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Affezioni chirurgiche delle palpebre nel cane: osservazioni cliniche in 138 casi

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Academic year: 2021

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Riassunto

Obbiettivo: l'obbiettivo dello studio è stato quello di valutare le principali affezioni palpebrali di

interesse chirurgico nel cane, al fine di determinare la frequenza delle singole patologie, evidenziando le più comuni.

Animali: nel presente studio sono stati inclusi 138 cani di qualsiasi età e razza, affetti da differenti

disturbi palpebrali.

Materiali e metodi: dalla prima visita, in tutti i pazienti è stata valutata la gravità delle

sintomatologia clinica, e quando possibile, il decorso della patologia. Per i cani sottoposti al trattamento chirurgico, sono state osservate le fasi pre, intra e postoperatorie, e valutato inoltre il risultato chirurgico.

Risultati: nel cane le patologie palpebrali più frequentemente riscontrate sono state rappresentate

nel 30% da neoformazioni palpebrali (in pazienti geriatrici), nel 29% dall’entropion (in cani più giovani e di razze predisposte), distichiasi nel 17% e trichiasi nel 16%. Infine ectropion, ciglia ectopiche e dermoidi sono state le alterazioni palpebrali di minore riscontro, mostrandosi rispettivamente nel 5, 2 e 1% dei casi clinici. La correzione chirurgica, quando effettuata si è dimostrata efficace.

Conclusioni: in relazione al risultato chirurgico, la prognosi è risultata fausta per la maggior parte

delle affezioni palpebrali. Tuttavia rimane fondamentale eseguire una diagnosi precoce della malattia e saperla gestire correttamente.

Parole Chiave: cane, chirurgia palpebrale, neoplasie palpebrali, entropion, ectropion, distichiasi,

trichiasi.

Abstract

Purpose: the purpose of this study was to assess the main eyelid surgical defects in the dog, and

identify the prevalence of the various eyelid pathologies.

Animals: in this study 138 dogs of various breeds an different ages were included. All dogs

showed eyelid abnormalities, many of which were treated with surgery.

Material and methods: all dogs underwent a complete ophthalmic examination and different types

of surgery were performed, according to the abnormality observed.

Results: the most common canine eyelid abnormalities were as follows: eyelid masses (30%),

entropion (29%), distichiasis (17%), trichiasis (16%), ectropion (5%), ectopic cilia (2%) and dermoid (1%).

Conclusions: in this study the most common eyelid disease was masses in older dogs, especially

benign neoplasia. Surgical outcome was favorable in the most surgical eyelid diseases treated in this study.

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INTRODUZIONE

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Il presente studio si pone l’obbiettivo di individuare nel cane le principali affezioni chirurgiche palpebrali, al fine di ottenere, sulla base dei risultati, gli aspetti essenziali che condizioneranno la scelta del trattamento chirurgico.

Nella medicina veterinaria la chirurgia oftalmica extraoculare ha assunto di recente un ruolo sempre maggiore, giustificato anche dalla selezione di nuovi standard di razza, che a discapito del benessere animale promuovono l’insorgenza di numerosi difetti palpebrali. Nel cane le palpebre rappresentano gli annessi oculari maggiormente predisposti allo sviluppo di varie alterazioni di interesse sia clinico che chirurgico, e ad esclusione delle patologie di tipo infiammatorio, la chirurgia rappresenta generalmente la prima scelta terapeutica.

La chirurgia delle palpebre non si basa soltanto sull’esecuzione di procedure standardizzate, in quanto un vasto numero di alterazioni palpebrali e la grande varietà delle razze assicurano una continua innovazione di mezzi e tecniche correttive, per garantire il successo chirurgico in ogni paziente sottoposto al trattamento. Per ogni procedura risulta tuttavia di fondamentale importanza ponderare ogni aspetto clinico ed anatomico del paziente, correlandolo al disturbo palpebrale che s’intende risolvere, minimizzando ogni rischio o possibile complicazione postochirurgica.

Dall’osservazione clinica effettuata in 138 pazienti è stato possibile identificare nel cane la prevalenza delle principali affezioni chirurgiche palpebrali, catalogando quelle maggiormente diffuse in base alla predisposizione di razza, e individuando la tecnica chirurgica correttiva più idonea al caso.

L’analisi conferma come la prognosi rimanga favorevole per molte patologie palpebrali, se trattate in tempo e con adeguate procedure chirurgiche.

Pertanto è necessario sottoporre ogni soggetto a periodiche visite oculistiche di controllo, che permettano di diagnosticare tempestivamente eventuali difetti palpebrali, scongiurando inoltre la presenza di lesioni oculari secondarie, migliorando così la qualità di vita di ogni singolo paziente.

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CAPITOLO 1: ANATOMIA DELLE PALPEBRE DEL CANE

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Le palpebre sono delle formazioni cutaneo-muscolari che circondano la rima palpebrale, attraverso cui l’occhio contatta l’ambiente esterno, e rappresentano il punto di transizione tra il sistema tegumentario e l’inizio dell'apparato oftalmico, tramite la presenza della congiuntiva palpebrale.

Negli animali domestici, la morfologia delle palpebre è abbastanza simile, pertanto la dimensione della rima palpebrale rappresenta la principale variabile anatomica. In particolar modo, nella specie canina, questo parametro riveste un ruolo fondamentale, data la promiscuità delle razze, influenzando la frequenza di determinati difetti palpebrali rispetto ad altri.

La lunghezza media della fessura palpebrale, estesa e misurata tramite apposito calibro, è approssimativamente 33 mm nella maggior parte delle razze canine medie e grandi (Gelatt, 2013). Nelle razze in cui si osserva una netta mancanza di contatto tra la palpebra inferiore e globo oculare, la lunghezza delle rima palpebrale misura in genere più di 39 mm (Stades et al., 1992).

Da un punto di vista topografico, le palpebre sono clinicamente suddivise nella dorsale, o palpebra superiore, e ventrale, o palpebra inferiore; mentre i punti d’incontro dei margini palpebrali sono distinti in canto mediale o nasale ed il canto laterale o temporale. La palpebra dorsale è la più grande, la più mobile, e circa 2-5 mm più lunga di quella inferiore. Legamenti distinti, il setto orbitale, ed alcuni muscoli si collegano ad entrambi i lati della fessura palpebrale, rendendola stabile e determinandone un’apertura di conformazione ellittica piuttosto che rotonda, e pertanto maggiormente protettiva per il globo oculare. L’area delle palpebre in prossimità del canto mediale è relativamente fissa ai tessuti sottocutanei ed al periostio del canto mediale. Subito dietro il legamento mediale, in una zona protetta, è collocato il sacco lacrimale. Diversamente, la regione del canto laterale è più mobile, soprattutto nel cane. In questa specie, il legamento laterale è poco sviluppato ed inoltre sostituito dal muscolo retrattore dell’angolo laterale dell’occhio. Questo legamento laterale può contribuire alla comparsa di alcune distorsioni palpebrali, soprattutto nelle razze mesocefaliche (Robertson & Roberts, 1995a, 1995b).

Per tale motivo, nella specie canina, eventuali difetti conformazionali colpiscono più frequentemente la porzione laterale della palpebra inferiore, in prossimità dell’angolo temporale.

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1.1 CUTE, CIGLIA E GIANDOLE PALPEBRALI

La cute delle palpebre degli animali domestici è più sottile rispetto altri distretti anatomici del sistema tegumentario, poiché i movimenti palpebrali e l’ammiccamento, richiedono la presenza di un tessuto sottile e flessibile. All’esterno la cute è normalmente rivestita da peli corti e fini. Al di sotto della cute palpebrale, i tessuti sottocutanei sono relativamente scarsi e fissano la cute al profondo muscolo orbicolare.

Le ciglia della palpebra superiore del cane, generalmente si dispongono in due o quattro file irregolari, e di norma presentano la stessa colorazione del pelo limitrofo della cute palpebrale. Lunghi peli tattili (vibrisse) inoltre si dispongono a formare un esile ciuffo lungo il margine dorsale mediale orbitale in diverse specie animali. Differentemente dal cane, il margine estremo delle palpebre è solitamente glabro nei gatti, poiché le ciglia non sono presenti in questa specie, anche se i peli palpebrali, presenti in prossimità del margine dorsale, possono considerarsi dei loro sostituti (Gelatt & Gelatt, 2011).

Il margine palpebrale deve essere pigmentato, privo di irregolarità, lucido e integro per tutta la sua estensione (Stades, 2000).

Due differenti tipologie di ghiandole modificate, le ghiandole di Moll e le ghiandole di Zeis, sudoripare (apocrine) e sebacee (unilobari) rispettivamente, si dispongono a livello dei follicoli piliferi delle ciglia. La struttura e la localizzazione delle ghiandole di Moll è simile in tutte le specie domestiche, ma la loro esatta funzione non è ancora conosciuta. È stata scoperta nelle ghiandole dei primati la presenza di proteine antimicrobiche (Stoeckelhuber et al., 2004), suggerendo che queste ghiandole siano implicate in un meccanismo di difesa da agenti patogeni, e in un certo modo coinvolte nella produzione lacrimale.

Queste ghiandole palpebrali sono inoltre delle strutture che potenzialmente possono andare incontro a vari processi flogistici e persino ascessuali, soprattutto negli animali giovani, causando la formazione di orzaioli.

Al livello del canto nasale, ed alla base della membrana nittitante, è presente la caruncola lacrimale, contenente anch’essa delle piccole ghiandole sebacee, e può essere pigmentata. Alcuni peli corti e sottili possono emergere dalla sua superficie, la quale, con ‘effetto stoppino’ può trattenere le lacrime, così da inumidire la pelle del canto mediale.

1.2 MUSCOLI PALPEBRALI

Il secondo strato delle palpebre è quello muscolare, risultante dalla componente fibrocellulare di diversi muscoli che permettono la chiusura o l’apertura della fessura palpebrare. Negli animali domestici, il muscolo orbicolare è il muscolo predominante

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5 coinvolto nella chiusura delle palpebre. Questo muscolo striato circonda l'intera rima palpebrale ed è connesso dal setto orbitale ai canti palpebrali mediale e laterale. È diviso in una porzione esterna o pars palpebralis ed una interna o pars orbitale. L'origine e l’inserzione del muscolo sono rappresentate dal legamento palpebrale mediale. Dal punto di vista stratigrafico, il muscolo orbicolare è collocato al di sotto del piano cutaneo palpebrale, in stretta connessione con lo stesso; pertanto le varie procedure chirurgiche per la correzione di alcuni difetti conformazionali, quali entropion (inversione del margine palpebrale) ed ectropion (eversione del margine palpebrale), interessano in maniera diretta anche questo muscolo. In diverse specie animali, il muscolo orbicolare è una struttura dotata di una spiccata forza contrattile, che si palesa soprattutto nei casi in cui il paziente mostra un certo grado di disagio oculare. È innervato dal ramo palpebrale del nervo facciale, la cui paralisi comporta l’incapacità per l’animale di poter ammiccare; al contrario, l’eccessiva stimolazione con spasmi muscolari protratti o ripetuti, determinano l’insorgenza di un entropion spastico.

L’esecuzione di blocchi nervosi locali del ramo palpebrale del nervo facciale può risultare necessaria per ottenere il rilassamento del muscolo, al fine di esaminare e trattare in maniera corretta un occhio dolente (Gelatt & Gelatt, 2011).

Nel cane e nel gatto il movimento di apertura delle palpebre prevede il coinvolgimento di altri muscoli striati, che con meccanismo sinergico, aumentano l’ampiezza della fessura palpebrale. Nella palpebra superiore canina questi muscoli sono rappresentati (dal mediale al laterale) dall’elevatore dell’angolo mediale dell’occhio, elevatore della palpebra superiore ed il muscolo frontale, e nella palpebra inferiore la porzione palpebrale del muscolo sfintere profondo del collo.

Il muscolo frontale è un sottile muscolo pellicciaio che ricopre la superficie anteriore esterna del cranio. Non ha origine od inserzioni ossee ed è innervato dal ramo palpebrale del nervo facciale, contribuendo ad elevare la palpebra superiore. Le sue fibre si fondono col muscolo orbicolare dell’occhio. Nella palpebra superiore, il margine dorsale del tarso dà attacco all’espansione fibrosa del muscolo elevatore della palpebra superiore. Quest’ultimo, innervato dall’oculomotore, origina in profondità all'interno dell'orbita, insieme al resto dei muscoli estrinseci, e corre superiormente al muscolo retto dorsale, la cui inserzione dista alcuni millimetri dal margine superiore del limbo sclero-corneale. Gli annessi fasciali tra il muscolo retto dorsale e l’elevatore della palpebra superiore provocano simultanei movimenti superiori del globo e di retrazione della palpebra, agevolando efficacemente l’ampiezza del campo visivo. L’elevatore della palpebra superiore è il muscolo più importante per la retrazione della palpebra omonima; una possibile paralisi del nervo oculomotore o potenziali danni muscolari, in corrispondenza dei suoi inserimenti nella piastra tarsale, determinano l’insorgenza di ptosi, ovvero un

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6 cedimento della palpebra superiore. Il muscolo elevatore dell’angolo mediale dell’occhio eleva la porzione mediale della palpebra ed erige i lunghi peli tattili del sopracciglio. In alcune razze canine grandi o giganti, l’azione di questo muscolo crea un solco evidente nel punto di giunzione tra la porzione mediale ed il terzo centrale della palpebra superiore (Gelatt & Gelatt, 2011).

Oltre alla muscolatura di tipo striato, l’apertura delle palpebre implica anche l’azione del muscolo liscio di Mueller, innervato da fibre simpatiche, che si connette al tarso superiore; nel gatto, queste fibre muscolari si collegano anche alla membrana nittitante. Con il rilascio di adrenalina endogena (epinefrina), o durante il riflesso di “attacco-fuga”, queste fibre muscolari lisce, innervate da fasci adrenergici, possono immediatamente aumentare la dimensione della fessura palpebrale. Una paralisi del muscolo tarsale superiore, ossia la perdita dell’innervazione simpatica del muscolo di Mueller (riscontrabile ad esempio nella Sindrome di Horner) esita in una ptosi di origine simpatica, clinicamente differenziabile da una ptosi oculomotoria da deficit funzionale del muscolo elevatore, mediante somministrazione topica di un agente midriatico (fenilefrina) e valutazione della relativa risposta muscolare.

Il legamento palpebrale laterale è scarsamente sviluppato sia nel cane che nel gatto, e di solito costituito da un irregolare addensato tissutale inerente al setto orbitale laterale. Nelle razze canine grandi o giganti, un legamento laterale poco sviluppato contribuisce direttamente allo sviluppo di alcune problematiche palpebrali. La carenza di un sistema di supporto del canto temporale è pertanto compensata dalla componente muscolare del retrattore dell’angolo laterale dell’occhio (cane) o dal muscolo corrugatore laterale del sopracciglio (gatto). Ciò comporta nei cani la presenza di un canto laterale sufficientemente mobile ma instabile, ed espone frequentemente le porzioni palpebrali laterali superiori ed inferiori al rischio dello sviluppo di difetti anatomici quali entropion ed ectropion. La metà laterale della palpebra inferiore nel cane possiede inoltre la pars palpebralis muscolare, una suddivisione del muscolo sfintere profondo del collo, che, in determinate circostanze, può contribuire ad un ulteriore abbassamento della porzione laterale della palpebra inferiore.

1.3 PIASTRA E GHIANDOLE TARSALI

La cute delle palpebre ed il piano muscolare strettamente connesso, sono più facilmente separabili, dal punto di vista chirurgico, dai due strati più profondi, ovvero il tarso fibroso (contenente le ghiandole tarsali o di Meibomio) e la congiuntiva palpebrale interna. Il tarso fibroso funge da impalcatura per le palpebre, ma non nella stessa misura in cui la piastra

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7 ialina tarsale fa nell'uomo (Gelatt, 2013). Il tarso fibroso possiede degli annessi fasciali connessi al setto orbitale, instaurando così un forte legame al periostio della rima orbitale, ed una significativa barriera di protezione contro traumi, interventi chirurgici, e agenti infettivi esterni, patogeni, potenzialmente penetranti l'orbita. Lo strato fibroso tarsale stringe anche un intimo contatto con il legamento palpebrale mediale, la base della membrana nittitante ed il canto laterale. Nel cane, il legamento palpebrale mediale è più solido e distinto rispetto quello laterale e consiste di una banda fibrosa proveniente dal periostio dell'osso frontale, che s’inserisce all’interno degli strati tarsali superiore ed inferiore. Il legamento palpebrale mediale funge anche da origine ed inserzione per il muscolo orbicolare circolare dell’occhio, che indubbiamente partecipa in maniera significativa nel convogliamento mediale delle lacrime dalla superficie epiteliale corneale all'interno del sacco congiuntivale.

Relativamente alla componente muscolare, come già accennato in precedenza, nella sezione centrale della palpebra il muscolo elevatore della palpebra superiore s’inserisce nella porzione anteriore della piastra tarsale. Nel cane i muscoli tarsali superiore ed inferiore di tipo liscio e contribuiscono con il loro tono a mantenere sospesi i tarsi e a regolare quindi l’apertura della rima palpebrale.

Lo spessore della porzione più distale di ciascun tarso ospita le cosiddette ghiandole tarsali o ghiandole di Meibomio, sebacee olocrine, che producono l'importante frazione lipidica esterna del film lacrimale precorneale. La componente oleosa è costituita da lipidi polari e non polari. I fosfolipidi tensioattivi sono necessari per diffondere il film lipidico sulla frazione acquosa (sierosa) lacrimale (Greiner et al., 1996; Shine & McCulley, 2003). Questa falda oleosa esterna impedisce l'evaporazione dell’abbondante strato acquoso lacrimale, rendendolo stabile sull’epitelio corneale. Il film preocorneale subisce infatti una costante evaporazione, con conseguente formazione di “dry spot” (macchie secche) transitorie. Il tasso di evaporazione lacrimale è anche direttamente correlato alla frequenza di ammiccamento (Milder & Weil, 1983).

Il numero di ghiandole tarsali in ogni palpebra varia da 20 a 40, ma sono maggiormente sviluppate e distribuite sulla palpebra superiore; alcuni acini ghiandolari sono associati a plessi di fibre nervose, che si ritiene possano stimolare la loro secrezione (Chung et al, 1996;. Seifert & Spitznas 1996).

Gli orifizi dei dotti escretori ghiandolari si aprono al centro del margine libero palpebrale; questa zona si definisce 'linea grigia' e rappresenta un importante zona chirurgica di riferimento. Il dotto della ghiandola di Meibomio è rivestito da un epitelio squamoso stratificato cheratinizzato, che è visibile all’orifizio della ghiandola (Jester et al., 1981). Le ghiandole tarsali sono occasionalmente visibili per trasparenza attraverso la congiuntiva, e si estendono per 3-5 mm all’interno del tessuto palpebrale.

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8 Occasionalmente, le ghiandole tarsali sembrano in grado di subire anche una trasformazione metaplastica su base infiammatoria e di formare ciglia aggiuntive, chiamate distichie, a volte asintomatiche, altre volte responsabili di disagio oculare e di possibili lesioni ulcerative corneali.

1.4 CONGIUNTIVA PALPEBRALE

Così come la cute e gli starti muscolari delle palpebre, anche il tarso fibroso e la congiuntiva palpebrale sono in stretto contatto e difficilmente separabili in chirurgia.

La congiuntiva palpebrale origina dal margine della palpebra, e ne riveste il versante bulbare. Da qui, riflettendosi all’indietro, si continua nel fornice divenendo congiuntiva bulbare, la quale si arresta a livello dell’orlo sclerocorneale, lasciando quindi libera la cornea.

A livello del fornice congiuntivale, il rivestimento epiteliale varia a seconda della specie, da un epitelio colonnare pseudostratificato al cubico stratificato (Goller & Weyrauch, 1993). La superficie congiuntivale palpebrale, in prossimità del margine, consiste di un epitelio stratificato non cheratinizzato, ma approssimativamente ad un terzo della distanza dal margine della palpebra al fornice congiuntivale essa si trasforma in epitelio pseudo-stratificato, contenente diverse cellule caliciformi, deputate alla produzione di mucina. La distribuzione delle cellule caliciformi è eterogenera nel cane (Moore et al., 1987); le concentrazioni più elevate di questa tipologia cellulare sono riscontrabili a livello dei fornici congiuntivali. Così come la cornea, anche la congiuntiva palpebrale possiede un film preoculare di rivestimento, che facilita lo scorrimento della palpebra sulla cornea riducendone l’attrito, per minimizzare i traumi da sfregamento tra le superfici epiteliali bulbare e congiuntivale.

La sostanza propria della congiuntiva è composta di due strati: uno strato superficiale, che nel cane (così come nel gatto) contiene una presenza variabile di follicoli linfatici e ghiandole, ed uno strato fibroso profondo, contenente vasi e nervi.

La congiuntiva è un tessuto mucosale piuttosto esposto ad insulti esterni; le sue funzioni principali sono quella di prevenire l'essiccazione della cornea, aumentare la mobilità delle palpebre e di fornire una barriera fisica e fisiologica contro microrganismi e corpi estranei. Quest'ultimo ruolo è quello più importante, se si considera la flora microbica potenzialmente patogena presente in corrispondenza del sacco congiuntivale (Samuelson, Andresen e Gwin, 1984a).

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1.5 INNERVAZIONE SENSITIVA

L’innervazione sensitiva delle palpebre animali è primariamente fornita da diversi rami del nervo trigemino. Relativamente ai due terzi laterali della palpebra superiore, il nervo trigemino garantisce la corretta innervazione tissutale attraverso il nervo frontale ed il suo ramo, il nervo sopraorbitale; mentre il versante mediale è sotto il controllo del nervo infratrocleare. L’angolo e i settori mediali delle palpebre superiori sono innervate anche dal nervo naso-ciliare, la più grande diramazione del nervo oftalmico.

Nella palpebra inferiore, l’innervazione sensitiva è fornita per tutta la sua lunghezza dalla divisione mascellare del nervo trigemino attraverso il suo ramo zigomatico-temporale (Gelatt & Gelatt, 2011).

1.6 INNERVAZIONE MOTORIA

Il ramo palpebrale del facciale (settimo nervo cranico) innerva la maggior parte dei muscoli che controllano l’ampiezza della fessura palpebrale, eccetto per il muscolo elevatore della palpebra superiore il quale, insieme alla maggior parte dei muscoli estrinseci, è innervato dal oculomotore o terzo nervo cranico. La pars palpebralis muscolare della porzione laterale della palpebra inferiore del cane è invece innervata dal ramo dorsale vestibolare del nervo facciale.

Nella maggior parte delle specie animali è possibile controllare il movimento della palpebra superiore agendo sulla porzione rostrale del nervo palpebrale, che può essere bloccato pochi centimetri caudalmente al canto laterale.

1.7 VASCOLARIZZAZIONE EMATICA E LINFATICA

L'apporto di sangue alle palpebre deriva da fonti diverse, ma origina primariamente dalle aree dei canti mediale e laterale per entrambe le palpebre.

Le porzioni laterali delle palpebre del cane sono irrorate dalle arterie palpebrali laterale dorsale e laterale ventrale, di pertinenza dell’arteria temporale superficiale.

Ulteriore afflusso ematico al canto laterale ed alla palpebra superiore è fornito dall’arteria lacrimale e dal ramo dorsale dell’arteria muscolare; relativamente alla palpebra inferiore, un apporto aggiuntivo di sangue è garantito dall'arteria zigomatica e tutti i rami dell’arteria etmoidale esterna. Le porzioni mediali delle palpebre canine sono irrorate da rami dell'arteria malare, una branca della arteria infraorbitaria, che stabilisce alcune

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10 connessioni anastomotiche con l’arteria palpebrale inferiore, arterie facciali trasversali e rami dell’arteria oftalmica esterna (Murphy et al., 2012).

Un apporto limitato di sangue alle palpebre è inoltre assicurato da piccoli vasi, che corrono all'interno del setto orbitale e dei fornici congiuntivali, e che provengono dai profondi vasi sanguigni orbitali (Gelatt & Gelatt, 2011).

Il tessuto linfoide associato alla congiuntiva (CALT conjunctival associated lymphoid tissue) si articola nei due plessi superficiale e profondo. Eventuali variazioni nella distribuzione e nella dimensione dei follicoli, tra le palpebre superiori ed inferiori, sono influenzate dall’esposizione a varie sostanze irritanti, inclusi microrganismi potenzialmente infettivi (Fix & Arp, 1991).

Il drenaggio linfatico della palpebre confluisce nelle aree dei canti palpebrali e sembra coinvolgere principalmente il linfonodo parotideo; tuttavia, alcune delle stesse aree possono essere drenate dai linfonodi mandibolari. Come conseguenza, entrambi i gruppi linfonodali devono poter essere clinicamente accessibili se si sospettano metastasi neoplastiche regionali di pertinenza palpebrale (Gelatt, 2013).

1.8 LE FUNZIONI DELLE PALPEBRE

Le funzioni delle palpebre sono numerose e riassumibili nelle seguenti: 1) protezione dell'occhio contro traumi di natura meccanica, fisica o chimica;

2) detersione della superficie oculare e intrappolamento di materiale corpuscolare estraneo, prima che questo possa raggiungere la congiuntiva e la cornea;

3) produzione dello strato lipidico del film lacrimale, formato prevalentemente dal secreto sebaceo delle ghiandole tarsali, limitando così il tasso di evaporazione della componente acquosa;

4) funzione di lubrificazione, tramite distribuzione e rinnovo del film precorneale, sulle intere superfici corneale e congiuntivale;

5) contribuire tramite l’ammiccamento a convogliare il liquido lacrimale all’interno dei punti lacrimali (80% per il punto inferiore e circa il 20% per quello superiore) per il drenaggio attraverso l'apparato nasolacrimale;

6) protezione della retina da eccessiva intensità luminosa (abbagliamento) e partecipazione al riflesso corneale indotto da impulsi sensitivi applicati sulla cornea, congiuntiva o alle membrane nittitanti, o dopo stimolazione con intensi stimoli sonori oltre che luminosi. Quando stimoli diretti sono applicati alle palpebre, congiuntive e superfici corneali, la palpebre ammiccano. Questo riflesso è subcorticale; coinvolge la divisione

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11 oftalmica del nervo trigemino (quota afferente) e la divisione palpebrale del nervo facciale (porzione efferente). Una sorgente di luce improvvisa e abbagliante diretta sull'occhio (dazzle reflex), non solo avvia una risposta pupillare luce indotta (riflesso subcorticale), ma anche un’immediata risposta di ammiccamento parziale bilaterale.

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CAPITOLO 2: GESTIONE CHIRURGICA

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La prime procedure chirurgiche relativamente alle palpebre dei piccoli animali, sono state effettuate seguendo alcune tecniche eseguite nel campo della medicina umana (Patel & Anderson, 1996). Le palpebre dell’uomo sono molto simili a quelle degli animali domestici, con una sola grande differenza: negli esseri umani, lo strato tarsale consiste di una piastra cartilaginea ben distinta, che ottimizza la stabilità meccanica e fornisce alle palpebre un valido sostegno interno; negli animali domestici invece la piastra tarsale è sostituita da un tarso fibroso, sottile e flessibile (Gelatt & Gelatt, 2011). Come risultato, le palpebre animali possiedono un minore supporto interno e conseguentemente è il contatto con la porzione anteriore del globo oculare che garantisce il mantenimento della loro corretta posizione.

2.1 VALUTAZIONE PREOPERATORIA DEL PAZIENTE

Prima di un intervento chirurgico, bisogna preventivamente stimare per ogni occhio, con esame clinico complessivo, la struttura delle palpebre, la loro funzione (riflesso dell’ammiccamento), ed i rapporti anatomici ed estetici col resto della testa e con l’occhio controlaterale.

Ogni paziente va esaminato a fondo per scongiurare la presenza di ulteriori anomalie concomitanti, che possano contribuire al problema oculistico diagnosticato. Il successo di una chirurgia oftalmica richiede quindi una diagnosi corretta ed una scelta appropriata della procedura, l’attenzione al dettaglio e l’utilizzo di apparecchiature e materiali adeguati. Risultano pertanto essenziali un’efficiente illuminazione ed alcuni ingrandimenti: lenti d’ingrandimento diagnostiche, transilluminatore di Finoff, e la lampada a fessura (o biomicroscopio portatile) sono gli strumenti migliori per combinare questi due elementi, e rendono possibile l’identificazione di eventuali patologie (Martonyi et al., 2007).

Nello specifico, la lampada a fessura consente di eseguire una corretta ispezione visiva intraoculare e degli annessi.

Se durante l’esame delle palpebra, l’animale viene contenuto in maniera scorretta, per esempio in modo da esercitare un’eccessiva trazione sulla cute perioculare, è possibile che eventuali condizioni di intro- o estroflessione dei margini palpebrali possano essere in qualche modo corretti, o comunque mascherati in maniera artificiosa, falsando così la

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13 diagnosi. È necessario inoltre esaminare il riflesso palpebrale e l’apposizione dei margini palpebrali rispetto al globo oculare; la rima palpebrale deve aderire alla cornea e seguirne la curvatura (Stades et al., 2000).

La posizione delle palpebre, il contatto col globo, e le relazioni di questo con l’orbita, possono essere influenzate dalla presenza di dolore, infiammazione, enoftalmo o esoftalmo, condizione fisica, l'età, la disidratazione, e la condizione muscolare (in particolare del muscolo retrattore). Non sempre le palpebre possono essere corrette chirurgicamente ed all'apparenza mostrarsi del tutto normali per aspetto e funzione, a causa di queste variabili, specialmente la posizione del globo oculare. Queste complesse relazioni tra le palpebre, l’occhio, e l'orbita nel cane ostacolano anche gli studi genetici sulle malattie palpebrali (Gelatt & Gelatt, 2011). Le palpebre animali normalmente poggiano sulla cornea e sulla congiuntiva bulbare; se il globo oculare è infossato all’interno dell’orbita, il contatto con la palpebra può venir meno, con una conseguente instabilità della palpebra inferiore. La comune conseguenza di questo difetto è l’entropion ovvero l’introflessione del margine palpebrale. Questo fenomeno si verifica comunemente in alcune razze di cani maggiormente predisposte, e in animali cachettici, disidratati o anziani, probabilmente perché più deficitari di tessuto adiposo retrobulbare.

Il blefarospasmo secondario è una manifestazione comune della maggior parte delle condizioni dolorose della palpebra. Con il gonfiore delle palpebre, il margine libero può ruotare verso l'interno. Quando il margine palpebrale esterno, le ciglia, o le trichiasi (soprattutto nei cani con abbondanti pliche nasali) toccano la congiuntiva bulbare, la cornea o entrambe le superfici, l'animale reagisce sviluppando blefarospasmo secondario (Gelatt, 2011).

Il conseguente riflesso del nervo facciale di solito aggrava il difetto palpebrale, e produce irritazione e dolore aggiuntivi. Questo riflesso protettivo delle palpebra produce quindi un ciclo crescente di dolore e di blefarospasmo instaurando così una sorta di circolo vizioso. Pertanto, in molte malattie dolorose della palpebra, la malattia strutturale iniziale è aggravata dal riflesso normalmente difensivo di chiusura delle palpebre. Gli animali rispondono al dolore oculare da sfregamento, che può causare ulteriore gonfiore localizzato fino alla perdita di integrità della cute. Pertanto, i criteri di selezione per i difetti palpebrali, potenzialmente candidati alla correzione chirurgica, dovrebbero essere diretti al solo disturbo strutturale sottostante.

Per stimare l’entità di un blefarospasmo secondario in un paziente, vengono instillate alcune gocce di anestetico topico sulla cornea e la congiuntiva, dopo aver determinato il grado di entropion iniziale. Dopo 3-5 minuti, il blefarospasmo secondario di solito si risolve, il margine libero palpebrale si risolleva perché cessa il disagio oculare, ed è possibile accertare l’anomalia strutturale di base della palpebre. La correzione chirurgica

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14 mira a questa sola irregolarità anatomica palpebrale, e con l’intervento, il difetto in genere viene leggermente sottostimato (circa 0,5-1 mm) in considerazione della fibrosi post-operatoria.

In casi più gravi, il difetto palpebrale può essere importante e causa di dolore, edema ed infiammazione perioculare considerevoli, tali che instillazioni multiple di anestetico non risultano sufficienti per sopprimere del tutto il blefarospasmo secondario. In questi pazienti, risulta necessario praticare il blocco localizzato regionale della palpebra, interferendo sull’attività del nervo palpebrale. Nel cane, per produrre acinesia palpebrale, vengono iniettati per via sottocutanea pochi ml di anestetico locale (3-5 ml), lungo le porzioni dorsali dell’area centrale dell'arcata zigomatica (o caudalmente al canto laterale), bloccando il ramo palpebrale del nervo facciale, compromettendo reversibilmente l'innervazione primaria del muscolo orbicolare, responsabile della chiusura della rima palpebrale (Gelatt & Gelatt, 2011). In pochi minuti, si verifica la perdita totale del tono muscolare, permettendo la stima dell’anomalia primaria da sottoporre all’intervento chirurgico.

2.2 CONSIDERAZIONI CHIRURGICHE SULLE PALPBRE

Le palpebre superiori e inferiori condividono la maggior parte delle funzioni, ma alcune caratteristiche conferiscono loro dei ruoli differenti.

Le palpebra superiore possiede il muscolo elevatore, che origina dalle profondità dell'orbita, superiormente al muscolo retto dorsale. Riveste la maggior parte della cornea, ed ammicca ad una frequenza normale di circa 15 volte al minuto, ma soltanto alcuni di questi movimenti coprono l'intera superficie corneale. La palpebra superiore è il principale annesso oculare responsabile dell'aspetto estetico. La palpebra inferiore invece, serve principalmente per la raccolta delle lacrime, convogliandole verso il punto lacrimale inferiore di deflusso, evitandone pertanto la fuoriuscita dagli angoli palpebrali, e prevenendo l’insorgenza di possibili dermatiti. L’interruzione traumatica o chirurgica dell’innervazione fornita dal nervo palpebrale alle palpebre, esita in cheratite da esposizione e compromette variabilmente la funzionalità delle palpebre.

Le palpebre superiori, essendo più estese di quelle inferiori, sono la fonte principale di tessuti per le procedure chirurgiche ricostruttive palpebrali. Essa contiene il numero più alto delle ghiandole di Meibomio, e nel cane è anche provvista di numerose ciglia, differentemente dalla palpebra inferiore (Gelatt & Gelatt, 2011).

Per tali motivi, la chirurgia effettuata sulle palpebre superiori deve considerare diversi aspetti, come i movimenti muscolari, la protezione degli occhi, e la componente estetica;

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15 mentre in relazione alle palpebre inferiori, lo scopo è quello di preservare in primo luogo la funzione di raccolta, conservazione e convogliamento delle lacrime verso l’angolo nasale. Dopo un'ampia blefaroplastica, le palpebre (in particolare quella superiore) possono mostrare deficit funzionali per diversi giorni o settimane, a causa dell’edema tissutale e della possibile perdita di funzione del nervo palpebrale. Per proteggere la cornea e prevenirne l'ulcerazione, può essere opportuno eseguire una tarsoraffia totale temporanea, fino al completo ripristino dell’attività contrattile del muscolo orbicolare. Il fornice congiuntivale è considerevolmente più ampio per la palpebra dorsale, per poter accogliere adeguatamente il globo oculare ed assisterlo durante i movimenti di rotazione ventrale. Il fornice congiuntivale inferiore è più superficiale ma rappresenta un serbatoio primario per le lacrime e, assistito dai movimenti intermittenti del muscolo orbicolare, sospinge medialmente le lacrime verso il punto lacrimale inferiore.

Come indicato precedentemente, l'anatomia chirurgica delle palpebre è composta dalla cute, congiuntiva palpebrale, collagene, muscoli e tessuto ghiandolare (Gelatt, 2013). Tuttavia, la stratigrafia chirurgica delle palpebre si articola in due soli strati: la cute connessa allo strato muscolare, ed inferiormente il tarso con la congiuntiva palpebrale. La sottile cute elastica palpebrale possiede tessuti sottocutanei estremamente limitati e si attacca direttamente al muscolo orbicolare. La separazione chirurgica tra questi due strati è spesso noiosa e molto difficile.

All’interno dei margini palpebrali vi sono numerosi orifizi delle ghiandole tarsali. Questa zona è denominata 'linea grigia', punto di repere utilizzato per la scontinuazione chirurgica in senso longitudinale dei tessuti palpebrali, nonché per l’apposizione dei punti di sutura, avendo cura di applicarli senza che questi entrino in diretto contatto con l’epitelio corneale.

2.3 STRUMENTAZIONE CHIRURGICA

La strumentazione di base per la chirurgia palpebrale di solito consiste in un mix di strumenti chirurgici standard per i tessuti molli (set chirurgico di base), nonché strumenti oftalmici selezionati dal chirurgo oftalmologo, in base alla tipologia di intervento.

Tutti gli strumenti oftalmici sono costruiti in acciaio inox di alta qualità o in titanio, con superfici opache per minimizzare i riflessi di luce. Gli strumenti chirurgici oftalmici vengono continuamente sviluppati per compiti e funzioni specifiche; pertanto, è disponibile un’ampia scelta di strumenti oftalmici standard nonché strumenti più specializzati per la microchirurgia oculare.

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2.3.1 PINZE ANATOMICHE E CHIRURGICHE DA PRESA

Le diverse tipologie di tessuti oculari hanno portato allo sviluppo di una vasta selezione di pinze da presa con varie tipologie specializzati. Questi strumenti variano per modello, lunghezza e manici. I manici di queste pinze sono di solito piatti con scanalature, o zigrinature trasversali, per facilitare la loro prensione. Le pinze microchirurgiche di solito possiedono punte angolate, e sono lunghe circa due terzi del totale della lunghezza standard degli strumenti oftalmici. Le braccia delle pinze da presa sono incernierati alla base, per fornire una tensione sufficiente a mantenere separate le punte di circa 5-10 mm. Dopo una compressione digitale, le punte della pinza devono però entrare in contatto tra loro, combaciando completamente e in maniera perfetta. Le punte di molte pinze sono angolate per non ostacolare la visione e le manualità del chirurgo durante l’intervento (Gelatt & Gelatt, 2011).

La principale differenza tra le pinze oftalmiche risiede nelle loro punte (tipologia anatomica o chirurgica), poiché ogni pinza possiede indicazioni altamente specializzate. Dunque la selezione di questi strumenti prende in considerazione la tipologia di tessuto da trattare, la procedura che si intende eseguire, ed infine la versatilità che mostra nello svolgere le sue determinate funzioni.

2.3.2 PINZE CONGIUNTIVALI

Le pinze utilizzate per la manipolazione della congiuntiva palpebrale (e bulbare) generalmente sono provviste di piccoli denti. Le punte piccole a 1 o 2 denti sono più efficienti nella prensione dei tessuti durante la maggior parte delle procedure chirurgiche. Occasionalmente una tensione eccessiva del tessuto con le pinze a punte sottili può creare piccole lacerazioni o forellini nello spessore della mucosa congiuntivale. In genere queste piccole soluzioni di continuo mucosali non sono clinicamente importanti, ma possono diventare significative in alcune procedure chirurgiche d’innesto. Le punte della pinza Graefe possiedono circa 10-14 denti sottili, e in genere permettono di esercitare una notevole tensione sulla mucosa congiuntivale, o sui bordi anteriori palpebrali (e della nittitante), minimizzando inoltre il rischio di lesioni tissutali. Al fine di scongiurare ogni rischio di lacerazione, i tessuti congiuntivali possono anche essere manipolati per mezzo di pinze con punte prive di denti, o leggermente zigrinate; tuttavia, con queste, risulta probabile lo slittamento della mucosa dallo strumento, ostacolando quindi le manualità chirurgiche.

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2.3.3 PINZE PALPEBRALI

Per la chirurgia correttiva in caso di entropion, o per l’intervento escissionale di neoformazioni palpebrali o di calazi, sono state progettate alcune tipologie di pinze particolarmente specializzate (Gelatt & Gelatt, 2011). Queste pinze possiedono due ampie punte ovalari, che si sviluppano in modo tale da costituire una sorta di piastra solida e aperta sul suo versante superiore, all’interno della quale è possibile inserire e fissare la porzione palpebrale da sottoporre all’intervento chirurgico. Con la palpebra serrata all’interno della pinza, grazie alla presenza di un morsetto, ogni piccola neoformazione può essere facilmente asportata. La pressione esercitata da questa speciale piastra, permette un preciso posizionamento della massa e dei contorni palpebrali, ed assicura il mantenimento dell’emostasi impedendo l’invasione di sangue all’interno del campo operatorio.

2.3.4 LAME DA BISTURI

I tessuti oculari e perioculari del cane (e del gatto) sono molto resistenti e rovinano gran parte delle lame di bisturi solo dopo alcune incisioni. Come risultato, vengono utilizzate lame monouso, le quali, oltre a garantire l’asepsi chirurgica, permettono di eseguire un’incisione a margini netti e perfettamente raffrontabili, privi di traumi ai tessuti circostanti.

Le lame #11 (a punta) e #15 non sono concepite come strumenti di microchirurgia. Il loro utilizzo è riservato ad interventi chirurgici palpebrali ed orbitali sia nei grossi che nei piccoli animali. Una lama da bisturi #15 è l’ideale per effettuare incisioni precise in tessuti di piccole dimensioni (Fossum, 2013).

2.3.5 FORBICI CHIRURGICHE

Le forbici possono essere utilizzate sia come taglienti sia per la dissezione per via smussa (Fossum et al., 3013).

I diversi modelli di forbici chirurgiche, inclusi quelli congiuntivali, da tenotomia e da strabismo, sono costruite in acciaio inox e disponibili sia con punte dritte che curve, affilate o smusse, oppure una combinazione di entrambe (Grevan, 1997). I manici sono rettilinei e sottili per agevolare la tenuta e ridurre l’ingombro. Le forbici con punte smussate tendono a ridurre la probabilità di arrecare traumi o ferite perforanti ai tessuti perioculari, scongiurando anche il rischio di lesioni oculari accidentali, possibili con l’utilizzo di forbici appuntite durante le manualità chirurgiche. Le delicate forbici utilizzate nella chirurgia oftalmica, vengono spesso utilizzate anche per dieresi sottili e precise

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18 (Fossum, 2013). Altre forbici vengono utilizzate per recidere i fili di sutura, la maggior parte dei quali possiede un calibro piuttosto ridotto. È comunque raccomandabile riporre all’interno di ogni trousse chirurgica un paio di forbici riservate esclusivamente al taglio dei fili di sutura, al fine di preservare l’integrità delle lame. Queste forbici spesso possiedono punte acuminate, e quindi facilmente distinguibili dalle forbici per dieresi o dissezioni tissutali.

2.3.6 PORTA-AGHI

I porta-aghi sono molto importanti nella chirurgia oftalmica, poiché una precisa apposizione dei margini tissutali richiede spesso un tempo considerevole (Gelatt, 2011). I porta-aghi sono disponibili sia come modelli standard sia nei modelli più piccoli per la microchirurgia (modello Storz o il porta-aghi Barraquer a punte curve). Le punte possono essere sottili, fini, medie e grandi. I porta-aghi di dimensioni standard sono circa 120-130mm di lunghezza. La forma più comune è simile a quella delle forbici corneali e corneo-sclerali con maniglie flessibili dentate o zigrinate, unite a formare un meccanismo a molla che mantiene automaticamente le punte del portaaghi in posizione aperta (Gelatt, 2011a).

Generalmente per la chirurgia extraoculare, è spesso utilizzato il porta aghi Castroviejo con maniglie dentate piane ed un dispositivo a scatto per il bloccaggio dell’ago. Le punte sono lunghe circa 9mm e possono essere diritte o leggermente ricurve. Aghi e fili di sutura di calibro maggiore possono distorcere le punte di questi strumenti, compromettendone irreversibilmente l’efficienza.

2.3.7 STRUMENTI EMOSTATICI

L'emostasi intraoperatoria può essere effettuata utilizzando piccole pinze emostatiche Mosquito o preferibilmente tramite cauterizzatori portatili. In generale l’emostasi per legatura nella chirurgia oftalmica è infrequente poiché queste aree possono sviluppare fibrosi focale postoperatoria che influenza il risultato chirurgico. Il cauterizzatore portatile rimane lo strumento di prima scelta per eseguire un’emostasi intraoperatoria permanente. Può occasionalmente causare aree di necrosi tissutale, e per questo va usato con giudizio (Gelatt, 2013).

Tamponi o garze quadrate di cotone sterili possono mantenere puliti con semplicità la maggior parte dei campi chirurgici palpebrali. In alcuni interventi perioculari, in cui è previsto un sanguinamento relativamente copioso, è possibile inumidire preventivamente il tessuto da incidere con una piccola quantità di adrenalina, costringendo localmente i

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19 vasi (Gelatt & Gelatt, 2011a). Un certo grado di emostasi è garantito anche dalle speciali pinze da calazio ed entropion, quando la palpebra vi si trova serrata all’intero, per l’esecuzione delle relative chirurgie.

2.3.8 AGHI E FILI DI SUTURA NELLA CHIRURGIA OFTALMICA

Nella chirurgia palpebrale, la sintesi per il tarso e la congiuntiva palpebrale viene solitamente eseguita con fili di sutura da 4-0 a 6-0 assorbibili, sintetici, in acido poliglicolico, polyglactina e polidiossanone. I punti che coinvolgono la cute delle palpebre e gli strati superficiali del muscolo orbicolare, sono in genere apposti con sutura semplice interrotta. In ogni caso, i nodi devono sempre essere esterni, ed ogni passaggio del filo deve essere sepolto all’interno dei tessuti o, in base alla tipologia d’intervento, non essere trapassante, per evitare un contatto dannoso con l’epitelio corneale e/o la congiuntiva bulbare.

La selezione delle suture cutanee è variabile e spesso a discrezione del chirurgo.

In alcune procedure correttive provvisorie, come nella tecnica dei punti temporanei (tacking) si utilizza un filo non riassorbibile 4-0 o 5-0 (che richiede quindi una successiva rimozione a distanza di alcune settimane), selezionando la tipologia più inerte, per far si che non si sviluppino delle reazioni tissutali al filo stesso.

Le suture non riassorbibili in nylon e polipropilene monofilamento sono impiegate per le sintesi cutanee provvisorie. Il polipropilene però scatena in genere imponenti reazioni tissutali, mentre il nylon, data la notevole ‘memoria’ e la scorrevolezza, necessita di maggiore accortezza nell’applicazione del nodo. Poiché si tratta di fili abbastanza rigidi, il loro contatto con la congiuntiva e/o cornea può arrecare danni non trascurabili, con forte irritazione oculare (Gelatt & Gelatt, 2011).

Infine, suture in poliestere Dacron sono più flessibili rispetto al nylon o polipropilene, ma i nodi tendono ad allentarsi. Negli interventi palpebrali vengono più frequentemente utilizzati fili sintetici in materiale assorbibile, e in particolar modo il Vicryl® (Polyglactin 910). Si tratta di un filo sintetico, riassorbibile, multifilamento e con buona sicurezza del nodo. Completa il suo riassorbimento nell’arco di 60 giorni circa, e pertanto garantisce un’efficiente tenuta durante i processi cicatriziali del paziente. Il Vicryl® non è un filo antigenico, ed è quindi ben tollerato dall’organismo. Infine l’utilizzo di un filo di sutura rivestito offre diversi vantaggi nella chirurgia palpebrale, in quanto aumenta la scorrevolezza e riduce la frizione durante lo scorrimento del filo all’interno dei tessuti. Nelle procedure chirurgiche extraoculari, sono inoltre richiesti aghi curvi a sezione triangolare, per essere maggiormente penetranti, dato lo spessore e la resistenza dei tessuti perioculari.

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2.4 SALA OPERATORIA E POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE

La sala operatoria per interventi chirurgici extraoculari, di solito è una sala di tipo standard; necessita quindi di tutti i requisiti minimi indispensabili per qualsiasi intervento chirurgico, e in particolar modo è fondamentale che garantisca una perfetta e completa illuminazione.

Il perimetro deve essere semplice e privo di anfratti, in cui si possa accumulare polvere o materiali biologici, che potrebbero causare contaminazioni incrociate. Il pavimento, il soffitto, le pareti e tutte le superfici devono essere lisce e facilmente disinfettabili. Una sala a norma, oltre ad un idoneo impianto di aerazione, deve garantire l’arrivo dei gas anestesiologici e dell’O2, ed ospitare adeguatamente le varie attrezzature

anestesiologiche, per il monitoraggio, il tavolo operatorio correttamente regolabile, un aspiratore e i tavolini servitori per i vari strumenti chirurgici.

La sala deve essere sufficientemente ampia, da permettere al personale chirurgico di muoversi con comodità, aggirando le attrezzature sterili senza provocare contaminazioni, e da consentire la sistemazione dei vari macchinari necessari per le diverse procedure chirurgiche (Fossum et al., 2013).

Un armadio è mantenuto all'interno della sala operatoria per chirurgia oftalmica, con appositi strumenti sterili, singolarmente imbustati, e pronti per l'uso (Gelatt & Gelatt, 2011).

L’illuminazione generale è data da luci a fluorescenza a soffitto, cui si aggiungono una o preferibilmente due lampade chirurgiche alogene. Le lampade chirurgiche sono studiate per emettere una luce bianca e ad alta intensità, basso calore e colore naturale, con una scarsa produzione di ombre e senza provocare bagliori (Fossum et al., 2013).

Le procedure chirurgiche extraoculari vengono eseguite con il paziente in decubito laterale o sternale in base alla scelta del chirurgo oftalmologo e al tipo di intervento. Se si ritiene opportuno, e le dimensioni del paziente lo richiedono, si può fare ricorso alla culla contenitrice o a lacci e nastri adesivi per posizionare meglio gli arti dell’animale, ma evitando di interferire con la funzionalità respiratoria, con la circolazione periferica e senza traumatizzare muscoli e nervi (Fossum, 2013).

Sebbene la durata della maggior parte delle procedure chirurgiche oftalmiche è inferiore a 1h, un cuscino a circolazione di acqua calda, o un tappetino elettrico riscaldabile tra il paziente e il tavolo operatorio, può ridurre la possibilità di ipotermia.

Nella chirurgia oftalmica, è di fondamentale importanza il corretto posizionamento della testa dell’animale, che deve rimanere stabile per l’intera durata dell’intervento chirurgico (Gelatt, 2011a). Alcuni teli o cuscini, possono essere utilizzati per lo scopo, ma un’alternativa valida è rappresentata da uno speciale cuscinetto a U (Olympic Vac-Pac®).

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21 La testa del paziente, viene posizionata sul cuscino vuoto, il quale viene modellato selezionando la posizione più consona alla tipologia d’intervento e alle esigenze del chirurgo. Grazie ad un’apposita camera d’aria, una tecnologia ad aspirazione crea il sottovuoto, conferendo al cuscino stesso una notevole rigidità strutturale e stabilizzandolo quindi nella forma prescelta. Al termine della procedura chirurgica, l’apertura della camera d’aria rilascia il vuoto permettendo nuovamente l’entrata di aria all’interno del cuscino, che torna morbido e modellabile.

2.5 PREPARAZIONE CHIRURGICA DELLE PAPLEBRE

La preparazione chirurgica delle palpebre viene eseguita immediatamente prima dell'intervento chirurgico. Spesso il paziente è in terapia profilattica con antibiotici topici o antibiotici/corticosteroidi e la stessa terapia viene prolungata anche dopo l’intervento chirurgico.

I potenziali agenti patogeni presenti nella normale flora della congiuntiva, delle palpebre, della cornea, delle ghiandole lacrimali e di quelle tarsali sono una delle ragioni dell’uso perioperatorio degli antibiotici, che vengono spesso somministrati agli animali sottoposti a chirurgia oculare o perioculare. Di norma i batteri isolati dalla flora perioculare sono Staphylococcus e Streptococcus spp. Per la profilassi perioperatoria sono spesso scelte preparazioni oftalmiche contenenti tobramicina, oppure bacitracina, polimixina, neomicina ed altri antibiotici topici, quali eritromicina e ossitetraciclina (commercializzati in America ma non in Italia). Generalmente per la chirurgia palpebrale, si somministrano anche antibiotici sistemici per la chirurgia palpebrale (Fossum et al., 2013).

L'elevata vascolarizzazione delle palpebre promuove la guarigione ed i farmaci corticosteroidei topici spesso sono somministrati nella fase perioperatoria per controllare l’irritazione locale e il gonfiore, soprattutto a livello congiuntivale. I peli palpebrali vengono accuratamente rimossi con piccole tosatrici. La cute delle palpebre è sottile e, se traumatizzata durante la depilazione, può gonfiare.

I tessuti perioculari vanno rapidamente incontro a infiammazione sviluppando edema durante la manipolazione. Pertanto, questa tumefazione può essere ridotta al minimo mediante preventiva somministrazione di FANS sistemici, sfruttando inoltre il loro potere analgesico.

Dopo aver tricotomizzato la zona interessata dalla procedura chirurgica, una pomata a base di paraffina può essere applicata sulle superfici corneale e congiuntivali per facilitare l’allontanamento di peli e detriti dal campo operatorio. Successivamente la pomata viene accuratamente rimossa per mezzo di tamponi sterili con punta triangolare (Gelatt, 2011a).

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22 La preparazione preoperatoria del campo, ha lo scopo di ridurre la carica microbica fino a livelli subpatogeni, nel più breve periodo di tempo e con la minima irritazione tissutale possibile (Fossum, 2013).

I tessuti perioculari e il globo oculare vengono detersi utilizzando una preparazione asettica a base di iodopovidone diluito in fisiologica sterile allo 0.5%, con passaggi ripetuti seguiti da un risciacquo abbondante con soluzione salina sterile (Gelatt, 2011a; Roberts et al., 1986).

Evitare su cornea e la congiuntiva tutti i disinfettanti chirurgici contenenti alcool o clorexidina diacetato in quanto estremamente tossici per tali strutture (Fowler & Schuh, 1992).

Un antisettico esterno specifico, a base di clorexidina e farsenolo (Optigenic®), viene invece applicato per detergere la zona perioculare, prevenendo la contaminazione batterica del sito chirurgico.

Per ultimo verrà eseguito il drappeggio, mediante l’apposizione di quattro piccoli teli sterili di cotone, collocati attorno la rima palpebrale e ricoperti da un telo chirurgico fenestrato in corrispondenza dell’occhio da operare. Piccole pinze fissateli possono essere utilizzate per garantire la perfetta adesione dei teli sterili alla cute del paziente.

2.6 ANESTESIA NELLA CHIRURGIA EXTRAOCULARE

L’anestesia di pazienti che devono essere sottoposti a chirurgia oftalmica non richiede particolari attenzioni, al di là di quelle determinate dalle caratteristiche (per esempio razze brachicefaliche con problemi alle vie aeree) e dalle condizioni fisiche del paziente (patologie sistemiche debilitanti) (Corletto, 2010).

L’anestesia nella chirurgia degli annessi extraoculari è sicuramente meno complessa di quella eseguita in corso di interventi oculari o intraoculari, poiché queste procedure chirurgiche si effettuano senza interessamento diretto del globo oculare. Procedure più comuni, come gli interventi per distichiasi, ciglia ectopiche, entropion o ectropion, non richiedono il ricovero, e generalmente vengono eseguiti in day hospital, pertanto l’approccio anestesiologico deve prevedere il pronto recupero del paziente, garantendo, se necessario, un’adeguata analgesia postoperatoria in base alla tipo di chirurgia effettuata (Bufalari, 2012).

Il protocollo anestesiologico da seguire durante una chirurgia oftalmica extraoculare, sarà quello che meglio si adatta al paziente, ovvero si dovrà scegliere il protocollo in relazione alle caratteristiche dell’animale, come l’età, le sue condizioni cliniche generali, ed eventuali patologie concomitanti. Ad esempio in pazienti geriatrici o debilitati una leggera

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23 sedazione associata ad anestesia infiltrativa, con lidocaina al 2%, può essere utilizzata per procedure meno invasive (Giuliano, 2008; Swinger & Carastro, 2006).

Inoltre nei pazienti molto giovani con entropion, la procedura correttiva con tacking palpebrale spesso richiede una semplice sedazione con anestetico inalatorio indotta tramite maschera (Gelatt, 2011).

Nella maggior parte dei casi le procedure chirurgiche delle palpebre richiedono comunque l’induzione dell’anestesia generale con anestetici iniettabili, e il mantenimento è assicurato dai gas anestetici.

2.6.1 PREMEDICAZIONE

Nella chirurgia palpebrale, nella maggior parte dei casi, l’impiego di farmaci analgesici non è indispensabile come nelle procedure più invasive, in quanto la stimolazione algica è limitata (Bufalari & Lachin, 2012).

I pazienti possono però manifestare fastidio, irritazione o edema locale di grado variabile, pertanto nel periodo preoperatorio, potrà essere utile sedarli adeguatamente ed utilizzare anestetici locali. Prima della scelta opzionale per la premedicazione nel paziente veterinario, occorre individuare l’obbiettivo che si intende raggiungere, per esempio il controllo di un animale aggressivo, l’applicazione del protocollo di gestione del dolore nel paziente chirurgico, o la sedazione di un paziente ansioso (Fossum et al., 2013).

Tra gli agenti oppioidi, una delle scelte più efficaci è rappresentata dall’impiego di buprenorfina (0.01-0.02 mg/kg), con o senza l’aggiunta di sedativi. Il butorfanolo (0.2-0.4 mg/kg) può essere utilizzato in alternativa alla buprenorfina, e in associazione a una benzodiazepina (per esempio il diazepam), in quanto induce sedazione e discreta analgesia con scarsi effetti collaterali, ma la sua beve durata d’azione (1-2 ore) ne limita in parte l’impiego in quei pazienti che abbiano subito interventi chirurgici con un certo grado di risentimento algico.

L’acepromazina (0.05-0.1 mg/kg) in associazione alla buprenorfina, è da preferire in tutti i pazienti agitati o nervosi, per l’incremento del livello di sedazione rispetto alla sola buprenorfina, considerando però l’eventuali controindicazioni che caratterizzano il farmaco (Bufalari, 2012).

La premedicazione con fentanyl (2.5-5 mcg/kg) assicura efficacemente il controllo del dolore moderato e intenso nel cane e, nel caso di interventi più lunghi o di complicanze che allungano il tempo operatorio, il bolo di carico può essere seguito da infusione continua (2-20 mcg/kg).

Nella medicina veterinaria dei piccoli animali gli α2-agonisti più comunemente utilizzati

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-24 agonisti possono essere usati come premedicazione nei piccoli animali sani per ottenere effetti sedativi, analgesici e di rilassamento muscolare (Lemke & Creighton, 2010).

La dexmedetomidina (0.25-15 mcg/kg) rappresenta un’ottima alternativa ed è indicata nei casi in cui si sconsiglia l’utilizzo di acepromazina. Per il controllo del dolore moderato nel cane, può essere associata ad un oppiode sintetico come il metadone (0.1-0.5 mg/kg). Inoltre rappresenta uno dei farmaci di prima scelta quando si preferisce ripristinare velocemente uno stato di coscienza adeguato per poter dimettere l’animale nella stessa giornata, come richiesto nella maggior parte delle chirurgie extraoculari.

2.6.2 INDUZIONE

L’induzione dell’anestesia non deve rappresentare per il paziente un evento stressante, e nella pratica si cerca di ridurre al minimo la contenzione fisica. L’induzione anestesiologica è la fase che mira ad ottenere una rapida narcosi del paziente, e la progressione ad un piano anestesiologico adeguato.

Nella scelta dei farmaci per l’induzione dei pazienti sottoposti a chirurgia oftalmica extraoculare, non vi sono particolari esigenze. Quasi tutti gli agenti di induzione sono adatti, e la scelta dipende spesso dal fatto che il paziente sia in regime di day hospital oppure no (Seymour & Gleed, 2003).

Anche il tiopentale (se le condizioni cliniche lo consentono), quando impiegato in bolo unico per ottenere induzione dell’anestesia, può risultare utile senza rischio di risvegli prolungati (Bufalari et al., 2012).

Il propofol, per via delle sue particolari caratteristiche è considerato l’agente anestetico di scelta per l’induzione del paziente, somministrato alla dose di 2-8 mg/kg. Determina effetti assimilabili a quelli dell’induzione barbiturica, quali diminuzione della contrattilità miocardica ed azione vasodilatatoria; ha un on-set rapido in quanto diffonde ampiamente nel sistema nervoso centrale, e non esercitando alcun effetto accumulo nei tessuti, determina un rapido risveglio del paziente. Viene iniettato in boli lenti per l’induzione e durante l’anestesia inalatoria. Tuttavia la sua breve durata d’azione richiede la somministrazione in boli ripetuti in tempi relativamente brevi.

Durante la fase di induzione l’animale viene posizionato correttamente per agevolare una rapida e corretta intubazione, viene collegato ad un apparecchio elettrocardiografico di monitoraggio e fornito un supporto di ossigeno. Una volta indotto, il paziente viene intubato mediante l’introduzione di un tubo endotracheale, così da fornirgli ossigeno, gas anestetici, o sottoporlo a ventilazione artificiale in base alle diverse esigenze.

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2.6.3 MANTENIMENTO

La scelta dell’anestetico di mantenimento è a discrezione dell’anestesista. Per le procedure brevi può essere sufficiente un mantenimento endovenoso con propofol, mentre per interventi più prolungati (più di 20 minuti) è preferibile l’anestesia inalatoria (Seymour & Gleed, 2003).

Nonostante le procedure chirurgiche extraoculari siano infatti di breve durata (<30-40 min), si raccomanda l’intubazione tracheale e la somministrazione di O2 con circuito e

flussi adeguati, e il mantenimento dell’anestesia generale con anestetici inalatori in ossigeno. Per la fase di mantenimento, l’anestesia inalatoria tramite isofluorano rappresenta una valida opzione, anche in associazione a boli ripetuti di propofol, poiché a differenza dell’alotano, l’isofluorano consente un risveglio più rapido.

2.6.4 RISVEGLIO

Al termine della procedura chirurgica, il paziente va trasferito nella sala di risveglio, dove viene assistito fino al momento in cui riacquisisce il pieno controllo delle facoltà cognitive e motorie.

In questi pazienti, il risveglio rappresenta la fase più delicata di tutta la procedura anestetica. È possibile infatti che l’animale si autotraumatizzi a causa del fastidio, compromettendo variabilmente l’esito della correzione chirurgica (Bufalari & Lachin, 2012).

Si consiglia quindi di applicare prima del risveglio il collare elisabettiano, di procedere con la terapia antalgica (quando necessario) e con la sedazione, se le condizioni lo richiedono.

2.6.5 MONITORAGGIO E COMPLICANZE

Nell’approccio al paziente da sottoporre ad anestesia per chirurgia oftalmica, è necessario tener conto di alcuni fattori peculiari di questa tipologia di interventi, ovvero:

- posizione dell’occhio;

- mantenimento della IOP (intraocular pressure);

- abolizione del riflesso palpebrale;

- riflesso oculocardiaco;

- tono dei muscoli extraoculari;

- diametro pupillare;

(26)

26 Alcuni di questi aspetti sono parametri importanti per la valutazione della profondità dell’anestesia. Nello specifico, per gli interventi chirurgici degli annessi extraoculari, è fondamentale prestare attenzione ai riflessi palpebrale ed oculocardiaco.

L’abolizione del riflesso palpebrale assicura un piano anestesiologico profondo, e quindi idoneo per l’esecuzione delle manovre chirurgiche. I riflessi oculari infatti sono quelli maggiormente considerati nella sorveglianza del paziente. Il riflesso palpebrale può essere spontaneo (blinking) oppure stimolato tramite uno sfioramento leggero del canto mediale o del bordo inferiore dell’orbita. Il riflesso si riduce progressivamente all’aumentare dei piani dell’anestesia, fino a sparire del tutto. Un animale in anestesia generale propriamente detta, ovvero dal III stadio in poi, non presenta più questo riflesso (Bufalari, 2012).

Oltre a confermare l’assenza della percezione algica nel paziente, l’annullamento del riflesso palpebrale evita movimenti involontari delle palpebre, facilitando le manovre al chirurgo.

Il riflesso oculocardiaco insorge durante l’esecuzione di manovre algiche o compressive particolari a carico dell’occhio. Sono responsabili della comparsa di tale riflesso una pressione diretta sul globo oculare, iniezioni intraorbitali di anestetici locali (utilizzati anche per bloccare questo riflesso), la trazione chirurgica a carico dei muscoli extraoculari, ed alcune manipolazioni dei tessuti palpebrali. La frequenza dei riflessi oculovagali è comunque bassa e tendono a manifestarsi soprattutto in animali di giovane età.

L’attivazione di questo riflesso (detto trigeminovagale) si verifica quando lo stiramento algico, dalla periferia, attraverso vie afferenti, arriva alle branche ciliari della porzione oftalmica del nervo trigemino fino al livello del SNC. Dal centro cardioinibitorio del midollo allungato, attraverso fibre efferenti del nervo vago verso il cuore, si possono verificare aritmie (blocchi atrioventricolari, battiti ectopici e bigemini), bradicardia, fino ad asistolia, ipotensione e depressione respiratoria (Bufalari & Lachin 2012).

Negli animali, possono esserci alcune variazioni individuali relative al riflesso oculocardiaco e nella prevalenza delle manifestazioni respiratorie o cardiache. L’effetto primario nel gatto sembra essere quello respiratorio; nel cane, oltre alla bradicardia indotta, la concomitante depressione respiratoria può essere più profonda. Tuttavia, nei cani in anestesia generale, con l’azione di agenti bloccanti neuromuscolari, e assistiti dalla ventilazione controllata, è possibile apprezzare soltanto la risposta cardiaca di questo riflesso (Gelatt, 2011).

Per gestire il riflesso oculocardiaco, e quindi prevenire o trattare la bradicardia, è ancora in discussione l’uso degli anticolinergici (atropina 0.02-0.04 mg/kg im ev o glicopirrolato

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