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Il Crowdsourcing - Implementazione di un business model e la ricerca di solutori

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FACOLTA’ DI INGEGNERIA

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA DELL’ENERGIA,

DEI SISTEMI, DEL TERRITORIO E DELLE

COSTRUZIONI

Relazione per il conseguimento della laurea magistrale in

Ingegneria Gestionale

Il Crowdsourcing

– Implementazione di un modello

di business e la ricerca di solutori

RELATORI IL CANDIDATO

Prof. Ing. Gualtiero Fantoni Francesco Giuseppe Pezzuto

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2

INDICE

Sintesi e Abstract……….……….………5

Prefazione………..………6

1. Il Crowdsourcig……….9

1.1.1 La saggezza della folla……….……….10

1.1.2 L’intelligenza distribuita……….………...11

1.1.3 Il Crowdsourcing non è un open source……….………...13

1.1.4 I costi e i guadagni……….………15

1.1.5 Le possibilità della folla……….………...15

1.1.6 Affrontare la folla……….……….16

1.1.7 Un programma di ricerca sul Crowdsourcing……..………..…18

1.1.8 Conclusioni……….………...19

1.2 La Co-creazione……….21

1.2.1 I 4 tipi di co-creazione……….………..22

1.2.2 I 5 principi guida nella co-creazione………….………24

1.3 Crowdsourcing: cosa può essere esternalizzato alla folla e

perché……….29

1.3.1 Open Innovation……….………...30

1.3.2 User Innovation……….………32

1.3.3 Open Source……….……….33

1.3.4 Verso una descrizione di Crowdsourcing……….……….34

1.3.5 Crowdsourcing Routine Tasks………..……….35

1.3.6 Crowdsourcing Complex Tasks……….….………...37

1.3.7 Crowdsourcing Creative Tasks……….……….39

1.3.8 Costi e Benefici del Crowdsourcing……….……….41

1.3.9 La qualità degli output……….………..42

1.3.10 I rischi……….………...42

1.3.11 Conclulsioni……….………..43

2. Le maggiori piattaforme di Crowdsourcing a confronto……....45

2.1 Innocentive……….………...46

2.1.1 I servizi offerti……….………...…………...47

(3)

3

2.2 Redesignme……….………..50

2.2.1 Servizi offerti……….………51

2.3 Chaordix – Crowd Intelligence……….………....53

2.3.1 Servizi Offerti……….………...54

2.3.2 IPR degli utenti……….……….55

2.4 OpenIdeo……….………..56

2.4.1 IPR degli utenti……….……….57

2.5 IdeaConnection……….………...………..59

2.5.1 I servizi offerti……….………..59

2.5.2 IPR degli utenti……….……….60

2.6 Quirky……….………...61

2.6.1 I servizi offerti……….………..62

2.6.2 IPR degli utenti……….……….63

2.7 Atizo……….……….64

2.7.1 I servizi offerti……….………..64

2.8 Battle of concepts……….……….65

2.9 Istockphoto……….………...67

2.9.1 I servizi offerti……….………..68

2.10 Confronto tra le piattaforme……….……….69

3. Concepire un Busimess Model basato sul Crowdsourcing……..71

3.1 Innocentive……….………...83

3.1.1 Conclusioni……….………...91

3.2 Quirky……….………...93

3.3 OpenIdeo……….………..98

3.3.1 Come funziona OpenIdeo……….………...100

4.

La Piattaforma LILIT………..105

4.1 Il Leaning Lab – Il Living Lab di Pisa….………111

4.2 Il progetto LILIT……….……….114

4.2.1 Il Crowdsourcing collaborativo e LILIT……….……….115

4.2.2 Un modello di Business applicabile a LILIT………….………..131

4.2.3 Il Business Model Canvas di LILIT……….………139

5. Ricerca di solutori attraverso i social network……..………….161

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5.2 LinkedIn……….……….165

5.3 Researchgate………..………..167

5.4 Possibili evoluzioni future……..……….169

6. La voce degli utenti……….……...179

6.1 I questionari……….………179

6.2 Le risposte degli utenti……….………189

6.3 I dati estratti……….………....201

6.4 Giudizi finali……….………...……209

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SINTESI

Questo elaborato può essere diviso in due diverse sezioni tra loro correlate ma con finalità completamente distinte, ed in particolare, l’una è indipendente dall’altra. La seconda parte vede, rispetto alla prima, un lavoro più proiettato alla ricerca ed all’analisi. Qui l’obiettivo preposto è stato quello di capire quale sia la fonte migliore in cui cercare ipotetici solutori i quali faranno parte, in maniera individuale o in team appositamente creati, a sfide o più in generale a risoluzione di problemi (attività di problem solving), secondo la logica del crowdsourcing. Questi problemi possono riguardare i settori più disparati, dal meccanico al farmaceutico.

Prima di giungere a questo risultato però, nella prima sezione che lo anticipa, sono state esposte le principali piattaforme di crowdsourcing europee ed americane, le loro linee guida, i loro servizi e i loro modelli di business, ovvero con quali modalità ottengono ricavi e come elargiscono (eventuali) ricompense ai loro utenti/vincitori. Per rendere la parte appena citata più vicina alla nostra dimensione, geografica ed accademica, è stata affrontata la modellazione di un possibile modello di business che si possa adattare al meglio alle dinamiche di LILIT, la piattaforma di crowdsourcing dell’Università degli Studi di Pisa, progetto giovane ed ancora in espansione, il quale, prendendo spunto dai protagonisti in questo campo, esposti in precedenza, cerca di conquistare terreno in una realtà che in Italia fatica ad esplodere, il Crowdsourcing.

ABSTRACT

This script can be divided into two different sections related to each other but with two completely different purposes. In particular, the first one can be cosidered independent from the second one. The second part shows, compared to the first, a work consisting of research and analysis activity. Here the proposed target was to understand which is the best source whence to search hypothetical solvers who will form part of challange or more generally in problem solving activities, in an individual manner or in a team specially created, according to the logic of crowdsourcing. These problems may include many specific areas, from mechanical to pharmaceutical.

Before reaching this result, however, in the first section, it is been exposed the European and American major crowdsourcing platforms, their guidelines, their services and their business models, and how they get revenue and as lavish (in some cases) rewards to their users / winners. To make the just quoted closest to our size, geographical and academic, it was addressed the modeling of some hypothetical business models that can be better adapt to the

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dynamics of LILIT, the crowdsourcing platform of the University of Pisa. LILIT is a young and still expanding project, and taking inspired by the protagonists in this field, as stated above, it is trying to catch on in a reality that in Italy struggles to explode, the Crowdsourcing.

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PREFAZIONE

Le ragioni che hanno spinto ad intraprendere questo studio risiedono principalmente nella scarsa presenza di fonti, ed ancora poco diffusa attività, sul territorio nazionale per quel che riguarda l’attività di Crowdsourcing.

Proprio per la sua ancora poco diffusa conoscenza nel nostro Paese, le prime parti che compongono questo lavoro hanno la finalità di introdurre il lettore al mondo del crowdsourcing. Si è cercato di presentare questo concetto ed il suo ampio contesto con una visione a tutto tondo, così da permettere a chiunque di poter apprendere al meglio l’oggetto della trattazione, anche a coloro i quali non abbiano la minima conoscenza dell’argomento, così da poter facilitare i vari passaggi e collegamenti tra il concetto puramente teorico di crowdsourcing e l’applicazione pratica dello stesso nel mondo reale.

Si vedranno anche le diverse modalità con cui applicare questa innovativa metodologia di ricerca, quali possibilità offre, e quali rischi, sia da un punto di vista economico-finanziaro che da un punto di vista gestionale, i suoi punti di forze ed i suoi punti di debolezza, e le differenti strade che è possibile intraprendere per manipolare tutto il potenziale che il crowdsourcing può offrire, nel modo che meglio si adatta al tipo di azienda o società in generale con cui abbiamo a che fare.

Saranno inoltre affrontate brevemente anche tutte quelle tecniche di problem solving che tanto si avvicinano al crowdsourcing ma che da esso comunque differiscono per alcuni dettagli più o meno rilevanti, tecniche le quali sfruttano, proprio come il crowdsourcing, quella fonte inesauribile di idee che è la folla ed il web 2.0, al fine di sottolineare le differenze principali.

Per dare un’impronta pratica di quello che è stato appena citato, verranno esaminate nel dettaglio alcune tra le piattaforme più rilevanti del mondo occidentale, i loro servizi, il loro o i loro campi di applicazione, le modalità con le quali sono solite trattare i loro utenti, con quali metodologie utilizzano il crowdsourcing e come da questo ne traggono profitto. Come conclusione di questa prima parte, sarà esaminata, al pari delle precedenti e più importanti, la piattaforma di crowdsourcing dell’Università di Pisa, LILIT, le sue origini ed i suoi obiettivi. In merito a ciò verranno elencati alcuni differenti modelli di business che potrebbero essere applicati a LILIT, per poi indicarne uno soltanto, quello che a discrezione dell’autore potrebbe dimostrarsi essere il più efficace nel contesto di riferimento della piattaforma, ovvero Pisa, Toscana, Italia.

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Per fare questo è stato utilizzato il modello di business model più diffuso e conosciuto, ossia il Canvas, il quale grazie alla sua struttura grafica intuitiva permette anche una rapida comprensione della rete aziendale attraverso un semplice colpo d’occhio.

Con quest’ultimo argomento si conclude la prima parte dell’elaborato, la quale si potrebbe definire più compilativa, ed inizia la parte più analitica e di ricerca.

La seconda parte è articolata in diversi step, ed ha come obiettivo quello di capire dove e come cercare e trovare possibili solutori per le sfide di crowdsourcing o per attività di problem solving in generale.

Per far questo è stato ristretto il campo di ricerca a tre social networking professionali-accademici, i più utilizzati: LinkedIn, Scopus e Researchgate. Al fine di rendere la ricerca più veritiera, ed i risultati più vicini alla realtà, è stato deciso di creare un questionario da sottoporre ad una serie di utenti, ricercatori e docenti universitari, i quali fossero presenti su uno o più dei tre siti in oggetto.

Date le sostanziali differenze tra i tre siti sottoposti all’analisi, e per la presenza di ogni singolo intervistato su uno, due o tutti e tre i social, è stato necessario creare diversi questionari, tra loro differenti per una o più domande.

Una volta ottenute le risposte cercate, si è passato alla fase finale, quella dell’analisi di tutte le risposte ed alla raccolta di tutti i dati e le informazioni da esse provenienti. In tal modo si è potuto giungere a delle conclusioni riguardo a quale fosse tra le tre piattaforme quella più indicata per il nostro scopo, ossia la ricerca di solutori da inserire in team di crowdsourcing. È doveroso precisare però che probabilmente non esiste un sito in assoluto migliore degli altri, ma piuttosto, date le molteplici differenze dei vari siti, ognuno ha dei punti favorevoli ed altri a sfavore in tale ricerca. Perciò si potrebbe preferire uno piuttosto che un altro in base agli aspetti che stiamo cercando in uno specifico solutore.

Con la raccolta e la sintesi di tutti i dati forniti dal questionario, si conclude questo lavoro, il quale, avendo affrontato diversi aspetti di una tematica non ancora molto conosciuta ed approfondita, lascia sicuramente spazio ad eventuali studi più specifici e a spunti che possano utilizzare ad esempio campioni di utenti più grandi o indagare su aspetti diversi per rispondere alle stesse domande oppure a quesiti differenti.

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1 IL CROWDSOURCING

Il crowdsourcing è un neologismo (Jeff Howe, 2006), ed è l’unione di:

 Crowd, folla/persone;

 Source, fonte/sorgente;

 Outsourcing, esternalizzare un’attività al di fuori della propria impresa/organizzazione/gruppo.

L'origine di questa parola è tipica del fenomeno Web 2.0: un utente anonimo ha lanciato il termine per la prima volta su un Internet Forum. Il termine è stato poi reso popolare da Jeff Howe e Mark Robinson in un articolo pubblicato sulla rivista online Wired.

Howe offrì questa definizione: “In sintesi, crowdsourcing rappresenta l'atto di una società o ente che delega un’attività, in precedenza svolta da dipendenti, a una indefinita (e generalmente di grandi dimensioni), rete di persone nella forma di un invito aperto (open call). Questo può assumere la forma di peer-production (quando il lavoro viene eseguito in collaborazione), ma sono anche spesso intraprese da individui unici. Il presupposto fondamentale è l'uso dell’open call e la rete di potenziali ‘lavoratori’”.

In altre parole, una società posta online il problema, un gran numero di individui offre soluzioni al problema, e solitamente l’idea migliore riceverà una ricompensa in denaro, a volte anche molto alta, e la compagnia utilizzerà quest’idea per il proprio business.

È una metodologia di collaborazione con la quale le imprese chiedono un contributo attivo alla rete (attraverso delle open call), delegando ad un insieme distribuito di persone, che si aggregano attorno ad una piattaforma web, lo sviluppo di un progetto o di una parte di un’attività di un’azienda.

È importante sottolineare che la chiamata non deve essere limitata agli esperti o ai candidati preselezionati. Molte persone potranno lavorare contemporaneamente su un determinato progetto, la società dovrà poi scegliere il risultato che meglio risponde alle proprie esigenze. Per l'azienda il beneficio è notevole. Si può esternalizzare il rischio di fallimento e si paga solo per i prodotti o servizi in grado di soddisfare le proprie aspettative.

Fondamentali in questo caso sono gli UGC (User Generated Content), i contenuti generati dagli utenti: il contributo attivo è proprio quello delle persone che decidono di partecipare su base volontaria, magari perché appassionati di quel brand in particolare.

Il crowdsourcing è un modello di produzione ed un modello di problem solving interattivo e distribuito sulla rete che è emerso negli ultimi anni. Esempi notevoli di questo modello

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includono Threadless, iStockphoto, InnoCentive, Atizo, OpenIDEO, Quirky la sfida Goldcorp, concorsi pubblicitari generati dagli utenti, e tanti altri.

Il primo passo per la sua completa realizzazione è quello di rifiutare la nozione binaria di client/designer. Il passo successivo è quello di guardare a ciò che sta succedendo in questo momento.

La vecchia idea di un individuo con un sogno di perfezione è stata sostituita da problem solving distribuiti e basati su pratiche di team multidisciplinari. La realtà per il design avanzato oggi è dominata da tre idee: distribuzione, pluralità, collaborazione. Non è più solo un designer, un client, una soluzione, un unico posto. I problemi sono presi un pò ovunque, le soluzioni sono sviluppate e testate e contribuiscono allo scopo comune, e queste idee vengono testate e confrontate con altre soluzioni. L'effetto è di immaginare un futuro per il design che è allo stesso tempo più modesto e più ambizioso.

Il problem solving non è più l'attività del genio individuale, ma è il tentativo di immaginare un modello di soluzioni a problemi che sono radicalmente distribuiti oltre i confini della classica professionalità. Lì dove i team di design e le collaborazioni con altri gruppi si basano su collezioni di esperti, la saggezza della folla insiste sulla convergenza dei non addetti ai lavori e dei dilettanti.

Tuttavia il crowdsourcing, un modello di problem solving distribuito, non è una pratica di open source. Problemi risolti e prodotti progettati dalla folla diventano di proprietà della società, che in seguito realizzano grandi profitti fuori da questo contesto interattivo. E la folla lo sa [3].

1.1.1 La saggezza della folla

Ma come può tutto questo funzionare? Come possono così tante persone disperse eccellere rispetto al singolare, a volte riguardo problemi molto complessi, mentre i tradizionali team non ci riescono? James Surowiecki (2004), nel suo libro The Wisdom of Crowds (La saggezza delle folle), prende in esame diversi casi di “folla saggia” al lavoro, dove il successo di una soluzione dipende dalla comparsa di un grande numero di solutori. Sulla base di queste indagini empiriche (dalla valutazione del peso di un bue, al disastro dello shuttle Columbia) Surowiecki trova che nelle giuste circostanze, i gruppi sono molto intelligenti, e spesso sono più intelligenti dell’individuo più intelligente tra loro. La saggezza delle folle è derivata non dalla media delle soluzioni, ma dalla loro aggregazione:

“Dopo tutto, pensate a cosa succederebbe se si chiedesse a un centinaio di persone di correre i 100 metri, e poi fare la media dei loro tempi. Il tempo medio non sarà migliore rispetto al tempo dei corridori più veloci. Sarà di certo peggiore. Sarà un tempo mediocre.

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Ma chiedete a un centinaio di persone di rispondere ad una domanda o di risolvere un problema, e la risposta media sarà spesso almeno buona quanto la risposta del membro più intelligente. Nella maggior parte dei casi, la media produce mediocrità. Con il processo decisionale, si trova invece spesso l'eccellenza. Si potrebbe affermare che è come se si fosse programmato di essere collettivamente intelligenti.” [1]

Il web offre una tecnologia perfetta in grado di aggregare milioni di disparate idee indipendenti sui mercati nel modo e la possibilità di creare sistemi elettorali intelligenti. Surowiecki non fu il primo a riflettere sull’intelligenza collettiva. Pierre Lévy (1997) decretò:

“In primo luogo bisogna riconoscere che l’intelligenza è distribuita dovunque c’è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l’intelligenza collettiva. […] É diventato impossibile limitare la conoscenza e il suo movimento a caste di specialisti. […] Il nostro sapere vivo, le competenze e le abilità sono in procinto di essere riconosciute come la fonte primaria di tutte le altre ricchezze. Quali sono allora i nostri nuovi strumenti di comunicazione da utilizzare? L’obiettivo più socialmente utile sarà senza dubbio quello di fornire a noi stessi gli strumenti per la condivisione delle nostre capacità mentali.”

1.1.2 L’intelligenza distribuita

“Il cyberspazio designa l'universo delle reti digitali come un mondo di interazione e di avventura, il luogo di conflitti globali, una nuova frontiera economica e culturale. Esiste attualmente nel mondo una vasta gamma di opere letterarie, musicali, artistiche, culturali, e anche politiche, che vantano tutte il titolo di “cybercultura”.Ma il cyberspazio si richiama meno i nuovi media di trasmissione delle informazioni rispetto ai tanti modi di creazione di relazioni sociali che da essi derivano. . . È progettato per interconnettere e per fornire un'interfaccia per i diversi metodi di creazione, registrazione, comunicazione e simulazione” [Lèvy, 1997].

Lévy si riteneva ottimista sulla capacità delle tecnologie web di reclutare reti di folle. Egli chiamò questa capacità intelligenza collettiva, una forma di intelligenza universalmente distribuita, costantemente rafforzata, coordinata in tempo reale, e che ha causato la mobilitazione effettiva delle competenze.Poiché “nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, [e]

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tutta la conoscenza risiede nell’umanità”, e la digitalizzazione e la comunicazione devono diventare i perni di questo coordinamento di intelligenze estese.

Il web è la tecnologia necessaria in grado di realizzare i quattro fronti specifici della crowd wisdom e far diventare una massa di utenti in lavoratori produttivi. Il primo punto e anche il più semplice, è che il web fornisce i mezzi per le persone di tutto il mondo di comunicare in un unico ambiente, il web non è semplicemente un supporto specifico, ma un tipo di implementazione attiva di una tecnica di progettazione in grado di affrontare l'apertura dei sistemi. Dato che gli utenti sono sparsi in un ambiente geografico molto vasto, il web facilita lo scambio di opinioni diverse, in maniera del tutto indipendente e decentrata. Il web, insieme a diverse linee di codice progettate per raccogliere e valutare soluzioni specifiche per diverse applicazioni di crowdsourcing, è l’aggregatore di questo sistema aperto, e di questa tipica diversità di pensiero. Inoltre, la capacità del web di racchiudere tutte le reti in un’unica grande rete, rende possibile incanalare lo scambio di idee in un unico flusso, che siano sincrone o asincrone.

In secondo luogo, il web è una tecnologia che consente un certo tipo di pensiero, stimola un certo tipo di innovazione. Bisogna ricordare l'intreccio della tecnologia con i suoi utenti umani, e dobbiamo stare attenti a non diventare troppo tecnologicamente deterministi nella nostra comprensione di come i due utenti a distanza si influenzino a vicenda. La natura ipertestuale del web imita il modo stesso di pensare in quanto esseri umani, quindi non dovrebbe apparire come sorpresa il fatto che gli esseri umani siano visti come attori principali, creatori, innovatori, come implicato nel flusso di informazioni da loro prodotto, piuttosto che visti come testimoni.

1.1.3 Il crowdsourcing non è un “open source”

L'open source è un modello usualmente applicato allo sviluppo di software, alcuni tra i più chiari esempi di tale modello esistono in questo contesto, ma può anche essere visto come una filosofia globale per lo sviluppo di prodotti in generale. Per parafrasare la definizione di open source per la produzione dal sito ufficiale della Open Source Initiative, essa implica l'accesso ad elementi essenziali di un prodotto (ad esempio il codice sorgente per il software) a chiunque per lo scopo di migliorare la collaboratività per il prodotto esistente, con la trasparenza continua e la distribuzione gratuita del prodotto attraverso le varie fasi di sviluppo aperto.

La filosofia guida è quella della trasparenza e dell'accesso a fasi di progettazione, con la capacità di sviluppare un prodotto al di fuori dei vincoli del tradizionale diritto della proprietà intellettuale, così da produrre un prodotto che sarà sempre meglio, sviluppato

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collettivamente e democraticamente. Il carattere aperto di questo tipo di progetti è fondamentale per la collaborazione e per portare nuovi input creativi nella progettazione del processo. In questa filosofia open source, il mondo è pieno di talento, due teste sono meglio di una, e un milione di teste possono smuovere le montagne.

Prodotti come il browser web Mozilla Firefox e il sistema operativo Linux sono esempi di successo del modello open source, ma tale modello, molto idoneo allo sviluppo di software, non può però essere particolarmente adatto per altre applicazioni. La ragione più convincente dietro questo dubbio del modello open source risiede nel concetto di interesse personale e nelle richieste materiali di produzione. Molte delle persone che armeggiano con il codice sorgente di Linux, per esempio, sono hobbisti che farebbero comunque questo tipo di attività. Il pagamento per il loro servizio nella produzione di una versione migliore di Linux è forse il riconoscimento tra gli altri appassionati, ma, cosa più importante, il perseguimento della soddisfazione nel trovare una soluzione migliore al problema, piuttosto che una vera e propria retribuzione. Migliaia di menti lavorano alla soluzione di un problema, e per nessuna di essi esiste una ricompensa in denaro.

Non tutti i problemi sono però adatti al modello open source come lo sviluppo del software. In economie semplici, il software può essere realizzato praticamente senza costi di gestione. I programmi di Linux o Mozilla consistono virtualmente, in zeri e uni, e non occupano spazio sugli scaffali in un negozio di mattoni, non utilizzano materie prime, non emettono prodotti di scarto, e la distribuzione è gratuita - facile come il download da un sito web. Ma non tutti i prodotti sono composti da codici digitali, la stragrande maggioranza dei prodotti progettati nel nostro mondo sono realizzati con materiali reali, richiedono macchine per produrre, hanno reali costi associati alla distribuzione, e così via.

Quindi cosa succede quando il prodotto che deve essere migliorato, o inventato, ha in realtà questo tipo di costi di produzione dei materiali? L'hobbista avrà interesse per tale problema, e la sua successiva donazione di lavoro libero, e i relativi costi di produzione giungeranno al miglioramento del prodotto finito? Una società che investa capitale per la produzione di un prodotto del genere dovrebbe garantire almeno le vendite sufficiente a coprire l'investimento. Così, se il prodotto sarà eventualmente venduto per un profitto, ci sarebbe un essere umano, con un grado naturale di auto-interesse, che voglia ragionevolmente donare il suo talento ed energia per il progetto senza una perdita dei profitti? Queste domande sollevano dei dubbi sul modello open source come modello supremo per lo sviluppo del prodotto.

Il crowdsourcing, però, supera queste limitazioni nel modello open source, fornendo una forma chiara per la compensazione dei collaboratori, un modello ibrido che fonde gli

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elementi trasparenti e di democraticità dell’open source in un modello fattibile per fare business redditizio, il tutto facilitato attraverso il web.

Inoltre, le soluzioni vincenti di crowdsourcing, essendo di proprietà della compagnia che ha postato la richiesta per tale soluzione, hanno un potenziale valore monetario grazie alla possibilità di massimizzare i profitti della compagnia. Quindi, le idee della folla che possono produrre utili vanno a compensare i costi per la produzione (materiale).

In altre parole, Threadless dovrà eventualmente usare le idee provenienti dal crowdsourcing come schermo per i costi di spedizione, l’affitto dei magazzini, il mantenimento del sito web, l’acquisto del materiale tessile e dell’inchiostro. Dal momento che la produzione di T-shirt ha un costo monetario per Threadless, è ragionevole che essa voglia mantenere per sé le idee acquisite dal processo di crowdsourcing, per evitare che il suo marchio esclusivo venga riprodotto e copiato da altre compagnie.

Per tutti quegli oggetti commodities che rappresentano un valore culturale nelle società capitalistiche, l’idea che guida l’oggetto deve essere nuova, unica e ambita. Il modello open source va esattamente contro questa visione, rendendo completamente libera qualsiasi idea. Allo stesso tempo, però, l’open source rende disponibili idee aperte a tutti quei sistemi di sviluppo che sono chiusi. Questa filosofia di libertà e liberazione, anche se nobile, è abbastanza ingenua. I beni materiali non si fanno da sé, non sono privi di costi e rischi. Una società che valorizza la qualità e l'innovazione della produzione open source, ma è bloccata in un sistema capitalistico di proprietà, può avere la botte piena e la moglie ubriaca attuando il crowdsourcing.

1.1.4 I costi e i guadagni

Nessun sistema è perfetto. Il crowdsourcing, anche se può fondere gli aspetti migliori della filosofia dell’open source e i benefici del business globale (inclusa la sua componente di outsourcing), potrebbe influenzare negativamente un team di lavoro: la folla. La folla svolge un lavoro intellettuale che vale molto di più delle soluzioni vincenti che vengono pagate. I designers di Threadless vincono molto meno di quanto avrebbero guadagnato stilisti professionisti se il lavoro di progettazione fosse stato affidato a loro in outsourcing.

I membri di iStockphoto guadagnano una piccola somma per i loro lavori fotografici, quando invece per le stesse fotografie i fotografi professionisti pretendono centinaia o migliaia di volte la stessa somma.

I risolutori di Innocentive vincono premi molto grandi, ma questi sono comunque irrisori in confronto a quanto costerebbe il lavoro intellettuale fatto da ricercatori all’interno della funzione di R&D della compagnia.

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Il crowdsourcing, però, mostra anche un aspetto negativo, quando inevitabilmente produce delle vittime per le future produzioni. Ad esempio, iStockphoto per molto tempo ha fatto a meno di fotografi, i cui premi erano di centinaia o migliaia di dollari necessari a coprire le loro spese di viaggio, attrezzature e processi realizzativi.

1.1.5 Le possibilità della folla

Ovviamente il crowdsourcing è ben lungi da intenti di sfruttamento. È invece un’opportunità per la folla, un’occasione di imprenditorialità, un modo di convogliare la propria energia creativa, e per esprimere i propri valori in un sistema capitalistico.

Come indicano alcuni dei racconti da parte di individui della folla, alcune tra le nuove abilità che è possibile imparare attraverso il crowdsourcing è integrare quest’esperienza nella ricerca della migliore occupazione e l’obiettivo di impiegare sé stessi nel lavoro freelance come imprenditori.

Queste motivazioni sono forse più importanti nelle applicazioni di crowdsourcing rispetto alle produzioni di open source, semplicemente perché i premi nelle applicazioni di crowdsourcing sono già per la folla un motivo per cui tale lavoro è degno di un riconoscimento. Accoppiato ad un’idea individualistica, ad una mentalità libertina che sembra prevalere oggi sul web, il prospetto imprenditoriale dell’esperienza di crowdsourcing diventa presumibilmente l’obiettivo principale di molti individui nella folla.

Gran parte dello spirito americano insito nel modo di fare imprenditorialità viene alimentato dalle storie di ragazzi emergenti provenienti dalle classi più povere e che hanno successo nel loro campo, superstars di crowdsourcing che stanno emergendo e fungono da ispirazione per gli altri individui affinché continuino il lavoro. La maggior parte delle interviste ai designer disponibili sul sito di Threadless parlano di questo desiderio di “fare” in proprio, alcuni risolutori in Innocentive hanno provato l’esperienza di fare carriera grazie al loro lavoro, e alcuni fotografi di iStockphoto stanno diventando, per così dire, amatori professionali. Ancora, però, una libertaria percezione di sé in mezzo alla folla ha i suoi pericoli.

Il “Cyberlibertarianismo” (Winner, 1997) comporta un'enfasi sull’individualismo radicale, entusiasmo per un'economia di libero mercato, disprezzo per il ruolo del governo, ed entusiasmo per il potere delle imprese commerciali. Forse la folla è catturata da prospettive estatiche di autorealizzazione nel cyberspazio ed enfatizza il bisogno per gli individui di liberarsi da qualsiasi possibile minaccia che possa intaccare i propri interessi.

I più grandi successi nel crowdsourcing infatti, non riguardano l’autorealizzazione, il distinguersi come individuo dal resto della massa, facendo da sé le proprie versioni personali di crowdsourcing. I più grandi successi riguardano le giovani menti creative, e le grandi

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compagnie che hanno concepito da subito le applicazioni del crowdsourcing. Loro raccolgono i premi più grandi.

1.1.6 Affrontare la folla

La democratizzazione, la promessa di arrivare a tutti tramite la nuova informazione tecnologica, è di gran lunga sopravvalutata. Molte persone sono ancora senza accesso al web, e di quelli collegati, molti ancora non dispongono di una connessione ad alta velocità. Inoltre, collegare semplicemente ciò che è ancora scollegato non garantisce che poi vorranno partecipare al gioco del web. Questo significa che non possiamo essere certi di una reale diversità di opinione in mezzo alla folla.

Una teoria sulla saggezza della folla ha bisogno di questo pluralismo di opinioni per avere successo, ma cosa comporta una diversità di opinione? La diversità di parere deve essere suddivisa in parti più piccole, nella diversità di identità, diversità di competenze, e la diversità di impiego politico:

“Secondo molti studiosi che studiano l'identità, la diversità - in termini di genere, sessualità, razza, nazionalità, classe economica, (dis)abilità, religione, ecc. - è importante perché l'identità unica di ogni persona plasma la loro visione del mondo. Così, si può supporre che le visioni del mondo diverse possono produrre soluzioni diverse ad un problema, alcune delle quali possono essere soluzioni migliori perché le idee potrebbe considerare le esigenze specifiche delle diverse circoscrizioni” [2].

Dobbiamo stare attenti, però, nell’assumere che le idee emergenti dalla folla nelle applicazioni di crowdsourcing rappresentino un’ascesa dell'idea superiore grazie al processo di democratizzazione. Molti studi sul divario digitale mostrano che l'utente web tipico è probabilmente un uomo bianco, di ceto medio-alto, di lingua inglese, con un’istruzione superiore, e con una connessione ad alta velocità. Inoltre, gli individui più produttivi tra la folla sono per la maggior parte di giovane età, sicuramente meno di 30 anni e, probabilmente, sotto i 25 anni di età, in quanto questa fascia di età è più attiva nel cosiddetto web 2.0, ambiente di creazione di contenuti di massa, come ad esempio i blog. Con una tale mancanza di diversità di opinione nella folla, in particolare la mancanza di identità diverse, le applicazioni crowdsourcing basate sulla teoria della saggezza della folla, sono destinate a fallire.

Più importante per i teorici critici, tuttavia, è che le applicazioni di crowdsourcing che hanno successo attraverso la forza di una folla omogenea riproducono l'estetica ed i valori di uomini bianchi, retti, e di classe media.

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In questo ambiente egemonico, allora, la resistenza può essere schiacciata? Idee alternative, le quali possono o meno provenire da individui etnicamente diversi, sono probabilmente destinate a essere lasciate da parte, mentre le forme di cultura dominante si elevano ai primi posti.

Un modello di problem-solving come il crowdsourcing, che valuta la qualità della soluzione andando oltre l’identità e l’appartenenza dell’individuo, può sembrare democratico, conforme ad un’etica hacker. Ma, se le soluzioni sono misurate contro la società promotrice dell'applicazione di crowdsourcing, o misurate contro le opinioni della folla omogenea, le alternative all’idea dominante saranno probabilmente sempre perdenti. Così, i meccanismi egemoni si trovano sotto la patina della pubblicizzata democraticità del crowdsourcing. Possiamo davvero democratizzare l'innovazione nel crowdsourcing? [4]

1.1.7 Un programma di ricerca sul crowdsourcing

Per i critici culturali e gli studiosi di comunicazione c’è tanto su cui indagare riguardo a questo nuovo fenomeno di crowdsourcing.

Il processo di funzionamento del crowdsourcing permette facili critiche riguardo al presunto sfruttamento che le compagnie operano su chi lavora alle varie sfide lanciate sul web. La ricerca ha bisogno di capire come i membri della folla si sentono riguardo al loro ruolo di lavoratori per l’azienda, non solo coloro che hanno avuto successo, ma anche con interviste qualitative ai membri che ancora non sono riusciti a “creare” come crowdsourcer.

Esaminare i modi che le folle adottano per resistere ai tentativi di manipolazione da parte delle aziende, in particolare attraverso crowdslapping, potrebbe far luce sull'esperienza umana di essere parte della folla.

Barriere per accedere nella partecipazione di applicazione di crowdsourcing non solo comprendono l'accesso al computer, accesso al web e l'accesso alle connessioni ad alta velocità. Nuove barriere contro la partecipazione al crowdsourcing includono la possibilità di disporre di capacità e competenze specifiche di problem-solving e tecnologie particolari. Per esempio, non si può presentare un’idea progettuale di Threadless senza la grafica e software di editing necessari per caricare modelli della società, o una fotocamera digitale (e la conoscenza del suo uso) richiesta per i fotografi di iStockphoto.

Il monitoraggio di imprese di crowdsourcing che falliscono nei loro intenti e di quelle che invece hanno successo, dovrebbe far parte di un programma di ricerca. Quali pubblicità e pubbliche relazioni tecniche, per esempio, sono impiegate da aziende che cercano di attrarre una folla robusta e vogliosa. Oltre a ciò, dobbiamo cercare di capire che cosa motiva

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veramente la partecipazione della folla. Motivatori open source sono utili, ma non sono esattamente abbinabili ai casi di crowdsourcing.

Mentre sempre più aziende sperimentano il crowdsourcing per la loro produzione, sarà necessaria un’analisi etica e giuridica. Speriamo che gli standard migliori provenienti dalle esperienze di successo invoglino a cimentarsi in questo nuovo mondo. Siamo fiduciosi che in futuro ci sarà un affinamento di queste tecniche, e il crowdsourciong diverrà un processo a livello generale per la risoluzione dei problemi. Si dovrà imparare dai successi e dai fallimenti del crowdsourcing al fine di applicare le migliori tecniche a favore del mondo del non-profit, per la giustizia sociale e ambientale.

Lì dove manca l’altruismo o quando si necessita di prodotti materiali, il crowdsourcing può essere una valida alternativa produttiva. La sostenibilità ambientale, progetti di architettura e di urbanistica, pianificazione di emergenze logistiche, progetti di arte pubblica, e anche industrie di intelligence possono beneficiare dell'applicazione del crowdsourcing nel processo di problem solving [5].

1.1.8 Conclusioni

Il crowdsourcing può essere spiegato attraverso una teoria di “crowd wisdom”, un esercizio di intelligenza collettiva, ma dovremmo mantenere una critica al modello per ciò che potrebbe fare per le persone, e come può riportare alla luce vecchi meccanismi di oppressione attraverso nuovi discorsi.

Il crowdsourcing non è solo un altro slogan, un altro meme. Non si tratta di un nuovo modello di filosofia open source ristrutturato. Si tratta di un modello in grado di aggregare talenti, sfruttando l'ingegno e riducendo costi e tempi precedentemente necessari per risolvere i problemi.

Infine, il crowdsourcing viene attivato solo attraverso la tecnologia del web, che è un modo creativo di interattività con l'utente, non solo un mezzo di scambio di messaggi tra persone. Tutto questo accende la sfida tra i vari studiosi di comunicazione, scienze e tecnologia, che dovranno intraprendere una ricca agenda di ricerche.

Il crowdsourcing può benissimo essere il mezzo attraverso cui sfruttare il potenziale produttivo dell'immaginazione dal momento che noi stessi veniamo coinvolti nel processo.

Prima di andare avanti e continuare ad esaminare più nel dettaglio il crowdsourcing ed i suoi aspetti, credo sia utile dedicare un capitolo alla Co-creazione, la quale a mio parere rappresenta l’anello naturale di giunzione tra il vecchio modo di fare innovazione e sviluppo prodotto con i metodi attuali basati sul web.

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1.2 La Co-Creazione

In tempi difficili, si applicano nuove regole. Le imprese e le organizzazioni sono alla ricerca di strumenti che le aiutino a vincere le battaglie di ogni giorno.

La co-creazione è molto più di uno strumento, è un programma di cambiamento. È una forma di open innovation: le idee sono condivise piuttosto che tenute per sé.

Nella figura che segue viene mostrato come, nel passare degli anni, gli strumenti utilizzati dalle imprese per rimanere competitive nel mercato siano cambiati radicalmente.

Figura1. Gli strumenti utilizzati per la Co-creazione

La co-creazione è strettamente collegata ad altri termini come:

 Contenuti generati dagli utenti;

 Open source;

 Crowdsourcing;

 Social media.

Negli ultimi 10 anni una enorme quantità di conoscenza è diventata accessibile, cambiando i processi di business tradizionali ed il modo di innovare delle imprese. Inoltre i consumatori vogliono un maggior coinvolgimento con i prodotti che acquistano.

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Per affrontare il cambiamento sono state lanciate iniziative di co-generazione, ma per le aziende è ancora qualcosa di nuovo.

L’apertura può mettere paura, la maggior parte delle aziende esita a condividere idee e strategie con persone esterne. Certamente la co-creazione non è un processo di innovazione a tenuta stagna, non c’è nessuna garanzia che le idee avranno successo.

L’output però sarà comunque creativo, svilupperà partecipazione e feedback, nuove prospettive ed idee: un management accorto e con lo sguardo al futuro non può farsi sfuggire questa opportunità.

1.2.1 I 4 Tipi di Co-creazione

Figura 2. I 4 tipi di Co-creazione

Ci sono molte strade da percorrere circa la co-creazione e quella che si sceglie influisce sulle sfide e sugli obiettivi alla portata. Le dimensioni centrali che definiscono i 4 tipi di co-creazione sono:

I. Open-ness

II. Ownership

L’apertura si riferisce alle “barriere all’ingresso” che possono essere poste al processo e/o in una fase di esso. Mentre la proprietà riguarda i risultati e le sfide: a chi appartengono? All’iniziatore? A chi contribuisce?

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Queste dimensioni portano a 4 tipi principali di co-creazione. Quando usarli?

Club of Experts: questo stile di co-creazione è adatto a contesti specifici, sfide sotto pressione che richiedono competenze ed idee di rottura. I contribuenti devono soddisfare determinati criteri per partecipare e si trovano generalmente attraverso un processo attivo di selezione.

Qualità dell’input e chimica tra i partecipanti sono chiavi fondamentali per il successo. Ad esempio Nokia organizza sessioni di co-creazione con utenti ed esperti per sviluppare prodotti e servizi all’avanguardia;

Crowd of People: questa forma di co-creazione non è altro che un modello di crowdsourcing, e riguarda la regola dei grandi numeri: tutti possono partecipare! Per qualsiasi sfida potrebbe esserci una persona esterna con una brillante idea che merita considerazione. Utilizzando le piattaforme online le persone possono votare e rispondere ai suggerimenti delle altre persone.

Vi è spesso una componente/obiettivo di marketing e di inserimento nei media sociali connessa al processo. Il Crowdsourcing “scatena la potenza delle masse” ma spesso richiede più tempo e non si è sicuri che le persone migliori contribuiranno (o vogliano contribuire). Ad esempio Threadless è una piattaforma per creare t-shirt online dove si possono inviare e

votare i design delle t-shirts.

I risultati dell’attività di vendita sono condivisi con il designer che ha ideato la t-shirt. In media si ha il 30% pieno di margine di profitto vendendo t-shirts senza alcun costo di R&S, con bassi investimenti e quasi nessun lavoratore;

Coalition of Parties: in alcune situazioni complesse una coalizione di squadre può condividere idee e investimenti (per esempio co-branding). Ciascuna delle parti porta una specifica attività o abilità per il gruppo. Innovazioni tecnologiche e realizzazioni di standard accadono spesso quando più parti collaborano, specialmente quando il capitale speso è alto. I fattori chiave di successo includono la condivisione della conoscenza e la creazione di un vantaggio competitivo comune. Per esempio Heineken ha lanciato con successo un progetto chiamato Beertender, in collaborazione con Krups. Un periodo di sviluppo di 10 anni ha portato alla prima vera innovazione nel packaging della birra da molto tempo. Inoltre Heineken ha lavorato con altri partner per sviluppare la sua gamma di bottiglie in alluminio; Community of Kindred Spirits: la forma della Community è la più rilevante quando si deve sviluppare qualcosa per il bene di molte persone. Gruppi di persone con simili obiettivi ed interessi possono incontrarsi e creare. Questo modello, fino ad ora, opera maggiormente

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nello sviluppo di software e sfrutta la forza potenziale di grandi gruppi di persone con aree di competenza complementari.

Ad esempio il sistema operativo Linux (open source) è stato sviluppato dagli utenti e per gli utenti. Il codice sorgente del software è libero e senza proprietario.

1.2.2 I 5 Principi guida nella Co-creazione

Andiamo ad illustrare i principi che guidano questa forma di innovazione aperta (open innovation).

Figura 3. I principi che guidano la Co-creazione

Come illustrato nella figura sopra, le iniziative di successo di co-creazione tendono ad avere un certo numero di caratteristiche in comune. Analizziamole nei 5 principi guida:

1. Ispirare Partecipazione – invitare le persone ad accettare la sfida, aprirsi e mostrare cosa c’è per loro

.

Le persone tendono ad essere più coinvolte di quanto possa sembrare e la maggior parte vuole contribuire. Le persone si prendono cura di prodotti, marchi e società ma deve esserci per loro una spinta a partecipare effettivamente allo sviluppo in collaborazione. Per cominciare, la natura della sfida dovrebbe essere interessante o impegnativa in qualche modo. Ci potrebbero essere benefici diretti personali per il miglioramento di un prodotto oppure incentivi monetari. Ma la cosa più importante è ispirare le persone, mostrando chi sei, spiegando perché è necessario il loro aiuto, dicendo cosa verrà fatto con i risultati. Altro fattore importante è dare l’accesso a chiunque, che potrebbe essere vantaggioso per il processo e creare condizioni in cui tutte le opinioni sono trattate allo stesso

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modo (professionisti, consumatori ed altri soggetti interessati). È essenziale offrire un ambiente aperto e trasparente dove le persone si sentono benvenute nel contribuire alle sfide, quasi un luogo dove si sentono di “appartenere”.

2. Selezionare il Meglio – si ha bisogno delle idee migliori e delle migliori persone per affrontare le questioni complesse di oggi

.

Come nell’evoluzione, il processo di selezione è cruciale. Nel crowdsourcing si desiderano le idee migliori per emergere e sopravvivere, con lo screening che è fondamentale soprattutto quando vengono generate un gran numero di idee. Per qualsiasi iniziativa di generazione dell’idea online la grande sfida è il filtraggio e la ricerca di idee innovative che portano nuovo valore per l’azienda. Sia la community online che i moderatori giocano un ruolo fondamentale. Il punto è coinvolgere le persone il cui background ed esperienza in

qualche modo si collegano alla sfida al momento sotto mano.

Quindi la chimica di squadra è essenziale e la chiave è la diversità con un mix ben equilibrato di sesso, nazionalità, professioni ed interessi che produce i risultati migliori con le grandi menti messe insieme.

3. Collegare le Menti Creative – consentire alle persone brillanti di lavorare insieme e far scoccare la scintilla. La co-creazione funziona solo quando la parte “co” è veramente bene eseguita e fa capitalizzare il talento raccolto.

Avvicinare le persone è una cosa, farle lavorare insieme è qualcosa di completamente diverso. La sincronizzazione (tutti i partecipanti sulla stessa lunghezza d’onda) all’interno di un dialogo strutturato e costruttivo è quello che serve. Come inizio si dovrebbe ascoltare, essere ricettivi ed interessati. Il compito è liberare le potenzialità di un gruppo di collaboratori. Colmare il divario tra iniziatori e contribuenti è un processo mutevole, negli ambienti online sono fondamentali una moderazione eccellente e la comunicazione. Quando le persone si incontrano faccia a faccia il Santo Graal è stabilire un territorio comune e costruire un senso di partecipazione. È importante eliminare l’approccio poco costruttivo dell’antagonismo tipico delle ricerche tradizionali, vietando i tentativi di ricerca segreti ed il nascondere informazioni. Nella co-creazione questo significa condividere informazioni, idee, esperienze, sogni, strategie, successi e fallimenti al fine di apprendere gli uni dagli altri. La co-creazione ha bisogno dei migliori ambienti per creare, condividere e cercare di migliorare le idee. Si va dagli strumenti online, alle visualizzazioni offline ed alla giusta moderazione delle sessioni di brainstorming. Orientamenti e regole chiare sono necessari in questo processo.

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4. Condividere i Risultati – il ritorno è fondamentale, ma dipende anche da come

lo fai. La co-creazione può creare valore per l’iniziatore in varie forme: aggiungere i prodotti ad una tabella di marcia, avviare nuove imprese, risolvere un problema tecnico, rafforzare le squadre, mettere a punto ed applicare le intuizioni, ecc. Ma deve esserci qualcosa anche per i contribuenti. La compensazione può essere monetaria ma spesso qualcosa di meno tangibile può essere considerato una ricompensa

maggiore, in ogni caso deve essere chiara e leale.

Per esempio essere riconosciuti come un contribuente chiave (status) o essere invitato a partecipare a più iniziative (riconoscimento) sono altri modi per condividere e ricompensare per il prezioso contributo. Molte iniziative di co-creazione dimenticano però il passo base, cioè mantenere i partecipanti informati su progressi e sviluppi successivi. Ignorando i desideri dei legittimi contribuenti si finirà per danneggiare la capacità di attrarre i migliori partner e si perderà il contributo prezioso

durante il processo.

Infine la condivisione della proprietà intellettuale potrebbe essere il passo successivo nella co-creazione.

5. Sviluppo Continuo – la co-creazione trasporta solo quando si tratta di un

impegno a lungo termine, preferibilmente nell’ambito di un processo strutturato che coinvolge soggetti dentro e fuori dall’azienda. Questa è la parte più difficile. Il risultato della co-creazione può essere compreso tra il 20% e l’80% in termini di completezza. L’idea è di solito un diamante grezzo che ha bisogno di essere tagliato e lucidato. Questo processo può durare a lungo. L’output della co-creazione farà parte del processo di innovazione della società in ogni sua parte. Passerà attraverso passaggi ad imbuto, con una differenza: il collegamento è realizzato con il mondo esterno. Questo collegamento deve essere sfruttato in tutte le fasi del processo, ad esempio per ottenere feedback costanti. Si dovrebbe imparare dalla co-creazione e nello stesso tempo adattare continuamente il processo formando così un ciclo di apprendimento. Dal punto di vista dei contribuenti quando si crea qualcosa vogliono vedere cosa accade. L’innovazione aperta comporta la promessa implicita di mantenere le persone nel ciclo. È un modo per dimostrare il rispetto per il tempo e gli sforzi impiegati in esso: comunicazione aperta e frequenti aggiornamenti di stato sono molto ben accetti da chiunque abbia partecipato.

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1.3 Crowdsourcing: cosa può essere esternalizzato alla folla e

perché

Nonostante il Web 2.0 sia soggetto di grande attenzione, e i Social Web siano una comprovata realtà, come dimostrano le valutazioni del mercato azionario delle maggiori piattaforme (Facebook, MySpace, LinkedIn, etc.), il mondo del business ha ancora molte possibilità da esplorare nel Web 2.0. Note eccezioni sono il marketing e la business intelligence.

Il successivo step logico riguarda l’ottimizzazione delle performance aziendali attraverso l’uso del Web 2.0. Infatti, come Howe fece notare, perché un’azienda dovrebbe commissionare alcune attività in paesi dove le paghe sono scarse quando, con l’uso di internet, queste stesse aziende sono a distanza di click da una popolazione con educazione universitaria pronta a confrontarsi con stimoli intellettuali per remunerazioni molto basse o addirittura in modo gratuito?

Già nel 1998, la multinazionale americana e società farmaceutica Eli Lilly creò una piattaforma di crowdsourcing chiamata InnoCentive per affrontare questo problema.

Il termine crowdsourcing apparì per la prima volta otto anni dopo in un articolo di Howe (2006).

Il concetto di crowdsourcing ha avuto grande successo con decine di blog che trattano l'argomento e giornalisti che hanno scritto libri su di esso (Howe, 2008). Questo successo contrasta con la relativa mancanza di pubblicazioni accademiche sull'argomento. Il crowdsourcing è spesso discusso, ma solo indirettamente, nei documenti che si occupano di Open Source o viene semplicemente citato come esempio di Web 2.0. Brabham (2008) si concentra invece specificamente sul crowdsourcing, fornendo studi ricchi di casi sulla piattaforma Istockphoto.

Negli ultimi anni si è registrato un aumento significativo di crowdsourcing. Le sue pratiche possono essere molto differenti l’una dall’altra, elenchiamo alcune differenze:

 Alcuni casi si basano sul volontariato, lavori offerti senza pretendere nulla in cambio, altri invece possono avere delle remunerazioni anche molto alte (decine di migliaia di dollari);

 Il crowdsourcing dà accesso a idee o a singole informazioni, e possono essere oggetto di crowdsourcing sia semplici compiti che progetti complessi;

 Le piattaforme di crowdsourcing nascono da istituzioni accademiche, start-up, o anche grandi multinazionali;

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 Nel crowdsourcing le richieste possono essere o completamente aperte o limitate a persone che sono state consultate su una piattaforma di intermediazione. Questa piattaforma può essere il sostegno a comunità autonome;

 Anche quando l'azienda cliente non fa esplicita richiesta alla folla, si tratta ancora di crowdsourcing qualora il contenuto generato dalla folla è altamente complementare all'offerta dell'impresa.

Questi esempi mostrano come il crowdsourcing coinvolga generalmente tre categorie di attori:

1. Gli individui che compongono la folla, i quali fungono da fornitori;

2. Le imprese che beneficiano direttamente degli ingressi della folla, altrimenti chiamate le aziende clienti;

3. Una piattaforma di intermediazione che crea un collegamento tra la folla e le aziende clienti.

Dal momento in cui il concetto di crowdsourcing è in costruzione, i suoi contorni non sono ancora chiaramente definiti [6].

1.3.1 Open Innovation

In passato l’innovazione è sempre stata vista dalle imprese come un processo chiuso da supportare unicamente tramite attività di R&D interna. Tuttavia negli ultimi anni la sempre maggior specializzazione e mobilità dei lavoratori (Chesbrough 2003; Gassmann, 2006), la crescita del mercato del venture capital (Chesbrough, 2003) e l’incremento delle skills dei fornitori (Chesbrough, 2003) ha portato le imprese ad aprire i propri confini ed i propri processi innovativi verso l’esterno (Gassmann, 2006). In accordo con il paradigma dell’Open Innovation (Chesbrough, 2003) quindi, le imprese hanno la possibilità di migliorare le loro performance collaborando con gli attori del mercato (clienti, fornitori, istituzioni, università, altre imprese) per ottenere idee innovative, catturare tecnologie sviluppate esternamente e utilizzare la conoscenza altrui. Le opportunità che si possono creare secondo un approccio open sono davvero enormi: si pensi a Procter&Gamble che con il suo Connect and Develop innovation model portò al 35% del 2006 (dal 15% del 2000) i nuovi prodotti originati da idee esterne. Attualmente tale percentuale si assesta attorno al 45%. L’Open innovation non deve essere solo vista come pratica che consente alle imprese di cooperare con altre imprese (West and Lakhani 2008), ma anche come meccanismo di collegamento con singoli individui che possono contribuire ai processi innovativi (Pisano and Verganti 2008, West and Lakhani

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2008, Jeppesen and Lakhani 2010). Si pensi ad esempio al caso Netflix e al caso Goldcorp. Netflix, compagnia statunitense di noleggio DVD, annunciò nel 2006 l’elargizione di un compenso di 1 milione di dollari a chi fosse riuscito a sviluppare un software in grado di migliorare del 10% l’accuratezza del proprio sistema di raccomandazione dei film. Le proposte che arrivarono furono moltissime, fino a quando, il 26 luglio 2009, venne annunciata la chiusura della gara, poiché due team avevano sviluppato soluzioni che superavano la soglia del 10% richiesta dal regolamento: uno dei due venne premiato come vincente. Goldcorp, un’impresa mineraria americana, alla fine degli anni ’90 si trovò in forte declino avendo grandi difficoltà nell’identificare nuovi giacimenti d’oro. Il CEO Rob McEwen decise così di rendere pubblici i dati geologici in possesso di Goldcorp, ovvero divulgare il know-how proprietario che rappresentava la maggiore leva competitiva. Chiunque avesse aiutato Goldcorp a trovare nuovi siti minerari, sarebbe stato ripagato con ben 575 mila dollari. Le risposte arrivarono copiose ed in poche settimane vennero collezionati suggerimenti relativi a 110 possibili siti di scavo, l’80% dei quali si rivelarono ricchi di oro per un valore totale di 3 miliardi di dollari. Netflix e Goldcorp utilizzarono la pratica attualmente identificata come Crowdsourcing (Howe, 2006) ovvero una forma collaborativa attraverso la quale un’impresa sfrutta la creatività e la conoscenza di una folla ampia e indefinita di persone, in seguito al lancio di un’open call (Howe, 2006) via web. Risulta evidente come un approccio all’innovazione che sfrutti le potenzialità del crowdsourcing possa rappresentare un efficace metodo per ottenere nuove idee e conoscenza in ottica di Open Innovation. Tuttavia coinvolgere singoli individui non è cosa facile ed immediata. Innanzitutto è necessaria una corretta definizione del problema da parte dell’impresa, affinché esso sia immediatamente comprensibile, in modo da poter procedere rapidamente allo sviluppo della soluzione. Inoltre vi è la questione dell’identità, ovvero la preferenza di alcune imprese a rimanere anonime. Esiste inoltre un problema di ‘‘two sided market’’, cioè la gestione multipla di più imprese e solutori. Per superare queste difficoltà è nata una nuova tipologia di attori che supportano le imprese nel gestire le relazioni con gli individui che saranno coinvolti nei processi d’innovazione: gli Intermediari web-based. Innocentive e YourEncore sono due esempi di tali intermediari. Innocentive.com è una piattaforma internet che consente alle imprese (seeker) che manifestano problemi, di pubblicare richieste d’aiuto e ad utenti iscritti al sito (solver) di proporre le loro soluzioni: qualunque individuo si ritenga un potenziale solutore può provare ad individuare una soluzione. La soluzione, una volta inviata, viene visionata dal seeker che sceglie la migliore tra quelle proposte, remunerando il solver vincitore. L’intermediario trattiene una percentuale del premio per il servizio effettuato. YourEncore, invece, lavora diversamente.

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Questa è infatti una piattaforma in cui un network di scienziati ed ingegneri in pensione sono a disposizione per risolvere i problemi delle imprese che si affidano al servizio offerto da questa piattaforma. In pratica, il processo funziona nel modo seguente. Una volta che l’impresa ha contattato YourEncore e sono state definite in modo congiunto le caratteristiche del progetto, i criteri di successo e la timeline, l’intermediario consulta il proprio database identificando gli esperti che possiedono le skills appropriate in base alle esigenze emerse. Una volta definito poi il compenso per l’esperto esso inizia la sua collaborazione con l’impresa, procedendo allo studio approfondito del problema e ricercando la soluzione nei tempi prestabiliti. Il fenomeno di cui si sta parlando è piuttosto recente e proprio per questo la letteratura riguardante il Crowdsourcing ed in particolare gli Intermediari web-based è piuttosto esigua.

L’open innovation e il crowdsourcing cadono all'interno dello stesso paradigma: la conoscenza è distribuita e l'apertura a processi di R&D può essere una fonte di vantaggio competitivo. La prima differenza è che l’open innovation si concentra esclusivamente sui processi di innovazione, mentre il crowdsourcing no. La seconda differenza è che l’Open Innovation descrive l'interazione tra le imprese, mentre il crowdsourcing si riferisce ai collegamenti tra l'impresa e la folla. Infine, l’open innovation è una particolare forma di outsourcing, ma non può essere ridotta totalmente a questo aspetto, poiché è un processo a doppio senso che coinvolge la vendita e l'acquisto di conoscenze e processi [7].

1.3.2 User Innovation

Il Crowdsourcing dà alla folla un ruolo centrale, ovvero individui o comunità senza uno status legale, ai quali le compagnie possono delegare alcune delle loro funzioni.

Il richiamo all’approccio tipico dell’User Innovation viene abbastanza naturale. Nel paradigma tradizionale, l’innovazione viene creata nelle aziende (innovazione centrata sulla produzione), mentre nel paradigma dell’user innovation (Von Hippel, 1998), l’attenzione viene spostata sugli utenti/utilizzatori i quali vengono visti come una fonte di innovazione (innovazione centrata sull’utente). Quindi:

 Firm Centered Innovation (le aziende identificano i bisogni dei clienti, investono nello sviluppo di nuovi prodotti, e infine realizzano dei profitti tramite le vendite e gli IPR, Intellectual Property Rights, ovvero i brevetti);

 User Centered Innovation (gli utenti si spingono verso nuove idee innovative per soddisfare i propri bisogni, dopo di che esplicitano le loro idee).

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L’User Innovation è guidata da utenti pionieri che affrontano esigenze specifiche (e possibilmente anticipano le esigenze del mercato), i quali sono disposti a sostenere i costi ed i rischi associati con l'innovazione. Per esempio, le innovazioni in attrezzature sportive (sky-surfing) o in software (open source sofware) sono dovute spesso ad utenti avanzati. Le comunità sono infatti un’importante caratteristica dell’user innovation.

Dal momento che sia l'user innovation e il crowdsourcing coinvolgono persone che lavorano al di fuori di un ambiente professionale, le stesse domande sorgono riguardo gli incentivi ai partecipanti di tali progetti. Inoltre, questi due fenomeni sfruttano pienamente Internet e gli strumenti di ICT in generale, che danno accesso alle reti di persone senza alcun bisogno di strutture od organizzazioni formali.

Le principali differenze tra l’user innovation e il crowdsourcing sono:

 L’user innovation fa riferimento a progetti guidati dagli utenti, mentre il crowdsourcing è guidata dall’azienda;

 Il crowdsourcing non è ristretto a questioni riguardanti l’innovazione;

 Nell’user innovation l’innovazione è fatta direttamente dagli utilizzatori finali del prodotto, mentre nel crowdsourcing ogni individuo può essere coinvolto nel processo.

1.3.3 Open Source

Howe definì il crowdsourcing come un’applicazione dei principi dell’open source ad altre industrie. Il Software open source si basa sul principio Copyleft che implica un libero accesso al codice sorgente, e la possibilità di modificare e condividere i codici. Così il codice open source può essere copiato e distribuito gratuitamente su larga scala.

Questo ha senso in quanto, come osservato da Foray e Zimmermann (2001), il software è un bene economico particolare la cui produzione può essere auto-organizzata e decentrata. Raymond (1999) mette in luce con chiarezza i meccanismi che rendono la modalità di produzione Bazaar così efficiente nel software open source. Spesso non c'è ricompensa finanziaria per contributi che una comunità di marketing ha portato attraverso Internet in maniera poco costosa, in modo veloce e altamente mirato.

Tuttavia, la definizione di Howe sul crowdsourcing come estensione dei principi dell’open source ad altri settori merita una discussione. Il crowdsourcing non è aperto nel senso in cui l’open source può esserlo (lo stesso si può dire dell’open innovation). L'apertura è intesa in senso più ristretto, come le imprese di Crowdsourcing di solito fanno un uso tradizionale dei diritti di proprietà intellettuale (IPR), ad esempio, brevettando la loro produzione.

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Inoltre, è ovvio che il crowsourcing non è limitato al solo sviluppo di software [2], invece la trasferibilità dei principi dell’open source (ad esempio il Copyleft) ad altri settori è ad oggi oggetto di ricerca.

Nonostante ci siano somiglianze tra il software open source e il crowdsourcing, questi concetti hanno uno status diverso. L’open source è un'applicazione del modo di produrre del crowdsourcing piuttosto che un concetto simile. L’open source inoltre mutua alcuni concetti dall’approccio di user innovation, ed è in realtà più un campo d’applicazione che un vero e proprio modello teorico.

1.3.4 Verso una descrizione di Crowdsourcing

In generale il crowdsourcing cerca di mobilitare conoscenze e competenze che sono distribuite tra la folla. Una competenza si riferisce generalmente ad un insieme di abilità che un individuo possiede per svolgere un insieme di operazioni. Questo concetto riguarda quindi un ambito relativamente ampio di situazioni.

Il crowdsourcing copre un insieme relativamente eterogeneo di pratiche. Rivolgendosi alla folla, l'azienda cerca competenze da una moltitudine di individui anonimi attraverso la formula dell’invito aperto (open call). Ciò significa che i potenziali collaboratori non sono pre-selezionati. La selezione, eventualmente, si verifica solo a posteriori. In alcuni casi però non vi è alcuna selezione, ma una messa in comune dei contributi individuali.

Questo ci porta ad una prima caratterizzazione di crowdsourcing. Ad un estremo, offre accesso ad informazioni e dati multipli e complementari. Questo modello viene nominato Integrative Crowdsourcing poiché il problema riguarda l’integrazione degli input complementari proveniente dalla folla.

Gli elementi individuali hanno poco valore se presi singolarmente, ma l’insieme degli input complementari hanno valore per l’impresa. All’altro estremo, il crowdsourcing dà la possibilità di accedere alle capacità di risolvere i problemi di ogni individuo. Questo modello viene chiamato Selective Crowdsourcing in quanto l’azienda è portata a scegliere solo una soluzione tra tutte le possibili opzioni offerte dalla folla.

Perciò, come è stato appena descritto, ad una estremità, il crowdsourcing può essere utilizzato per compiti di routine come la raccolta di dati e la traduzione di testi semplici. All'altro estremo, il crowdsourcing può essere implementato per realizzare compiti complessi (ad esempio, un problem-solving) all'interno di progetti di innovazione. Tra questi due estremi, una categoria intermedia di crowdsourcing riguarda attività creative in campi come la fotografia, il design artistico, etc.

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