri Stati43»

Il CESIS era presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio, il quale ne determinava anche la composizione; avrebbero dovuto essere chiamati a farne parte anche i direttori dei Servizi.

Con funzioni poi di tipo consultivo, fu costituito un Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza (CIIS). Disciplinato dall’articolo 2 della legge, tale Comitato era composto dal Ministro per gli affari esteri e dal Ministro per l’interno, da quello di grazia e giustizia, da quello per la difesa, da quello per l’industria e per le finanze. Il Presidente del Consiglio avrebbe comunque potuto invitare a partecipare alle sedute altri Ministri, i direttori dei Servizi, autorità civili e militari ed esperti.

(38)

38 Infine lo stesso Comitato parlamentare di controllo (COPACO) vedeva nel Presidente del Consiglio il suo interlocutore preferenziale44.

3.3. L’atto di opposizione e la conferma del Segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio

L’atto di opposizione è il provvedimento che conferma il segreto nei confronti delle richieste di autorità pubbliche, in particolare quella giurisdizionale, di conoscere le notizie coperte dal segreto di Stato che vi è stato apposto.

Ai sensi dell’articolo 15 della l. n. 801, che ha, a sua volta, riformulato l’articolo 352 c.p.p., i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre e non debbono essere interrogati su quanto coperto dal segreto di Stato. Qualora il giudice nutra qualche dubbio in merito alla dichiarazione di segretezza, interpella il Presidente del Consiglio, il quale, nel termine perentorio di 60 giorni, può opporre il segreto di Stato.

Di fronte poi a una conferma del segreto su un elemento essenziale per le indagini, l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto dichiarare il non luogo a procedere per l’esistenza di un segreto di Stato.

L’atto di opposizione è attribuito in via esclusiva al Presidente del Consiglio e all’unanimità è ritenuto un atto politico; l’atto di interpello è posto in essere dall’autorità giurisdizionale titolare dell’azione penale o davanti alla quale pende il processo, non più da “altro giudice”, come disponeva il precedente testo dell’art 352 c.p.p.

44 Sul COPACO vedi paragrafo 3.4.

(39)

39 Nonostante poi la stessa Corte Costituzionale nella sentenza 86/1977 avesse affermato la necessità che al giudice fossero rese note le «ragioni essenziali» del segreto, al fine di garantire un buon funzionamento dei rapporti fra organi di diversi poteri, la legge di riforma non ha preso in considerazione una simile esigenza. In realtà nell’articolo 16 il riferimento a una «sintetica motivazione delle ragioni essenziali» è presente; tuttavia si tratta di una motivazione che il Presidente del Consiglio è tenuto a dare non all’autorità giudiziaria quanto piuttosto al comitato parlamentare di controllo al quale deve comunicare l’atto di opposizione. Sarà poi il Comitato, qualora ritenga infondata l’opposizione del segreto a riferirne a ciascuna camera per le conseguenze valutazioni politiche.

In ogni caso parte della dottrina riteneva che la mancanza di un’esplicita previsione legislativa non avrebbe rappresentato di per sé un ostacolo: fino a quel momento il Presidente del Consiglio aveva comunque motivato la risposta data all’autorità giudiziaria45.

3.4. Il controllo parlamentare: l’istituzione del COPACO

I controlli parlamentari sull’attività di segretazione si distinguono in ordinari e straordinari. La legge n. 801 non si occupa dei primi in quanto sono essi disciplinati dai regolamenti parlamentari. I controlli straordinari previsti invece dalla legge devono essere considerati quindi aggiuntivi e non sostitutivi di quelli ordinari46.

45

P. Barile, Democrazia e segreto, Quaderni Costituzionali 1987, p. 41. 46 S. Labriola, Segreto di Stato, voce in Eciclopedia del diritto, 1989.

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40 Ai sensi dell’art 11 il Governo doveva inviare ogni sei mesi alle Camere una relazione scritta in merito alla politica informativa e di sicurezza, in cui è compresa anche l’attività di segretazione. L’art 17 stabiliva poi l’obbligo per il Presidente del Consiglio di dare comunicazione al Parlamento, con la relativa motivazione, di ogni caso in cui viene opposto il segreto di Stato, sia nei confronti dell’autorità giudiziaria, sia nei confronti del comitato di controllo.

Lo stesso articolo 11, prevedeva infatti l’istituzione di un comitato parlamentare, il COPACO, composto da otto membri, quattro deputati e quattro senatori e avente quindi natura bicamerale. I membri erano nominati dai Presidenti delle rispettive Camere proporzionalmente ai gruppi presenti in Parlamento e aveva il compito di controllare l’applicazione dei principi stabiliti dalla legge.

Il Comitato poteva inoltre richiedere al Presidente del Consiglio e al Comitato interministeriale per le informazioni e per la sicurezza notizie e dati riguardo alle strutture e all’attività dei Servizi e poteva formulare proposte in merito dirette al Governo. A tale richiesta poteva opporsi il Presidente del Consiglio, per esigenze di segretezza. Se tuttavia il comitato riteneva infondato il rifiuto, a maggioranza assoluta dei componenti, poteva deliberare di riferire alle Camere, le quali avrebbero potuto attivare l’eventuale ispezione politica. Sempre a maggioranza assoluta dei componenti, il Comitato di controllo decideva di riferire alle Camere nel caso in cui non riteneva fondata la conferma dell’opposizione del Segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio nei confronti dell’autorità giudiziaria o di altro pubblico potere.

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41 Infine la legge all’articolo 11, ultimo comma, sancisce in vincolo del segreto per i membri del Comitato, relativamente alle informazioni acquisite e alle proposte presentati. Gli stessi atti del Comitato sono coperti da segreto. Nonostante l’istituzione del COPACO avesse colmato una lacuna presente nell’ordinamento, in quanto fino ad allora, la politica informativa e l’attività di segretazione erano sempre state circondate da una cortina di riservatezza fatta valere dall’Esecutivo, ben evidenti erano anche i limiti che il Comitato presentava, che non gli consentivano di esercitare una penetrante attività di controllo.

Indicativa in questo senso era la circostanza che la legge non fissava un termine entro il quale il Presidente del Consiglio doveva fornire gli elementi richiesti, circostanza che aveva dato luogo al dubbio che il Governo, rinviando la risposta, avrebbe potuto eludere la disciplina normativa.

Inoltre, così come indicato nella legge del ’77, al COPACO poteva rivolgersi un solo soggetto; tale limite è stato tuttavia ben presto superato dalla prassi parlamentare poiché il Comitato ha chiamato di fronte a sé anche i Ministri (in particolare quello dell’interno e della difesa), i direttori dei Servizi e vertici rappresentanti di altre amministrazioni (Capo di Stato Maggiore della difesa, Capo della Polizia, Comandanti Generali dell’Arma dei Carabinieri). Solo trent’anni dopo, con la legge n. 124 del 2007 che ne cambierà anche la denominazione, il COPACO conoscerà un rafforzamento dei propri poteri; ciò permetterà ad esso di esercitare davvero un’autonoma attività di controllo.

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42

CAPITOLO III

LA LEGGE 3 AGOSTO 2007 n. 124

La legge di riforma n. 124 del 2007 interviene a seguito di un lungo dibattito parlamentare e a distanza di trent’anni esatti dall’adozione della legge n. 801 del 1977, recando nuove disposizioni in materia di servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica e in materia di segreto di Stato.

Ancora una volta47 l’esigenza di un aggiornamento della disciplina emerge in

occasione di delicate inchieste da parte dell’autorità giurisdizionale, legate a scandali politico-giudiziari. Si fa riferimento, in particolare, alle vicende connesse ai casi di «Villa La Certosa» e «Abu Omar», quest’ultimo esploso in concomitanza con l’approvazione della presente legge.

Rispetto alla disciplina previgente, la legge n.124/2007 presenta contemporaneamente aspetti di continuità e di discontinuità, circostanza questa che rende a tratti la legge di riforma non priva di ambiguità.

La definizione dell’oggetto del segreto rappresenta ad esempio un evidente segno di continuità con la precedente disciplina legislativa ma anche in questo caso il legislatore non si è lasciato sfuggire l’opportunità di introdurre alcuni elementi di novità, estendendo la materia segretabile anche alle «informazioni» e addirittura, come meglio successivamente vedremo, ai «luoghi».

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L’approvazione della stessa legge n. 801/1977 avvenne dopo alcune vicende che coinvolsero i vertici del Servizio informazioni difesa (SID).

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