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Le lys dans la vallée: una lettura al femminile

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Academic year: 2021

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INDICE

1. Introduzione

2. La storia della donna

2.1. Dall’antichità all’Illuminismo

2.2 Gli stereotipi negativi nella storia

3. L’Ottocento

3.1 Verso l’indipendenza

3.2. La donna borghese e il matrimonio

3.2.1 La Physiologie du mariage

4. Honoré Balzac

4.1. Infanzia e adolescenza

4.2 Balzac e le donne

4.2.1 Mme Hanska

4.3 Fonti di ispirazione per Le lys dans la vallée

5. Le lys dans la vallée

5.1 Trama

5.2.1 L’influenza del culto Mariano

5.2.2 La contrapposizione uomo-donna

5.2.3 La simbologia floreale

5.2.4 L’opposizione Oriente-Occidente e

Francia-Inghilterra

6. Conclusione

7. Bibliografia

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1. Introduzione

Per l’introduzione alla mia tesi mi sono avvalsa dei volumi della Storia delle

donne in Occidente di Georges Duby. Uno dei termini che viene il più spesso

associato alla donna e alla sua storia è emancipazione. Questo termine si riferisce al percorso di una persona o di un gruppo di persone verso uno stato di libertà e di indipendenza. Ciò, quindi, sottolinea il fatto che la donna si sia trovata in un certo periodo della storia in una situazione di schiavitù. Si tratta di una fase piuttosto lunga poiché solo in tempi relativamente recenti alla donna è stato permesso di ricoprire ruoli diversi. Il primo quesito che mi sono posta prima di iniziare la stesura di questo elaborato riguarda l’individuazione dei pregiudizi più frequenti che sono stati assegnati alla donna e il come si sono evoluti con il passare dei secoli. Per molti secoli la donna venne giudicata in modo negativo e limitato ma questi giudizi erano quasi sempre gli stessi e potevano subire lievi modificazioni in base all’epoca o alla nazione. Benché vi siano differenze tra le varie culture del mondo, si possono individuare due principi essenziali che si sono rilevati costanti fino a poco tempo fa: il primo è la divisione dei ruoli tra la donna e l’uomo e il secondo è lo stato di subordinazione della donna all’uomo.

Le donne che tentavano di uscire dallo stato di soggiogazione e inferiorità venivano attaccate pesantemente ed etichettate, portando alla credenza di una duplice natura della donna ed è proprio la dicotomia il tema principale di questa tesi, anzi, le dicotomie, poiché sono molte quelle che caratterizzano la storia della donna e che le negarono per secoli un’unica identità. Queste dicotomie raggiunsero il loro apice nell’Ottocento e il mio lavoro consiste nell’analizzarle sia nell’ambito della vita reale della donna sia in quello letterario. In seguito analizzeremo le motivazioni che portarono la figura della donna ad essere così fortemente legata a delle dicotomie.

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L’avanzare della civiltà ha portato alla progressiva eliminazione degli istinti e dei desideri insiti nell’uomo; tutto ciò che in lui veniva considerato naturale veniva azzerato e considerato tabù. Il sesso era ormai considerato un tabù e fu la donna a pagarne maggiormente le conseguenze. Totalmente sottomessa all’uomo, la donna angelo era quella figura totalmente priva di desideri e che non aveva diritto al piacere sessuale: per lei l’amore non aveva alcun legame con il piacere de corpo bensì riguardava unicamente la maternità, l’unico compito a lei concesso e imposto. A confermare questa tesi, nella seconda metà del XIX secolo Lombroso affermava:

Già nello studio dei sensi vedevamo come in tutte le forme di sensibilità la donna si mostri inferiore al maschio, e questo più specialmente nella sensibilità sessuale, e perciò nell’intensità d’amore (..). L’amore femminile è una funzione subordinata alla maternità. Quelle che più propriamente manifestano una esagerata e continuata libidine sono insieme criminali-nate e prostitute-nate, in cui la lascivia si mescola alla ferocia. Questo erotismo che le differenzia dalle donne normali in cui è cosi debole e tardivo, le ravvicina al maschio, differendone solo per la maggiore e a volte stranissima precocità.1

La donna doveva quindi usare la sua sessualità solo con l’intenzione di procreare e generare dei figli ai quali dedicherà totalmente la sua vita. Tuttavia, analizzando le parole di Cesare Lombroso e la mentalità diffusa all’epoca ne deduciamo l’idea che per la società e per l’uomo la donna non doveva imporsi forti obblighi poiché il desiderio non era una caratteristica che faceva parte della propria natura e quindi il suo dedicarsi unicamente alla procreazione era del tutto normale. Era invece anormale la donna che

1 Come si sviluppa la sessualità nella società?

http://www.psicosomaticamente.it/index.php?option=com_content&view=article&id=51:qua l-e-il-rapporto-tra-societa-e-sesso-come-si-sviluppa-la-sessualita-nella

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avvertiva dentro di sé delle voglie e veniva fortemente accusata sia che le manifestasse sia che non le manifestasse affatto poiché il crimine stava proprio nel provare il desiderio di piacere fisico.

Dalla vita reale passeremo alla letteratura: anche nell’arte la donna appariva con una duplice natura poiché, come vedremo, la letteratura e l’arte in generale erano e sono il riflesso della della realtà. Fu a poco a poco che le donne iniziarono ad esprimere il loro disagio: per lei non era affatto facile esprimere un pensiero perché sia la parola pubblica che la scrittura erano attività che non le erano concesse. Sebbene nella Storia della Letteratura riconosciamo molte donne scrittrici, la loro non fu un’attività facile da portare avanti poiché esse erano sottoposte a giudizi piuttosto scoraggianti. Ritornando a Lombroso e agli studi medici sulla donna, si riteneva che le attività intellettuali potessero provocare dei disturbi all’apparato produttivo, ostacolando così il destino biologico della donna. Nel saggio del 1929 Una

stanza tutta per sé, Virginia Woolf affermò che la prima donna scrittrice della

classe media fu Aphra Behn. In precedenza, altre donne, che appartenevano all'aristocrazia, si erano cimentate nella scrittura, ma raramente avevano pubblicato le loro opere poiché ci sarebbe stata una violazione al decoro che una nobildonna doveva mantenere. Nonostante il crescente numero di pubblicazioni da parte delle donne dopo la presa di parola di Aphra Behn, la maggior parte continuò a sentirsi in colpa per esprimersi in pubblico, tanto da scegliere di usare uno pseudonimo ed espellere dalle storie le istanze femministe che erano forti ed evidenti tra il Seicento e il Settecento e che riaffiorarono solo alla fine del XVIII secolo. Conseguentemente una parte della narrativa femminile della metà del Settecento si fece complice dell'ordine patriarcale, presentando vicende edificanti nelle quali la protagonista costituiva un modello di virtù da imitare. I romanzi rafforzavano l’idea che la

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donna era un essere altruista per natura e colmo di sentimenti morali. L'influsso del romanzo di Rousseau, Julie, ou la nouvelle Héloïse1 del 1761,

contribuì al rafforzamento di questo culto dei sentimenti. Nell'opera Émile, Rousseau affermò che «toute l’éducation des femmes doit être relative aux hommes. Leur plaire, leur être utiles, se faire aimer et honorer d’eux, les élever jeunes, les soigner grands, les conseiller, les consoler, leur rendre la vie agréable et douce»2 e che fin

dall'infanzia la loro educazione doveva essere tale da sviluppare queste capacità. Le donne più radicali contrastarono aspramente questo pensiero e chi si ribellava a questa idea veniva considerata un demonio. Per rispondere più dettagliatamente a quest’ultimo quesito analizzerò l’opera di Honoré de Balzac, Le lys dans la vallée, soffermandomi sulle due protagoniste femminili e sulle loro caratteristiche e nature contrapposte. Vedremo come Balzac esprima idee contrastanti e spesso contraddittorie riguardo alla questione femminile e come la sua vita e le relazioni personali abbiano influenzato il suo pensiero e la sua opera.

2. La storia della donna

A lungo le donne sono state costrette al silenzio e lasciate nell’ombra, tanto da far credere nell’inestistenza di una loro vera e propria storia; le poche tracce che si avevano agli inizi provenivano dalla prospettiva degli uomini e dovevamo passare, quindi, attraverso questo pesante «filtro maschile»3 che

imponeva alle donne regole di comportamento e modelli ideali incontestabili. Soltanto recentemente critici e studiosi hanno cercato di ripercorrere questa

1 Rousseau J.J., La Nouvelle Héloïse, Les classiques de poche, 2002, [1761]. 2 Rousseau J.J., Emile, ou de l’éducation, Paris, Bry aîné, 1856, [1762], p.606.

3 Duby G. e Perrot M., Storia delle donne. Il Medioevo, a cura di Christiane Klapisch-Zuber, Bari, Laterza, 1994, p. 11.

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storia e riscoprirla al tempo stesso, grazie anche allo sviluppo dell’antropologia, all’interesse crescente verso il tema della famiglia e verso tutte quelle questioni relative al quotidiano, al privato e all’individuale.

Per alcune correnti di pensiero l’emancipazione femminile coinciderebbe con l’evoluzione della civiltà: chi non ammette la parità e la dignità dela donna, requisiti essenziali della civiltà, viene considerato un incivile proprio come gli uomini delle società primitive che consideravano la donna una loro schiava. Altre correnti di pensiero, invece, ritrovano nelle comunità primitive una grande importanza data alla donna, individuabile nel matriarcato che sarebbe stato in seguito sostituito da patriarcato. La differenza tra uomo e donna veniva enfatizzato o annullato in base all’apporto che la donna poteva dare alla ricerca dei mezzi di sopravvivenza: nelle società in cui l’attività primaria era la raccolta, la condizione della donna era molto simile a quella dell’uomo poiché entrambi partecipavano a quest’attività in egual modo; al contrario, la caccia era un’attività considerata prettamente maschile e, di conseguenza, le società basate essenzialmente su essa relegavano la donna nell’ambiente domestico.

Nei capitoli successivi analizzeremo meglio il percorso di emancipazione della donna; questo capitolo serve a sottolineare che nonostante ogni storia abbia diverse sfumature e diversi risvolti, la costante legata al discorso femminile è sempre una: la donna per troppo tempo non ha vissuto, bensì ha dovuto subire una vita, relegata in uno stato perenne di inferiorità senza alcun diritto di rivendicazione. In questa tesi analizzerò le limitazioni e le discriminazioni diffuse in Francia, ma anche altrove la loro condizione non era diversa. Nella Storia d’Inghilterra, ad esempio, il professor Trevelyand descriveva così la condizione delle donne intorno al 1470:

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Picchiare la moglie era un diritto riconosciuto dell'uomo e veniva praticato senza vergogna nelle classi sociali alte come in quelle basse [...] Allo stesso modo la figlia che rifiutava di sposare l'uomo che i genitori avevano scelto per lei, poteva venire chiusa a chiave, picchiata e malmenata, senza che l'opinione pubblica subisse il benché minimo turbamento.1

Trecento anni più tardi la situazione non era molto cambiata in quanto raramente le donne di classe media e alta avevano l’opportunità di scegliersi il marito.

Con la Rivoluzione industriale, poi, nei ceti medio-bassi vi fu una netta separazione tra i luoghi di produzione e i luoghi domestici. Nacque così la figura della casalinga, aumentando la dipendenza delle donne dagli uomini e privando loro un accesso diretto al mondo del lavoro retribuito.2 La donna,

considerata l'angelo del focolare, aveva il compito di dedicarsi ai sentimenti, sfera così trascurata dagli uomini, curando gli affetti familiari e trasmettendo i giusti valori. Di conseguenza, l'istruzione impartita alle ragazze era differente da quella impartita ai ragazzi: la loro educazione riguardava la sfera affettiva e prevedeva attività, come il disegno o il ballo, che dovevano prepararle alla futura condizione di madre e moglie. Erano due le possibilità per garantirsi un futuro dignitoso: la prima era quella di ereditare del denaro dalla famiglia, ma questo era possibile solo se si era un'ereditiera e non vi erano figli maschi; la seconda era un buon matrimonio. Le donne sposate erano maggiormente espulse dal sistema produttivo e non avevano neanche una personalità giuridica, in quanto venivano considerate un tuttuno con il marito. Per di più,

1 Woolf V., Una stanza tutta per sé, trad. di M. A. Saracino, Milano, Mondadori, 2010, p. 82. 2 Anche se questo molte volte era un'idealizzazione perché spesso le donne erano costrette ad andare a lavorare nelle fabbriche. Tuttavia bisogna comunque sottolineare che le strade aperte alle donne erano ben poche e non molto favorevoli.

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con il matrimonio, il denaro di una donna diventava proprietà del marito. Ciò nonostante, il matrimonio era l'unica carriera sicura aperta alle donne.

Ora nella società contemporanea riconosciamo diverse tipologie di donne: le donne in carriera, le donne che lavorano e che al tempo stesso hanno fatto famiglia, le donne che si dedicano interamente alla casa e ai figli, e tante altre. La vita porta ognuna di noi a intraprendere strade diverse, spesso esse non rispecchiano a pieno i nostri desideri ma c’è sempre, o quasi, una nostra volontà alla base. Una volta, invece, la donna non poteva scegliere, la donna era solo una procreatrice. L’unico ruolo a lei permesso era quello di generare la vita e occuparsi esclusivamente dell’ambiente domestico e delle attività a esso connesse. Coloro che si ribellavano a questo destino e cercavano una via d’uscita venivano discreditate e giudicate con termini negativi, generando tutta una lunga serie di dicotomie attraverso le quali ogni donna veniva identificata. La donna angelo era contrapposta alla donna fatale e demoniaca, la vergine era contrapposta alla prostituta, e così via. Libri, dipinti, romanzi e poesie: non c’è una sola forma di arte che non affronti il tema della dicotomia femminile. Quando a partire dal Novecento l’uomo inizierà a vedere la donna fatale come una nuova eroina e non più come una minaccia, il percorso verso l’emancipazione inizierà a raggiungere risultati evidentemente più significativi ed effettivi.

2.1 Dall’antichità all’Illuminismo

Sin dall’Antichità, le donne venivano più rappresentate che raccontate e benché nelle tragedie antiche vi fosse la presenza di un considerevole numero

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di donne, possiamo notare che esse gridavano, piangevano, cantavano nei cori, bisbigliavano, ma non parlavano realmente, rendendo evidente l’impossibilità per loro di accedere alla parola politica, la sola riconosciuta. Nella prefazione a una raccolta di articoli, Josine Blok parlò di «sexual asimetry»1, sottolineando la disparità esistente tra il potere e il valore attribuito

a ciascun sesso. Nel Medioevo, coloro che avevano il diritto di parola erano gli uomini, in particolar modo i chierici, i quali attraverso l’amministrazione della scrittura diffondevano l’idea che bisognava avere della donna; i chierici la considevano una nemica. Questa visione medievale della donna portava su di sé il peso del racconto della Creazione e della Caduta nella Genesi: l’uomo venne creato per primo mentre la donna fu creata solo in seguito e da una costola dell’uomo e siccome la costola è un osso curvo, di conseguenza lo spirito della donna era inevitabilmente cupo e depravato: fu Eva che si lasciò sedurre dal serpente e spinse Adamo verso la disobbedienza e per questa ragione la donna fu quella che ricevette la parte più pesante delle maledizioni di Dio. Sempre durante il Medioevo, poi, erano numerosi gli stereotipi negativi sulla donna. Quando in campo medico si iniziò a proporre una descrizione anatomica degli organi interni della donna, nelle credenze popolari nacque l’idea che il liquido mestruale fosse impuro e potesse esercitare effetti nocivi all’ambiente intorno ad essa durante quel particolare periodo del mese. Inoltre, attraverso il ciclo, i residui di freddezza venivano espulsi dal corpo della donna che possedeva poco calore naturale.

Dalla fine del secolo XII fino a tutto il secolo XV vi erano sempre più sermoni la cui funzione principale era quella di definire il ruolo della donna come madre, moglie o figlia e di elaborare valori e modelli di comportamento

1 Duby G. e Perrot M., Storia delle donne. L’Antichità, a cura di Pauline Schmitt Pantel, Bari, Laterza, 1994, p. 540.

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in una società che stava cambiando e sviluppando nuove forme di potere e cultura. I predicatori e i moralisti si rivolgevano principalmente a tre categorie di interlocutrici: le vergini, le vedove e le donne sposate. Si trattava di donne virtuose che usavano differentemente la propria sessualità: le prime vi rinunciavano completamente e volontariamente, le seconde potevano rinunciarvi a seguito del decesso del marito e le terze lo limitavano in funzione alla procreazione. La castità veniva raccomandata sempre più spesso alle donne. Ogni uscita pubblica era pericolosa poiché rischiava di compromettere la castità; anche solo nel tragitto che collegava la casa alla chiesa, la donna poteva essere vista e scatenare negli uomini sconsiderati voglie di lussuria. Detto ciò, non può essere che ovvio il fatto che coloro che partecipavano a feste o incontri di piazza fossero considerate le più irresponsabili e sconsiderate; anche affacciarsi dalla finestra era un gesto sconsigliato. Nella letteratura pastorale e didattica le donne troppo imprudenti, maliziose e curiose agivano in uno scenario dove la finestra era proprio un elemento ricorrente. Fin dall’infanzia la donna doveva essere, dunque, protetta, sorvegliata e nascosta, prima dal proprio padre e poi dal proprio marito. Il terzo libro della Genesi presenta la frase «Sarai sotto il potere del marito ed egli ti dominerà»1; la

sottomissione era una virtù essenziale che si accompagnava alla separazione dal mondo e alla rinuncia ai piaceri del corpo, evitando di mostrare una eccessiva attenzione per l’esteriorità del corpo. Nelle prediche anche l’ozio era condannato in quanto nemico della castità e le donne venivano esortate ai lavori manuali, come il cucito, oppure alla carità. I chierici ribadivano con forza che la predicazione fosse un esercizio escluso alle donne poiché richiedeva una superiorità intellettuale da esse irraggiungibile. La parola delle donne, che fosse scritta o pronunciata, era guardata con sospetto: «La donna

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non deve imparare né a leggere né a scrivere, se non per diventare monaca, perché dal leggere e dallo scrivere delle donne molti mali sono venuti»1. È

quasi impossibile reperire autentiche testimonianze di donne in un’epoca prettamente maschile come quella del Medioevo. L’opportunità di imparare a leggere e a scrivere sarà riconosciuta lentamente, prima alle religiose e alle nobili e solo in seguito ad una fascia più ampia di donne, con la restrizione, però, di poter leggere unicamente le parole esemplari della Bibbia, evitando quelle deleterie presenti nelle opere immorali di poeti e romanzieri. Alle giovani spose si facevano leggere i manuali che elencavano i loro doveri di

reverenza, rispetto e sottomissione. È interessante analizzare la figura della moglie, persona subordinata

completamente al marito a cui doveva fedeltà e amore assoluti. Il suo primo compito era quello di prendersi cura della casa e degli affetti familiari e il suo spazio per eccellenza era costituito dalle mura domestiche. Erano numerosi i trattati scritti dagli uomini sul matrimonio e sui doveri nella vita coniugale. In uno tra i tanti di questi manuali si poteva leggere: «Quattro cose una moglie deve fare a suo marito: amarlo con piacere e pazienza, non rispondergli quando è arrabbiato, farlo vivere bene e tenerlo pulito»2. Si poteva parlare di

un vero e proprio «mercato matrimoniale»3: in base agli interessi economici e

a discapito dei sentimenti dei due futuri consorti, i padri delle due rispettive famiglie prendevano accordi per giungere a un matrimonio di convenienza e più il ceto sociale era alto, maggiore era il grado di imposizione da parte delle famiglia. Nel tardo Medioevo solamente le donne nubili e vedove iniziarono ad ottenere alcuni diritti importanti e una maggiore libertà di azione e

1Ivi, p. 197.

2Manuale citato da Bardèche M., Storia della donna - dai Carolingi al XX secolo, Milano, U. Mursia & C., 1973, p. 202.

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decisione, mentre le donne sposate continuarono a rimanere sotto la tutela del marito a lungo. Il mestiere della moglie era il concepimento e il corpo femminile era soggetto a un costante controllo in modo da garantire la nascita di figli legittimi. Avendo ricevuto un’educazione esigua e limitata al campo familiare, le sue mansioni riguardavano la cura del giardino, dei bambini, del bestiame e poco altro ancora. Il lavoro, nel vero senso della parola, non era adatto alla donna, reputata una creatura fragile da proteggere dagli altri ma anche da se stessa. Donna santa o donna peccatrice: questi erano i due stereotipi proposti dalle rappresentazioni medievali sulla figura femminile. Le donne erano maggiormente associate al diavolo rispetto agli uomini e questo veniva confermato dalla ricorrenza di frequenti topos: ad esempio il diavolo che si travestiva da fanciulla per cercare di deviare le virtù di un santo, la frequenza di esorcismi su donne possedute e non uomini posseduti, e così via.

Nel XVIII secolo il saggista britannico Richard Steele elaborò una definizione di donna perfettamente in linea con i canoni dell’epoca: «Una donna è figlia, sorella, moglie e madre, una semplice appendice della razza umana»1. La donna doveva onore e obbedienza al padre e al marito, i quali

erano responsabili legalmente per lei. Per la scelta del compagno le considerazioni di carattere economico erano determinanti. Dopo la procreazione, il ruolo materno era quello di nutrice e una volta superata l’infanzia la madre assumeva il ruolo di educatrice: la madre insegnava i valori morali e di comportamento e preparava le figlie femmine a diventare delle future madri proprio come lei, iniziando ad apprendere le varie mansioni domestiche e a prendersi cura dei suoi fratelli. Nella società, che considerava la donna in base al suo legame con un uomo, la perdita del marito costituiva

1 Duby G. e Perrot M., Storia delle donne - Dal Rinascimento all'eta' moderna, a cura di Natalie Zemon Davis e Arlette Farge, Bari, Laterza, 1995, p. 15.

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indubbiamente un avvenimento dalle enormi ripercussioni sociali, economiche e psicologiche. Se si trattava di una donna di alto lignaggio il trauma era minore, mentre la vedova di classe sociale inferiore rischiava di ereditare tutti i debiti accumulati dal marito e cadere in povertà. Tuttavia, lo stato di zitella non era migliore, a meno che non ci fosse una famiglia alle spalle in grado di mantenerla.

Nonostante nella società dell’epoca ci si aspettasse che le donne delle classi lavoratrici si mantenessero da sole, la donna indipendente era vista come qualcosa di innaturale e spregevole. Quasi l’ottanta per cento delle ragazze provenienti dalle campagne lasciava la famiglia verso i dodici anni: la servitù femminile costituiva la più grande classe occupazionale nella società urbana e la manodopera femminile a basso costo ebbe una parte determinante nello sviluppo dell'industria tessile europea. I salari erano bassi, così come le condizioni di vita e di lavoro e tutto questo poteva far tardare il momento del matrimonio. Ogni forma di sessualità era assolutamente illecita al di fuori del matrimonio; una gravidanza extraconiugale poteva provocare conseguenze disastrose. Spesso queste donne venivano umiliate pubblicamente, licenziate e addirittura indirizzate a una casa di correzione e per mantenere se stesse e il loro bambino erano costrette ad abbandonare quest’ultimo o a prostituirsi.

Durante il XVII secolo l’educazione delle donne divenne un tema dibattuto e di principale interesse; con l’avvento dell’Illuminismo, oltre a ricevere una minima educazione, le donne iniziarono ad esporre le proprie conoscenze, seppur sempre in maniera ridotta. Questo fu possibile grazie ai salotti, dove gli aristocratici e i borghesi si riunivano insieme agli intellettuali per dibattere sulle diverse questioni che erano alla moda in quell’epoca. Purtroppo, come si può ben capire, la situazione per le donne dei ceti inferiori non cambiò invece di molto. Tra le persone meno accecate dalla misoginia e

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dai pregiudizi cresceva l’idea che i difetti abitualmente attribuiti alle donne fossero il frutto di una mancanza di istruzione o, comunque, di un’educazione limitata al solo ambito domestico e familiare. Anche se i primi programmi di studio che vennero proposti escludevano ancora le conoscenze astratte, come la retorica e la filosofia, indirizzate esclusivamente agli uomini, la necessità di un sapere femminile aumentava sempre più. Nel Traité sur le choix et la méthode

des études del 1685, l’abate Claude Fleury propose un programma di studio per

le donne che prevedesse la scrittura, la lettura, la religione, esercizi di componimento e anche alcune nozioni di aritmetica, economia domestica e giurisprudenza. Dall’altra parte c’erano, invece, uomini come Jean-Jacques Rousseau che sostenevano incondizionatamente l’educazione all’interno delle mura domestiche. Nella sua opera Émile l’autore consacrò il quinto libro a Sophie, la futura compagna di Émile, destinata a renderlo felice ed educata a tal fine. Quindi la donna non doveva acquisire delle conoscenze per se stessa, ma solo per rendere piacevole la propria presenza a coloro che la circondavano.

Ancora una volta, però, il dibattito delle assemblee rivoluzionarie si arrestò sulla questione dell’istruzione femminile e fu necessario ancora un secolo per superare quest’ostacolo; la maggior parte dei programmi continuavano, infatti, a confinare le donne nell’ambiente e nelle competenze domestiche, offrendo sempre un’istruzione a livello elementare. Le alternative per un sapere maggiore e migliore erano i conventi, le scuole private o le pensioni laiche, ma non sempre queste riuscivano ad essere accessibili anche alle ragazze appartenenti agli strati più bassi. In Francia iniziarono a diffondersi le scuole elementari gratuite, ma non costituivano una novità dal punto di vista qualitativo e le ragazze ne uscivano ancora ignoranti. L’istruzione femminile continuava ad essere considerata un impegno di

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importanza secondaria e, di conseguenza, l’alfabetizzazione femminile non poteva che restare costantemente più arretrata rispetto a quella maschile. In

De Republica Libri Sex del 1586, questo è ciò che Jean Bodin dichiarava con

forza:

Per quanto riguarda l'ordine e grado delle donne, non voglio occuparmene; penso soltanto che sia opportuno che esse vengano tenute lontane da tutte le magistrature, i luoghi di comando, i giudizi, le assemblee pubbliche e i consigli, che si occupino solo delle loro faccende donnesche e domestiche.1

Le donne dovevano stare alla larga da ogni ambito che non avesse strettamente a che fare con quello domestico.

In un periodo tanto fondato sulla ragione come quello dell’Illuminismo era un paradosso continuare ad asserire l’ineguaglianza intellettuale delle donne, per di più di fronte alla presenza di alcune donne, sebbene di estrazione sociale alta, che animavano i salotti promuovendo la divulgazione di scienze e letteratura. La lettura, in particolare quella dei romanzi, era temuta e vietata poiché un’eccesso di immaginazione poteva far impazzire la donna fino a farla ammalare e portarla alla morte. Nella prima metà del Seicento l’ignoranza delle donne era impressionante, dovuta soprattutto alla scomparsa di numerose scuole parrocchiali a seguito delle guerre di religione.

2.2 Gli stereotipi negativi nella storia

Come abbiamo già visto parlando del ciclo mestruale e delle credenze popolari a esso legate, dal Medioevo all’Ottocento anche la medicina e i trattati medici

1Ivi, p. 201.

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contribuirono al diffondersi di pregiudizi negativi sul sesso femminile. Fin dai tempi di Aristotele la donna era considerata tradizionalmente debole, collerica, bugiarda, perennemente in balia di sentimenti contrastanti ed era proprio l’utero, secondo le credenze, a condannarla a questa vulnerabilità. L’utero avrebbe condannato, dunque, la donna a un’inferiorità naturale. Secondo la medicina, uno dei simboli della femminilità era l’isteria, causata dalla mancanza di un uomo a fianco e curata attraverso il matrimonio. Anche la gravidanza agitava violentemente l’umore e l’equilibrio psicologico. Nel 1775 il medico e filosofo Pierre Roussel pubblicò un trattato dal titolo Système

physique et moral de la femme ou Tableau philosophique de la constitution, de l'État organique, du tempérament, des moeurs et des fonctions propres au sexe in cui

sottolineava il fatto che, in linea con il pensiero di Rousseau, fosse proprio il corpo femminile, con le tutte le sue caratteristiche e fragilità, a rimarcare la sua predestinazione alla maternità e sedentarietà: la fragilità delle ossa, i tessuti rilassati, l’abbondanza di fibre nervose, la limitatezza del cervello e la forma allargata del bacino.

Se diamo una rapida occhiata ai dipinti e alle varie rappresentazioni che vedevano la donna come protagonista, notiamo che l’immagine femminile era caratterizzata da una dicotomia netta: la donna era angelo o diavolo, era vita o morte, era Maria o Eva. La donna era situata sempre agli estremi opposti, come se non avesse diritto a una posizione intermedia. Il primo stereotipo che intendo analizzare è quello della prostituta: da sempre l’uomo la accetta e la rifiuta al tempo stesso poiché in questa figura si scontrano desiderio e morale. Le reazioni da parte della Chiesa e dello Stato furono molteplici e variarono di secolo in secolo a seconda dell’idea che si aveva della prostituzione. Quando si iniziò a voler regolamentare questa pratica, le municipalità crearono e finanziarono delle case di prostituzione dove le sgualdrine beneficiavano di

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comodità e igiene. Ma a partire dal 1520, con la Riforma e Controriforma avvenne un cambio di rotta e la prostituzione riprese ad essere condannata; molti paesi erano stati colpiti dalla sifilide e tante persone ne erano state contagiate, così che le prostitute erano ormai delle colpevoli da dover essere messe al bando, emarginate e marchiate. In Germania venne loro proibita la frequentazione della vita pubblica, erano identificate attraverso l’obbligo di indossare un vestito particolare e venivano sepolte in cimiteri appositi.

Anche in Francia, in particolar modo a Parigi, le forze dell’ordine repressero la prostituzione attraverso retate organizzate e provvedimenti molto severi, tra i quali l’esilio e la prigionia. La prostituta era quindi trattata esattamenete come una delinquente e nel 1747 venne istituito un opportuno corpo di polizia con lo scopo di sorvegliare le donne di piacere. Dopo dieci giorni dalla morte di Luigi XIV, avvenuta il 2 settembre 1715, la figlia del Reggente, la duchessa di Berry, organizzò balli, spettacoli, qualche gioco proibito e questo tipo di vita mondana diede origine alla cosiddetta «donna di mondo»1 trascinata dal puro gusto del piacere. Continuarono nel tempo i

tentativi di una regolamentazione, rendendo sempre più chiaro la reazione duale e contraddittoria che la prostituzione suscitava: era considerata una pratica indispensabile agli uomini, un fattore di ordine pubblico che, tuttavia, doveva venire arginato in un ambito ristretto, nascosto alla vista delle fanciulle ingenue ed oneste e sorvegliato dalla pubblica amministrazione. Se da un lato la prostituta acquisì prestigio e ottenne lo statuto di donna pubblica, dall’altro doveva vivere la sua condizione di nascosto e con vergogna.

C’è poi tutto un immaginario legato alla figura della strega. Intorno al 1400 nacque nell’immaginario popolare lo stereotipo della strega e la convinzione che la stregoneria fosse connessa esclusivamente alla natura

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femminile. Tra la metà del XIV secolo e la fine del XVII secolo la Francia contò circa 288 accusati di stregoneria registrati negli archivi dei tribunali. La repressione si fece sempre più severa e in Occidente crebbe la convinzione dell’esistenza di una setta di stregoni che fece un patto con il Diavolo per instaurare la sua religione sulla Terra e danneggiare gli uomini e Dio con i loro poteri malefici; e fu così che le calamità naturali e i mali della popolazione finirono per essere attribuiti a questi presunti stregoni. Dall’episodio della Genesi e della caduta derivò la credenza che la donna fosse più propensa alla tentazione demoniaca e al maleficio a causa della sua indole ribelle e della sua debolezza innata. Donne dalla sessualità sfrenata, le streghe si riunivano in assemblee notturne durante le quali rinnegavano la fede cattolica e adoravano Satana. I processi e i roghi aumentarono e la paura si diffondeva tra la gente. La società necessitava di individuare i colpevoli di ogni avvenimento, che si trattasse di morte o di epidemie o di raccolti scarsi non importava. Le prime ad essere attaccate furono sì le donne, ma in particolar modo quelle più vecchie, più brutte e più povere; si sospettava fortemente delle anziane poiché con l’avanzare del tempo la loro esperienza era più grande.

Per quanto dubbie fossero giudicate le capacità delle donne in parecchi campi, venivano tuttavia reputate capaci di compiere dei reati e di renderne conto alla legge: questo è il caso delle criminali, delle sovversive e delle rivoltose. Come la casa era il luogo di competenza femminile per eccellenza, così lo era anche per le eventuali trasgressioni o crimini minori. Colpevoli di gravidanze illegittime o adulterio, le donne non comparivano quasi mai davanti alla giustizia ma si preferiva cacciarle di casa, privarle di ogni protezione familiare, richiuderle in un convento o in una casa di correzione. Quando si trattava poi di dover scegliere tra il loro bambino e il lavoro per poter vivere, esse ricorrevano all’abbandono o, nei peggiori dei casi

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all’infanticidio. Il Codice penale del 1791 condannava l’aborto procurato con vent’anni di carcere. Si può così notare che le colpe più gravi che le venivano imputate erano quelle che andavano ad intaccare la sacralità della famiglia. Tuttavia, si contava anche un numero considerevole di donne implicate nei moti popolari dell’epoca moderna e rivoluzionaria. Erano loro ad occupare le prime file delle sommosse e ad incitare gli uomini a seguirle; gli uomini erano consapevoli di questa situazione e in un primo momento le accettavano per poi giudicarle in balìa di un sentimento contrastato di attrazione e repulsione.

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3. L’Ottocento

Gli storici collocano l’ Ottocento tra la Rivoluzione francese del 1789 e l’inizio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. Le apparenze di questo secolo ci fanno avere una visione più positiva riguardo alle donne: esse sembrano essere maggiormente libere e felici, ma non è che una pura illusione poiché, anche se fu un periodo ricco di importanti cambiamenti, gli obblighi e le limitazioni legate all’esistenza femminile vennero superate molto lentamente, con fatica e non sempre del tutto. Negli anni antecedenti la Rivoluzione francese il desiderio di riscatto delle donne si fece più forte. Nell’Ottocento nacque il femminismo e la donna iniziò a fare la sua comparsa sulla scena politica. In Francia le donne formarono la sans-culotterie femminile; la maggiorparte si riuniva nei club mentre le donne di ceto elevato sceglievano il salotto per esprimere la propria opinione sugli eventi circostanti. A partire dal 1789 le donne esposero le proprie rivendicazioni in opuscoli e petizioni, i quali venivano anche pubblicizzati a voce alta per strada dal momento di una loro eventuale pubblicazione. La Rivoluzione venne interpretata come un’occasione decisiva per attuare determinanti cambiamenti nella vita della donna, la quale chiedeva soprattutto di non essere esclusa dalla vita politica. Quasi del tutto dimenticata durante l’Impero, l’idea di emancipazione riapparve sotto la Restaurazione, espandendosi ampiamente durante il regno di Louis-Philippe. Alcune donne, così come gli uomini, iniziarono ad allinearsi alle idee di un partito; sotto la monarchia di Luglio ci fu un certo numero di donne che collaborarono con giornali politici o, addirittura, ne furono le fondatrici.

Mai si parlò tanto delle donne quanto nel XIX secolo. Una personalità di spicco durante la Rivoluzione francese fu la drammaturga Olympe de Gouges, i cui scritti venivano affissi addirittura sui muri delle case. Nel settembre del

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1791 pubblicò la Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne in cui pose l’accento sull’uguaglianza sociale e politica dell’uomo e della donna; i diciassette articoli che compongono l’opera incitano esplicitamente le donne alla mobilitazione per porre fine una volta per tutte allo sfruttamento su di esse da parte dell’uomo. La Déclaration di Olympe de Gouges ripercorreva fedelmente il modello della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 26 agosto 1789 che riconosceva a ogni individuo il diritto «alla libertà, alla proprietà, alla sicurezza, alla resistenza all’oppressione»1. Conseguentemente,

una volta acquisito lo statuto di individuo, ogni donna, così come ogni uomo, avrebbe diritto al libero pensiero e nel prendere scelte di vita personali in modo del tutto autonomo e al di fuori di ogni pregiudizio. La Rivoluzione francese riconobbe loro una personalità civile che gli veniva negata durante l’Ancien Régime.

Altri due testi importanti in linea con quello di Olympe de Gouges sono l’opuscolo Sur l’admission des femmes au droit de cité di Condorcet del 1790 e la

Vindication of the Rights of Woman del 1792 scritta dall’inglese Mary

Wollstonecraft. Se Olympe de Gouges metteva la questione politica in cima alle sue rivendicazioni, Condorcet e Mary Wollstonecraft davano la priorità rispettivamente allo status giuridico delle donne il primo e alla questione sociale la seconda, ma è più rilevante notare come tutti e tre si batterono a favore dei diritti delle donne. Per Mary Wollstonecraft la donna doveva avere il diritto di capire quale fosse il proprio ruolo nella società senza che gliene venisse assegnato solo uno al quale era costretta ad adeguarsi. Più provocatoria rispetto alla Wollstonecraft, Olympe de Gouges mantenne costante il tono provocatorio nel suo impegno politico fino a che non venne

1Duby G. e Perrot M., Storia delle donne in Occidente – L’Ottocento, a cura di Geneviève Farge e Michelle Perrot, Bari, Laterza, 1997, p. 37.

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ghigliottinata nel 1793. Nonostante alla fine del XVIII secolo le donne non godessero un po’ ovunque dell’uguaglianza politica, possiamo rimarcare che nei paesi latini e in quelli germanici esse riuscirono a conquistare minori libertà e con più fatica rispetto a quanto avvenne nei paesi dominati da un liberismo di essenza protestante, come l’Inghilterra, dove acquisirono più velocemente alcuni poteri politici locali. In Francia anche gli scritti del filosofo francese Charles Fourier suscitarono scalpore: fino al 1830 erano quasi sconosciuti poiché avevano una circolazione limitata. La sua era una concezione più legata alla libertà che all’uguaglianza, una libertà che doveva essere goduta sia dalle donne che dagli uomini e il suo pensiero si basava sull’idea che il grado di libertà degli individui determinasse la felicità e il progresso dell’umanità intera.

In seguito alla Rivoluzione la questione femminile interessò anche i dibattiti filosofici: alcuni, come Pierre Leroux, Marx o Stuart Mill, si affiancarono favorevolmente alle richieste delle donne, mentre quelli contrari si allinearono alla filosofia di Kant e Schopenauer. Quest’ultimo pubblicò nel 1851 il trattato L’arte di trattare le donne, dove l’inferiorità delle donne viene continuamente posta in primo piano nei vari capitoli in cui sono descritti principalmente i pregi e i difetti della donna, la sua natura e i suoi compiti, riguardanti come sempre esclusivamente la famiglia, la procreazione e la sottomissione. Nel L’origine dell’uomo del 1871, Darwin era convinto che la disuguaglianza tra uomo e donna non avrebbe mai trovato una soluzione in quanto i progressi compiuti in età adulta, in questo caso dall’uomo, si potevano trasmettere solo all’interno dello stesso sesso. Possiamo, dunque, notare con amarezza come il progresso della civiltà e l’avanzare dei secoli non avessero ancora portato all’eliminazione dei medesimi e costanti stereotipi legati alla donna. Ancora nel 1880, con l’enciclica Arcanum, il papa Leone XIII

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rafforza la supremazia maritale asserendo che «l’uomo è il capo della donna come Cristo è il capo della Chiesa»1.

Altre rivendicazioni molto importanti e fortemente sentite dalle donne furono quelle legate all’istruzione. Come le donne iniziarono ad uscire dalla loro ignoranza, pretesero delle conoscenze e un’educazione pari a quelle impartite agli uomini. Per Talleyrand l’istruzione doveva essere accessibile a tutti e la società doveva proporre gli stessi generi di insegnamento a entrambi i sessi. Nonostante la legge del 28 giugno 1836 volta all’apertura di scuole femminili in Francia, bisognerà attendere fino al 15 marzo 1850 affinché i comuni con più di cinquecento abitanti siano obbligati ad aprire una scuola elementare apposita per le fanciulle, senza affidare la loro istruzione esclusivamente alle scuole parrocchiali. Sarà poi con le leggi del 1882 e del 1886 che nascerà un modello di scuola primaria pubblica e laica. Ancora per tutto il XIX secolo e anche per buona parte del secolo successivo, le letture femminili venivano severamente controllate e i romanzi continuavano ad essere giudicati come i più pericolosi per loro. Rousseau affermò che «Une honnête fille ne lit point de livres d’amours»2 e quest’idea veniva concordata sia dai

laici che dai cattolici, entrambi preoccupati dalle incontrollabili reveries che alimentavano l’adolescenza femminile. Seguendo la massima del leggere poco e leggere bene, il vescovo di Orléans stilò una lista contenente tutti gli autori consentiti nelle letture per le donne che includeva i grandi autori francesi del Seicento (come Pascal, Corneille e Racine) ed escludeva completamente il Settecento e l’Ottocento, salvo alcuni poeti cristiani. La Chiesa divideva con rigore i libri buoni e i libri cattivi, bandendo la letteratura e le scienze esatte.

1Ivi, p. 160.

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3.1 Verso l’indipendenza

Era il matrimonio a conferire alle ragazze un’identità sociale ed è per questo motivo che le ragazze sole per i più svariati motivi faticavano a trovare un posto dignitoso nella società contemporanea. Innanzitutto, prendendo in considerazione il caso delle ragazze madri, è importante sottolineare che l’opinione pubblica ammetteva in qualche modo lo stupro; addirittura le donne che avevano subito tale violazione non erano degne né di stima né tantomeno di considerazione in quanto avrebbero ceduto a un atto peccaminoso, benché questo fosse stato forzato. La donna doveva così far affidamento alle proprie sole risorse e, in caso avesse deciso di far nascere il bambino nel suo grembo, doveva fare una difficile scelta tra l’abbandonarlo o crescerlo da sola. Nei paesi latini e cattolici l’abbandono era favorito dalle municipalità stesse rimettendo in vigore le ruote degli ospizi dopo la loro precedente chiusura durante la Rivoluzione. Da un lato ciò ridusse i casi di infanticidio, ma dall’altro diede anche alle coppie legittime una facilitazione per sbarazzarsi di un figlio che poteva risultare più o meno ingombrante. In Francia l’ultima ruota fu abolita nel 1860 e vennero aperti degli uffici appositi dove l’abbandono continuò a essere permesso, ma l’anonimato diverrà nuovamente possibile solo a partire dal 1904.

Per mantenersi da sola, la donna doveva lavorare; il servizio domestico diventerà sempre più un lavoro femminile, ma sarà spesso sentito come una professione transitoria e in preparazione al matrimonio. La prostituzione, poi, veniva scelta da molte per aumentare i propri miseri salari e, al contrario di quello che si possa pensare, le prostitute potevano permettersi generalmente un tenore di vita più elevato rispetto alle altre donne, avendo a disposizione una quantità di denaro paragonabile a quella degli uomini. Anche se la donna lavoratrice esisteva già negli anni passati, con l’avvento del capitalismo

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industriale questa figura venne avvertita come un problema che necessitava una risoluzione immediata. Con l’industrializzazione del XIX secolo la divisione sessuale del mercato del lavoro divenne ancora più netta; solo alcuni lavori erano permessi alle donne e i salari a cui avevano diritto erano quasi sempre al di sotto della soglia di sopravvivenza. All’Esposizione del 1867 un delegato francese stabilì che all’uomo spettava il legname e i metalli mentre «alla donna la famiglia e i tessuti»1. Per l’opinione pubblica non c’era affatto

compatibilità tra il lavoro e la maternità; «una donna che lavora non è più una donna»2, questo è quanto affermò il legislatore francese Jules Simon. Il lavoro

delle donne veniva accettato solamente per brevi periodi e nel caso il marito non riuscisse da solo a mantenere la famiglia.

Ciò nonostante, durante la Rivoluzione industriale un numero sempre più crescente di donne entrò a lavorare prima nell’industria tessile e poi anche nelle miniere. Questo era dovuto anche al fatto che le donne costavano meno degli uomini e grazie alla loro esile corporatura potevano essere mandate nei punti più nascosti delle miniere. Il loro contributo fu notevole, ma sebbene riuscirono ad ottenere il diritto di lavorare nelle industrie, non ottennero ancora quello di dirigerle. Spesso erano sottomesse all’autorità crudele del datore di lavoro, il quale poteva permettersi di non pagarle o addirittura di non chiamarle, lasciandole in un continuo stato di incertezza. Inoltre dovevano comunque continuare ad occuparsi della famiglia, avendo così una sorta di doppio lavoro. La presenza delle donne nelle fabbriche non era di certo visto di buon occhio dall’opinione pubblica; numerose lettere di protesta furono indirizzate ai dirigenti delle fabbriche poiché questo veniva considerato come una sovversione naturale. Alcune donne, invece, decisero di

1Ivi, p. 365.

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intraprendere la carriera artistica: le prime appartenevano all’aristocrazia, poi alla borghesia. La pittura le attirava particolarmente e se anche nessuna arrivò ai livelli più alti molte furono fortemente apprezzate dai loro contemporanei. Centonovantuno donne esposero le proprie opere al Salon del 1833, secondo quanto riportato dal Journal des femmes. Si approcciarono a ogni tipo di pittura, maggiormente alla pittura religiosa: le opere appartenenti a questo genere furono numerosissime. Si trattava di una strada difficile da intraprendere partendo dal presupposto che il concetto di genialità apparteneva esclusivamente alla sfera maschile, mentre la femminilità vi era opposta e si riteneva che coloro che aspiravano al settore artistico tradissero il loro destino di madre e moglie all’interno delle mura domestiche. Le pressioni e i pregiudizi furono tali da far sentire talvolta in colpa le donne stesse, che si imponevano da sole di non oltrepassare alcuni limiti: per fare un esempio, nella pittura le donne della borghesia non rappresentavano nulla che fosse al di fuori della vita domestica e dell’ambito familiare. Non tutti, però, erano completamente contrari alla possibilità di un’istruzione artistica rivolta alle donne: c’era anche chi sosteneva che non tutte, in particolar modo le nubili, avevano le possibilità di rimanere a casa per tutta la loro vita e che questo tipo di formazione non avrebbe danneggiato la femminiltà, anzi l’avrebbe valorizzata. Un critico affermò che la caratteristica della pittura femminile di quest'epoca recava, «à côté d'inspirations très heureuses, le manque des premiers principes de leur art»1, in mancanza dei quali non potevano elevarsi

ai primi livelli. Ma come sottolineava lo stesso critico la colpa non era delle donne bensì delle istituzioni che vietavano loro l'accesso alla Scuola delle Belle Arti, l'unico luogo dove potevano apprendere questi indispensabili principi.

1Abensour L., Le feminisme sous la monarchie de juillet, «Revue d'histoire moderne et contemporaine», (XV), 1911, pp. 324- 347.

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Parigi divenne il centro dell’arte mondiale e fu proprio nella capitale francese che due donne fondarono nel 1803 l’École gratuite de dessin pour les jeunes filles, una tra le prime scuole d’arte femminili sovvenzionate pubblicamente e che venne presa a modello dagli altri paesi per la costruzione di istituti simili. Nelle scuole femminili pubbliche la preparazione artistica divenne una parte essenziale del percorso di studi e si vennero così a creare anche nuovi posti di insegnamento per le donne.

Per quanto riguarda il desiderio di scrittura, il genere letterario allora più coltivato dalle donne e che ebbe più successo fu la poesia. Ci sono rimaste le testimonianze di molte poetesse dimenticate nella nostra epoca ma molto apprezzate dai loro contemporanei, quasi al pari dei poeti a loro contemporanei, come Louise Colet, Anaïs Segalas, Amable Tastu e Gabrielle Soumet; la più celebre tra le poetesse di allora fu Mme Desbosdes-Valmore. Le romanziere furono meno numerose delle poetesse; scrivere un romanzo richiedeva lavoro e tempo maggiori di quelli della poesia. Tuttavia, ci sono state donne che sperimentarono quasi tutti i generi di romanzo. Nel suo primo periodo letterario, George Sand si incentrò sui romanzi filosofici, occupandosi soprattutto della condizione delle donne sposate. Un certo numero di donne, infine, si dedicò alla musica.

Il viaggio si inserì lentamente nel percorso educativo delle ragazze, prima nei paesi di religione protestante e poi in quelli cattolici, costituendo la fase conclusiva di esso. La donna che usciva di casa e viaggiava però, soprattutto se da sola, non finì ancora di destare sospetto e scalpore. Rousseau scriveva a D’Alembert: «Ogni donna che si fa vedere si disonora»1. Le donne

appartenenti alle classi più elevate iniziarono ad avere maggiori occasioni per le uscite grazie allo sviluppo del turismo e alla moda delle cure termali. Uno

1Duby e Perrot, L’Ottocento cit., p. 460.

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dei modi per dissuaderle era quello di sovraccaricarle di doveri e attenzioni da assumere, come il rispetto di orari predeterminati, la preoccupazione per i bagagli, l’eventualità di cattivi incontri, e altro ancora. I medici stessi cercavano di frenare i loro entusiasmi sottolineando i pericoli per la loro salute cagionevole, come i danni causati dal sole sulla pelle e gli spostamenti frenetici che avrebbero danneggiato i loro organi interni. La donna del XIX secolo era trattata, infatti, come una perenne ammalata. Secondo gli studi medici illuministici la vita di una donna era costituita da eventi e situazioni più o meno deleteri per il suo fisico e per il suo equilibrio mentale: i più significativi erano la pubertà, la gravidanza, il parto e la menopausa. A questi si aggiungevano poi malattie specifiche che variavano da soggetto a soggetto e il ciclo mestruale che rischiava di intaccare irreversibilmente il sistema nervoso. L’isteria divenne la malattia femminile per eccellenza e verrà considerata da alcuni come una condizione inevitabile per la natura femminile, quasi una propensione. I dottori accusavano in primis la vita di città, che rischiava di deviare il sesso debole dal suo ruolo predefinito, cioè di madre e moglie come abbiamo ormai ripetuto più volte. La realtà era, però, ben diversa ed erano proprio le funzioni e lo status sociale che le venivano imposti a nuocerla sia fisicamente che psicologicamente.

Dopo secoli e secoli di clausure, costrizioni e giudizi infamanti, le donne cominciarono a dar voce alle proprie idee e rivendicazioni in maniera più evidente. L’aspirazione a un’indipendenza economica e all’accesso alla politica e al mondo del lavoro le porterà ad unirsi in associazioni e a dare inizio a quello che verrà poi classificato sotto il nome di Femminismo. Gli albori di tale movimento sono da ricondurre a personalità come Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft, già menzionate precedentemente. Attraverso il loro pensiero e le loro opere possiamo notare come il femminismo si fosse diramato

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in correnti diverse, principalmente due: la corrente egualitaria e la corrente dualista. La prima fondava le proprie radici sulla tradizione illuministica e rivoluzionaria dell’individualità, per cui uomo e donna dovevano essere considerati uguali in quanto entrambi cittadini e appartenenti al genere umano. Tutti gli individui dovevano quindi godere degli stessi diritti, proprio come sosteneva Mary Wollstonecraft e di conseguenza la donna doveva essere libera di poter intraprendere ogni tipo di lavoro e carriera e di essere padrona del proprio destino esattamente come l’uomo. La seconda corrente, invece, sottolineava la differenza tra uomo e donna, postulando un eterno femminismo: Olympe de Gouge, che si inseriva in questa corrente, costruì la propria opera sulla delineazione dell’identità femminile di genere, ponendo al centro l’istinto materno sia come carattere fisico che come carattere psico-sociale proprio della donna. Il dualismo andava così a scontrarsi contro la società patriarcale e tutti i valori e doveri a essa connessi, rimettendo in discussione il rapporto uomo-donna e il posto della donna all’interno della famiglia e della società. I due gruppi femministi erano in conflitto tra di loro e si accusavano, quindi, reciprocamente o di troppa audacia o di troppa timidezza. Il 15 settembre del 1833 una redattrice del Journal des Femmes, Laure Bernard, fece apparire un articolo intitolato Femmes, gardons notre esclavage tel

qu'il est, sottolineando ancora una volta l'impossibilità per la donna di essere

uguale all'uomo. Aggiunse anche che le donne nel matrimonio non erano così tristi come alcune tra loro volevano far credere e che gli uomini che si comportavano da tiranni costituivano una piccola eccezione. E anche in quel caso, il dovere della donna era quello di soffrire in silenzio. Insomma, le teorie femministe riscontravano tra le donne un numero ristretto di adesioni.

Tra gli uomini alcuni erano favorevoli e tra questi ricordiamo alcuni personaggi in vista, soprattutto scrittori, come Chateaubriand, mentre tra gli

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oppositori riscontriamo uomini politici in vista a quel tempo come, per esempio, Mauguin, il quale in una serata presso La Fayette sostenne che «par sa nature, par l'organisation de son cerveau, par son intelligence, par son sang, la femme est inférieure à l'homme et doit être et sera toujours inférieure à l'homme»1. Guirot, parlando di suffragio universale, affermò che «le droit de

suffrage n'appartient pas aux femmes. La Providence a voué les femmes à l'existence domestique»2 e Odilon Barot disse che «la nature a assigné à chaque

sexe sa vie et sa condition. La femme qui a le malheur d'en sortir est un monstre de l'ordre moral»3. Dopo la Rivoluzione del 1848 il numero di

associazioni formate dalle donne, benché di breve durata per la maggior parte dei casi, aumentò considerevolmente, portando anche a un incremento della stampa femminile: in Francia i due giornali per eccellenza fondati da donne erano La Voix des Femmes e L’Opinion des Femmes. Escluse dal suffragio, le femministe ricercavano un’identità pubblica. E’ importante ricordare la lotta delle donne borghesi affinché la donna sposata avesse diritto alla libera amministrazione dei propri beni.

3.2. La donna borghese e il matrimonio

L’Ottocento è senza dubbio il periodo più interessante da analizzare per quanto riguarda la donna e tutti gli aspetti di vita quotidiana a lei connessi. Dopo la presa della Bastiglia del 14 luglio 1789 iniziò l’ascesa della borghesia, che colse l’occasione di uscire dal Terzo Stato per differenziarsene e ricercare una propria identità. I valori della borghesia erano fondati su tre pilastri dominanti: il lavoro, la religione e la famiglia. Napoleone Bonaparte,

1Abensour L., Le feminisme sous la monarchie de juillet, cit., p. 12. 2Ivi, pp. 12-13.

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incoronatosi Imperatore dei Francesi nel 1804, elaborò in quello stesso anno il Codice Napoleonico contenente alcuni principi cardine della Rivoluzione francese. Di rilevante importanza è il fatto che il Codice conferiva all’uomo il potere totale sulla donna: moglie e figli si sottomettevano alla figura dominante del padre in quanto fondatore della famiglia. Nel regime borghese la donna era considerata importante e pericolosa allo stesso tempo poiché era colei che garantiva la procreazione, ma era anche l’unica che conosceva il padre dei suoi figli. L’illegittimità e il tradimento erano due degli aspetti che suscitavano più paura all’interno della società borghese, motivo per il quale il Codice Napoleonico prevedeva leggi particolarmente dure nei confronti della donna adultera. Se in Ancien Régime l’adulterio era tacitamente accettato, nell’Ottocento diventa un’ossessione e la causa principale dell’infelicità nei matrimoni secondo l’opinione pubblica. Il matrimonio diventa l’elemento centrale, in grado anche di permettere un’ascesa sociale; il ricco borghese aveva il fine di far sposare i propri figli, soprattutto le femmine, con degli aristocratici. All’interno delle famiglie i ruoli erano perfettamente divisi e distribuiti, continuando a relegare la donna nel ruolo prefissato di madre e moglie sottomessa e economicamente dipendente dal marito, il quale lavorava, guadagnava e deteneva il potere. Solo nelle fasce inferiori la donna contribuiva all’attività lavorativa del marito. Oltre al denaro guadagnato, al marito apparteneva anche la dote della consorte. Veniva data molta importanza all’apparenza e la donna veniva educata all’estrema discrezione e a non mettersi mai in mostra per evitare il rischio inaccettabile di porre il marito in secondo piano. Il pudore era quindi alla base della brava donna borghese. La condizione migliore per la donna borghese era quella della vedova, la quale poteva gestire il proprio patrimonio e scegliere di trovare un altro marito.

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Grazie al Codice Napoleonico il matrimonio divenne una sorta di contratto obbligatorio. I due futuri consorti erano sottoposti al volere delle famiglie, perciò il matrimonio risultava valido solo con il consenso delle due famiglie, sottolineando che in caso di disaccordo si teneva conto solo del consenso del padre. Spesso troviamo nel Codice delle contraddizioni che confermano la volontà di mostrare qualcosa che aldilà delle apparenze non era effettivamente così. Ne sono un esempio l’articolo 212 e 213: il primo affermava che i coniugi avevano l’obbligo di fedeltà reciproca, soccorso e assistenza, ma l’articolo seguente stabiliva che il marito aveva il compito di proteggere la moglie e la moglie doveva obbedire al marito, smentendo così la situazione di parità asserita poco prima. La donna doveva vivere obbligatoriamente con il marito nel domicilio da lui scelto e se da un lato l’articolo 1421 sanciva la comunione dei beni, dall’altro lato l’articolo 1540, concernente il regime dotale, fissava la piena libertà del marito nell’amministrazione della dote mentre la moglie poteva attingervi solo una volta l’anno per il proprio mantenimento, senza superare una cifra prestabilita. Anche per quanto riguarda le multe ricevute si aveva una disparità di trattamento: le multe del marito venivano pagate sui beni comuni mentre le multe della moglie venivano pagate unicamente sui suoi beni personali.

Rispetto al Codice la donna è considerata una mineure poiché è costantemente sotto una tutela, prima del padre e poi del marito. Una volta sposata, la donna non poteva fare nulla liberamente, ma dipendeva costantemente dalle decisioni del marito. Moglie e marito non godevano neanche degli stessi diritti civili: secondo l’articolo 215 la donna non poteva testimoniare in tribunale senza il consenso del marito, ad eccezione dei casi criminali. Inoltre, senza il consenso del marito, la moglie non poteva ipotecare

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o comprare nulla, allo scopo di difendere i beni familiari. In caso di dissoluzione del matrimonio a seguito di un decesso, di una condanna o di un divorzio legale, la donna non poteva risposarsi prima che fossero passati 10 mesi; solo così si poteva proteggere la legittimità e la discendenza certa. L’adulterio, come abbiamo già detto, era considerato un fatto molto grave e negativo che costituiva causa di divorzio. Tuttavia, anche in questo caso le disparità non mancavano: il marito poteva chiedere il divorzio a seguito di qualsiasi forma di adulterio da parte della moglie, mentre la moglie poteva averne diritto solo qualora il marito avesse fatto abitare l’amante nel domicilio coniugale. Anche le pene conseguenti erano totalmente differenti: l’adulterio causava alla donna il pagamento di una multa piuttosto alta e una detenzione tra i 3 mesi e i 2 anni in una maison de correction, con la conseguente perdita di tutti i diritti precedentemente acquisiti con il matrimonio; al marito, invece, bastava pagare una esigua sanzione.

3.2.1 La Physiologie du mariage

Vorrei ora soffermarmi in particolare sull’analisi di un saggio di Honoré de Balzac, apparso nel 1828 sotto il titolo Physiologie du mariage ou méditations

de philosophie éclectique, sur le bonheur et le malheur conjugal, publiées par un jeune célibataire, che si occupa per l’appunto del matrimonio, ma in un’ottica

prevalentemente ironica e provocatoria. Il testo suscitò subito scandalo, tuttavia la sua pubblicazione fu presto considerata un avvenimento di tale importanza da far nascere la voglia di scoprire chi si nascondesse dietro la firma anonima di «jeune célibataire»1. Da rimarcare la prima frase

dell’introduzione «Le mariage ne dérive point de la nature»2: il matrimonio,

1http://librairie.immateriel.fr/fr/read_book/9782824710518/#pct0 (consultato il 22/10/2014) 2Balzac H., Physiologie du mariage, Bibebook, 2015, [1829] p. 3.

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dunque, ci viene presentato fin dall’inizio come un qualcosa di innaturale. E ancora: «La famille orientale diffère entièrement de la famille occidentale. L'homme est le ministre de la nature, et la société vient s'enter sur elle. Les lois sont faites pour les moeurs, et les moeurs varient»1. Sono tutte frasi che Balzac

sentì pronunciare da Napoleone davanti al Consiglio di Stato nel mezzo della discussione del Codice Civile e che gli diedero lo stimolo di iniziare a scrivere quest’opera.

Le mariage peut être considéré politiquement, civilement et moralement, comme une loi, comme un contrat, comme une institution: loi, c’est la reproduction de l’espèce ; contrat, c’est la transmission des propriétés ; institution, c’est une garantie dont les obligations intéressent tous les hommes : ils ont un père et une mère, ils auront des enfants.2

La società considerava in questi termini l’unione coniugale, come una legge, un

contratto e un’istituzione; tutti gli uomini sentono il bisogno della riproduzione,

come tutti hanno fame e sete.

L’autore, poi, racconta degli aneddoti che lo influenzarono nel trattare il tema del matrimonio, primo fra tutti un ricordo di quando era a Gand e una vedova da circa 10 anni, affetta da una malattia mortale, giaceva nel suo letto assistita costantemente da tre ereditieri che non la lasciavano sola neanche per un istante per la paura che lei potesse fare un testamento interamente a profitto del beghinaggio3. L’attenzione, dunque, è interamente riposta sui soldi a

discapito dei sentimenti. Il secondo aneddoto, invece, sottolinea l’importanza del ruolo di madre. Balzac assistette a una discussione tra due dame; la più anziana tra le due, la duchessa, dopo aver affermato che in generale le donne

1Ibidem.

2 Ivi, p. 70.

3 Una beghina è una donna appartenente a particolari comunità cristiane laiche del Nord Europa che si rifacevano alla religiosità evangelica.

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non facevano altro che amare degli sciocchi, si rivolse all’autore dicendogli: «Vous trouverez peut-être des maris disposés à vous abandonner leurs femmes; mais aucun fils ne vous abandonnera sa mère»1.

Il testo è diviso in molteplici meditazioni: nella prima parte, quella recante le considerazioni generali, Balzac anticipa che parlerà delle leggi insensate a riguardo del matrimonio. Innanzitutto menziona l’argomento dell’adulterio e dell’articolo del Codice che sancisce delle pene pesanti per le donne adultere in ogni caso mentre punisce l’uomo adultero solo nell’eventualità della convivenza con la sua concubina sotto il tetto coniugale: di certo questa legge ammetteva implicitamente delle amanti in città in Francia. Le leggi sull’adulterio avevano bisogno di grandi modifiche. Fin dall’inizio Balzac presenta il matrimonio come un aspetto problematico e difficile in tutte le sue fasi:

Cependant voici ma première proposition : le mariage est un combat à outrance avant lequel les deux époux demandent au ciel sa bénédiction, parce que s’aimer toujours est la plus téméraire des entreprises ; le combat ne tarde pas à commencer, et la victoire, c’est-à-dire la liberté, demeure au plus adroit.2

Il matrimonio è quindi visto come un unione che non resta tale, bensì si trasforma presto in uno scontro, un combattimento fra i due sposi che si contendono la libertà.

La seconda meditazione verte su una statistica di tipo coniugale: in Francia numerosi erano i censimenti, ma nessuno si era ancora occupato di

1Ivi, p. 10.

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calcolare il numero delle donne oneste. All’epoca sul territorio nazionale francese si contavano circa trenta milioni di abitanti. Tutta una serie di elementi caratterizzano la donna, alcuni dei quali rispecchiano gli ormai noti stereotipi femminili: la donna si riconosce generalmente dal candore, finezza e dolcezza, la voce penetrante, i movimenti graziosi; ama spazzolarsi i capelli, curare le proprie unghie e non pratica alcun lavoro faticoso. Lo scopo di tutte le sue azioni è quello di amare ed essere amata. Tuttavia resta difficile riconoscere la vera donna onesta poiché monostante la sua fragilità apparente a volte porta dentro di sé fardelli per molti insostenibili.

Pour nous et pour ceux auxquels ce livre est destiné, une femme est une variété rare dans le genre humain, et

dont voici les principaux caractères physiologiques.1

Estremamente curiosa, il suo spirito la porta costantemente verso l’ignoto. Tra tutte le donne che giungevano a Parigi o nelle grandi città solo alcune arrivavano ai rami più alti e la maggioranza restava tra la servitù.

La vita della donna si divideva, secondo l’autore, in tre epoche ben distinte: la prima cominciava nella culla e terminava con l’adolescenza; la seconda abbracciava gli anni durante i quali una donna era sposata o comunque era nell’età da matrimonio; la terza era quella critica in cui cessavano tutte le passioni. Ed è proprio a questo punto che Balzac preannuncia l’idea che sosterrà per tutto il saggio, cioè che tutte le donne prima o poi avrebbero ingannato i propri mariti ed è evidente così che, di conseguenza, il numero delle donne oneste e virtuose si riduceva notevolmente. La domanda sorge spontanea: come scegliere una donna

1Ivi, p. 24.

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