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Dalle Cosmicomiche a Palomar: la letteratura come oltrepassamento dell’umano

È evidente come Calvino abbia maturato, nel corso della sua produzione narrativa e saggistica, una Weltanschauung ‘complessa’ e non riduzionistica. La formazione di una simile coscienza si spiega attraverso le continue suggestioni mutuate sin dall’infanzia nel contatto con la natura: grazie ad un ambiente familiare di stampo scientifico, agronomo di fama mondiale il padre e botanica la madre, Calvino pose le basi per una prima ed indistinta visione ‘bio-cognitiva’ e non riduzionistico-meccanicistica del mondo e dunque per un’assenza di barriere tra natura e cultura. Questo interesse emerge con chiarezza in racconti come La strada di S. Giovanni, Un pomeriggio Adamo, in molti passi della raccolta dei Racconti, nella Trilogia e ne La giornata di uno scrutatore.

La lettura di classici della scienza, come Darwin, e ancor di più le novità epistemologiche dell’epoca, come le teorie fisiche di Heisenberg, Boltzmann, Planck ed astrofisiche di Eddington, concorsero a strutturare la concezione non deterministica del mondo in Calvino; inoltre, molto contribuì alla costituzione della sua forma mentis l’incontro con la tradizione di filosofia naturale rappresentata da autori quali Lucrezio (sulla cui ‘complessità’ si sarebbero espressi negli anni Settanta Ilya Prigogine e Michel Serres), Ovidio, Ariosto, Leonardo, Bruno, Galileo, Leopardi, Gadda, Cyrano de Bergerac, Paul Valery.

Questi presupposti concorsero a formare quel quadro epistemologico che in opere come la Trilogia, Marcovaldo e La giornata d’uno scrutatore, rappresentava ancora una congerie di idee poco differenziata. Un passaggio fondamentale nella costruzione di un quadro epistemologico generale è rappresentato dal viaggio negli Stati Uniti risalente ai primi anni Sessanta: in quell’occasione, Calvino ebbe l’opportunità di conoscere il pensiero cibernetico- informazionale e ‘pre-complesso’ di Norbert Wiener e Claude Shannon e soprattutto il pensiero mitico-cosmologico degli ‘arcaici’studiati dal filosofo della scienza Giorgio De Santillana ne Il mulino di Amleto1. Questi contributi corroborarono in Calvino la volontà di

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È questa l’opera nella quale Santillana, in collaborazione con l’etnologa Dechend, partendo dal retroterra dell’Amleto shakespeariano, percorre vertiginosamente miti di tutti i tempi e di ogni continente, per svelare dietro l’apparente incapacità di Amleto l’antica ombra del Fato e le tracce remote di una necessità, a cui non sfuggono nemmeno gli dèi, cadenzata dal numero e dai lentissimi movimenti del cielo, registrati con assoluta precisione sin dai tempi più remoti. In questo volume epocale, fortemente influente per la genesi delle Cosmicomiche calviniane, Santillana scrive con rara chiarezza che non c’è mito antico dietro al quale non si nasconda un’interpretazione della natura, si tratti dei viaggi di Gilgamesh negli inferi o della caduta di Lucifero (astronomicamente individuabile come Venere, la sua caduta rappresenterebbe l’inclinazione dell’eclittica). Gran parte delle teogonie arcaiche è densa di miti che alludono ad eventi cosmologici, astronomici, climatici, geologici delle

delineare un modello cosmologico da poter esprimere in forma letteraria: da qui anche il progetto della mai realizzata rivista «Alì Babà», per una letteratura che restituisse “un’immagine cosmica” della realtà, ovvero “al livello dei piani di conoscenza che lo sviluppo storico ha messo in gioco”.

Da tutti questi apporti Calvino giunse a maturare autonomamente il progetto di una visione del mondo, di un’immagine dell’universo che per molti aspetti si orientava già nella direzione di un’assenza di barriere fra uomo e natura, ovvero di una continuità anti- antropocentrica tra materia, regno vegetale, animale, uomini e macchine che le Epistemologie della Complessità avrebbero portato alla luce soprattutto tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, ma che già nel 1967 per Calvino assumeva le forme di un nuovo rapporto dell’uomo con l’universo rispetto alla concezione meccanicistica e antropocentrica della scienza classica, ovvero l’idea di

una conoscenza in cui ogni ipoteca antropocentrica sia abolita, in cui la storia dell’uomo esca dai suoi limiti e sia vista solo come anello, lasciandosi inghiottire ai due estremi dalla storia dell’organizzazione della materia, da una parte nella continuità animale, e dall’altra nell’estensione alle macchine per l’elaborazione dell’informazione2.

Questa visione epistemologica anti-antropocentrica si attua dapprima, nelle Cosmicomiche, per una letteratura che sappia sporgersi ‘oltre l’umano’, per poi traghettarsi verso una forma di narrazione dell’umano ‘oltre l’io’ espressa in Palomar: sia il ‘ciclo cosmicomico’ che le avventure del signor Palomar possono costituire esempi di conte philosophique, il racconto che tenta di pervenire ad una concettualizzazione, ad un modo di vedere il mondo sperimentandolo in corso d’opera, con lo svilupparsi della storia narrata3.

Le Cosmicomiche4 rappresentano il progetto calviniano che maggiormente si spinge verso l’ideale di una “letteratura cosmica”, rappresentando narrativamente il massimo connubio di

origini del tempo umano: il mito, la leggenda, il racconto illustravano la scienza dell’epoca, la “teoria del mondo” di migliaia di anni fa. Cfr. Giorgio de Santillana, Hertha von Dechend, Hamlet's Mill, Gambit, Boston 1969; tr. it. Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Adelphi, Milano 1983. Importante sottolineare che Calvino conosceva personalmente Santillana a partire dal suo primo viaggio negli Stati Uniti; fondamentale fu poi la conferenza su Fato e necessità che Santillana tenne per l’ACI in varie città italiane nel 1963 e che Calvino ebbe occasione di sentire a Torino. Per approfondimenti, si indica l’ottimo saggio di Bucciantini, Fiaba, mito, cosmologia:

Calvino e de Santillana, in Massimo Bucciantini, Italo Calvino e la scienza. Gli alfabeti del mondo,

op. cit., pp. 65-86. 2

Italo Calvino, Vittorini: progettazione e letteratura, in Id., Una pietra sopra, op. cit. pp. 159-160. 3

Si veda il par. 1.2 del Capitolo 1 del presente lavoro per una delucidazione sul percorso che conduce ad una siffatta concezione del conte philosophique.

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Si intende riferirsi all’intero ciclo cosmicomico, progetto letterario che, peraltro, copre un arco di tempo di circa vent’anni (dal 1965 al 1984 – secondo le date di pubblicazione editoriale della prima e

fantasia e razionalità dispiegato in una modellizzazione epistemologica ad orientamento post-umanistico: i vari racconti e le raccolte, nel loro insieme, costituiscono – come si è visto – una sorta di macro-testo5 che risponde a quella precisa esigenza di oltrepassamento dell’umano che Calvino a più riprese esprime nel corso della sua opera; contemporaneamente, rappresentano una tappa importante verso la post-soggettività di Palomar, come si avrà modo di mostrare più avanti.

Nelle molteplici e poliedriche forme assunte da Qfwfq nei racconti cosmicomici, Calvino esprime al contempo la contingenza della natura umana, la finitezza dell’umano come attore cosmico e la vasta narratività6 a-soggettiva e a-individuale delle cose considerate nel loro divenire evolutivo. La funzione di una letteratura che possa dirsi post-umanistica è, per definizione, quella di andare oltre l’umano e di tessere i percorsi narrativi dei suoi molteplici e potenziali meticciamenti con il non-umano. Importante rilevare inoltre che non solo Le

dell’ultima raccolta: Le cosmicomiche e La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche); con particolare riguardo ai racconti con protagonista Qfwfq, personaggio-funzione di quell’orientamento complesso e post-umanistico che il presente lavoro intende sottolineare nella poetica calviniana volta alla presentazione di soggetti letterari tramite i quali poter fare esperienza del possibile indicibile del mondo non scritto.

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Si veda, a questo riguardo, la trattazione inerente nel par. 1.1 del Capitolo 1. 6

Con il termine ‘narratività’ si intende riferirsi agli aspetti strutturanti della formulazione del discorso letterario che, tramite i dispositivi semiotico-generativi della fabulazione, determinano un vero e proprio fenomeno esperienziale di esplorazione e interpretazione del testo: questo, nel senso del rapporto instaurabile col reale, dunque dei significati che se ne possono determinare assumendo, a livello di coscienza individuale o collettiva, differenti paradigmi, figure e tòpoi generati dallo stesso processo narrativo-interpretativo. La narratività è pertanto l’insieme delle strutture e dei caratteri dell’espressione letteraria uniti agli eventi interpretativi ad essa associati, dunque al “clima” culturale e “trasformativo” che se ne determina; essa costituisce uno dei principali oggetti di studio della

narratologia, con particolare riferimento alla semiotica generativa di A. J. Greimas (si veda in

proposito infra. par. 1.3 del presente lavoro). L’aspetto della narratività è strettamente legato al concetto di forma, che in semiotica si lega tanto all’espressione quanto al contenuto del discorso: sono le forme a produrre le differenze senza le quali non si darebbe la possibilità del senso, indispensabile a sua volta per modellizzare i significati della sostanza amorfa e virtuale del labirinto-mondo attraverso il mezzo letterario. La forma narrativa è un congegno (un sistema aperto) che edifica possibilità di conoscenza mentre determina orizzonti di senso relativi a ciò che viene esperito nel racconto e svela preventivamente la dimensione ermeneutica (interpretativa), e non deterministico-deduttiva, dei processi che stabiliscono la ricezione, la comprensione, la conoscenza e il giudizio come “momenti” non separabili; momenti, fasi che trovano la loro attualizzazione in quel “non-luogo” che è lo spazio narrativo, in cui si consuma un progetto cognitivo (ma anche culturale, etico ed estetico) implicito, ovvero un percorso di modellizzazione epistemologica (e non solo) che si determina attraverso la

presentazione, la messa in scena di una congerie di significati potenziali che acquistano consistenza

attraverso la ricezione e la libera rielaborazione del lettore. A differenza di quanto avviene per l’argomentazione filologica, logica, scientifico-deduttiva (sistema chiuso), l’argomentazione letteraria, esplicitata nella sua narratività, non ha mai pretese di oggettività, perché nel mondo creato dalla narrazione si sa sempre che è l’angolo visuale ed emozionale dei protagonisti a creare rappresentazione e giudizio; d’altro canto, l’argomentazione narrativa non ha neppure carattere soggettivo, bensì, in adesione al paradigma fenomenologico, intersoggettivo e riconducibile alla dimensione della condivisione intenzionale. In definitiva, narratività non è (solo) narrazione, ma anche tutto il discorso e lo scambio simbolico che avviene intorno ad essa; il racconto costituisce il suo modello ideale di riferimento, il suo paradigma, in quanto è assunto come apparato cognitivo e meta-cognitivo all’interno del quale il principio di realtà risulta manipolabile, e le rappresentazioni del mondo sono continuamente perfezionabili ri-negoziabili.

Cosmicomiche costituiscono la storia delle infinite ibridazioni dell’universo, ma in esse il carattere dell’ibrido è parte integrante della stessa struttura narrativa. La strategia narrativa dell’opera è basata su un incrocio costante tra il piano stilistico e quello cognitivo, per cui le ipotesi o le teorie scientifiche citate in corsivo all’inizio di ogni capitolo, sono ironicamente calate nel linguaggio dell’esperienza quotidiana: Calvino le antropomorfizza, trasformandole in momenti e scenari di situazioni comuni.

L’assunto scientifico di partenza di ogni cosmicomica è variabile: vengono alternate o combinate ipotesi sulla formazione dell’universo e sull’evoluzione dei viventi con ipotesi fisiche sempre più complesse. In ogni caso, il sistema di riferimento antropocentrico o antropomorfico è al contempo presupposto e sfidato. Utile, a questo proposito, fare riferimento alle parole dello stesso Calvino, che nella lezione americana sulla Visibilità scrive:

Una precisazione sull’antropomorfismo nelle Cosmicomiche: la scienza mi interessa proprio nel mio sforzo per uscire da una conoscenza antropomorfa; ma nello stesso tempo sono convinto che la nostra immaginazione non può essere che antropomorfa; da ciò la mia scommessa di rappresentare antropomorficamente un universo in cui l’uomo non è mai esistito, anzi dove sembra estremamente improbabile che l’uomo possa mai esistere7.

L’intenzione di Calvino è quella di creare un gioco incrociato di scienza e racconto entro un procedimento narrativo che sia funzionale alla sua volontà di unificare «la generazione spontanea delle immagini» con «l’intenzionalità del pensiero discorsivo»8. Prendendo le mosse da un’ipotesi scientifica o da temi apparentemente astratti e comunque assai distanti dal campo dell’esperienza umana Calvino vi innesta e ne sviluppa un racconto in cui il protagonista è sempre lo stesso: l’indefinibile e impronunciabile Qfwfq, personaggio- funzione che rappresenta una poliedrica quantità di differenti stadi materiali simbolici e semiotici, figura che si esprime, riflette, gioca e si evolve prendendo l’umano come modello per una trasfigurazione mimetica ironica. Nebulosa, aggregato di materia primordiale, dinosauro, proto-mammifero o mollusco che secerne per amore la prima conchiglia, Qfwfq è in realtà l’universo stesso nelle sue inesauribili trasformazioni sincroniche e diacroniche, è l’intero che si manifesta in frammenti infinitesimali ogni volta diversi. In questa maniera, Calvino allestisce narrativamente un mondo che parla di sé in termini umani prima ancora che l’umano sia minimamente contemplato anche solo come eventualità. Questo determina un duplice paradosso: da un lato quello della messa in scena di situazioni umanamente

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Italo Calvino, Visibilità, in Id., Lezioni americane, op. cit., p. 92. 8

inosservabili che tuttavia acquistano significato solo se ad osservarle è un “occhio umano”9, o che diventano definibili solo se è un sistema di riferimenti percettivi umani a configurarle10; dall’altro, il paradosso di un umano che, in queste situazioni stranianti e incomprensibili, si dimostra sempre ambientato, confidente rispetto a quel particolare contesto con tutte le dinamiche relazionali del caso11.

Questi paradossi alimentano il dispositivo comico del testo e contribuiscono a determinare l’effetto ludico della narrazione; allo stesso tempo costituiscono un efficace veicolo per una specifica strategia di modellizzazione ermeneutica ed epistemologica della narratività che consente a Calvino di soddisfare i requisiti post-umanistici che si esigono da una letteratura che voglia dirsi “cosmica”: un principio di collaborazione fra elementi umani e non-umani, così come tra caratteri culturali e naturali; un senso di unità intra- e inter-specifica tra le diverse forme di vita, per un principio di circolarità dell’esistente; alta capacità di adattamento al mondo del personaggio-funzione che si modifica in esso e con esso; un sistema di valori aperto e inclusivo; l’elemento picaresco esemplificato dalle rocambolesche avventure di Qfwfq; il ricongiungimento dell’individuale col collettivo, del soggetto (umano o non-umano che sia) con l’ambiente; una visione orizzontale ed integrata della relazione col mondo/cosmo/universo12. L’esito è una sorta di bricolage evoluzionistico cosmologico, un ritratto trasformazionale integrato dell’universo, in cui Qfwfq è e diviene un’infinità di cose differenti, a dimostrazione della permeabilità e della stretta connessione che uniscono tutto ciò che è esistente, al fine di delineare una sorta di fenomenologia della conoscenza ad orientamento post-umanistico, ovvero nel senso del meticciamento di umano e non-umano in uno stesso orizzonte epistemologico.

Il progetto calviniano per una “letteratura cosmica” prevede la comprensione e l’accettazione del posto occupato dall’uomo nella storia dell’evoluzione, dunque una rilettura della

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Ad esempio, la condizione di un universo senza colori nell’omonima cosmicomica; cfr. Italo Calvino, Senza colori, in Le Cosmicomiche, op. cit., pp. 45-55.

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Per esempio, la situazione della caduta nel vuoto, in assenza non solo di forza di gravità, ma anche di coordinate spazio-temporali, come nella cosmicomica La forma dello spazio, cfr. ivi, pp. 103-113. 11

Come accade nelle varie genealogie di zii acquatici, dinosauri e di parentele varie sotto forma di nebulose, di cavalli o di raggi cosmici che popolano l’universo cosmicomico di Qfwfq.

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Tra le forme di esistenza descritte attraverso le metamorfosi di Qfwfq c’è infatti una profonda collaborazione, anche nei termini di un giocoso antagonismo (ad esempio, negli Anni-luce; ma anche in altri racconti: Quanto scommettiamo?, Un segno nello spazio, Giochi senza fine, ecc.). C’è il senso di un’unità intra- e inter-specifica (visibile nei Dinosauri, dove l’incontro tra l’ultimo dinosauro e «i nuovi» è descritto con una successione rappresentativa che va dallo sconcerto per la scoperta del diverso, di un «altro» comunque definito – uno straniero, un nemico, un individuo appartenente a un’altra razza – al conflitto, alla collaborazione, fino alla pacifica accettazione reciproca). E Qfwfq stesso è un Picaro, un personaggio che per definizione si adatta al mondo e si modifica insieme con esso, passando per avventure rocambolesche (La distanza dalla Luna), per ricongiungimenti riusciti o mancati (Senza colori, Lo zio acquatico), per ridefinizioni di valori in termini aperti e non gerarchici (I

possibilità di rappresentazione del mondo in chiave anti-antropocentrica. Le cosmicomiche – quasi fossero una biografia – tracciano il racconto evolutivo e collettivo delle metamorfosi del cosmo e dei suoi abitanti, accogliendo la complessa e illimitata organicità caratterizzante le relazioni tra l’uno e gli altri. Il risultato narrativo che si viene a configurare è quello di un universo a carattere antropomorfico sul piano della rappresentazione (o, meglio, della presentazione) letteraria, ma non antropocentrico sull’orizzonte dei significati e dei valori veicolati dal discorso letterario.

Un simile assetto produce un forte impatto critico: allargando ironicamente lo spazio della narrazione a soggetti pre-umani tratteggiati però come maschere umane, Calvino rovescia il modello antropocentrico; la portanza rivoluzionaria della prospettiva cosmica e post- umanistica dimostra poi, come “empiricamente”, il legame e l’interdipendenza tra tutte le forme naturali dell’esistente, umani compresi.

La letteratura diviene allora una sorta di istanza compensativa che permette concretamente all’autore di sovvertire le tradizionali immagini unilaterali del mondo e dell’io che si relaziona ad esso, dischiudendo così la possibilità di indagine epistemologica all’alterità dissimulata da e in queste immagini. L’esperienza di Qfwfq, che si estenderà ed articolerà maggiormente in Ti con zero e nei vari seguiti delle raccolte cosmicomiche, è infatti quella di un’alterità insita all’umano e, al contempo, di un umano presente nell’altro da sé: una simile osmosi di umano e non-umano, declinata poi secondo i modi dinamizzanti dell’ironia e del comico, fa delle Cosmicomiche una presa di posizione culturale circa la funzione conoscitiva, edificante e pedagogica di una letteratura che possa dimostrarsi all’altezza «dei piani di conoscenza che lo sviluppo storico ha messo in gioco» – secondo la nota formula calviniana de La sfida al labirinto –; dunque nella direzione di una letteratura che si proponga alla società contemporanea come strumento capace di contribuire in maniera influente all’acquisizione di una consapevolezza più complessa e integrata per l’orientamento nel mondo e per la “lettura del reale”.

Un elemento fondamentale per alimentare la sfida permanente della letteratura (“cosmica”) all’indistinto caotico del labirinto-mondo è la ricomposizione in termini relazionali del concetto di identità, un’operazione che muove nella direzione dell’esercizio all’autoconsapevolezza della posizione occupata dall’umano in un mondo sempre più ibridato col non-umano, nonché volta al superamento dell’annosa separazione fra Natura e Cultura. Nelle Cosmicomiche Calvino dimostra una dedizione notevole allo sviluppo di una visione complessa, molteplice e integrata di identità: spaziando dalle particelle subatomiche ai dinosauri, dal vuoto al caos, l’identità di Qfwfq si configura come a-soggettiva, aperta e relazionale; è un’identità ibrida, basata sullo scambio osmotico-semiotico di forme e di segni

tra il sé e l’altro, tra il “dentro” e il “fuori”. Questa concettualizzazione è apertamente teorizzata da Calvino nel testo Identità, un breve saggio autobiografico del 197713 in cui lo scrittore afferma:

la mia identità ha le sue fondamenta in una colonia di cromosomi che abitano le mie cellule e se la sociobiologia dice il vero i cromosomi affini d’individui diversi sentono una solidarietà e comunanza tra loro mentre un rapporto d’aggressività esiste tra cromosomi avversi: ebbene la mia identità individuale è

attraversata dalla continuità genetica che si frantuma e si mescola in individui apparentemente separati. Insomma l’identità più affermata e sicura di sé, non è

altro che una specie di sacco o di tubo in cui vorticano materiali eterogenei cui si può attribuire un’identità separata e a loro volta questi frammenti d’identità sono parte d’identità d’ordine superiore via via sempre più vaste. E se questo è vero per gli individui figuriamoci per le identità di gruppo.

[…] L’identità è un fascio di linee divergenti che trovano nell’individuo il punto

d’intersezione14.

Aggiunge poi Calvino che ogni identità (individuale o collettiva) si lascia specificare solo a partire dal rapporto che intrattiene con tutto «il resto», con «il mondo esterno», dal momento che «è il fuori che definisce il dentro, nell’orizzonte dello spazio, così come nella dimensione verticale del tempo»15. Tempo e spazio, dunque, come coordinate imprescindibili dell’identificazione: le parole di Calvino rimandano alla riflessione antinarcisistica sulla produzione del sé, sul processo che porta dall’identificazione