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IODIO E CARCINOMA TIROIDEO

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Farmacia

Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana

TITOLO

Iodio e carcinoma tiroideo

Relatori: Candidato:

Antonelli Alessandro Dott.ssa Pagnoni Valentina

Dr. Ferrari Silvia Martina

Anno accademico 2018/2019 SSD: MED/09-BIO/10

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Indice

Courtois e la scoperta dello iodio pag.3

1 EMBRIOLOGIA E ANATOMIA DELLA TIROIDE pag.5

2 ORMONI TIROIDEI

2.1 Sintesi degli ormoni tiroidei pag.7

2.2 Trasporto degli ormoni tiroidei pag.10

2.3 Controllo della secrezione ormonale pag.11

2.4 Metabolismo periferico:deiodinazione pag.13

2.5 Funzione degli ormoni tiroidei pag.15

3 FONTI DELLO IODIO pag.16

4 INDICATORI DI APPORTO IODICO pag.18

5 PATOLOGIE DELLA TIROIDE

5.1 Ipertiroidismo pag.20

5.2 Ipotiroidismo pag.23

5.3 Iodio e patologie tiroidee pag.24

5.3.1 Iperplasia gozzigena pag.29

5.3.2 Nodulo tiroideo pag.31

5.3.3 Lesioni neoplastiche benigne pag.33

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2 6 CARCINOMA TIROIDEO

IN CARENZA ED ECCESSO DI IODIO pag.37

7 PREVENZIONE E STRATEGIE NUTRIZIONALI pag.50

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Tratto da fondazionemicheletti di Giorgio Nebbia:

Courtois e la scoperta dello iodio

10 Febbraio 2013

“Quando ero bambino una ferita veniva disinfettata con spennellature di tintura di iodio, un liquido di colore rosso che imparai a conoscere meglio quando studiai chimica. Lo iodio, con peso atomico 127, uno degli alogeni che si combinano volentieri con i metalli alcalini, è stato scoperto per caso da Bernard Courtois (1777-1838) nel 1811.

Courtois era figlio di un fabbricante di salnitro, l’importante ingrediente della polvere da sparo, molto richiesta nel secolo delle grandi guerre e rivoluzioni, e il figlio Bernard, dopo aver studiato chimica, si mise al lavoro nell’impresa del padre. Esisteva in quel tempo una richiesta di carbonato di sodio necessario per la sbianca dei tessuti; la materia prima era costituita dalle ceneri delle alghe che si depositavano sulle rive del mare in Normandia. Dopo il lavaggio delle ceneri con acqua per estrarre il carbonato di sodio, restavano dei residui da smaltire. Il giovane Courtois, nel trattare tali rifiuti con acido solforico, osservò che si sollevava una nuvola di vapori violetti che, a contatto con una lastra fredda, lasciavano depositare dei cristallini di colore scuro di aspetto quasi metallico. A Courtois sembrava impossibile di aver scoperto un nuovo elemento ed era troppo povero per poter condurre in proprio altri esperimenti; chiese così l’aiuto di Charles Bernard Desormes (1777–1862), suo futuro cognato, che, in collaborazione con Nicolas Clément (1779–1841), condusse altre ricerche e poté annunciare la scoperta dello iodio alla comunità scientifica.

Courtois si dedicò per qualche tempo alla fabbricazione di derivati dello iodio di cui, nel frattempo, erano state scoperte le proprietà disinfettanti tanto che l’Accademia Reale di Parigi gli assegnò un premio per il contributo al miglioramento della salute. Courtois morì in miseria in un ospizio nel 1838. Le ricerche chimiche intanto avevano mostrato che lo iodio aveva proprietà simili a quelle del cloro; nel 1814 Joseph Louis Gay-Lussac (1778–1850) descrisse tali proprietà e chiamò il nuovo elemento iodio, dal nome greco del colore violetto (ioeidès) dei suoi vapori. Un campione del nuovo elemento arrivò anche a all’altro grande chimico Humphry Davy (1778-1829) che, alla Royal Society di Londra, ne rivendicò la scoperta. Ne seguì una lunga lite fra il francese Gay-Lussac e l’inglese Davy sulla priorità di tale scoperta, anche se tutti e due riconobbero che il povero Courtois era stato il primo a isolarlo.

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Ben presto le proprietà disinfettanti dello iodio ne fecero un prodotto di grande importanza commerciale. Lo iodio è poco solubile in acqua, è solubile nelle soluzioni di iodio e ioduro di potassio, è solubile in molti solventi organici, ciascuno dei quali fornisce soluzioni di colore diverso. L’acqua di mare contiene circa 50 mg di iodio per metro cubo; varie alghe marine concentrano lo iodio nel proprio organismo e si prestano come materie prime per l’estrazione dell’elemento, proprio come aveva fatto Courtois.

Lo iodio ha vari isotopi. Il più importante è quello di peso atomico 127; lo iodio-131 si forma come prodotto di fissione dell’uranio; ha tempo di dimezzamento di otto giorni; l’isotopo trova impiego per il trattamento del tumore alla tiroide. La produzione mondiale di iodio si aggira sulle 29.000 tonnellate all’anno; la maggior produzione (circa 18.000 t/anno) è quella cilena che lo estrae dai sottoprodotti della lavorazione dei nitrati; segue il Giappone con circa 10.000 t/anno. Lo iodio trova impiego come integratore per alimenti animali, nella produzione degli schermi a cristalli liquidi, come mezzo di contrasto per raggi X. Il principale derivato commerciale dello iodio è lo ioduro di potassio.”

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1- EMBRIOLOGIA E ANATOMIA DELLA TIROIDE Embriologia:

La tiroide è un organo specializzato nella produzione, immagazzinamento e rilascio degli ormoni tiroidei. E’ presente In tutti i vertebrati ed è capace di produrre e secernere ormoni tiroidei. La tiroide è una ghiandola endocrina che appare durante la terza/quarta settimana di vita intrauterina. L'abbozzo della tiroide penetra nel sottostante mesoderma e discende anteriormente all'intestino faringeo come un diverticolo bilobato. Durante la migrazione rimane collegata al pavimento dell'intestino anteriore mediante un canale (dotto tireoglosso) che si solidifica e poi scompare. La parte inferiore del dotto può permanere dando origine al lobo piramidale. Residui del dotto possono formare ghiandole tiroidee accessorie o trasformarsi in cisti. Alla settima settimana la tiroide raggiunge la sua posizione finale di fronte alla trachea, acquistando l'istmo e i due lobi laterali. Durante la fase follicolare della istogenesi tiroidea si assiste ad un progressivo dilatarsi del follicolo con sempre più abbondante deposito di colloide, delineandosi la struttura follicolare dell'adulto e, con l'inizio della organizzazione follicolare e dell'accumulo di colloide, compaiono simultaneamente la funzione iodoconcentrante e quella ormonogenetica. (2)

Anatomia:

La ghiandola tiroide si trova nella parte antero inferiore del collo, appoggiata sopra le cartilagini tiroidea e cricoidea della laringe. Lateralmente e posteriormente può prendere rapporto con la trachea.

La tiroide è costituita da due lobi, uno destro e uno sinistro, connessi da una porzione trasversale detta istmo, posto tra il 2° ed il 4° anello tracheale. A volte può essere presente un terzo lobo, il lobo piramidale, diretto in alto verso l’osso ioide a ricordo delle origini embrionali della ghiandola, il quale può partire dall'istmo o dalle porzioni mediali dei lobi laterali. Anteriormente è ricoperta dai muscoli sternoioideo e sternotiroideo.

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E' rivestita da una guaina connettivale che si introflette e forma la guaina del fascio vascolo-nervoso.

La vascolarizzazione della tiroide (5 ml/g/min il flusso ematico) è garantita dalle arterie tiroidee superiori, rami delle carotidi esterne, e arterie tiroidee inferiori, rami delle succlavie. Il sistema venoso è costituito dalle vene tiroidee superiori ed inferiori ed è tributario delle vene giugulari interne e brachiocefaliche. L'innervazione deriva principalmente dal sistema nervoso autonomo, entrambe le branche, ortosimpatica e parasimpatica, innervano la tiroide mediante terminazioni nervose distribuite sulle pareti dei vasi.

I vasi linfatici della ghiandola confluiscono con gli altri vasi linfatici del collo e del mediastino. Pur essendo secreto nel sistema venoso, una quota del rilascio degli ormoni tiroidei e della maggior parte delle iodoproteine avviene nei linfatici.

Forma e dimensioni sono alquanto varie: il suo peso va da 20 a 80 grammi circa a indicare che essa è molto sensibile alle condizioni fisiologiche dell’individuo comprese le abitudini alimentari e soprattutto l’apporto di iodio. (2)

La tiroide è rivestita da una sottile capsula di tessuto fibroso ricco di fibre elastiche che suddividono il parenchima in lobuli

regolari, ogni lobulo è formato da follicoli i quali rappresentano le unità funzionali della tiroide, sono strutture sferoidali di 50-500 mm di diametro. Ognuno di essi è costituito da un singolo strato di cellule epiteliali, i tireociti (o cellule follicolari) che delimitano una cavità centrale (lume follicolare) il quale contiene la colloide, sostanza gelatinosa costituita essenzialmente da tireoglobulina (Tg) secreta dalle cellule tiroidee. La Tg è una glicoproteina di 660 KDa caratterizzata dalla presenza di residui tirosinici che possono venir iodati dopo ossidazione dello ioduro e condensati a formare gli

ormoni tiroidei. La Tg viene quindi prodotta all’interno del tireocita e poi secreta sottoforma di vescicole nel follicolo dove potrà subire il processo di iodinazione. Il gene responsabile della sintesi della tireoglobulina è situato sul cromosoma 8.

Nella colloide vengono immagazzinati in forma inattiva gli ormoni

triiodotironina (T3) e tiroxina (T4).

Adiacenti ai tireociti, sono presenti cellule di maggiori dimensioni, le cellule parafollicolari (o cellule C) che sintetizzano il terzo ormone tiroideo, la calcitonina, peptide di 32 aminoacidi implicato nella regolazione del metabolismo del calcio e del fosforo.

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La stimolazione alla secrezione di ormoni tiroidei induce variazioni nella forma e nell’attività dei tireociti: quando la ghiandola è quiescente i follicoli sono ricchi di colloide e i tireociti assumono una forma appiattita, quando invece la ghiandola è attivamente secernente i follicoli contengono poca colloide e viene assunto un aspetto colonnare.

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2- Ormoni tiroidei

Gli ormoni tiroidei hanno un vasto campo d'azione ed interagiscono con quasi tutti i distretti dell'organismo; aumentano il consumo di ossigeno e la produzione di calore, aumentano il metabolismo del colesterolo, aumentano l'assorbimento intestinale dei carboidrati e diminuiscono il glicogeno epatico, aumentano l'attività del sistema simpatico, stimolano il sistema nervoso centrale alla cui maturazione pertecipano durante la vita embrionale e fetale, stimolano la normale crescita e sviluppo corporeo. La calcitonina favorisce l’accumulo di ioni calcio nel tessuto osseo, esplica il suo effetto ipocalcemizzante ed ipofosforemizzante inibendo sia il riassorbimento osseo per inibizione degli osteoclasti e degli osteociti e sia il riassorbimento di calcio, fosfati e sodio a livello del tubulo renale in antagonismo con il paratormone. Mentre la produzione di calcitonina è regolata da un semplice meccanismo a feed-back positivo, cioè è la stessa concentrazione di calcio nel sangue a regolare l’equilibrio tra paratormone e calcitonina, la sintesi ed il rilascio di T3 e

T4 sono regolati con un meccanismo di feed-back negativo, in quanto il tasso

ematico di ormoni tiroidei controlla l’intervento dell’ipotalamo (TSH-RH) e dell’ipofisi (TSH). (5)

2.1- Sintesi ormoni tiroidei

La principale funzione della tiroide è quella di produrre i suoi ormoni, T3 e T4,

essenziali per la regolazione del metabolismo corporeo. La produzione ormonale dipende dalla corretta quantità e assorbimento dello iodio, dalla capacità di coniugazione e dai meccanismi di controllo. Lo iodio è la materia prima poiché forma il 65% del peso della T4.

Alla base della produzione ormonale da parte della ghiandola tiroide c’è la capacità di captare lo iodio, sintetizzare la tireoglobulina ed immagazzinarla nei follicoli.

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La prima fase è la captazione dello iodio. Esso è presente sia nell'acqua sia negli alimenti. Lo iodio assunto con

l'alimentazione viene assorbito e trasportato nella circolazione sotto forma di ioduro, una volta captato dalla tiroide viene depositato nella colloide del lume follicolare. Le cellule tiroidee estraggono attivamente lo iodio dal plasma e lo concentrano nella ghiandola. La captazione dello iodio dal plasma e la sua concentrazione da

parte delle cellule tiroidee è un processo attivo di concentrazione contro un gradiente elettrochimico,in quanto la concentrazione dello iodio plasmatico risulta molto inferiore a quella interna alla tiroide che contiene circa il 90% di tutto lo iodio dell’organsmo. Ciò implica un dispendio di energia assicurata dal sistema ATPasico Na/K dipendente, un co-trasportatore sodio-ioduro localizzato sulla membrana basale delle cellule epiteliali tiroidee. Questo meccanismo è saturabile, energia-dipendente. Come risultato di questo trasporto attivo la concentrazione di ioduro intracellulare nei tireociti aumenta da 20 fino a 40 volte rispetto alla concentrazione del plasma. La capacità della tiroide di concentrare lo iodio è controllata dall’attività di un sodio/iodio symporter (NIS), una proteina localizzata sulla membrana basolaterale del tireocita. Il ruolo del NIS in varie patologie e stati fisiologici associati con alterazioni della funzione tiroidea è attualmente in corso di definizione. (7)

Lo ioduro intracellulare migra verso la membrana apicale,

contemporaneamente nel reticolo endoplasmatico avviene la sintesi di 2 proteine fondamentali: la tireoglobulina (Tg) e la perossidasi tiroidea (TPO). La tireoglobulina è una glicoproteina con alto peso melocolare (660 KD) contenente numerose molecole di tirosina e serve come substrato per la iodinazione e la formazione dell'ormone tiroideo. Dal reticolo endoplasmatico viene trasferita nell’apparato del Golgi , viene glicosilata e immagazzinata in vescicole esocitotiche. L’enzima TPO invece, posto a livello della membrana apicale, svolge un ruolo importante sia nell’ossidazione dello iodio inorganico, sia nella sintesi delle iodotirosine: monoiodotirosina (MIT) e diiodotirosina (DIT). La TPO infatti, grazie al gruppo eme in essa contenuto, riduce l'H2O2 ,

elevando lo stato di ossidazione dello ioduro e attaccando lo iodio ai residui tirosinici nella Tg. L'H2O2 è generata dal NADPH e dal calcio. Lo iodio così

attivato sostituisce l’idrogeno in posizione 3 o in posizione 3 e 5 dell’anello fenolico della tirosina, dando luogo alla formazione rispettivamente di monoiodotirosina (MIT) o diiodotirosina (DIT). (8)

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La conseguente condensazione, sempre catalizzata da TPO, di una molecola di MIT con una di DIT determina la formazione di 3,5,3’-triiodo-L-tironina (T3), mentre la condensazione di due molecole di DIT determina la formazione di 3,5,3’,5’-tetraiodo-L-tironina (tiroxina, T4).

La tiroide normalmente produce tutta la T4 circolante ed all’incirca il 20% di

tutta la T3 circolante, la quale ha una grande affinità per il recettore per gli

ormoni tiroidei ed è approssimativamente da 4 a 10 volte più potente rispetto alla T4. Molta dell’attività biologica degli ormoni tiroidei è dovuta agli effetti

della T3 sulle cellule bersaglio e poiché l’80% della T3 sierica deriva dalla

deiodinazione della T4 nei tessuti periferici (origine extratiroidea) e poichè il

recettore per l’ormone tiroideo lega preferenzialmente la T3, la T4 è considerata

un proormone. (9)

L'ultima fase dell'ormonosintesi è quindi la liberazione in circolo di T4 e T3 nel

torrente ematico e richiede l’idrolisi della tireoglobulina. Quest’ultima quindi passa dal lume del follicolo all’interno delle cellule tiroidee mediante endocitosi della colloide. Le goccioline di colloide all’interno del citoplasma si muovono verso la parte basale e si fondono con enzimi lisosomiali che provvedono alla proteolisi della tireoglobulina con liberazione di T3 e T4 che vengono, infine,

rilasciati nel circolo sanguigno. Le molecole di MIT e DIT, anch’esse liberate in seguito alla proteolisi della tireoglobulina, vengono deiodinate all’interno della cellula follicolare in modo tale da permettere il recupero dello iodio, che verrà successivamente riutilizzato nella sintesi delle iodotironine.

Fig.4 FORMAZIONE DI MIT E DIT(6)

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10 2.2- Trasporto ormoni tiroidei

La solubilità plasmatica degli ormoni tiroidei è limitata, essi sono infatti presenti in circolo legati a proteine di trasporto degli ormoni tiroidei. Sono due le principali proteine vettrici specifiche con cui circolano la maggior parte degli ormoni attivi: la globulina legante la tiroxina (thyroxine-binding globulin, TBG) e la prealbumina legante la tiroxina (thyroxine-binding prealbumin, TBPA) oltre all’albumina.(10) La TBPA e l’albumina presentano bassa affinità per questi ormoni, quindi ne determinano un rapido rilascio.(11) Quella più rappresentata ed affine è la TBG. In condizioni fisiologiche, la TBG lega quasi completamente T4 e T3, la piccola frazione non legata (o libera: F=free) è responsabile dell'attivà biologica ormonale e costituisce lo 0,03% degli ormoni circolanti, non legati a proteine. Solo la frazione libera degli ormoni tiroidei è quindi biologicamente attiva, in quanto può penetrare nella cellula bersaglio. Le quote libere dell'ormone (FT4 ed FT3) hanno uguale concentrazione ematica; l'emivita plasmatica della T4 è di 4-5 volte superiore a quella della T3. La T3 tuttavia si lega alle cellule bersaglio con maggiore attività (circa 10 volte superiore alla T4) ed è pertanto la specie ormonale maggiormente attiva. E' per questo che a livello periferico la T4 ematica è trasformata in T3 o in reverse T3 (rT3). Il legame tra ormone e proteina di trasporto avviene secondo la legge di azione di massa e in quanto tale è reversibile. Ne deriva che un aumento delle proteina di trasporto determina all’inizio una diminuzione transitoria della quota libera seguita da una fase di ripristino dei suoi livelli originari.

Benché gli ormoni tiroidei siano altamente liposolubili, il loro passaggio nel compartimento citoplasmatico della cellula bersaglio avviene con un meccanismo probabilmente più complesso della semplice diffusione. La maggior parte delle azioni degli ormoni tiroidei sono mediate dall’ interazione della T3 con specifici recettori nucleari (proteine con massa molecolare compresa tra 30 e 70 KDa). La T4 libera, previa desiodazione a T3, oppure direttamente la T3 libera, interagendo con il recettore nucleare esplicano il loro effetto biologico e vengono quindi metabolizzate.(12)

I recettori per gli ormoni tiroidei appartengono ad una famiglia di fattori di trascrizione nucleare ormono-responsivi che sono simili per struttura e meccanismo d’ azione agli ormoni steroidei. Dopo il legame dell’ormone tiroideo al recettore nucleare, il complesso ormone-recettore si lega ad una regione regolatrice del gene (thyroid-hormone response elements - TRE) ed inizia una serie di eventi che culminano con un aumento della trascrizione del DNA, della traslazione dell’mRNA e della sintesi proteica. Nell’uomo sono stati

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identificati due geni, posti su cromosomi diversi, che codificano due classi differenti di recettori nucleari denominati α e ß e sebbene entrambi i recettori siano altamente omologhi, essi sono codificati da geni su cromosomi separati ed hanno differente affinità per la T3. Sono stati identificati due isorecettori per ogni gene: gli isorecettori α1 e α2 del T3 e gli isorecettori ß 1 e ß 2 della T3. Gli α1 e β1 legano la T3 con alta affinità. (13)

I meccanismi attraverso i quali il complesso T3–recettore nucleare modula la trascrizione genica sono solo in parte conosciuti. In generale, i recettori nucleari appartengono ad una superfamiglia di piccole proteine costituita da tre principali domini cellulari localizzati in tratti distinti della catena proteica. La sequenza centrale, che è altamente conservata in tutti i recettori nucleari, è deputata al legame con il DNA (DNA binding domain). Questa regione è ricca di cisteine che costituiscono due formazioni digitiformi ciascuna stabilizzata da un atomo zinco, gli zinc fingers, necessari a riconoscere le sequenze di DNA specifiche per l’attivazione dei geni regolati (hormone response elements, HRE) e a stabilizzarne il legame. La regione C-terminale che è responsabile del legame con l’ormone (hormone binding domain) contiene molti aminoacidi idrofobici che nella conformazione terziaria formano una tasca idrofobica in cui si impegna l’ormone. La regione N-terminale, che dimostra un basso grado di omologia e viene quindi definita come ipervariabile, sembra essere principalmente coinvolta nell’attivazione dei meccanismi di trascrizione. In seguito a presentazione dell’ormone glicoproteico, i recettori nucleari tendono a dimerizzare legandosi ad un singolo HRE. Le sequenze specifiche del DNA che costituiscono le HRE sono generalmente localizzate su segmenti che precedono dal lato 5’ il promotore della RNA polimerasi del gene inducibile dagli ormoni. Queste sequenze vengono considerate enhancers in quanto in grado di aumentare l’attività trascrizionale del gene in questione. (14)

2.3- Controllo della secrezione ormonale

La tiroide è controllata dall’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide.

Ipotalamo e ipofisi rappresentano la più importante area di interconnessione fra il sistema nervoso e il sistema endocrino, da cui partono gli impulsi e gli stimoli ormonali che governano l’intero sistema endocrino.

L’ipofisi anteriore produce l’ormone stimolante la tiroide (TSH), una glicoproteina che interagisce con specifici recettori sulle cellule della tiroide e stimola la sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei. La sintesi ed il rilascio del

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TSH da parte dell’ipofisi sono influenzate dalla concentrazione degli ormoni tiroidei e dal peptide ipotalamico TRH. L’ attività della tiroide è regolata da un feed-back negativo neuroendocrino, nel quale l’ormone tiroideo interagisce con specifici recettori sui pituiciti ipofisari inibendo la secrezione del TSH e nell’ ipotalamo del TRH (Thyrotropin Relesaing Hormone). Le interazioni lungo l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide mantengono stabile la quantità degli ormoni tiroidei circolanti. Perciò anomalie dei livelli di TSH quasi sempre indicano la presenza di una patologia tiroidea nascosta. L’ormone TSH è costituito da due subunità:  aspecifica, che si ritrova anche in altri ormoni (FSH, LH) e  specifica, che conferisce alla molecola la sua attività biologica. (15)

Il TSH agisce a livello di recettori posti sulla membrana delle cellule follicolari tiroidee, attivando, tramite una proteina G, l’adenilato ciclasi, che permette la produzione di cAMP, il quale, agendo come secondo messaggero, media gli effetti stimolati dal TSH quali: sintesi di tireoglobulina, captazione dello iodio all’interno delle cellule follicolari e sua incorporazione nella tiroide, endocitosi della colloide, proteolisi della tireoglobulina e liberazione degli ormoni tiroidei. Quindi, la sintesi e la liberazione in circolo degli ormoni tiroidei dipendono sia da fattori intrinseci alla ghiandola, come la disponibilità di iodio, sia da fattori ad essa estrinseci, come il feed-back negativo (autoregolazione). Il fulcro dell'autoregolazione è la cellula basofila adenoipofisaria, secernente il TSH, su cui agiscono con influenza contrapposta il TRH (stimolazione) e le iodotironine (inibizione).

Il TRH, mediatore ipotalamico di controllo su diverse attività pituitarie (stimolazione della produzione del TSH, della prolattina ed anche del GH), è prodotto da diversi neuroni che possono subire l'influenza di altri centri nervosi del diencefalo. Un decremento del tasso ematico degli ormoni tiroidei determina la secrezione di TSH, mediata dal TRH, mentre un incremento, invece, degli ormoni tiroidei in circolo, inibisce la secrezione di TSH. (15). Per quanto riguarda invece i fattori intrinseci alla ghiandola, essi dipendono principalmente dalla concentrazione iodica intratiroidea. Se questa è in difetto c'è una maggiore sensibilità della ghiandola al TSH e, quindi, una maggiore capacità di intrappolare lo iodio plasmatico ed infine una quasi esclusiva produzione di T3, che abbiamo visto essere funzionalmente più attivo. In caso di eccesso, al contrario, c'è minore sensibilità della ghiandola al TSH e si può osservare il cosiddetto effetto Wolff-Chaikoff, cioè si blocca l'organificazione dello iodio e di conseguenza la sintesi di ormoni. Benché in questo modo venga ridotta la captazione di iodio dal compartimento extracellulare, questo

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meccanismo garantisce la funzione ormonosintetica nonostante il carico iodico. Esiste infine un "feed-back" negativo corto esercitato dagli ormoni tiroidei sulla stessa tiroide ("short-loop mechanism").

2.4- Metabolismo periferico: la deiodinazione

Il catabolismo delle iodotironine avviene principalmente ad opera di progressive deiodinazioni a livello epatico, dei muscoli scheletrici, cerebrale e renale. Vie metaboliche di minore importanza sono rappresentate dalla deaminazione ossidativa e dalla decarbossilazione.

Per anni si è ritenuto erroneamente che T4 fosse l’ormone attivo, ma oggi è noto che T3 è il principale mediatore dell’attività tiroidea sulle cellule bersaglio. La tiroide produce anche 3,5,3’-triiodotironina, o T3 reverse, ma in quantità minima (5%) ed è comunque inattiva; la restante parte deriva dalla deiodinazione periferica di T4.(16) Nel siero, inoltre, sono presenti altre iodotironine: si tratta di diiodotironine (3,3’-T2, 3,5-T2 e 3’,5’-T2) e monoiodotironine (3’-T1 e 3-T1). La principale via del metabolismo dell’ormone tiroideo è quindi la deiodinazione (17) infatti la produzione giornaliera di T3 corrisponde al 20% della sua produzione totale, mentre il restante 80% deriva dalla deiodinazione nei tessuti periferici di T4 in T3.

Per deiodinazione dell’anello fenolico esterno, la tiroxina viene convertita in T3; la deiodinazione dell’anello tirosilico interno, invece, porta alla formazione di rT3. Entrambe le triiodotironine possono essere ulteriormente deiodinate con produzione delle diiodotironine presenti nel siero: la T3 potenzialmente produrrebbe 3,3’-T2 e 3,5-T2, mentre la rT3 produrrebbe 3,3’-T2 e 3’,5’-T2.

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La deiodinazione è operata da una serie di enzimi denominati iodotironine deiodinasi (ID) di cui ne sono stati individuati tre tipi.

Deiodinasi I (ID-I)

La iodotironina deiodinasi di tipo I è presente nel fegato e nel rene, ed è localizzata, inoltre, nel reticolo endoplasmatico delle cellule epatiche e nella membrana plasmatica delle cellule renali e di quelle tiroidee. Questo enzima richiede tioli, quali il ditiotreitolo (DTT), come cofattori in vitro ed il glutatione come cofattore in vivo.(17) Agisce sia sull’anello interno che su quello esterno delle iodotironine e, sebbene esibisca una preferenza per la rT3 come substrato, è importante per la produzione periferica di T3 da T4. L’attività della ID-1 è inibita dai tiouracili, come il propiltiouracile (PTU), e dall’acido iopanoico (IOPA). La sua espressione, inoltre, è ridotta in caso di ipotiroidismo ed è, invece, incrementata durante l’ipertiroidismo.

Deiodinasi II (ID-II)

La iodotironina deiodinasi di tipo II è presente soprattutto a livello del cervello, dell’ipofisi, del BAT e della placenta. Nell’uomo si ritrova anche nella tiroide, nel cuore e nel muscolo scheletrico; questo enzima ha esclusivamente attività deiodinasica dell’anello esterno ed è, quindi, importante per la produzione intracellulare di T3 in questi tessuti.(18) Inoltre mantiene un livello costante di T3 nel sistema nervoso centrale.

In caso di ipotiroidismo, tuttavia, la produzione dell’ormone, attraverso la conversione di T4, mediante ID-II, può diventare una fonte importante di T3 circolante.

La sua attività enzimatica è alta nell’ipotiroidismo e bassa nell’ipertiroidismo. La ID-II è insensibile al PTU, ma è inibita dall’acido iopanoico sia in vivo che in vitro. (19)

Deiodinasi III (ID-III)

La iodotironina deidoinasi di tipo III è presente nel cervello, nella pelle, nella placenta ed in alcuni tessuti fetali; ha soltanto attività deiodinasica dell’anello 32 interno e permette, quindi, la produzione di rT3 a partire da T4. La sua attività è inibita dallo IOPA.

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15 2.5- Funzioni degli ormoni tiroidei

Gli ormoni tiroidei hanno molteplici funzioni che si esplicano già nelle prime fasi di sviluppo del bambino e regolano l’attività metabolica dell’adulto influenzando la funzione di ogni organo e tessuto, intervengono quindi generando:

- effetti sullo sviluppo neuronale e scheletrico fetale: sebbene gli ormoni tiroidei siano in grado di attraversare la barriera placentare mediante i trasportatori MCT8 e MCT10, (20) la tiroide fetale deve provvedere alla sintesi degli ormoni stessi per un corretto bilancio ormonale. Questo processo inizia sin dalla 11a settimana di gestazione. Il difetto di T3 nella vita fetale porta al quadro di cretinismo;

- azione termogenica: il livello di ossigeno a riposo è aumentato in presenza di elevati livelli di ormoni tiroidei e viceversa. Questa è una delle funzioni principali degli ormoni tiroidei, in quanto aumentano il consumo di ossigeno in diversi tessuti e ciò comporta una maggior produzione di calore e di conseguenza un aumento del metabolismo basale. Esperimenti compiuti nel 1960 da Tata e collaboratori (21) hanno infatti dimostrato che la somministrazione di T3 in ratti ipotiroidei induceva il disaccoppiamento della catena di trasporto degli elettroni a livello mitocondriale e ciò stimolava il tasso metabolico basale. Tale meccanismo veniva, invece, bloccato dalla simultanea somministrazione di actinomicina D, un soppressore della sintesi proteica (22) - effetti sul sistema cardiovascolare: gli ormoni tiroidei hanno un effetto cronotropo e inotropo sul cuore. Questo fenomeno può in parte essere attribuito al fatto che alti livelli di ormoni provocano un aumento dei recettori β-adrenergici nel muscolo cardiaco;

- effetti emopoietici: gli ormoni tiroidei causano un aumento dell’eritropoiesi probabilmente collegato all’aumento del consumo di ossigeno;

- effetti sul sistema endocrino: in carenza di ormoni tiroidei si assiste ad un aumento dei livelli di prolattina e una ridotta risposta al GH. Altresì un aumento di ormoni tiroidei causa in generale un aumento della sensibilità ad ormoni e farmaci;

- effetti sull’osso e sul muscolo: gli ormoni tiroidei hanno un ruolo di stimolo sul turnover del tessuto osseo.

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16

- regolano il metabolismo glucidico favorendo la glicogenolisi e la gluconeogenesi, in particolare la T3 agisce sulla degradazione delle proteine per formare amminoacidi che vengano utilizzati per la gluconeogenesi. Gli ormoni tiroidei, inoltre, aumentano l’attività degli enzimi coinvolti nell’ossidazione del glucosio;

- stimolano sia la lipolisi (utilizzo di grasso a scopo energetico), sia la lipogenesi (sintesi di tessuto adiposo), con effetto prevalente sulla lipolisi;

- regolano la sintesi proteica.

3- FONTI DELLO IODIO

Lo iodio (I2) dal greco iodes: violetto, è un elemento che si ritrova in natura allo

stato solido sotto forma di un solido nero bluastro che attraverso il processo di sublimazione sprigiona un gas di colore violetto dall’odore irritante. Lo iodio che viene metabolizzato si trova invece in natura sotto forma di composti molecolari a formare ad esempio i sali di ioduro/iodato o, essendo altamente volatile, come ione monovalente (I-). Proprio per la proprietà di essere volatile

lo iodio è ubiquitario nell’ambiente che ci circonda: rocce, suolo, aria ed acqua sono alcuni esempi. A seguito però degli eventi climatici verificatisi nelle diverse ere geologiche, lo iodio è stato dilavato via dalla crosta terrestre per cui la quantità nel suolo è scarsa in vaste aree del pianeta (Tab. 1.1) (23).

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17

Gli oceani ne rappresentano il deposito principale sia sotto forma di sali inorganici (ioduri e iodati di sodio) che in forma diatomica (I2) e monoatomica

(I-); è dagli oceani che inizia il ciclo dello iodio (Fig. 8) per cui col processo di

volatilizzazione dovuto ai raggi solari e le piogge, lo iodio si deposita, anche se in esigue quantità, nel suolo, negli alimenti, nell’aria etc.

L’assunzione dello iodio avviene per l’80-90% attraverso la dieta, attraverso l’acqua per il 10-20% e l’aria per lo 0-5%.

La fonte principale di iodio per l’uomo è rappresentata quindi dagli alimenti, che tuttavia contengono un quantitativo variabile di iodio. Il contenuto di iodio è comunque estremamente variabile nei diversi alimenti. Le concentrazioni più elevate si riscontrano nel pesce di mare e nei molluschi e crostacei, che contengono in media da 50 a 100 mcg di iodio per 100 g (può variare 10 a 300 mcg per 100 g); gli altri alimenti di origine animale: carne, latte e derivati contengono in media da 10 a 50 mcg per 100 g; i prodotti vegetali contengono meno di 3 mcg (24); (25): valori più elevati si trovano nei cereali, seguiti dai legumi e dalle altre verdure ed infine dalla frutta. All’interno di ciascuna categoria le variazioni possono essere comunque molto ampie, dal momento che la localizzazione geografica influenza notevolmente il contenuto di iodio. Oltre agli alimenti contribuiscono all’apporto iodico anche l’aria che respiriamo (0,5 mcg/die), l’acqua (8-30 mcg/1,5-2L), gli integratori dietetici (150 mcg/die), i mezzi di contrasto radiografici, i farmaci ad uso topico o sistemico, gli antisettici, etc.

In generale nella maggior parte di cibi e bevande troviamo concentrazioni di iodio piuttosto basse, tali da non soddisfare il fabbisogno giornaliero che è di 150 mcg/die nell’adulto e che aumenta durante la gravidanza e l’allattamento. Studi basati sulla misura della captazione e del turnover giornalieri dello iodio

AMBIENTE CONTENUTI IODIO (µg/L o kg)

Aria 1

Aria marina 100

Acqua dolce 5

Acqua di mare 50

Rocce ignee 500

Suoli da rocce ignee 4000 Rocce sedimentarie 1500 Suoli da rocce 4000 Rocce metamorfiche 1600

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hanno stabilito la quantità di iodio necessaria (Tabella 2) in base alle differenze di età e condizioni fisiologiche (26)

Da ciò deriva l’importanza di correggere la carenza nutrizionale di iodio in modo da prevenire il gozzo endemico e tutti gli altri disordini ad essa correlati. E’ inoltre importante sottolineare come gli effetti avversi possano essere evitati con un adeguato controllo e monitoraggio della supplementazione iodica.

4- INDICATORI DI APPORTO IODICO

Lo stato di nutrizione iodica di una popolazione può essere valutata usando diversi biomarker di esposizione o di funzionalità (27):

- Escrezione urinaria di iodio o ioduria (UIC) - Prevalenza di gozzo

- TSH sierico nei neonati - Tireoglobulina sierica

L’escrezione urinaria di iodio è il biomarker di scelta nelle stime sulla popolazione, è un indicatore affidabile di apporto iodico dal momento che più del 90% dello iodio introdotto con la dieta viene eliminato con le urine nelle 24-48 ore sucessive. La sua determinazione è direttamente correlata con la frequenza di gozzo e disordini da carenza iodica. La ioduria infatti fornisce un’adeguata valutazione della nutrizione iodica “recente” di una popolazione ed è attualmente l’indice di scelta per la classificazione del grado di carenza iodica e per il monitoraggio della sua correzione. WHO,UNICEF e il Consiglio Internazionale per il Controllo dei Disturbi da Carenza di iodio raccomanda l’utilizzo della mediana UIC: MUI espressa in µg/L.(27)

Fabbisogno giornaliero di iodio

BAMBINI FINO A 6 ANNI 90 mcg/L BAMBINI IN ETA’ SCOLARE

(7-12Y) 120 mcg/L ADULTI 150 mcg/L DONNE IN GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO 250 mcg/L

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Le ricerche più rappresentative al riguardo seguono i seguenti criteri epidemiologici di valutazione dello stato nutritivo dello iodio nella popolazione, basato sulla concentrazione urinaria mediana di iodio:

Bambini in età scolare e adulti:

Intake di iodio: <20 µg/L : Insufficiente. Severa carenza di iodio Intake di iodio: 20-49 µg/L: Insufficiente. Moderata carenza di iodio Intake di iodio: 50-99 µg/L: Insufficiente. Leggera carenza di iodio Intake di iodio: 100-299 µg/L: Adeguato. Ottimale

Intake di iodio: ≥300 µg/L: Eccessivo. Rischio di ipertiroidismo iodio-indotto e tiroidite autoimmune.

Donne in gravidanza:

Intake di iodio: <150 µg/L: Insufficiente Intake di iodio: 150-249 µg/L: Adeguato

Intake di iodio: 250-499 µg/L: Più che adeguato Intake di iodio: ≥500 µg/L: Eccessivo

Donne in allattamento:

Intake di iodio: <100 µg/L: Insufficiente Intake di iodio: ≥100 µg/L: Adeguato (27)

Sebbene non si possa valutare la funzione tiroidea attraverso la misurazione dell’UIC/MUI, un insufficiente o eccessivo MUI nella popolazione può predire un elevato rischio per lo sviluppo di malattie della tiroide.

Le dimensioni della ghiandola tiroidea sono inversamente proporzionali all’apporto iodico e la prevalenza di gozzo è un indice di un grado di carenza iodica di “lunga durata”. Si definisce gozzo un volume tiroideo superiore al 97° percentile stabilito in base a sesso, età e superficie corporea in una popolazione che vive in condizioni di adeguato apporto iodico. Tradizionalmente le dimensioni del gozzo vengono valutate mediante l’ispezione e la palpazione, tuttavia l’ecografia fornisce un metodo di valutazione del volume tiroideo più preciso e obiettivo.

Nelle aree endemiche il TSH sierico neonatale è frequentemente elevato in quanto rappresenta un meccanismo di compensazione allo stato di carenza iodica. L’elevato valore del TSH neonatale è il migliore indicatore predittivo di danno cerebrale e di compromissione dello sviluppo intellettivo. Lo screening sistematico nell’ipotiroidismo congenito viene utilizzato per valutare lo stato iodico di una popolazione per monitorare i programmi di supplementazione iodica. Un valore di TSH >5mU/L in un campione di sangue raccolto 3-4 giorni

(21)

20

dopo la nascita, persistente per settimane, in più del 3% dei neonati indica stato di carenza iodica nella popolazione (28).

La tireoglobulina è la proteina più abbondante all’interno della ghiandola tiroidea, i livelli di tireoglobulina sierica, in condizioni di carenza iodica, sono più alti che in condizioni di iodo-sufficienza (come conseguenza dello stimolo del TSH e della più alta frequenza di gozzo) e si riducono rapidamente dopo iodoprofilassi (26). Tendenzialmente non vi è correlazione, se non debole, tra i livelli di UIC e la concentrazione degli ormoni tiroidei ma UIC è associato con la concentrazione della tireoglobulina sierica e le dimensioni della tiroide.

In Danimarca, la concentrazione mediana della tireoglobulina sierica è risultata significativamente più alta negli adulti con carenza di iodio moderata rispetto a quelli con carenza lieve e la iodazione salina ha diminuito la concentrazione mediana della tireoglobulina in entrambi i casi. (29)

5- PATOLOGIE DELLA TIROIDE

Le malattie della tiroide comprendono sia patologie benigne, che dal punto di vista funzionale sono riconducibili a forme normo- ipo- e iperfunzionanti (a seconda della quantità di ormoni tiroidei prodotti), sia patologie infiammatorie nonchè patologie neoplastiche.

5.1- Ipertiroidismo

Con il termine di ipertiroidismo si intende una situazione clinica caratterizzata da un aumento di ormoni tiroidei T3 e T4 in circolo. Poiché gli ormoni tiroidei sono i principali regolatori del metabolismo, questa condizione determina un aumento di molte reazioni metaboliche. Uno degli effetti primari negli ipertiroidei è la stimolazione della calorigenesi, come aumento del metabolismo basale. A livello del mitocondrio, arrivano NADH+ e FADH2, che devono essere riossidati per poter essere nuovamente utilizzati. La riossidazione degli enzimi avviene con il trasporto di elettroni che prevede il passaggio di cariche negative (elettroni) dal NADH+ fino all'ossigeno O2 che viene ridotto a O= con formazione di acqua, che rilasciata promuove la

generazione di energia sottoforma di ATP. L’accumulo di T3 e T4 per iper-produzione comporta che si attivi l’attività disaccoppiante di questi ultimi. Quest’evento porta alla produzione di una proteina che si chiama termogenina, la quale forma un canale che fa rientrare i protoni nella matrice mitocondriale,

(22)

21

così che l'energia liberata non sia convertita in ATP ma dissipata sotto forma di calore. (30)

I sintomi comuni della patologia ipertiroidea includono perdita di peso, nervosismo, irritabilità, intolleranza ai climi caldi, eccessiva sudorazione, tremori e debolezza muscolare. Altri segni includono tachicardia, palpitazioni, ipereccitabilità emozionale, apprensione, insonnia, perdita di grasso e di massa muscolare, aumento di volume della tiroide (gozzo), perdita di capelli e amenorrea. Circa il 50% dei pazienti presenta oftalmopatia.

L'ipertiroidismo può avere diverse cause di cui le più frequenti sono:

- Morbo di Basedow , è una malattia autoimmune, cioè causata da autoanticorpi rivolti contro i recettori del TSH. Questi causano una continua stimolazione della tiroide a produrre ormoni. La tiroide, inoltre, non è soltanto l’organo bersaglio, ma è sede di cloni linfocitari helper/inducer capaci di stimolare la produzione, da parte dei linfociti B e dei macrofagi, di anticorpi stimolanti il TSHR. (31)

- Gozzo nodulare tossico: può essere uni o plurinodulare.

Il primo, detto anche Morbo di Plummer, è dovuto ad un adenoma della tiroide che produce ormoni tiroidei in maniera svincolata dal normale controllo ipotalamico-ipofisario, determinando spesso l’inibizione funzionale del restante parenchima tiroideo che a questo controllo continua ad essere soggetto. E’ fornito di una propria capsula relativamente spessa e ben definita e circondata da parenchima tiroideo normale. Alla scintigrafia si presenta come un nodulo unico, “caldo”, cioè con un’elevata captazione di ormoni.

Nel gozzo tossico plurinodulare invece il nodulo iperfunzionante è uno dei tanti noduli di iperplasia presenti all'interno della tiroide che, inizialmente normofunzionante, si svincola dal controllo ipotalamo-ipofisario cominciando a produrre ormoni tiroidei in quantità eccessiva. Il nodulo non è fornito di una capsula propria ma di una pseudocapsula ed alla scintigrafia appare anch'esso come un nodulo "caldo", ma insieme ad altri noduli "freddi" o normocaptanti.(32)

Tra le cause meno frequenti di ipertiroidismo si elencano: -adenoma ipofisario TSH secernente

-carcinomi tiroidei -mola idatiforme

-resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei

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22

-struma ovarii

-tiroidite di Hashimoto: è una delle patologie tiroidee più diffuse al mondo, soprattutto in quelle aree in cui l'apporto iodico è particolarmente elevato. È più comune nel sesso femminile e la sua incidenza aumenta all'aumentare dell'età. La tiroidite di Hashimoto è una patologia autoimmune. Questa forma di tiroidite che nella fase iniziale si manifesta con sintomi da iperfunzione, successivamente tende a evolvere verso l'ipotiroidismo. La sintomatologia di tale patologia è caratterizzata da una certa variabilità che è legata all'evoluzione clinica della malattia, all'età in cui essa insorge e all'eventuale contemporanea presenza di altre patologie; (33)

-tiroidite subacuta (tiroidite di De Quervain): è un’infiammazione della ghiandola tiroidea di probabile origine virale. L'infiammazione provoca un eccesso di ormoni tiroidei in circolo e si manifesta con i sintomi propri dell’ipertiroidismo; le manifestazioni sono comunque lievi e di breve durata. La tiroide è lievemente ingrandita e dolente. Alla fase di tireotossicosi spesso subentra una temporanea condizione di ipotiroidismo; (34)

-ipertiroidismo gestazionale (1-3% delle gravidanze): associato a soppressione dell’ormone TSH ed aumento della concentrazione FT4. Questo quadro clinico risulta essere limitato alla prima metà della gravidanza, in assenza di autoimmunità tiroidea. Tale condizione è dovuta all’effetto degli elevati livelli di gonadotropina corionica (hCG) che stimolano la tiroide legandosi al recettore per il TSH posto sulla membrana dei tireociti. In seguito alla riduzione dell’ormone hCG, che si verifica mediamente intorno alla 20a settimana di gestazione, il soggetto reverte alla condizione eutiroidea; (35)

-tiroidite post-partum è stata descritta la prima volta nel 1948. Si presenta nel 5-9% delle donne subito dopo aver partorito. È una forma di tiroidite le cui cause sono tuttora sconosciute. Molti autori ipotizzano che possa trattarsi di una variante di tiroidite di tipo autoimmune. Questo tipo di tiroidite si manifesta nei primi dodici mesi dopo il parto in donne eutiroidee durante il periodo della gravidanza. Tipicamente il decorso della tiroidite post-partum si caratterizza per una fase di ipertiroidismo seguita da una fase di ipotiroidismo. Il ritorno allo stato eutiroideo avviene entro un anno dal parto.(35)

(24)

23 5.2 Ipotiroidismo

È una sindrome clinica dovuta ad un’insufficiente azione degli ormoni tiroidei a livello tissutale e determina un rallentamento di tutti i processi metabolici. L’ipotiroidismo che si sviluppa durante la vita fetale e/o neonatale determina una riduzione importante e spesso permanete dei processi accrescitivi e di sviluppo neurologico, mentre l’ipotiroidismo nell’adulto, a frequenza elevata (20.6-20.8% con percentuali più alte nel sesso femminile) determina un rallentamento generalizzato dei processi matabolici e nella maggior parte dei casi, soprattutto in età avanzata, è conseguente alla patologia autoimmune. (36). Si possono identificare tre forme principali di ipotiroidismo:

□ Ipotiroidismo primitivo:caratterizzato da una ridotta massa e/o funzione del

tessuto tiroideo. Si distingue in: ipotiroidismo primitivo congenito e ipotiroidismo primitivo acquisito.

Ipotiroidismo primitivo congenito: è una patologia permanente ed è dovuta ad anormalità nello sviluppo della ghiandola tiroidea (disgenesia o agenesia) oppure ad una ormonogenesi tiroidea insufficiente. Meno comune la forma neonatale transiente, dovuta al passaggio di farmaci assunti durante la gravidanza dalla madre al feto, al passaggio transplacentare di anticorpi bloccanti anti-TSHR oppure alla carenza o all’eccesso di iodio. Nonostante l’importanza degli ormoni tiroidei per lo sviluppo di numerosi organi e sistemi, in particolare il sistema nervoso, molti neonati ipotiroidei appaiono normali alla nascita, grazie all’apporto di ormoni materni avvenuto durante la gestazione e all’efficiente accumulo di T4 e conversione in T3 nel tessuto nervoso. Questo, a patto di istituire rapidamente un’opportuna terapia, permette lo sviluppo pressochè normale delle funzioni cognitive del neonato. Tuttavia, in caso di ipotiroidismo sia materno sia fetale lo sviluppo neuronale è irrimediabilmente compromesso, nonostante il ricorso tempestivo alla terapia (37)

L’ipotiroidismo congenito ha un incidenza pari a un caso ogni 6000 – 8000 nati vivi (38) e le cause possono essere molteplici: • Passaggio transplacentare di anticorpi materni antitiroide (5%) • Disormonogenesi (10%) • Disgenesia della Tiroide, comprendente l’(emi)agenesia, la presenza di tessuto tiroideo ectopico, l’ipoplasia (85%).

Ipotiroidismo primitivo in cui la ridotta massa e/o funzione ghiandolare può dipendere da processi autoimmuni come nella tiroidite di Hashimoto, caratterizzata morfologicamente da una cronica infiltrazione linfocitaria che genera un gozzo diffuso ed evolve frequentemente verso l’ipotiroidismo. La positività degli autoanticorpi circolanti, tireoperossidasi (TPO) e

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anti-24

tireoglobulina (anti-TG), sottende la patogenesi autoimmune e, al tempo stesso, ha un fondamentale significato diagnostico. I meccanismi del danno d’organo sono complessi e comprendono la partecipazione dell’immunità umorale e di quella cellulo-mediata.

La seconda variante morfologica e clinica dell’ipotiroidismo primitivo acquisito è il mixedema idiopatico, che si manifesta con ipotiroidismo conclamato, in assenza di gozzo, con anticorpi che possono essere anche negativi.

L’ipotiroidismo infine può derivare da una grave CARENZA DELL’APPORTO IODICO CON L’ALIMENTAZIONE e si associa quindi a gozzo per iperplasia compensatoria della ghiandola secondaria all’iperstimolazione tireotropinica. □ Ipotiroidismo centrale: relativo ad un’insufficiente stimolazione della ghiandola tiroidea, intrinsecamente normale, da parte del TSH. Questo deficit comprende sia il deficit di TSH da lesione ipofisaria (definito anche ipotiroidismo secondario) sia quello da disregolazione ipotalamica (definito anche ipotiroidismo terziario). In entrambe le condizioni sono compresi casi nei quali l’ipotiroidismo è dovuto alla secrezione di TSH con ridotta attività biologica, per la presenza di mutazioni puntiformi della β-subunità del TSH che ne impediscono l’assemblaggio con l’α-subunità o il suo legame al recettore.(38)

□ Resistenza al TSH: è una malattia genetica caratterizzata da un’elevata concentrazione di TSH nel siero e una normale o ridotta concentrazione di ormoni tiroidei che sono associati a ghiandola in sede con dimensioni normali o leggermente ridotte e in assenza di autoanticorpi (39). La resistenza al TSH è generalmente dovuta a mutazioni nel TSHR che risultano parzialmente o completamente inattivanti. La resistenza al TSH può essere distinta in resistenza completa in cui la refrattarietà della ghiandola tiroidea all'azione TSH può essere associata ad una ridotta produzione degli ormoni tiroidei e una ridotta crescita e resistenza parziale quando dopo la stimolazione da parte del THS la sensibilità del tessuto tiroideo viene parzialmente conservato, in quanto l’aumento dei livelli di TSH può riuscire a compensare il difetto del recettore.

5.3 Iodio e patologie tiroidee

La carenza nutrizionale di iodio è ancora uno dei più importanti problemi di salute pubblica mondiale (40), non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli industrializzati (41,42). La carenza nutrizionale di iodio è causa di

(26)

25

molteplici disordini morbosi oltre al gozzo endemico, conosciuti come “Iodine Deficency Disorders” (IDD) tra cui il cretinismo endemico e altri deficit neuropsicologici, l’ipotiroidismo con o senza difetto dell’accrescimento, l’aumentata frequenza di aborti e mortalità infantile. Ad oggi due miliardi di persone nel mondo, dei quali un terzo di bambini in età scolare, sono ancora esposti alle conseguenze di un un apporto iodico insufficiente (43,44,45). E’ stimato che circa il 29% della popolazione mondiale viva in aree con carenza iodica. In figura 7 è mostrato lo stato di nutrizione iodica nel mondo (46)

In diversi studi di popolazione è stato dimostrato come il diverso apporto di iodio influisca sul pattern tiroideo (47). Le principali alterazioni funzionali tiroidee si presentano sotto forma di ipertiroidismo o ipotiroidismo, in entrambi i casi si può avere il gozzo.

Nel 2014 l’intake di iodio si è dimostrato adeguato in 112 Paesi, carente in 29 Paesi ed eccessivo in 11 Paesi. Nell’ultimo decennio il numero dei Paesi con apporto di iodio sufficiente è passato da 67 a 112, mostrando considerevoli progressi. (48). Ciò nonostante si registrano carenze nutritive di iodio non solo nei Paesi in via di sviluppo (Ethiopia, Marocco, Mozambico), ma anche in Paesi ad alto reddito come Danimarca, Italia, UK. Molte ricerche suggeriscono inoltre dati di carenza di intake di iodio per le donne in gravidanza, sia nei Paesi in via di sviluppo che ad alto reddito come USA e UK. (49). Si capisce quindi come la carenza di iodio, diversamente dalla maggior parte dei micronutrienti, non sia una problematica riservata solo alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo affette da diete povere, ci sono Paesi anche in America (ovest), Australia (sud),

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26

Europa (Alpi e Appennini, aree UK e Galles) in cui i terreni sono poveri di iodio e di conseguenza i prodotti derivanti da essi, a meno che lo iodio non venga addizionato ai cibi o non vengano introdotti cibi provenienti da regioni iodio-sufficienti. Anche se il sale iodato è sufficiente, i prodotti della terra sono una risorsa importante di iodio nel nord America e in Europa, vanno a contribuire infatti nell’intake di iodio per il 50%. Ciò che potrebbe aver contribuito nell’ultima decade a riaccendere l’emergenza per la carenza di iodio potrebbe essere, in zone come l’Australia e l’UK, l’utilizzo sempre maggiore di prodotti di origine vegetale e la sostituzione del latte vaccino con bevande vegetali. Il latte naturalmente non contiene moltissimo iodio ma i supplementi di iodio dati alle mucche, soprattutto attraverso i mangimi invernali e l’aggiunta di residui di disinfettanti iodofori utilizzati normalmente, anche per il trasporto, incrementano la concentrazione di iodio nel latte. (50)

Comunemente gli studi relativi utilizzano i seguenti come metodi di misurazione dell’esposizione allo iodio:

•concentrazione urinaria di iodio(UIC): più del 90% dello iodio consumato viene escreto con le urine, ciò rende UIC un buon biomarker. Sia UIC che la sua mediana (MUI) danno valori oggettivi, quantificabili e riproducibili in grado di riflettere il recente livello di iodio nell’individuo e sono eccellenti indicatori della concentrazione di iodio nella popolazione.

•variazioni dei livelli di iodio nelle diverse regioni: riflette il livello di iodio su larga popolazione. Differenze nell’intake di iodio tra regione e regione possono influenzare non solo il rischio di sviluppare o meno una lesione maligna, ma anche la distribuzione dei vari sottotipi di cancro alla tiroide: alcune popolazioni residenti in aree ad ottimale intake di iodio sembrano avere un’incidenza minore del tipo di cancro tiroideo più aggressivo, quello follicolare, mentre registrano più casi di cancro di tipo papillare. (51)

•universale implementazione di sale iodato: riflettono il livello di iodio su larga popolazione.

• assunzione di iodio stimata da questionari alimentari.

Le ricerche più autorevoli distinguono unanimamente i livelli di iodio nella popolazione in 4 categorie:

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-adeduato (UIC 100-199,9)

-più che adeguato (UIC 200-299,9) -eccessivo (UIC ≥300)

Lo stato nutrizionale dello iodio non è ben bilanciato nella popolazione. Sebbene importanti miglioramenti siano stati fatti in prevenzione alle IDDs, l’insufficienza dello iodio nella popolazione risulta essere ancora diffusa e più comune nelle donne che negli uomini (18,60% donne contro 11,28% uomini della popolazione presa in esame). Il livello di iodio più che adeguato ed eccessivo rappresentano rispettivamente il 24,98% e il 18,12% e solo il 40% risulta avere un livello di intake di iodio adeguato.(52)

Sia la carenza (53) che l’eccesso di iodio possono essere correlati alle malattie della tiroide. Disturbi tiroidei benigni possono essere provocati anche da piccole variazioni dell’intake di iodio nella popolazione (54).

L’insufficienza di iodio compromette la produzione degli ormoni tiroidei e causa molteplici effetti avversi i quali, attraverso i diversi cicli vitali umani, comportano la nascita di disturbi da carenza.

Di seguito i disturbi da insufficienza di iodio e loro conseguenze sulla salute divisi per età:

Tutte le età: •Gozzo

•Aumento della sensibilità della ghiandola tiroidea alle radiazioni nucleari •Ipotiroidismo: in caso di carenza di iodio severa.

Feto: •Aborto •Mortalità neonatale •Anomalie congenite •Mortalità prenatale Neonato: •Mortalità infantile •Cretinismo endemico Infanzia e adolescenza:

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•Ritardo nello sviluppo fisico Adulto:

•Funzionalità cognitiva compromessa •Diminuzione della produttività lavorativa •Gozzo nodulare tossico, ipertiroidismo (54)

Sebbene l’effetto più visibilmente apprezzabile della carenza di iodio sia il gozzo, quello più serio è sicuramente il danneggiamento cognitivo. Le normali concentrazioni di ormoni tiroidei sono necessarie per la migrazione neuronale, la differenziazione gliale e la mielinizzazione del sistema nervoso centrale (55) Due reviews sistematiche recenti confermano i benefici della correzione dell’insufficienza di iodio. La prima analizza 89 studi nei quali si fornisce sale iodato alla popolazione e si registra una significativa riduzione del 72-76% del rischio di basso livello di intelligenza (definito come QI <70) con un aumento di 8.2-10.5 punti. (56). La seconda review similmente conclude che i bambini con sufficiente apporto di iodio dimostrano 6.9-10.2 punti in più di QI rispetto ai bambini con insufficienza di iodio. (57)

Il Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Bambini identifica la carenza di iodio come fattore di rischio globale per la compromissione dello sviluppo dei bambini. (58)

Sebbene la prevenzione della carenza di iodio nelle prime fasi della vita sia lo scopo dei programmi di prevenzione riguardanti lo iodio, le differenze nell’intake di iodio sono un determinante importante nei disturbi tiroidei dell’adulto anche se spesso sottovalutato.

Anche piccoli incrementi nell’intake dello iodio possono modificare il pattern delle malattie tiroidee su una popolazione iodo-carente (59), per questo diventa importante per i ricercatori effettuare studi epidemiologici che considerino non solo l’apporto attuale, ma anche la storia dell’intake di iodio in una determinata popolazione. Vanno tenuti in considerazione inoltre fattori genetici e ambientali che possono portare al cambiamento degli effetti dello iodio sui disturbi tiroidei. Ad esempio, la popolazione bianca ha un rischio maggiore di andare incontro alla tiroidite autoimmune rispetto a quella africana o asiatica, ciò espone i bianchi ad un rischio maggiore di ipotiroidismo qualora l’intake di iodio risultasse eccessivo.(60)

Come già accennato, la carenza di iodio rimane il maggior fattore di rischio per gozzo e nodularità ed entrambi sono importanti fattori di predisposizione al

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29

cancro tiroideo, sia negli uomini che nelle donne. (61). Uno studio pubblicato nel 1999 riportava già un rischio relativo di sviluppo di cancro alla tiroide per i soggetti con storia clinica di gozzo ed un rischio molto più alto nei soggetti con noduli benigni.(62)

La frequenza e la severità delle IDD è proporzionale alla vastità della carenza (63) e può essere prevenuta migliorando l’assunzione di iodio attraverso la iodizzazione del sale. (64). D’altra parte numerosi studi hanno mostrato l’effetto della supplementazione di iodio sull’epidemiologia del gozzo (65) e sull’aumento di incidenza dell’ipertiroidismo (66), condizione associata ad un aumento di aritmie e mortalità nei più anziani. Ciò è dovuto allo sviluppo di tireotossicosi indotta dallo iodio in soggetti con una certa suscettibilità genetica o con preesistente gozzo multinodulare autonomo. Questi dati sottolineano l’importanza della monitorizzazione dello stato di iodio per poter indagare sia la carenza che l’eccesso dell’intake iodico.

5.3.1 Iperplasia gozzigena

Il gozzo è la più comune conseguenza della carenza iodica nell’adulto. L’inadeguata sintesi di ormoni tiroidei conduce ad un aumento compensatorio del TSH, che è la causa primaria di iperplasia ed ipertrofia follicolare. (67)

Col termine gozzo si intende l’aumento di dimensioni della tiroide non dovuto a patologie autoimmuni o neoplasie maligne ed è associato ad una normale funzione tiroidea. L’aumento diffuso della tiroide in assenza di noduli (gozzo diffuso non tossico) è frequente, ma raramente costituisce un problema clinico. La forma che più frequentemente giunge all’attenzione del medico è il gozzo uni/multinodulare (gozzo nodulare non tossico). Nelle aree iodocarenti, il gozzo nodulare viene riscontrato con maggior prevalenza nei soggetti più anziani mentre il gozzo diffuso si osserva più frequentemente nei soggetti più giovani. Una classificazione dei gozzi basata sulla loro eziologia riconosce:

•gozzo endemico •gozzo sporadico •gozzo familiare

Un gozzo si definisce endemico se presente in più del 10% della popolazione adulta o del 20% della popolazione scolare di una determinata area geografica.(67) Le aree maggiormente colpite sono quelle montane. L’affezione interessa circa un miliardo di individui nel mondo e circa 6 milioni in Italia, che

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può essere considerata area di sub-endemia gozzigena diffusa con focolai di vera endemia (sino al 30-40% della popolazione) in Valle D’Aosta, Alto Adige, Valtellina, Prealpi Bergamasche, Garfagnana, lungo tutta la dorsale Appenninica e nelle aree montuose di Sicilia, Calabria e Sardegna. (68)

Il gozzo endemico è riconducibile ad un regime dietetico iodio-carente; colpisce più frequentemente il sesso femminile e può manifestarsi in tutte le età con comparsa tanto più precoce quanto minore è la concentrazione di iodio nella dieta. Il gozzo sporadico e il gozzo familiare insorgono in aree non endemiche. Il meccanismo patogenetico, in entrambi i casi, è riconducibile ad alterazioni a carico dei geni che codificano per le strutture cellulari preposte al trasferimento intraghiandolare dello iodio, alla sua ossidazione e organificazione, alla regolazione dell’attività trofica ed ormonogenetica mediata dal recettore del TSH. (69). Ciò che differenzia le due forme è l’epoca di acquisizione della mutazione:

-nella forma familiare, la mutazione viene trasmessa dai genitori ai figli attraverso il patrimonio genetico ed è, quindi, presente nell’individuo sin dalla nascita, pur potendosi manifestare fenotipicamente in epoca successiva;

-nella forma sporadica, l’evento mutageno può verificarsi in un qualsiasi momento della vita dell’individuo.

Alterazioni similari possono essere simulate anche dall’interferenza di sostanze chimiche, dietetiche e farmacologiche. In tutti questi casi, l’iperplasia gozzigena può essere considerata come l’espressione di un’insufficienza funzionale della tiroide o per deficit intrinseco alla ghiandola stessa, permanente o transitorio, o per deficit delle materie prime necessarie per la produzione di ormone tiroideo maturo qualitativamente e quantitativamente efficiente. L’insufficienza funzionale della tiroide determina una diminuzione della concentrazione di T3 e T4 che, attraverso un meccanismo di feedback positivo, innesca la reazione dell’asse ipotalamo-ipofisario con conseguente iperincrezione compensatoria di TSH, che, a sua volta, stimola i tireociti la cui sensibilità al tireotropo appare esaltata dal deficitario apporto o dalla inadeguata utilizzazione intratiroidea dello ione. Il TSH esercita un’azione trofica sull’epitelio follicolare, determinando l’iperplasia che è alla base della patologia gozzigena.

Gli elementi che coesistono e che vanno a stravolgere l’integrità anatomo-funzionale della tiroide affetta da gozzo sono: •iperplasia semplice •lesione colloido-cistica •degenerazione necrotico-emorragica •processo riparativo fibrosclerotico e cicatriziale. (69)

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Il perdurare dell’esposizione ad agenti gozzigeni (come la carenza iodica) ed il protrarsi della stimolazione adattativa determinano l’instaurarsi di modificazioni strutturali con sovvertimento dell’organizzazione parenchimale: il ciclico ricorrere di processi involutivi colloido-cistici o necrotico-emorragici, cui conseguono le reazioni riparative fibrosclerotiche, determina, da ultimo, l’evoluzione verso la struttura nodulare.

5.3.2 Nodulo tiroideo

Il nodulo tiroideo è una tumefazione localizzata e circoscritta del parenchima ghiandolare. Unici o multipli, i noduli, sono rappresentati generalmente da iperplasia focale, cisti semplici, tumori benigni (90%) e maligni (5-10%).

La patologia nodulare della tiroide ha una notevole importanza nella pratica clinica nonostante la sua prevalenza sia dipendente dalla strategia diagnostica utilizzata: infatti, se la rilevazione viene effettuata tramite l’esame obiettivo del collo, quindi mediante palpazione, la prevalenza stimata si aggira intorno al 5%, mentre è pari a circa il 60% se si effettua un esame ultrasonografico della regione cervicale anteriore. In alcuni casi l’identificazione di lesioni focali tiroidee è del tutto casuale ed avviene nel corso di un esame ecografico eseguito per valutare la presenza di altre patologie, si tratta, in questo caso, dei cosiddetti incidentalomi. Studi autoptici dimostrano la presenza di lesioni nodulari nel 50% circa dei pazienti deceduti per cause extratiroidee e con anamnesi negativa per patologia tiroidea. L’incidenza è maggiore nella popolazione femminile, con un rapporto F/M di 4:1 ed inoltre aumenta con il progredire dell’età. (70)

I noduli possono avere un diverso atteggiamento funzionale dipendente dalle cellule follicolari tiroidee che li costituiscono. Secondo la teoria di Studer, alcuni cloni cellulari hanno una elevata capacità di metabolizzare lo iodio (aumento della captazione ed organificazione), altre hanno un metabolismo iodico più lento. Le cellule del primo tipo in seguito a proliferazione danno origine a noduli funzionanti e capaci di concentrare attivamente lo iodio alla tireoscintigrafia (noduli caldi). L’aumento di questi cloni cellulari può causare un’aumentata produzione ormonale, inizialmente modesta, che si caratterizza per la presenza di ormoni tiroidei circolanti nei limiti della norma e TSH soppresso (ipertiroidismo subclinico). L’ulteriore aumento della produzione ormonale porta allo sviluppo di ipertiroidismo clinico, in cui oltre alla riduzione

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