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Ouverture: modellizzazione e oggettivazione nel discorso letterario

Dagli sviluppi della poetica calviniana e dalle evoluzioni del suo stile di pensiero1 declinato secondo i modi e i “giochi” della fabulazione, emerge chiaramente la crescente centralità di una questione di fondo: l’attestazione di una pari “dignità cognitiva”, dunque epistemologica, tra scienze umane e scienze esatte2, nell’ottica di una visione plurima ed integrata fra i diversi saperi. Nel pensiero calviniano questa problematica assume le proporzioni di quello che, filosoficamente parlando, si può definire come un ‘argomento’3, qui relativo alla possibilità di delineare una particolare forma4 di letteratura che sia discorso sui significati potenziali del rapporto uomo-mondo, capace dunque di fornire occasioni maieutiche per ri-descrizioni cogenti della relazione soggetto-realtà; una letteratura che voglia superare la schisi di derivazione moderna fra natura e cultura, per proiettare le

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Per l’accezione del’espressione ‘stile di pensiero’, si vedano nella Premessa e nell’Introduzione del presente lavoro i passaggi dedicati al pensiero dello storico della scienza Alistair C. Crombie, posti in relazione alla meta-concettualizzazione di ‘stile di ragionamento’ sviluppata invece dal filosofo della scienza Ian Hacking.

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A questo proposito, si segnala la rilevante questione delle “due culture”, che ha caratterizzato il dibattito culturale degli anni Sessanta anche in Italia, a partire dalla pubblicazione del famoso e notevole saggio di Charles Percy Snow: nel maggio 1959, il chimico e romanziere inglese, tenne una conferenza all’Università di Cambridge su “Le due culture e la rivoluzione scientifica” che fu successivamente pubblicata in volume nel 1963 col titolo The Two Cultures and a Second Look. An

Expanded Version of The Two Cultures and the Scientific Revolution (Cambridge University Press,

London 1963); quella separazione radicale denunciate da Snow fra cultura scientifica e umanistica ha posto esplicitamente il problema del rapporto fra gli strumenti conoscitivi forniti dalla tecnoscienza e la loro inserzione nel quadro epistemologico, ideologico ed estetico delle scienze umane, a partire proprio dalla letteratura. Cfr. Charles Percy Snow, Le due culture, op. cit.

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In filosofia, si intende per ‘argomento’ quel genere di discorso mediante cui si cerca di pervenire ad un qualche fondamento (generalmente di ordine logico o fenomenologico) per una certa asserzione che richiede di essere giustificata; il fondamento così fornito costituisce l’insieme delle ragioni per le quali quella determinata asserzione o posizione risulterà effettivamente comprovata. Alcuni argomenti filosofici, formulati da pensatori delle epoche più disparate, sono divenuti talmente celebri e sono stati analizzati e discussi tanto a lungo e così ampiamente da essersi guadagnati una denominazione propria; si ricordano, in proposito, l’argomento del terzo uomo aristotelico, l’argomento ontologico (discendente dalla prima formulazione di Sant’Anselmo d’Aosta), l’argomento cosmologico della teologia naturale classica, l’argomento del cogito ergo sum cartesiano, e l’argomento dello spettro

nella macchina (the gost in the machine) di Gilbert Ryle, l’argomento del buco (Lochbetrachtung) di

Einstein e l’argomento del cervello in una vasca (brain in a vat o brain in a jar) di Hilary Putnam, ripreso da un racconto di Daniel Dennet.

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Si rimanda al par. 2.5 per una delucidazione sull’idea di ‘forma’ e sul concetto di ‘in-formazione’ come strutturazione del rapporto fra linguaggio umano ed esperienza del mondo, componenti essenziali del poliedrico interesse calviniano per l’integrazione dei differenti saperi in una letteratura a forte valore conoscitivo e per-formativo.

possibilità della conoscenza umane in una direzione più allargata, secondo uno sguardo “cosmico”. Il criterio riscontrabile in questa sorta di “metodologia della ricerca semiotico- letteraria”, tesa a ripensare la questione della forma narrativa quanto quella degli oggetti del fare letterario, segue spesso la prospettiva filosofica dell’oggettivazione: infatti, la progettualità poietica degli sperimentalismi narrativi del ‘secondo Calvino’ non procede contrapponendo fra loro metodi o oggetti d’indagine, bensì guarda ai contributi afferenti dai diversi saperi come ad altrettante forme di “produzione dell’oggettivo”, ovvero dell’opera come testo, quindi come oggetto di studio semiotico5 e di presentazione letteraria6.

Il ragionamento che segue si propone di spiegare il significato dei processi filosofici della modellizzazione e dell’oggettivazione nel fare letterario di Calvino, volto a presentare (darstellen) il reale entro narrazioni che coinvolgono tutti quei linguaggi dell’umano capaci di “fare mondo”, di costruire “versioni del mondo” (in senso goodmaniano) inedite e performative del rapporto soggetto - realtà. Si potrebbe aggiungere che questa esigenza della resa letteraria complessa e trasformativa del reale è sempre percepita dallo scrittore ligure come una vera “emergenza semiotica ed epistemologica” nei confronti di una scrittura che vuole farsi “libro del mondo”, in prospettiva rigorosamente anti-antropocentrica, finanche post-umanistica.

Va detto, innanzitutto, che in filosofia la prospettiva dell’oggettivazione presuppone la sospensione di due presupposti, che sono veri e propri pregiudizi epistemologici: il presupposto di un punto di vista gnoseologico autonomo, che stabilisca paradigmi di

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Bene puntualizzare che, sebbene il concetto teorico portante della semiotica sia certamente quello di segno e della relativa relazione segnica o semiosi, dal momento che la semiotica studia ogni fenomeno di significazione e di comunicazione, si è trovata ad affrontare un oggetto di analisi in realtà più complesso del semplice oggetto teorico “segno”, vale a dire il testo. Secondo l’accezione della pragmatica linguistica il concetto di ‘tetso’ (dal latino textum, “tessuto”, quindi metaforicamente “trama del discorso”) può essere limitato a identificare una serie di enunciati scritti autonomi e autosufficienti, ma in ambito semiotico la nozione di testo viene ampliata per identificare qualsiasi oggetto costituente semiosi, dotato di una particolare struttura e mirato a ottenere una particolare serie di scopi comunicativi: secondo questa accezione semiotica, inoltre, il testo non è più solo scritto, ma può essere costituito da diverse sostanze dell’espressione o forme mediali, spaziando dunque dal testo visivo come opera letteraria, a un dipinto, così come qualsiasi prodotto audiovisivo in arte cinematografica. Si intenda allora per ‘oggetto’ che il processo di oggettivazione dello stile di

pensiero calviniano costantemente ricerca, come quel prodotto letterario che si configura in ultima

istanza come ‘testo’, come cosa narrata attraverso una trama intessuta variamente di filosofia, scienza e poesia per rendere una preciso contenuto comunicativo di natura epistemologica ed ermeneutica circa la relazione dell’uomo col mondo.

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Quella in atto, in ogni opera calviniana, è la manifestazione concreta e coerente (come ‘concreta’ è la scrittura che la esprime, nell’accezione della ‘consistency’, di cui si parlerà nel par. 2.6) di una riflessione teorica rigorosa della letteratura su se stessa e sulla funzione conoscitiva che è in grado di realizzare, secondo un orientamento sempre più complesso, in quanto integrato dai molteplici domini di applicazione del pensiero umano. L’espressione letteraria di una simile processualità teorica e argomentativa è ben rappresentata dalla congiunzione dei due aspetti emblematici e apparentemente antitetici della scrittura calviniana, cristallo e dalla fiamma.

scientificità e di oggettività assolutizzanti, strettamente predittivi, da una parte; e il presupposto della naturalità degli oggetti dei saperi, dall’altra. Nella visione che si vuole proporre, invece, l’oggettività non è da ricondurre a decreti esterni, bensì alle procedure interne ai saperi; e gli oggetti non sono esistenze date, ma costrutti relativi ai modi del sapere7 e agli usi dei linguaggi umani.

Si tratta dunque di considerare l’esperienza non come un percorso lineare verso l’oggetto, piuttosto come insieme contestuale e processuale di procedure di significazione potenziale8: come “oggettivazione”, appunto, come configurazione dei dati stagliati in orizzonti di senso (“oggetti”) che li rendono immaginabili, pensabili. In conoscenza non si pongono astrattamente e formalmente questioni generali di metodo, né concretamente e direttamente questioni di oggetti; semmai si pone la questione delle pratiche specifiche e contestuali di produzione dell’oggettivo, il che comporta una riformulazione del rapporto forma - contenuto9.

Si consideri dunque la differenza tra una forma generale ricavata per astrazione dall’esperienza, come è pensata nella tradizione empiristica, e una forma che rende possibile l’esperienza, a cui fa riferimento la prospettiva dell’oggettivazione qui presa in considerazione. La forma costitutiva di esperienza è una varietà di livelli poietici, che comprendono procedure come modellizzazione immaginativa, formalizzazione, argomentazione, diversamente realizzate e diversamente integrate tra loro nei vari saperi10. In dimensione poietica – dunque attinente anche all’ambito del discorso letterario –, l’essere è legato a una possibilità di forma: l’ordine oggettuale (l’articolazione in oggetti) non è trovato nella natura, ma è proiettato nella natura. In questo senso alla prospettiva dell’oggetto

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È questa una prospettiva che sviluppa in una direzione determinata, fondamentalmente anti- metodologista e anti-idealista, il tema epistemologico kantiano dell’analisi dei criteri interni del

conoscere: si tratta sì di considerare la conoscenza dall’interno, iuxta propria principia, ma ciò non

significa cercare in un metodo la chiave dell’oggetto, come se fossero due entità metafisicamente separate. Ciò vuol dire che un’analisi della conoscenza “dall’interno” significa, secondo l’accezione kantiana di ‘trascendentale’, analisi «del nostro modo di conoscenza degli oggetti» (cfr. Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Bari 1965, p. 58), alla ricerca non dell’oggetto in sé, ma dell’“oggetto per noi”.

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Bene sottolineare che questa concezione dell’esperienza è assolutamente analoga a quella offerta dal testo letterario in quanto dispositivo semiotico potenzialmente illimitato.

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In funzione di un ragionamento esplorativo circa la costante tensione fra esperienza e linguaggio nella scrittura calviniana, è utile rivolgersi ora alle modalità di formazione del testo che, come ‘oggetto’ semiotico, costituisce una possibilità di significazione strettamente connessa alla forma secondo cui è stato modellizzato per presentare il reale, secondo un determinato stile di pensiero sul mondo.

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Si ricordi che Kant pensava più modi della forma come struttura a priori della conoscenza: le forme a priori spazio e tempo, che mediano l’intuizione; la forma figurale o schematismo, che rende oggettive le categorie, permettendone l’applicazione all’esperienza; la forma categoriale, che trasforma i fenomeni in oggetti della conoscenza, unificandoli secondo le leggi.

dato come rappresentazione11, si contrappone la prospettiva poietica dell’oggetto “presentato” attraverso una forma: un oggetto non sostanziale e assoluto, ma relativo a una possibilità formale. E il ‘testo’ letterario può essere considerato di diritto un oggetto simile, dal momento che in esso, la conoscenza, con i suoi modelli astratti, formali, funzionali, proietta mondi, configura mondi di oggetti; e il mondo non è un mitico out there12, ma è la varietà delle sue “versioni”13, delle configurazioni di oggetti proiettate dal lavoro formale dei modelli. Come afferma Nelson Goodman, non è la correttezza della versione del mondo che dipende dal mondo, ma è il mondo che dipende dalla correttezza, cioè da ciò che è selezionato nel sistema di riferimento14. In altre parole, se in prospettiva rappresentativa la correttezza di una rappresentazione in quanto versione del mondo dipende dal mondo come dato, in prospettiva poietica il mondo dipende dalla regola di costruzione, cioè dalla forma, dal modo della versione, che diventa così agente di oggettivazione. Gli oggetti sono allora costruiti con il mondo, sono relativi a una varietà di configurazioni: sono oggetti possibili, oggetti senza qualità date. Ogni trasformazione del linguaggio e della sperimentabilità, della tensione tra simbolismo concettuale e referenza, è una rifabbricazione del mondo, che viene ridescritto nei suoi “generi rilevanti” (relevant kinds)15. Dal punto di vista poietico, quindi, non ci sono classi date con criteri essenziali di appartenenza, ma classi relative a un sistema di riferimento e ad un mondo possibile costruito: gli oggetti non sono sostanze indipendenti dall’elaborazione formale.

La conoscenza veicolabile dal discorso letterario, come dispositivo poietico di trasformazione del mondo, rimanda allora alla lunga riflessione teorica sulla questione della

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Tipica di ogni empirismo, che generalizza le impressioni sensibili in rappresentazioni concettuali che riproducono i nessi tra gli oggetti dl mondo.

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Per usare un’espressione cara a Richard Rorty contro le teorie rappresentazionaliste della verità; cfr. Richard Rorty, La filosofia e lo specchio della natura (1979), Bompiani, Milano 2004.

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Cfr. Nelson Goodman, Vedere e costruire il mondo, op. cit. 14

Cfr. ivi, p. 4. 15

I “generi rilevanti”, vale a dire le configurazioni oggettuali concettualmente pertinenti in un sistema di descrizione, sono contrapposti da Goodman ai “generi naturali” (natural kinds), articolazione fissa e data del mondo, di cui parla la tradizione epistemologica a partire da Locke. Questa tradizione presuppone una pertinenza naturale di generi come “acqua” e “oro”, cioè un’articolazione essenziale del mondo, a cui devono in ultima analisi corrispondere le rappresentazioni scientifiche (classificazioni e concettualizzazioni). Il tema dei “generi naturali” è ripreso nella teoria cusale del riferimento di Saul Kripke (Nome e necessità, Bollati Boringhieri, Torino 1982) e Hilary Putnam (Il

significato di “significato”, in Mente, linguaggio e realtà, Adelphi, Milano 1987), che spiega il

riferimento con un atto di ostensione, o ‘battesimo’, che associa un termine con un esemplare del referente. Il rapporto di designazione rigida che c’è tra un nome proprio e l’entità designata (i nomi propri designano lo stesso individuo in tutti i mondi possibili), c’è anche tra i nomi di generi naturali, come “acqua”, ed esemplari del referente (in ogni mondo possibile in cui c’è dell’acqua, questa avrà la microstruttura H2O, sua proprietà essenziale). In questo modo, si conserva il referente, al di là dei mutamenti concettuali e teorici nel nostro modo di descriverlo; ma ciò significa anche che i concetti sono spiegati con la costanza ed essenzialità degli oggetti, e che al “genere naturale” è attribuita una priorità categoriale.

conoscibilità del dato come ‘presentato’ piuttosto che ‘rappresentato’, riprendendo un’opposizione lessicale e concettuale utilizzata da Kant e da Wittgenstein. Nella prospettiva dell’oggettivazione qui presa in esame, il conoscere è concepito non come ‘rappresentare’ (vorstellen), creare una riproduzione mentale del dato, ma come ‘presentare’ (darstellen), far vedere attraverso la forma; in altre parole: si pensa al conoscere come un Bauen (costruire) attraverso la supplenza formale del Bilden (figurare, configurare). Il che significa considerare il prodotto del fare formale non come un oggetto dato e assegnato a una classe di appartenenza, ma come un oggetto che si mostra nella sua possibilità costitutiva, nel suo essere in-formata16.

La ‘messa in forma’ dell’oggetto è dunque una messa in scena analogica e differenziale, che fa apparire una rete di rapporti, un contesto, una fisionomia, una Gestalt17. La forma e il concetto appartengono al registro dell’invenzione del possibile 18, per cui ‘comprendere’ è dare alla cosa una possibilità formale, inscrivendola in un “come”19. Ora, dal punto di vista del processo inferenziale, il movimento di sintesi formale del “vedere come” è descrivibile come un’inferenza immaginativa e indiretta, o abduzione20: fenomeni informi divengono comprensibili a partire da un’icona, da un “come se”, da un’ipotesi di configurazione. Questo tipo di inferenza descrive bene il pensiero non associativo e generalizzante, ma configurante, che agisce nei contesti argomentativi e poietici, come ad esempio il discorso letterario che procede per narrazioni immaginifiche o mitopoietiche formalizzate poi dalla

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Vorstellung designa un’attività cognitiva: idea, rappresentazione, concetto, riproduzione mentale dei dati dei sensi; Darstellung designa invece un’attività esibitiva: descrizione, presentazione intuitiva che mette davanti agli occhi, anche in forma grafica. Come osserva Max Black (cfr. Max Black, Manuale

per il “Tractatus” di Wittgenstein, Ubaldini, Roma 1964, p. 80), il significato del verbo darstellen è

vicino a zeigen (mostrare), e corrisponde all’inglese to present, più che a to represent. Il valore semantico esibitivo di darstellen è confermato dalla storia della parola, “composta sa stellen, porre, e da dar, derivante dalle antiche forme germaniche thara, dara, dare, che indicano il movimento verso qualcosa, evidenziando contestualmente il distacco da qualcosa d’altro” (Giuseppe Semerari,

Sperimentazioni, Schena, Bari 1992, p. 109).

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Secondo un’idea non formalista di forma, concepita come organizzazione e configurazione, non come legge e classe: «Il significato: una fisionomia», cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, op. cit., I, § 568.

18

Come scrive Wittgenstein: «La nostra ricerca non si rivolge però ai fenomeni, ma […] alle ‘possibilità’ dei fenomeni»; cfr. ivi, I, § 90.

19

Ancora Wittgenstein: «Gli oggetti […] posso solo dirne, non dirli»; cfr. Ludwig Wittgenstein,

Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 1989, § 3.221. Non si possono ‘dire’ gli oggetti come

esistenze date, ma posso solo essere configurati in una pertinenza, cioè in un orizzonte di senso e in una temporalità determinata. È questa la prospettiva di un’ontologia poietica e non empirista.

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Di fatto, il movimento dell’abduzione non è il continuum inferenziale tra particolare e generale, che

si realizza, secondo direzioni inverse, sia nella deduzione che nell’induzione, ma è un’inferenza non continua, non “monotonica”, ritmata cioè su cambiamenti di tono. Il lavoro abduttivo procede sviluppando ipotesi di forma che attirano nella propria configurazione più elementi, e abbandonando altre ipotesi, secondo un farsi processuale della forma attraverso sintesi, deviazioni, ripensamenti, deformazioni illuminanti, che ricorda il processo della creazione artistica. Dunque, il processo abduttivo porta dalle premesse ad una conclusione ipotetica; e il passaggio dalle premessa alla conclusione è supportato da un rapporto iconico, figurativo.

langue e modellizzate secondo un determinato stile di pensiero sul mondo. Nei saperi umani, dunque anche in letteratura, la possibilità di una configurazione del reale si afferma quindi attraverso un processo di organizzazione formale e processuale che è costruzione globale, olistica, una ri-composizione del tutto, dell’esperienza del mondo, attraverso il potere modellizzante delle teorie. In questo quadro, risulta evidente che il potere di universalizzazione in dimensione poietica non è la riconduzione dei singoli oggetti a una legge universale, bensì il potere della forma che presenta un ordine possibile nell’emergere esemplare dell’oggetto: si intende allora la forma non come legge, ma come legame strutturale tra le parti costruite e mostrate nell’atto poietico.

A proposito del potere di universalizzazione inteso come potere di configurazione, Ricoeur impiega la nozione non formalista di forma come racconto, suggerendo in questo modo che il regime di presenza degli oggetti nelle scienze dell’uomo non è tanto il risultato di un procedimento logico-inferenziale, quanto piuttosto una costruzione interpretativa di tipo testuale-narrativo, in altre parole, di tipo compositivo. In Tempo e racconto , Ricoeur esplora la valenza epistemologica dei linguaggi interpretativi analizzando proprio la nozione di ‘racconto’. Si tratta di un modello interpretativo estremamente valido per la letteratura, dal momento che con la costruzione metaforica del discorso la poieticità, la produttività semantica, ovvero la capacità di configurare oggetti organizzandoli in una sintesi figurale21. Difatti, nella nozione di racconto è presente in primo luogo il tema del potere configurante della fiction: il mondo non si dà come un’ontologia di dati presupposti, ma è la riconfigurazione testuale del senso operata dal racconto che proietta un mondo di riferimento. Nella forma-racconto è presente inoltre il tema semiotico della testualizzazione cui è sottoposto il mondo degli uomini; da un punto di vista di semiotica della cultura, la processualità intellettuale è una matrice di testi che organizzano il mondo in sistemi modellizzanti22: il mondo degli uomini è incomprensibile senza un processo di testualizzazione (miti, letteratura, storia), senza la funzione schematizzante e modellizzante data dal “come se” di un racconto23.

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Cfr. Paul Ricoeur, Tempo e racconto (1983), Jaca Book, Milano 1986. 22

Cfr. J. M. Lotman - B. A. Uspenskji, Tipologia della cultura, Bompiani, Milano 1975. 23

Quello che viene a delinearsi, in definitiva, è un percorso che, attraverso una retorica della metafora e dell’inferenza abduttiva e una retorica della composizione testuale, permetta di comprendere il funzionamento del pensiero immaginativo (che tanta importanza ha nella poetica calviniana), che si inscrive nel dominio estetico della finzione. E il tema della finzione apre una prospettiva epistemologica specifica sul pensiero: mostra che il pensiero, in quanto esperienza del senso che si eccede e che tende ad altro, è una procedura indiretta e supplementare; rimanda inoltre alla questione della presentazione formale (figurale) di oggetti possibili (o versioni del mondo possibili), dunque apre alla possibilità di presentazione del reale, intesa come espressione di quegli orizzonti di senso inediti che si vengono a determinare quando un certo stile di pensiero sul mondo opera

Ed ecco che tutto il discorso si riconduce al concetto di modellizzazione24, dal momento che la costruzione di modelli di “lettura” del reale (in qualsiasi ambito del sapere essa avvenga) è un processo assimilabile al fare metaforico del racconto, in quanto modo di ridescrizione poietica del mondo25. In questa prospettiva, il ‘modello’ è quindi concepibile come ipotesi che riorganizza i fatti in una veduta; e le ‘teorie’ come Gestalten concettuali26, come modi concettuali di costruire fatti in insiemi coerenti. Da questo punto di vista epistemologico, le teorie sono indistinguibili dalla costruzione modellizzante dei fatti e poiché ogni modello scientifico comporta un orizzonte di visualizzazione e di oggettivazione specifico, non si dà