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I sentieri della letteratura fra mondo scritto e mondo non scritto

Come si è indicato nelle parte iniziale del presente capitolo, è sicuro che per Calvino fosse quanto mai auspicabile una relazione sinergica fra letteratura, scienza e filosofia; la natura di questa correlazione, da conservare costantemente critica e costruttiva, è attestata nella sua opera dalla continua esigenza di sondare e sperimentare nuove configurazioni narrative volte a sostenere la ricerca di griglie ermeneutiche plurime ed alternative, nonché di modelli epistemologici (mutuati non solo dal sapere scientifico) sempre più flessibili e aperti ad una comprensione multidimensionale della complessità del mondo contemporaneo1. Bene sottolineare nondimeno come l’intenzione di Calvino sia sempre stata quella di rimanere saldamente entro l’ambito della letteratura, che non ha mai concepito nel ruolo di subordinazione ancillare nei confronti degli altri saperi. Per Calvino l’investigazione sul cosiddetto “mondo non scritto”2 si dispiega massimamente attraverso l’espressione letteraria e quel portato di saperi, culture e conoscenze molteplici che, dialogando fra loro all’interno del discorso letterario, contribuiscono a determinare, e di volta in volta orientare, possibili nonché plurime versioni del mondo; ed è precisamente la resa di queste configurazioni a costituire la quaestio intorno alla quale si costruisce il “gioco” narrativo delle maggiori invenzioni letterarie calviniane, in particolare dalla “svolta” degli anni Sessanta in poi.

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A testimonianza di questa indole sfaccettata di ricercatore instancabile e curioso che coniuga il suo

sguardo sul mondo ora in veste di semplice scrutatore, ora di archeologo, per poi farsi cartografo,

finanche etnografo e antropologo, basti pensare all’intera opera narrativa di Calvino che, in un arco temporale di quarant’anni, oltre a saggiare e a raccogliere le suggestioni di svariate correnti letterarie, scientifiche e filosofiche, si è dimostrata capace di delineare uno stile e un profilo letterari inconfondibili, grazie a caratteri peculiari quali l’inventività linguistica, la dovizia di immagini e di trovate diegetiche originali, di collegamenti imprevedibili e di metafore inedite, espresse tramite forme narrative sempre nuove, che spaziano dalla vignetta al fumetto, dal conte philosophique all’onirigramma, dall’iper-romanzo ai racconti ‘cartografici’.

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L’emblematica espressione rimanda principalmente al testo preparato da Calvino per la conferenza letta alla New York University come «James Lecture» presso l’Institute fo the Humanities il 30 marzo 1983 e pubblicata, con il titolo The Written and the Unwritten World, in «The New York Review of Books», May 12, 1983, pp. 38-39, quindi in «Letteratura internazionale», II, 4-5, primavera-estate 1985, pp. 16-18. I riferimenti al saggio che verranno citati nella presente trattazione si riferiscono al saggio contenuto nell’omonima raccolta, pubblicata postuma: Italo Calvino, Mondo scritto e mondo

non scritto (2002, post.), op. cit.

Importante rilevare sin da ora che la formula «mondo non scritto» viene impiegata per la prima volta da Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), attraverso le parole dello scrittore, suo alterego, Silas Flannery che, nel cap. VIII (Dal diario di Silas Flannery) si interroga circa le possibili relazioni fra la scrittura, dunque il libro e il mondo non scritto; si avrà modo di vedere, nel presente paragrafo, a quali esiti condurranno le riflessioni di Flanner/Calvino e di approfondire il sostrato teorico della contrapposizione fra “mondo scritto” e “mondo non scritto”.

Difatti, dopo lo spartiacque teorico rappresentato dal ‘racconto filosofico’ de La giornata d’uno scrutatore (1963)3, a partire dall’esperienza cosmicomica, nella scrittura calviniana emergerà con sempre maggiore chiarezza l’opposizione tra la percezione della naturale evoluzione entropica dell’universo e il tentativo di ricomporne un ordine sintropico sulla pagina attraverso l’opera di ri-creazione letteraria: azione, quest’ultima, che deve passare per

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Come già si è avuto modo di rilevare, La giornata d’uno scrutatore è il libro più rappresentativo di quella svolta che andò determinandosi dai primi anni Sessanta nella traiettoria artistica e teorica di Calvino; insieme a La nuvola di smog (1958) e a La speculazione edilizia (1963), La giornata d’uno

scrutatore (1963) va a comporre una particolarissima «trilogia della modernità» (come ebbe a

definirla Bruno Falcetto nel suo intervento al convegno «Italo Calvino e la fiaba», San Giovanni Valdarno, 5-6 dicembre 1986; cfr. Claudio Milanini, L’utopia discontinua, Garzanti, Milano 1990, p. 96, nota 2), per alcuni aspetti speculare e per altri complementare a quella de I nostri antenati: come scrive Milanini, è questa «una trilogia di Intelligenzen-roman più o meno eclettici e scorciati, volti a raffigurare con incisività controcorrente il grigiore del vivere quotidiano nell’ambito della cosiddetta

affluent society» (cfr. Ivi, p. 68). In verità, i tre romanzi non furono mai riuniti dall’autore in una

trilogia, ma, dalle assonanze che presentano a livello meta-letterario, risulta chiaro che costituiscano il prodotto di quella crisi che Calvino aveva affrontato nei confronti della politica e dunque di una certa concezione della società alla fine degli anni Cinquanta (Calvino si dimise dal PCI il 1° agosto del 1957); per una serrata e feconda lettura delle interconnessioni fra le tre opere calviniane, si rimanda al denso capitolo Il realismo speculativo, in Claudio Milanini, L’utopia discontinua, op. cit., pp. 67-98. In particolare, La giornata d’uno scrutatore costituisce la più lucida cronaca delle delusioni di un intellettuale che si ritrova a dover fare i conti con una realtà sempre più informe che deforme: l’incontro di Amerigo Ormea, intellettuale comunista, con i mostri del Cottolengo è lo spaventoso incontro con il potenziale che non si è realizzato; è l’allegoria del terrore di non arrivare a possedere una forma che abbia un significato, venendo meno a un processo collettivamente evolutivo. Il romanzo dello scrutatore rappresenta insomma un cimitero delle potenzialità perdute, nonché il prodotto, la sedimentazione di quella crisi intellettuale che in Calvino si era legata alla necessità di un approccio sì realistico al mondo, ma irrinunciabilmente speculativo, dunque capace di configurare l’inserimento dell’umano nella realtà; l’esperienza e le riflessioni di Amerigo/Calvino si pongono quindi come monito all’inizio del nuovo decennio.

Fondamentale, dunque, annotare che nello stesso, esatto 1963 in cui viene pubblicato lo Scrutatore, si affaccia sull’orizzonte fabulatorio calviniano il personaggio che dominerà tutti gli anni Sessanta e che protrarrà la sua presenza nell’immaginario dello scrittore fino alla morte: Qfwfq, l’eroe delle

Cosmicomiche, l’essere metamorfico e iper-evolutivo per eccellenza (nella raccolta Tutte le cosmicomiche, Mondadori, Milano 200? sono riportate note e notizie sui singoli testi – come nella più

esaustiva collana de «I Meridiani» –, per le quali si apprende che l’ideazione e la stesura delle primissime avventure cosmicomiche risalgono appunto al 1963). Come già Calvino asseriva nel 1961, alla scrittura narrativa si riserva il compito precipuo di esprimere sempre «nuove situazioni esistenziali» e di scoprire «il modo, i mille, i centomila nuovi modi in cui si configura il nostro inserimento nel mondo» (cfr. Italo Calvino, Dialogo di due scrittori in crisi, in Id., Una pietra sopra, op. cit., p. 83); e l’esperienza della scrittura cosmicomica apre la strada precisamente ad angolazioni prospettiche inusitate nel trattare le faccende umane, inserendole in un contesto assolutamente antiantropocentrico, a dimensione cosmica. Qfwfq si dimostra sovrano indiscusso di azzeramenti e rinascite, incarnando fino in fondo tutte le virtualità dell’esistente, anche le più assurde e improbabili; perciò Qfwfq non è un vero personaggio e, come ebbe a dire lo stesso autore in varie prefazioni alle raccolte cosmicomiche, non è neanche di fatto un uomo, bensì «per miliardi d’anni non è che una potenzialità», una campionatura d’esperienze che dà voce al potenziale.

Si è sentito il bisogno di aggiungere una simile annotazione digressiva a dimostrazione del fatto che dietro la paura del non poter/saper prendere forma – o del non prenderla ‘giusta’ – insita ne La

giornata d’uno scrutatore, è riscontrabile in realtà il terrore di ‘prenderla troppo’, ovvero di

pietrificarsi in un’identità unica e definitiva (ecco spiegata la natura autobiografica rilevata da molti critici nello scrutatore); paura, questa, che dopo l’esperienza cosmicomica, condurrà alla passione combinatoria degli anni Settanta, continuando pertanto ad alimentare la poliedrica e onnivora inclinazione calviniana per l’espressione letteraria dei potenziali e molteplici percorsi atti a raccontare la relazione uomo-mondo.

la ricerca, ogni volta variata, di un metodo che permetta un contatto con il “mondo non scritto” per mezzo della parola letteraria, che in Calvino è sempre volontà di raccontare le plurime potenzialità che ancora non hanno trovato espressione nel linguaggio.

Bene rimarcare che questa incessante tensione alla ricerca di un ordine costitutivo delle cose del mondo è sostenuta e alimentata in Calvino dalla stringente attitudine a pensare in termini di razionalità scientifica4; propensione, questa, che trova la sua espressione linguistica in una scrittura non a caso sliricizzata, rigorosa e precisa (cristallo), bilanciata da continue incursioni in universi narrativi inediti e fantastici (fiamma), entro i quali l’autore dispiega ogni volta la sua creativa e prolifica immaginazione, nonché il suo inestinguibile desiderio conoscitivo, nel tentativo di espanderne i confini, di esplorarne le pieghe e le combinazioni potenzialmente inesauribili, sempre secondo logiche di vero Furor Geometricus, finanche Mathematicus5.

La dinamica che viene delineandosi in maniera sempre più spiccata nella produzione calviniana consiste dunque nel distinguere il proprio sé dal mondo esterno6 nel tentativo di afferrarne conoscitivamente anche solo una porzione, da ricomporre poi proiettandola con la fantasia entro gli infiniti “non-luoghi” del possibile narrabile. Questi due ‘momenti’7 rappresentano i passaggi fondamentali dell’agire letterario di Calvino: il proposito costante è quello di delineare un plausibile quadro di lettura della realtà che, attraverso la caratterizzante tendenza fabulatoria a trasformare ogni situazione narrata in una sorta di ‘gioco della vita’8, lasci sempre scorgere lo spiraglio di un fondo sensibile e amaro, che vuole notificare un disagio profondo e sofferto nei confronti dell’età contemporanea: ovvero,

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Come si è già avuto modo di rilevare, è questa un’inclinazione sviluppata da Calvino sin dall’infanzia, in ragione dell’ambiente familiare a forte connotazione scientifica; si tratta di una rigorosa disposizione all’orientamento critico del pensiero, che Calvino nutrirà e aggiornerà costantemente per tutto il corso della vita, come bene testimoniano, soprattutto nella sua produzione saggistica, i numerosi e ricorrenti riferimenti ad autori e opere di ambito scientifico, nonché a questioni pertinenti alla filosofia della scienza.

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Tratti che avvicinano Calvino a Leonardo Sinisgalli; in proposito cfr. Un "Leonardo" del

Novecento:Leonardo Sinisgalli (1908-1981), a cura di Gian Italo Bischi e Pietro Nastasi, Centro

Pristem Eleusi, Milano 2009. 6

Finanche ad annullare il self , per cercare, attraverso l’opera di ricomposizione letteraria «d’uscire dalla prospettiva limitata da un Io individuale... per far parlare ciò che non ha parola, l'uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l'albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica... Non era forse questo il punto d’arrivo cui tendeva Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose?»; cfr. Italo Calvino, Molteplicità, in Id., Lezioni americane, op. cit., p. 122.

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Si tratta del connubio, imprescindibile nell’agire letterario calviniano, tra fantasia e razionalità: come si avrà modo di argomentare nel paragrafo successivo, la stretta corrispondenza fra queste due componenti è la matrice originaria di ogni declinazione letteraria in Calvino.

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Attraverso strumenti espressivi per lo più appartenenti ai modi del comico, quali l’ironia, le definizioni caricaturali, la parodia e le trasfigurazioni grottesche, perfino rocambolesche e iperboliche: basti pensare alle peripezie del polimorfico Qfwfq o alle avventure speculative del signor Palomar.

la rilevazione della difficoltà di comunicare fra gli esseri umani, dunque una critica all’incapacità dell’uomo di armonizzarsi con la natura, con la società e con se stesso.

È questo un approccio critico e consapevole al fare letterario, secondo la ormai chiara prospettiva che vede nella filosofia e nella scienza due punti di riferimento irrinunciabili per il discorso narrativo, in quanto interlocutori carichi di implicazioni conoscitive e culturali sempre nuove, come pure fonti inesauribili di interrogativi per cui il valore dell’immaginazione poetica può tornare a sfidare le vecchie forme di riduzionismo, cimentandosi a raffigurare persino ciò che non si può “vedere”, ai livelli microscopici e macroscopici del tempo e dello spazio9.

Si configura così quella che si potrebbe definire una vera e propria ‘metodologia della ricerca letteraria’ in Calvino, costantemente guidata da e tesa verso l’ideale di “una letteratura a tensione razionale”, che possa restituire “un’immagine cosmica” della realtà attraverso scenari favolistici che si alimentano di una carica interna, mitopoietica; una letteratura capace di istituire continuamente modelli di rappresentazione del mondo passibili di essere scomposti e ri-assemblati ancora e ancora. È così che il discorso letterario viene a configurarsi come un experimentum perennemente aperto, per cui esperienza e immaginazione cooperano contro ogni assolutizzazione essenzialistica e gnoseologica del pensiero. Le immagini riportate nei balenanti processi del pensiero che le ha visualizzate appartengono unicamente a chi è riuscito a “vederle” nella compiutezza finale di una storia. Un libro è allora una storia felicemente conclusa, rappresenta il momento finale di un progetto di ricerca di un ordine interno alle cose; ha una sua vita propria, si conclude e si esaurisce. Tutta l’opera di Calvino appare contrassegnata da questa convinzione forte, determinata ogni volta dal problema di un sempre nuovo rapporto etica-forma che solo si giustifica di fronte a un nuovo valore rinvenuto o a un nuovo problema da porre. Il “dover essere” della forma dipende dal “dover essere” dei contenuti nuovi su cui lavorare: il discorso deve essere sempre necessitato. Leggendo Calvino ci si trova soventemente dinanzi a veri e propri consuntivi che permettono di considerare chiuso un discorso e consentono di andare avanti alla ricerca di nuovi narrabili.

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Come si è visto, per Calvino la letteratura, al pari degli altri campi del sapere, deve dimostrarsi capace di stimolare discussioni, di far avanzare il pensiero, di arricchirlo attraverso impulsi atti a suscitare riflessioni che possano far comprendere meglio l’infinita complessità del mondo e far prendere le distanze dalle prospettive limitanti date dalle rappresentazioni univoche della realtà, irrimediabilmente parziali. Per quest’ordine di ragioni la letteratura non può fare a meno di proseguire quel rapporto nuovo con la filosofia che – come sostiene Calvino in Filosofia e letteratura – si è instaurato «da Lewis Carroll in poi»: ovvero, il saper gustare e saggiare le questioni messe in campo dalla filosofia (e dalla scienza) come «stimolo alla immaginazione» poetica, per coltivare dunque «un nuovo rapporto tra la leggerezza fantomatica delle idee e la pesantezza del mondo». Per le citazioni, cfr. Italo Calvino, Filosofia e letteratura (1967), in Id., Una pietra sopra, op. cit., pp. 189 e 190.

In quest’ottica, può risultare dunque interessante un’esplorazione dei “sentieri” intrapresi dalla macchina letteraria10 calviniana che, superata la fase del realismo speculativo11, prendendo le mosse da Le Cosmicomiche, svolgerà un’assidua ricerca dei possibili narrabili su più piani, contemporaneamente a livello macro e micro-strutturale, nel tentativo costante di contemperare irreversibilità e reversibilità dei meccanismi dell’universo, di affrontare la

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Bene puntualizzare che l’espressione «macchina letteraria» viene utilizzata da Calvino per la prima volta in occasione della fondamentale conferenza Cibernetica e fantasmi, tenuta in più città italiane ed europee tra il 1967 e il 1968 e poi convertita, dopo vari passaggi editoriali, nella versione definitiva dell’omonimo saggio raccolto in Una pietra sopra (1980), con il sottotitolo di Appunti sulla narrativa

come processo combinatorio. Nel quadro teorico affrontato in questo saggio, la prospettiva di

un’ipotetica “macchina letteraria”, capace di «proporre nuovi modi d’intendere la scrittura, e a sconvolgere completamente i propri codici» (cfr. Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi, in Id., Una

pietra sopra, op. cit., p. 207), concerne l’ambito di ricerca sperimentale sull’intelligenza artificiale.

Calvino mostra che, fin dalla scoperta del linguaggio, l’uomo ha sempre composto le sue storie principalmente con “permutazioni di parole”, per esprimere con pochi simboli un numero tendenzialmente infinito di concetti; portando all’estremo questo ragionamento, viste le riflessioni del periodo sulla struttura delle opere letterarie e le contemporanee scoperte in ambito di intelligenza artificiale, Calvino si domanda se non sia concepibile una “macchina letteraria” atta a scrivere racconti al posto degli autori umani, sentendo «essa stessa il bisogno di produrre disordine – che è “tipicamente umano”, ci dice Calvino pocanzi – ma come reazione a una sua precedente produzione di ordine» (ibidem). Come si avrà modo di vedere in altre sezioni del presente lavoro, l’ipotesi della

macchina scrivente costituisce lo spunto teorico per una serrata interrogazione sui meccanismi di

innesco dell’inconscio umano e per cercare di chiarire se la creatività, l’immaginazione risulti, a questo proposito, un requisito indispensabile: l’indagine porterà Calvino a riconoscere nei «fantasmi nascosti dell’individuo e della società» le componenti determinanti del risultato poetico di una data opera, dal momento che il primato dei «significati inattesi» attribuibili ad un testo dipende primariamente dal lettore; una visione in linea, del resto, con i principi della cibernetica e con le teorie sulla comunicazione di autori quali Roman Jakobson, secondo cui l’emittente e il destinatario concorrono entrambi ad assegnare significato al messaggio recepito.

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Fase rappresentata, come si è visto, dalla cosiddetta «trilogia della modernità», ovvero da La nuvola

di smog, La speculazione edilizia e La giornata d’uno scrutatore, che costituisce fra l’altro l’ultimo

libro non modulare di Calvino; tutti romanzi in cui alla varietà di sviluppo della fabula si sostituisce il monologismo di un personaggio posto di fronte a eventi e figure da interpretare per trovare un senso o almeno un principio di orientamento nell’«hic et nunc» della realtà sociale (dunque nella Storia): questo vale soprattutto nello Scrutatore, dove risulta evidente quanto l’esigenza di analizzare sistematicamente i fenomeni, seppure nell’ambito di microcosmi attentamente delimitati, indebolisca la concatenazione dell’intreccio e introduca istanze saggistiche, senza tuttavia che la coerenza narrativa del testo venga meno. Importante rilevare come La giornata d’uno scrutatore segni definitivamente il superamento della fase letteraria dell’umanesimo storicistico, avvertito oramai da Calvino come insufficiente a spiegare cosa sia l’uomo e che cosa rappresenti nell’insieme di tutte le cose: la rimessa in discussione della nozione stessa di individualità umana sposterà definitivamente il baricentro del progetto letterario calviniano che, dal confronto dell’uomo con la Storia, si rivolgerà alla questione dell’inserimento dell’uomo nella Natura, o meglio alle possibili integrazioni fra l’umano e il non-umano, secondo prospettive assolutamente antiantropocentriche, approdando così a quella poetica della discontinuità, che si manifesta già esemplarmente nelle storie di Qfwfq e che, non a caso, è teorizzata nel capitale teorico di Cibernetica e fantasmi, in cui si legge: «Il processo in atto oggi è quello d’una rivincita della discontinuità, divisibilità, combinatori età, su tutto ciò che è corso continuo, gamma di sfumature che si tingono una sull’altra. Il secolo decimo nono, da Hegel a Darwin, aveva visto il trionfo della continuità storica e della continuità biologica che superava tutte le rotture delle antitesi dialettiche e delle mutazioni genetiche. Oggi questa prospettiva è radicalmente cambiata: nella storia non seguiamo più il corso d’uno spirito immanente nei fatti del mondo, ma le curve dei diagrammi statistici, la ricerca storica si va sempre più matematizzando», cfr. Italo Calvino,

complessità del reale costruendone una mappatura12 che cerchi di reintegrare la continuità del “mondo non scritto” nelle discontinuità del linguaggio scritto13. Esigenza, questa, determinata da una stringente ed inestinguibile passio cognitiva per la configurazione dell’umano entro una dimensione non più meramente storicistica, bensì “universale”, “naturale”14; e, al contempo, necessità dettata da una prospettiva di ricerca che ricusa decisamente il vecchio ideale antropocentrico della sopra-naturalità dell’uomo. È dunque un interesse per l’umano in sé, come espressione biologica e in rapporto alle ere geologiche, nell’ambito dell’evoluzione, in rapporto alla storia dell’universo e al suo divenire: è un anelito conoscitivo rivolto alle peculiari congiunture secondo cui l’uomo viene ad incastonarsi nel mosaico dell’universo. Questo non significa ‘uscire dalla Storia’, al contrario dilatare il corso della vicenda umana per estenderla alle storia e ai risultati della conoscenza in campi di ricerca molteplici (quali la scienza, la tecnica e la filosofia), secondo il più ampio dominio d’indagine del “sistema mondo”, con lo scopo di provare a renderla più articolata, complessa e dunque, in ultima istanza, più completa, più autentica.

Nel fondamentale saggio del 1967 Cibernetica e fantasmi15, Calvino riflette sulla possibile