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Italo Calvino è senza dubbio un grande maestro di quell’arte fabulatoria in cui si fondono a perfezione realtà e immaginario1, attraverso una configurazione del discorso letterario capace di combinare gioco e critica2; per questo, nel suo ‘fare narrativo’ prassi e poiesi sono frequentemente complementari, ed è proprio in quella scrittura che sembra più fantastica e surreale che si nota come il suo divertimento, oltre ad essere essenziale3, sia anche «una cosa seria»4.

Naturalmente, è fondamentale che il lettore cerchi nelle sue opere i ‘significati inattesi’ perché per Calvino la letteratura è e deve essere comunicazione, conoscenza, sfida e divertimento: una letteratura capace di rifondare se stessa e il proprio significato secondo un paradigma articolato e molteplice, atto a sposare la complessità crescente dell’epoca con cui si vuole interfacciare; una scrittura narrativa in cui siano rintracciabili i segni attivi di un allenamento critico dell’intelligenza e nella quale gli artifici, le dissimulazioni o le trasfigurazioni della realtà si attestino come dialogo edificante tra fantasia e ragione, vestito

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Dimensioni, queste, cui corrisponde il dialogo tra facoltà raziocinante e capacità fantastica dell’uomo; questa interrelazione è ben istituibile tramite l’oggetto letterario, entro il quale i registri dell’immaginario e del reale si trovano ad interagire poieticamente attraverso quello del simbolico: intreccio, nel quale dimostrano un carattere costitutivo dell’esperienza umana del mondo. Si rimanda più avanti – al paragrafo incentrato sul connubio tra razionalità e fantasia nella poetica di Calvino – per una prima trattazione del tema, che ricorrerà poi anche nel secondo capitolo, con maggiore accento sulla dimensione simbolica dei meccanismi di cooperazione delle due facoltà nella mitopoiesi letteraria calviniana.

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Egli stesso ci dice: «rappresento spesso delle cose inverosimili dietro alle quali c’è però un ragionamento, uno schema, un meccanismo che si può applicare alla realtà di tutti i giorni»; cfr. Italo Calvino, Scrivo perché non so fare altro, in «La Nazione», 26 agosto 1986, intervista postuma a cura di G. Capecchi. Come si vedrà, Le Cosmicomiche ben testimoniano questa attitudine.

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Calvino è uno dei più grandi sostenitori del concetto di «homo ludens», illustrato dallo storico olandese Huizinga ; cfr. Johan Huizinga, Homo ludens, Boston, Beacon Press, 1962, pubblicato ad Amsterdam per la prima volta nel 1939; tr. it. Johan Huizinga, Homo ludens, Il Saggiatore, Milano 1983. La parola letteraria, infatti, è in ultima istanza sempre illusione, nel senso di in-lusio, che rimanda al ludus, ovvero a quella capacità di creare e gestire un gioco, che tanto più ci accosta alla verità sfaccettata della vita quanto più seriamente lo prendiamo.

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«Credo che il divertire sia inoltre una funzione sociale: corrisponde alla mia morale ... Io penso che il divertimento sia una cosa seria»; da Italo Calvino, Scrivo perché non so fare altro, op. cit.; cfr. anche in Id., Intervista con Maria Corti, in «Autografo», 1985, n. 6, p. 52. Una posizione analoga era stata espressa dall’autore nell’intervista Incontro con Italo Calvino, per l’inchiesta Lo scrittore deve

saper divertire il pubblico, in «Uomini e libri», 1980, n. 77, p. 41. Come ha giustamente osservato

Mario Boselli, si può aggiungere che «... ciò che pare ‘gioco’ e ‘piacere’ dell’immaginazione, in Calvino ha sempre un sottofondo amaro, pessimistico e ironico ... da contes philosophiques»; da Mario Boselli, Ti con zero o la precarietà del progetto, in «Nuova Corrente», 1969, n. 49, p. 148.

di abiti ironici, mitici, fantastici, secondo logiche combinatorie e labirintiche, nella consapevolezza che la letteratura vive della stessa ambiguità del gioco, dal momento che proprio come «il gioco può funzionare come sfida a comprendere il mondo o come dissuasione a comprenderlo, la letteratura può lavorare tanto nel senso critico quanto nella conferma delle cose come stanno e come si sanno»5. La letteratura, secondo i modi che le sono propri, può stimolare la riflessione sul mondo e produrre conoscenza in diverse configurazioni modellizzanti6 del reale soltanto se non perde il contatto con i problemi che interessano l’uomo contemporaneo, nell’ambito di un sistema culturale continuamente rivisitabile. Da questo, la necessità di proporre sempre nuovi modelli a funzione cognitiva e poietica, aderenti alla struttura concettuale di uno stile di pensiero costantemente recettivo alle possibilità di aggiornamento epistemologico ed antropologico; ovvero, l’esigenza di creare e ri-fondare versioni del mondo, che non siano “gratuite” e vadano costantemente verso l’ampliamento delle frontiere conoscitive delineando una morfologia complessa e una sintassi a crescente gradiente di articolazione e specificazione dei valori veicolabili dal discorso letterario.

La ricerca letteraria di Calvino procede con attenzione costante e multidirezionale di fronte all’emergere di nuove concezioni del sapere umano e del rapporto col mondo che ne è l’oggetto; un interesse epistemologico che non perde mai di vista il presentarsi di inediti paradigmi sulla realtà e i dibattiti culturali che questi vanno a stimolare. Nelle trame fantasiose, nelle strutture leggere ma rigorose dei giochi narrativi calviniani si esprime

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Cfr. Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi, in Id., Una pietra sopra, op. cit., p. 218. Importante è rilevare sin da ora che lo spostamento sul confine tra queste due differenti opzioni di operatività è determinato per Calvino dall’atto della lettura: prosegue, difatti, Calvino nel medesimo passo: «Il confine non sempre è chiaramente segnato; dirò che a questo punto è l’atteggiamento della lettura che diventa decisivo; è al lettore che spetta di far sì che la letteratura esplichi la sua forza critica,e ciò può avvenire indipendentemente dalla intenzione dell’autore»; cfr. ibidem. Si rimanda al Capitolo 2 per una trattazione più estesa delle considerazioni calviniane sull’atto della lettura e sul ruolo della figura- lettore nel suo paradigma letterario. Si può anticipare comunque e preliminarmente che, nel dispiegarsi della riflessione calviniana sulla letteratura come processo a carica gnoseologica che esprime al meglio questa potenzialità attraverso giochi di mescolanza e riassetto degli “oggetti simbolici” presenti nel fare narrativo, la tendenza al formalismo strutturante è sempre controbilanciata dalla ricerca di un valore etico; per questo il classicismo calviniano ha poco in comune con la concezione tradizionale di ‘classicità’ e si risolve piuttosto in una forma di manierismo ludico e sagace. Nell’ambito di una letteratura che nasce da un riuso e da un gioco combinatorio di materiali decontestualizzati, questo valore pertanto è rintracciabile nella assoluta non gratuità delle combinazioni letterarie, che sono sempre rivolte alla responsabilizzazione del lettore; ad un lettore che, secondo il “modello” auspicato da Calvino, deve essere smaliziato e molto preparato per poter scegliere, decidere quale uso fare di ciò che legge, se accettare passivamente quanto gli viene proposto o esercitare la sua consapevolezza critica per trarre dal testo più di quello che effettivamente dice e investire questo valore aggiunto nella realtà.

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Per un’argomentazione centrata sul concetto di ‘modellizzazione’, in relazione a quello di ‘oggettivazione’ in filosofia (sia da un punto di vista epistemologico che ermeneutico), si rimanda al par. 2.1 del Capitolo 2 del presente lavoro.

l’impegno di un uomo, intellettuale e scrittore colto, dalla mente problematizzante e al quale la dimensione ironica non viene mai meno7.

Per Calvino, la letteratura e, come si vedrà, in particolar modo quella a connotazione fantastica e mitopoietica tipica dei racconti cosmicomici, assume un ruolo di modellizzazione epistemologica, facendosi a tratti finanche euresi8 di gaddiana accezione, in ogni modo

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L’ironia può costituire, in effetti, una buona “valvola di sicurezza” dinanzi a un mondo sul quale non è possibile esercitare un controllo, se non in maniera ineluttabilmente parziale. Troppo spesso i modelli paradigmatici, costruiti anche da saperi differenti, restano una perfetta ipotesi teorica; il gioco letterario delle narrazioni potenziali rappresenta allora un’occasione fondamentale per presentare in maniera performante e stimolante questioni rilevanti per la “lettura” e la “ri-creazione” individuale e autonoma del rapporto uomo - mondo.

Ad arricchimento della presente trattazione, è importante rilevare, inoltre, come l’evoluzione delle metodologie di una simile ricerca epistemologica in Calvino sia sempre corredata dall’imprescindibile concezione ludica e ri-creativa del discorso letterario. Configurazione, questa, strettamente collegata all’elemento del comico, che nella scrittura calviniana si declina con spiccata e ragionata preferenza nei termini dell’ironia, del grottesco e della parodia. Come si avrà modo di vedere nel corso del presente lavoro, per Calvino il dispositivo letterario del comico ha grande rilevanza, in quanto è considerato precisamente come «un metodo, un tipo di rapporto col mondo» in grado di mettere in discussione tutti gli aspetti dell’esistenza umana; è, a tutti gli effetti, un procedimento interpretativo capace di filtrare e attenuare il senso di ineluttabilità del reale, dal momento che attraverso i suoi meccanismi di approccio al mondo, da cui scaturiscono il riso, il sorriso e la smorfia, consente di raggiungere un’assoluta forma di «distacco dal particolare» e un conseguente «senso della vastità del tutto». Per quest’ordine di ragioni, per Calvino il riso, al pari degli altri effetti dello straniamento comico, viene ad assurgere il ruolo di strumento conoscitivo altamente efficace. Per le citazioni, cfr. Italo Calvino, Definizioni di territori: il comico, in Id., Una pietra sopra, op. cit., p. 192.

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Il termine ‘euresi’ è un neologismo coniato da Carlo Emilio Gadda inerentemente alla sua ricerca filosofica sui rapporti fra scrittura letteraria, possibilità di conoscenza e strutturazione del reale: l’espressione ricorre, difatti, con maggiore frequenza soprattutto nell’opera in cui lo scrittore lombardo ha dispiegato maggiormente il suo sforzo teoretico, ovvero La meditazione milanese (1974, post.). L’ideazione terminologica è probabilmente modellata a partire da lemmi come ‘teoresi’, ‘euristica’ e simili, data anche l’affinità semantica che presenta con essi. Per l’ingegnere-scrittore esiste una tensione naturale che spinge la materia ad accedere a livelli di complessità sempre maggiore, ad organizzarsi in un sistema di relazioni sempre più ampio, ad apprendere una forma di unità sempre più inclusiva, articolata ed eterogenea. L’euresi costituisce allora un’attività di “scandaglio multiplo” nei confronti della magmatica caoticità del reale, secondo un processo euristico che è «auto deformazione del reale», come lo definisce lo stesso Gadda nella Meditazione milanese, capaci di produrre porzioni di senso aleatorie. Si veda a questo proposito il seguente, significativo, passo del capolavoro gaddiano: «Pensiamo dunque ogni sistema come un infinito allacciamento, in inestricabile nodo o groviglio di relazioni […] Questo infinito annodarsi, verschlingen, del reale si raggruma, si coagula in tipi o sistemi che sono posizioni della conoscenza, pause dell’euresi: trovate dell’euresi per tirare il fiato: ma non posizioni certe, finite, chiuse, oggettive; sì (e fino a un certo punto) arbitrarie e fluenti. E dico arbitrarie non per sfoggiare un facile relativismo, o perché ammetta in un senso caricaturale il ‘ciascuno a suo modo’ del nostro grande tragico [rif. a Pirandello] : ma perché realmente … l’acrocoro può esser visto da molte sue quote; e ogni suo sistema è riferibile ad assi coordinati infiniti: è presentabile in modi infiniti»; Cfr. Carlo Emilio Gadda, Meditazione

milanese (1974, post.), a cura di Gian Carlo Roscioni, Einaudi, Torino 1974, p. 201. Il processo

dell’euresi contiene in sé un denso nodo semantico, che si struttura secondo la complessa

weltanschauung gaddiana in paradigmi binari ad articolazione multipla, che tanta somiglianza

mostrano con i polarismi e le apparenti antinomie calviniane di “ri-descrizione del mondo”: entrambi gli autori manifestano un estremo e continuo sforzo di cartografia cognitiva del rapporto soggetto - realtà, nella piena consapevolezza che l’esistente è comunque irriducibile a qualsivoglia linguaggio umano. Si avrà modo di ritornare sulle analogie e le affinità di pensiero epistemologico tra Calvino e Gadda.

sempre costruzione gnoseologica ad avanzamento euristico e abduttivo: è il funzionamento stesso del testo letterario di genere ibrido – tra comico, fantascientifico ed epico – a manifestare la capacità di sintetizzare il livello ludico della forma espressiva, con questioni etico-ermeneutiche e intenzioni gnoseologico-razionali intrinseche al rapporto soggetto - realtà.

Le riflessioni calviniane sulle possibili articolazioni del complesso rapporto fra scrittura e mondo, non prescindono mai da una concezione ludica della modellizzazione epistemologica ed ermeneutica della parola letteraria: il modello in letteratura si fa gioco simbolico per la significazione e la ri-creazione di configurazioni di senso possibili per altrettante inedite versioni del mondo. E se è vero che la scrittura «è solo un processo combinatorio di elementi dati», come afferma Calvino nel saggio Cibernetica e fantasmi (1967-68), in cerca di «un senso di sollievo, di sicurezza» dinanzi alla «vertigine dell’innumerevole, dell’inclassificabile, del continuo» generato dalla caoticità del mondo, allora i giochi in letteratura si possono moltiplicare e crescere all’infinito, quasi potessero costituire «un esorcismo» a difesa dei vortici labirintici dell’esistente che la parola letteraria incessantemente sfida, a livello semiotico, cercando di fissarli sulla pagina in configurazioni del “potenzialmente reale” 9. L’incontro con Barthes, le esperienze parigine e l’Oulipo costituiscono strumenti eccellenti per espandere una simile concezione10. La scrittura letteraria trova allora l’occasione di farsi due volte ‘gioco’: quello di una manipolazione linguistica insolita di un tema dato; e quello di una formalizzazione rigorosa applicata all’invenzione poetica. È così che un personaggio-funzione come Qfwfq può “vivere di razionalità e paradosso”: la modernità tematica e linguistica dei racconti cosmicomici si fa gioco in un ideale sempre vivo di letteratura classica come coscienza delle “regole da seguire”11, con l’intento di scandagliare la leggibilità del reale per enuclearne porzioni

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Tutte le citazioni sono tratte da Italo Calvino Cibernetica e fantasmi, in Id., Una pietra sopra, op. cit., pp. 210 e 211.

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Calvino infatti, stabilitosi a Parigi nell’estate del 1967, frequenta le lezioni di Roland Barthes e conosce Raymond Queneau che lo presenterà agli altri membri dell’Oulipo (l’Ouvroir de Literature

Potentielle), fra i quali Francois Le Lionnais e George Perec. Calvino entrerà nel gruppo a partire dal

1972, prima come “corrispondente straniero” e poi, dal 1980, come membro a tutti gli effetti. 11

È all’Oulipo che viene teorizzato, a partire dal 1960 (anno di fondazione ad opera principale del matematico e scacchista F. le Lionnais e dello scrittore R. Queneau), che nella struttura classica, e dunque nelle regole, è insita la molteplicità ‘potenziale’ di tutti i testi virtualmente scrivibili. A questo proposito, sempre nel fondamentale Cibernetica e fantasmi, Calvino non parla di ‘classicismo’ come continuità di una tradizione, ma come di un riuso combinatorio di materiali decontestualizzati, quindi come gioco. Avviene allora il trascendimento dell’io dell’autore attraverso l’applicazione di regole astratte, oggettive, per cui la macchina letteraria «continuerà a essere un luogo privilegiato della coscienza umana, un’esplicitazione delle potenzialità contenute nel sistema di segni d’ogni società e d’ogni epoca», ma potrà fare a meno della figura dell’autore, «personaggio a cui si continuano ad

minime di senso in cui l’esistente (o i possibili pensabili esistenti) si cristallizza in una forma comunque mai deterministica, ma dinamica nella proposizione dei significati, esposti con gusto ironico, corroborante e immaginativo.

Come Le Cosmicomiche e Ti con zero ben testimoniano, la conoscenza veicolabile dal discorso letterario è inseparabile dalla produzione di racconti e metafore, dalla costruzione di modelli raffigurabili: un tipo di conoscenza che esplora e spinge sempre più in là i limiti dell’immaginazione, affermando la predominanza del possibile sulla categoria del reale, dal momento che è il possibile che «decide dell’immagine del mondo, laddove il reale è l’immagine sedimentata, in un altro modo vitale, che si conserva perché la struttura dell’esperienza è storica e a più strati»12.

Ribadendo l’oscillazione tra mitopoiesi e numero, che rappresentano le «antinomie genetiche fondamentali» dell’opera di Calvino13, il saggio Cibernetica e fantasmi14 sigla il passaggio dalla proliferazione metamorfica dell’immaginario delle prime Cosmicomiche al processo di astrazione e matematizzazione del reale in Ti con zero15: nei racconti della seconda raccolta

attribuire funzioni che non gli competono, l’autore come espositore della propria anima alla mostra permanente delle anime» (cfr., Italo Calvino Cibernetica e fantasmi, in Id., Una pietra sopra, op. cit., p. 209). È questa la fase della poetica calviniana in cui viene teorizzata la morte dell’autore – paradigmatico tema dell’allora nascente paradigma postmoderno – secondo cui l’autore deve cedere il passo alla scrittura per divenirne egli stesso un prodotto e un modo. Pertanto spetterà al lettore il momento decisivo della cita letteraria: sarà lui il soggetto “cosciente”, capace di scoprire come funziona la macchina scrivente e di trarne un senso e un significato inattesi perché “ulteriori”. Riflessione, questa, che condurrà ad una prova letteraria come Se una notte d’inverno un viaggiatore, in cui emergono chiaramente le … arrivando persino a immaginare quella inattuabile purificazione auspicata dal mito della morte dell’autore: «Come scriverei bene se non ci fossi! …»; cfr. Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), op. cit., capitolo VIII, Dal diario di Silas

Flannery, p.199.

12

Cfr. Guido Guglielmi, Conclusione, in Beppe Cottafavi e Maurizio Magri (a cura di), Narratori

dell’invisibile. Simposio in memoria di Italo Calvino, Mucchi, Bologna 1987, p. 185.

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Cfr. Pierpaolo Antonello, Il ménage a quattro. Scienza, filosofia, tecnica nella letteratura italiana

del Novecento, Le Monnier, Firenze 2005, p. 185. Si avrà modo di tornare su questo aspetto nel

Capitolo 2. 14

Che, bene ricordarlo in questo contesto, è derivato dall’omonima conferenza tenuta in vari capoluoghi italiani tra il 24 e il 30 novembre 1967, riproposta in seguito anche con il significativo titolo di Il racconto come operazione logica e come mito; solo in seguito, in occasione della seconda pubblicazione su rivista e in versione ridotta (cfr. «Nuova Corrente», n. 46-47, 1968), comparirà la titolatura Appunti sulla narrativa come processo combinatorio. Questa osservazione è presentata al fine di sottolineare quanto, nella genesi delle riflessioni teoriche di Cibernetica e fantasmi, sia prioritaria l’intenzione di indagine sui dispositivi logici e mitopoietici del discorso letterario, che si legano strettamente ai meccanismi e agli effetti del gioco, come si vedrà poco oltre, nel presente paragrafo.

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Negli stessi anni in cui esplode il dibattito sulle “due culture”, scientifica ed umanistica [Cfr. Charles Percy Snow, Le due culture (1959), Feltrinelli, Milano 1964], Calvino rileva che anche «i processi che parevano più refrattari a una formulazione numerica, a una descrizione quantitativa, vengono tradotti in modelli matematici» (cfr. Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi, in Id., Una pietra

sopra, op. cit., p. 205); pertanto, riadatta il suo programma letterario, sia stilisticamente che a livello

cosmicomica, infatti, si afferma una visione della conoscenza come costruzione piuttosto che rappresentazione, attraverso il rilievo della performatività linguistica e dei procedimenti mentali come analoghi dell’attività costruttiva della natura; si verifica un rapporto simbiotico, di reciproco utilizzo tra la componente estetica e quella funzionale, che dà vita ad un investimento mentale ed emotivo, ad una vera e propria catessi16, feconda nelle forme dell’ipotesi euristica e della proposta problematica. Fondamentale continua ad essere il contributo del ritmo e della veste ludica nella narrazione, anche se – tolti i quattro inediti “Altri Qfwfq” – risulta ora virata su forme di ‘gioco’ più “sofisticate”, dimostrando chiaramente quanto l’interesse calviniano per la scienza si sia fatto più astratto e concettuale: ad attrarre la fantasia fabulatrice, nonché la passio cognitiva dello scrittore, sono adesso le “possibilità irrealizzate”, i “modelli di universo possibili”, invero tutto quello che è stato scartato perché l’universo assumesse la forma che l’uomo gli riconosce17.

In questa fase della sua poetica, Calvino vede agire internamente al modello scientifico lo stesso principio secondo il quale le opere d’arte sono “modelli ridotti” della realtà, che mettono in forma le modalità della conoscenza e testano la loro “tenuta”, pur ricusando il più diretto rispecchiamento della mimesis18. Le modellizzazioni del reale attuate dall’arte, dunque

per raccontare situazioni tipicamente umane, situazioni drammatiche e angosciose, e risolverle con procedimenti di astrazione come se si trattasse di problemi matematici». Cfr. Mauro Lami, Intervista

con Calvino, in «Messaggero Veneto», 22 novembre 1967, p. 16; ora in Italo Calvino, Tutte le cosmicomiche, Mondadori, Milano 1997, appendice “Cronologia cosmicomica”, pp. 403-404. Alla

logica formale della matematica rinviano soprattutto i racconti deduttivi, nei quali diviene narrazione un ragionamento deduttivo calato nella realtà concreta di una vicenda umana: Calvino mutua dal linguaggio scientifico modelli argomentativi e procedurali, forme di modellizzazione e di descrizione del reale, con una tensione all’esattezza che, da qui innanzi, diverrà una costante imprescindibile della sua narrativa e che accentua, per confronto, il manierismo stilistico adottato nelle prime

Cosmicomiche (1965), in cui forme espressive “alte” e “basse”, cosmiche e comiche, si intrecciavano