• Non ci sono risultati.

Dal ménage à trois fra letteratura, scienza e filosofia alla letteratura come filosofia

naturale

Nella primavera del 1967, in un’intervista intitolata Je ne suis pas satisfait de la littérature actuelle en Italie, Calvino dichiara:

Io non sono tra coloro che credono esista solo il linguaggio, o solo il pensiero umano. […] Io credo che esista una realtà e che ci sia un rapporto (seppure sempre parziale) tra la realtà e i segni con cui la rappresentiamo. La ragione della mia irrequietezza stilistica, […] deriva proprio da questo fatto. Io credo che il mondo esista indipendentemente dall’uomo; il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo, e l’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare

alcune informazioni su se stesso.

Quindi la letteratura è per me una serie di tentativi di conoscenza e di classificazione delle informazioni sul mondo, il tutto molto instabile e relativo, ma in qualche modo non inutile1.

Risulta evidente da questa riflessione quanto, sin dagli anni Sessanta (periodo di massima espressione del progetto cosmicomico), Calvino mirasse alla configurazione di una letteratura a connotazione anti-antropocentrica e anti-teleologica, capace dunque di riconsiderare la storia in rapporto a tutto ciò che è esistente indipendentemente dall’uomo; una letteratura che sappia riconoscere i propri limiti e che non si pretenda esaustiva (il suo rapporto con la realtà è definito «parziale», «instabile e relativo, ma non inutile»), che adotti nuovi linguaggi e nuovi metodi d’interpretazione e di trasformazione della realtà puntando

1

Italo Calvino, Je ne suis pas satisfait de la littérature actuelle en Italie, a cura di Madeleine Santschi, in «La Gazette littéraire de Lousanne», 127, 3-4 giugno 1967, p. 30; cit. in Id., Romanzi e racconti, vol. II, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Mondadori, Milano 1992, p. 1347; nonché in Federico Bertoni, Realismo e letteratura. Una storia possibile, Einaudi, Torino 2007, p.78. Corsivi nel testo miei. Interessante sottolineare che questa riflessione calviniana si colloca in piena “stagione cosmicomica”; difatti, i racconti di Ti con zero furono riuniti per la prima volta in volume (nella collana «Supercoralli» Einaudi) nell’ottobre 1967. Importante anche rilevare quanto questa posizione sia ricorsiva nella riflessione calviniana sulla Letteratura come dispositivo conoscitivo volto a comprendere e trasformare la relazione fra uomo e mondo; a tal proposito, si segnala ad esempio il pensiero conclusivo del paradigmatico saggio Dall’opaco (1971) riguardante il rapporto fra scrittura e realtà, “io scrivente” e mondo: «[…] l’io che serve solo perché il mondo riceva continuamente notizie dell’esistenza del mondo, un congegno di cui il mondo dispone per sapere se c’è»; Italo Calvino,

sul complesso, sul molteplice e sul possibile. È dunque la ricerca di un modello epistemologico aperto e integrato a guidare le scelte poetiche di Calvino a partire dalla “rivoluzione cosmicomica”, che rappresenta bene la necessità di ampliare la visuale dalla relazione individuo - Storia (maggiormente caratteristica del suo primo periodo poetico) a quella io - mondo, dunque soggetto - reale; difatti, come afferma Calvino nella medesima intervista: «Nelle Cosmicomiche non mi pongo il programma di rappresentare direttamente l’attualità, la società contemporanea, ma a me pare che il nostro tempo finisca per saltar fuori lo stesso, anche nel racconto più astratto e atemporale. Io credo comunque che sia necessario un certo distacco dalla realtà storica del nostro tempo, non perché senta. il bisogno d’evaderne, ma perché per vederlo veramente bisogna che ci mettiamo dal punto di vista di chi contempla una prospettiva di secoli»2.

Nel contesto della letteratura italiana del secondo Novecento, Calvino si presenta come l’autore che forse più dichiaratamente ha attribuito una funzione conoscitiva alla letteratura, configurandola come potenziale «mappa del mondo e dello scibile»3, e delineando contestualmente una genealogia o, se si vuole, una “tipologia” letteraria che raggruppa progetti ed esperienze di scrittura eterogenee, svincolate da poetiche, indirizzi o stili particolari; una ri-definizione del discorso letterario come possibilità di conoscenza e di in- formazione sul mondo4. Progetto, questo, per il quale diviene fondamentale assumere una prospettiva integrativa e cooperante fra i diversi saperi umani. Non a caso, alla stessa altezza cronologica dell’intervista sopracitata, si colloca il fondamentale saggio Filosofia e letteratura, in cui Calvino teorizza ed auspica per scienza, filosofia e letteratura un ménage à trois atto a stimolare costantemente il confronto fra le differenti discipline e le varie modalità conoscitive:

Quello che stavo descrivendo come un matrimonio a letti separati, va visto come un ménage à trois: filosofia, letteratura e scienza. La scienza si trova di fronte a problemi non dissimili da quelli della letteratura; costruisce modelli del mondo continuamente messi in crisi, alterna metodo induttivo e deduttivo, e deve sempre stare attenta a non scambiare per leggi obiettive le proprie convenzioni linguistiche. Una cultura all’altezza della situazione ci sarà soltanto quando la

2

Cfr. Italo Calvino, Je ne suis pas satisfait de la littérature actuelle en Italie, a cura di Madeleine Santschi, op. cit., p. 30.

3

Cfr. Italo Calvino, Due interviste su scienza e letteratura (1968), in Id., Una pietra sopra, op. cit., p. 227.

4

Si rimanda al par. 2.6 del Capitolo 2 per una delucidazione sui concetti di forma e sull’atto di in-

problematica della scienza, quella della filosofia e quella della letteratura si metteranno continuamente in crisi a vicenda5.

Il ricorrere a un triplice rapporto così configurato (il mettersi «continuamente in crisi a vicenda») è volto ad evitare i rischi e gli errori che possono insorgere all’interno di riflessioni unilateralmente binarie, del genere “filosofia - letteratura” o “letteratura - scienza”6. Non si tratta infatti di travasare acriticamente il sapere scientifico o filosofico nella letteratura, quanto di fare scontrare modelli dell’esistente, paradigmi del reale e metodologie di racconto del mondo che presentano strutture e disposizioni sia divergenti che adiacenti nella raccolta dei dati dell’esperienza, così come nella loro ordinazione e ricomposizione per l’edificazione di scenari di senso inediti; consapevoli, pertanto, che un metodo conoscitivo univoco, ovvero una prospettiva gnoseologica esclusiva, destinerebbe la ricerca letteraria, così come quella filosofica o scientifica, ad esiti sterili e fallimentari.

Dal punto di vista epistemologico è importante inoltre rilevare come la condizione ineludibile delle intuizioni, delle metafore, delle immagini, dei temi (o themata)7, nonché dei procedimenti metodologici di ricerca e scoperta nella scienza, nella filosofia o nella letteratura, acquistino maggior rilevanza e una sorta di “validazione” epistemica, proprio in quanto queste intuizioni, metafore, immagini, procedimenti, strutture si presentano

5

Italo Calvino, Filosofia e letteratura (1967), in Id., Una pietra sopra, op cit., p. 187. Il saggio viene pubblicato per la prima volta sulla rivista «The Times Literary Supplement», il 28 settembre 1967 (in traduzione inglese) in occasione di un numero speciale intitolato Crosscurrents, dedicato ai legami della letteratura con altre discipline. La versione originale del saggio in italiano compare poco tempo dopo nella «Fiera Letteraria» n. 43 del 26 ottobre 1967 col titolo Tra idee e fantasmi, preceduta da alcune righe di presentazione in cui lo stesso Calvino scriveva (secondo la sua nota attitudine ad essere “editore di se medesimo”): «A Calvino era stato richiesto di scrivere su letteratura e filosofia, ma lo scrittore ha aggirato il tema facendo del suo articolo una specie di poetica e di mappa delle sue predilezioni fantastiche»; parole significative, che alludono chiaramente al tema centrale della conferenza Cibernetica e fantasmi che Calvino avrebbe tenuto di lì a poco (dal 24 al 30 novembre 1967) in diverse città italiane e da cui sarebbe stato tratto il cardinale saggio omonimo con sottotitoli che spaziano da Il racconto come operazione logica e come mito al più stringente Appunti sulla

narrativa come processo combinatorio.

6

Ad esempio, nel caso di “letteratura – scienza”, il rischio di adeguarsi ad una logica comunicativa a senso unico (dalla scienza verso la letteratura), che non può che produrre risultati parziali o comunque prevedibili e poco stimolanti, sia dal punto di vista critico, sia da quello letterario.

7

Il termine è usato nell’accezione che gli attribuisce Gerald Holton, storico della fisica e del pensiero scientifico statunitense che si è occupato anche di indagare i rapporti fra scienza ed arte. Nell’ambito della comunicazione, le interrelazioni fra i due saperi si dispiegano almeno lungo due filoni principali: quello della retorica, con un mutuo scambio di registri comunicativi, e quello dei concetti, con il reciproco travaso di temi, metafore e analogie. L’osmosi di idee e di strumenti epistemologici che passano, incessantemente, dall’una all’altra disciplina ordiscono la matrice culturale in cui si muovono gli uomini di una determinata comunità. Holton ha chiamato ‘themata’ gli oggetti principali, i comuni concetti fondanti di questo processo di reciproca influenza e ha sostenuto che questo scambio di idee contribuisca a quei complessi e radicali ri-orientamenti metaforici che nella scienza, come nell’arte – e più in generale, nella cultura – costituiscono un cambio di paradigma. Per cui, l’arte (dunque, la letteratura) contribuisce potentemente a rimodellare continuamente l’immaginario scientifico umano, così come la scienza rimodella con altrettanta incessante continuità l’immaginario artistico. Cfr. Gerald Holton, L’immaginazione scientifica. I temi del pensiero scientifico, Einaudi, Torino 1983.

trasversalmente rispetto alle varie discipline conoscitive, come ‘morfismi’ del conoscere. Parlare di “caos”, di “mappa” o di “catalogo” dei dati dell’esistente, piuttosto che cercare di delineare “reti mentali”, “simmetrie” o “invarianze” dei modelli della realtà, non significa tanto usare questi termini come sviluppo di una serie di immagini metaforiche attinte dalla scienza e riutilizzate in un contesto letterario, piuttosto come strutture e forme del senso che raccontano il reale nel suo intrinseco articolarsi, nelle sue corrispondenze possibili e potenzialmente infinite nelle versioni, e che riecheggiano nella struttura e nelle modalità della composizione narrativa, come nel fare eidetico della scienza.

Si tratta inoltre di far emergere non solo la poetica, ma anche l’epistemologia implicita che ogni scrittura possiede8, cercando di portare in piena evidenza quel «legame tra le scelte formali della composizione letteraria e il bisogno di un modello cosmologico (ossia d’un quadro mitologico generale)»9 che Calvino considerava essenziale in uno scrittore che sia guidato da una vocazione progettuale e conoscitiva forte nella sua impresa di scrittura. Ecco dunque che, da un punto di vista ermeneutico, la scienza e la filosofia devono essere considerate centrali nell’opera di Calvino: l’assidua frequentazione che lo scrittore ligure ha condotto, nell’arco di tutta la vita, con saperi diversi dalla letteratura è attestata dalla natura ibrida delle sue stesse opere (con evidenza particolare dalla “svolta anni Sessanta” in poi), spesso a metà fra conte philosophique, phantastique, apologo e racconto autobiografico, nonché dai numerosi contributi teorici espressi in saggi, articoli, conferenze e nelle densissime Lezioni americane10.

8

Si segnala in proposito la posizione del filosofo francese, amico di Calvino, Michel Serres, per il quale la scienza «ha già in sé la propria endo-epistemologia»; Cfr. Michel Serres, Chiarimenti. Cinque

conversazioni con Bruno Latour, Manduria, Barbieri 2002, p. 135.

9

Cfr. Italo Calvino, Esattezza, in Lezioni americane (1988, post.), op. cit., p. 70. Corsivo nel testo mio. Da un lato le «scelte formali della composizione letteraria» e dall’altro un «modello cosmologico (ossia un quadro mitologico generale)»: una simile prospettiva ha sullo sfondo l’opposizione ordine - disordine, discreto - continuo, cristallo - fiamma, tutti polarismi che ben definiscono la visione calviniana della letteratura come «occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso» attraverso il connubio di razionalità e fantasia in un accordo che non cerca la sintesi degli opposti, quanto piuttosto la circostanza in cui possa darsi l’opportunità di una loro giustapposizione in una «porzione di senso», seppur «non definitivo», da cui acquisire un punto di vista privilegiato per un’inedita versione del mondo. La letteratura e, si vedrà, in particolar modo quella a vocazione cosmica, è per Calvino un modo di trasformare l’immagine della realtà, quindi la relazione dell’uomo col mondo, attraverso modellizzazioni epistemologiche ed ermeneutiche del discorso narrativo secondo uno stile di pensiero anti-antropocentrico e anti-riduzionista.

10

Pertanto, l’interesse calviniano per scienza e filosofia non può essere considerato come un esercizio occasionale del pensiero o analizzato secondo una prospettiva meramente tematica. A questo proposito si pone una precisa divaricazione critica e metodologica rispetto ai modi in cui si può raccontare o integrare la scienza (come la filosofia) nel tessuto del racconto letterario: la scienza usata come semplice motivo tematico diventa inevitabilmente schermo oppositivo, feticcio polemico o antagonista ideologico attraverso cui pensare le crisi della modernità, le incongruenze e le contraddizioni del progresso materiale, così come ogni messa in discussione dell’umanesimo (si pensi alle opere di Paolo Volponi o di Dino Buzzati); la scienza come quadro di riferimento epistemologico generale diventa una spiegazione possibile del mondo, un quadro mitografico coerente che ha

Dall’idea del ménage à trois fra filosofia, scienza e letteratura, dunque dalla concezione del discorso letterario come dominio di integrazione di saperi differenti discende, come proseguo logico, la dichiarata propensione calviniana per una letteratura a vocazione “cosmica”; difatti, a pochi mesi di distanza dalle posizioni espresse nel saggio Filosofia e letteratura Calvino ha occasione di dichiarare:

[…] nella direzione in cui lavoro adesso, trovo maggior nutrimento in Galileo, come precisione di linguaggio, come immaginazione scientifico-poetica, come

costruzione di congetture. […] allo stesso modo anche Dante, in un diverso

orizzonte culturale, faceva opera enciclopedica e cosmologica, anche Dante cercava attraverso la parola letteraria di costruire un’immagine dell’universo. Questa è una vocazione profonda della letteratura italiana che passa da Dante a Galileo: l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere

mosso da una spinta che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria. […] in certi momenti ho la sensazione che la via che sto seguendo mi

riporti nel vero alveo dimenticato della tradizione italiana11.

Ecco comparire la formula di «letteratura come filosofia naturale», con la quale Calvino fornisce ad un tempo una genealogia letteraria, un’ipotesi critica e una prospettiva filosofico- epistemologica. È questa un’espressione che, come scrive Mario Porro, «sembra indicare al meglio la centralità nella poetica calviniana della dimensione gnoseologica della letteratura, la volontà di affidare alla scrittura il compito di organizzare l’insieme disperso dei dati del mondo, storico e naturale»12, in una trama unica capace di connettere e coniugare i contributi provenienti da saperi diversi.

L’idea della letteratura come filosofia naturale presenta inoltre alcuni interessanti corollari filosofici e storico-critici. Innanzitutto, il rimando al mondo naturale, alla sua investigazione e alla comprensione dei suoi meccanismi interni, ma anche ad una volontà di controllo. Dal momento in cui la modernità ha operato una netta separazione filosofica fra ‘Natura’ e ‘Cultura’, ha determinato l’imporsi di una prospettiva scorporata del mondo anche in ambito

ripercussioni di poetica, di estetica e di etica, e che fa riconsiderare in termini più ampi ciò che è definibile come ‘letteratura’.

11

Italo Calvino, «L’Approdo letterario», n. 41, gennaio-marzo 1968; rielaborazione di risposte a interviste televisive. Ora in Italo Calvino, Due interviste su scienze e letteratura (1968), in Id., Una

pietra sopra, op. cit., pp. 226-227. Corsivi nel testo miei.

La formula si trova anche in una lettera di Calvino a Giuseppe Bonaviri del 29 aprile 1969: «Sono veramente contento di questo risultato, per te e per la letteratura italiana che ritrova quella che era la sua vocazione specifica nei suoi primi secoli: letteratura come ‘filosofia naturale’»; cfr. Italo Calvino,

I libri degli altri (1991, post.), «Supercoralli» Einaudi, Torino 1991, p. 579.

12

Cfr. Mario Porro, Letteratura come filosofia naturale, in «Riga», 9 (1995), p. 254. Si segnala anche lo studio in volume che Porro ha poi sviluppato a partire dal saggio su rivista, cfr. Mario Porro,

estetico ed artistico, per cui ha portato a considerare come centrali, nel fatto letterario, l’universo individuale o il contesto sociale di cui la voce autoriale è momento espressivo, derubricando come letteratura “minore” qualsiasi rappresentazione dove il mondo naturale fosse al centro del proprio interesse. Ecco che Calvino, già nel 1958, col saggio Natura e storia del romanzo, si impegna a correggere questa «limitazione di giudizio critico molto diffusa oggi», per la quale «si usa comunemente pensare che il rapporto uomo-natura continui ad essere il tema di una produzione minore, la narrativa d’avventura»; per lo scrittore ligure, invece, il termine ‘natura’ è marxianamente integrato al termine ‘storia’ ed «è sempre presente in ogni grande narratore»13. La disposizione del “filosofo naturale” non è mai lirico-contemplativa, la natura non viene considerata come separata dall’uomo, né l’uomo viene visto tanto o solo come soggettività, ma anche e soprattutto come natura: l’indagine del mondo naturale e del mondo umano rimangono sullo stesso asse di sviluppo. Interessante osservare che è sempre una atteggiamento di indagine verso l’esterno, un gioco ab exteriore, quello che configura un approccio narrativo al mondo analogo alla vocazione filosofico-naturale di rinascimentale memoria: alla rappresentazione dell’uomo vengano riservati gli strumenti e i metodi mutuati dalle scienze esatte (osservazioni esterne, oggettuali, sintesi esplicative, metodo congetturale o descrittivo), evitando ogni tentazione di rispecchiamento intimistico, mettendo tra parentesi l’io ‘narciso’ dell’autore, e trattandolo sostanzialmente come strumento di osservazione implicato14.

Dal punto di vista metodologico poi, una letteratura così intesa può diventare una vera e propria filosofia della natura in quanto, pur non volendosi presentare come una variante della scienza, si pone comunque come una riflessione complementare, capace di modellizzare uno stile di pensiero a vocazione cosmologica nei modi di una narrazione a forte valenza epistemologica ed ermeneutica, come si avrà modo di vedere nel secondo

13

Cfr. Italo Calvino, Natura e storia del romanzo (1958), in Id., Una pietra sopra, op. cit., pp. 23-46. Il saggio è il risultato di una conferenza con letture di pagine di romanzi famosi, tenuta per la prima volta a San Remo il 24 marzo del 1958. Lo stesso Calvino ne parla come di un saggio che anticipa, nella su parte finale, molti dei temi del fondamentale Il mare dell’oggettività (scritto nell’ottobre del 1959 e poi pubblicato nel 1960), aprendo dunque quella fase di ricapitolazione dell’orizzonte letterario della formazione calviniana, fortemente ancorata alla tradizione ottocentesca e, al contempo, aprendo al «cambio di rotta» degli anni Sessanta.

14

Molte sono le attinenze con gli sviluppi del pensiero teorico calviniano nella direzione della post- moderna concezione della “morte dell’autore”, così come dell’io scrivente per spingersi fino all’inarrivabile ideale di «un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica... Non era forse questo il punto d’arrivo cui tendeva Ovidio nel raccontare la continuità delle forme, il punto d’arrivo cui tendeva Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose?»; cfr. Italo Calvino, Molteplicità, in Id., Lezioni americane, op. cit., p. 122. Così scrive Calvino tra il 1984 e il 1985, in preparazione di quelle Norton Lectures cui era stato invitato per parlare dei valori letterari da salvaguardare per il nuovo millennio, a dimostrazione di quanto si fosse radicata in lui l’esigenza di una visione cosmica, complessa ed integrata della relazione uomo-mondo, secondo un’aspirazione da vero filosofo naturale.

capitolo del presente lavoro. Intanto è possibile affermare che quello letterario è un linguaggio capace di allestire micro-scenari osservativi e, quasi fossero “verifiche sperimentali”, inventa dei gedankenexperimente15, immagina dunque esperimenti concettuali lavorando induttivamente e deduttivamente, mettendo alla prova circostanze, situazioni, limiti etici, conoscitivi e pragmatici dell’umano, facendosi a tutti gli effetti strumento di indagine filosofica e scientifica quasi in senso proprio. Inoltre, più liberamente di altri tipi di discorso disciplinarmente limitanti, l’approccio narrativo al racconto del mondo permette una contaminazione gnoseologica di idee che difficilmente si può riscontrare in altri campi del sapere.

L’ulteriore motivo che rende performante la formula di «letteratura come filosofia naturale» è di ordine storico. Il suo impiego riconduce, infatti, a quella tradizione epistemologica premoderna che ancora non separava i saperi e gli strumenti (fossero questi sperimentali,