• Non ci sono risultati.

LA FILOSOFIA DELLE IMMAGINI DI J.J. WUNENBURGER: UN'ANALISI FILMICA TRA ERMENEUTICA E SIMBOLISMO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "LA FILOSOFIA DELLE IMMAGINI DI J.J. WUNENBURGER: UN'ANALISI FILMICA TRA ERMENEUTICA E SIMBOLISMO"

Copied!
163
0
0

Testo completo

(1)

1 INDICE

INTRODUZIONE………….………...……….3

Capitolo primo - La filosofia delle immagini di J.J Wunenburger

I.1 Problemi di definizione e ipotesi tipologica delle

immagini………...…9 I.1.1. Rapporti tra corpo e immagine……….. …13 I.1.2. Immagine e linguaggio………...…18 I.1.3. Immagine, immaginazione, immaginario…………...23 I.1.4. Immagine simbolica, mediazione del linguaggio,

nuova idolatria ………..……….……27

I.2 Dalla classificazione tipologica all’esigenza

metodologica………..…31 I.2.1. Orientamenti epistemologici e metodologici….……35 I.2.2 Il trascendentalismo dell’immagine tra immaginazione

schematizzante e immaginazione creatrice……....…44 I.2.3 Il senso dell’interpretazione ermeneutica come

(2)

I.2.4. L’ermeneutica tra riduzione e ridondanza del senso………..………..…..57 I.2.5. L’Io interpretante dell’ermeneutica………...65

Capitolo secondo - Figure antitetiche di reclusione: Hunger (2008) di Steve McQueen e The Wrestler (2008) di Darren

Aronofsky

II.1 Hunger: scomposizione in sequenze……….….73 II.1.1. Lo spazio concentrazionario come luogo politico…..91 II.1.2. Il corpo come veicolo di conflitto………..97 II.1.3 Il percorso sacrificale………...103

II.2 The Wrestler: scomposizione in sequenze……...….108 II.2.1. Lo spazio del ring come luogo simbolico………….131 II.2.2. Il corpo come territorio di conflitto……….……….138 II.2.3. Il percorso sacrificale………...145

CONCLUSIONI……….………...155

(3)

3

INTRODUZIONE

Intitolata La filosofia delle immagini di Jean-Jacques Wunenburger: un’analisi filmica tra ermeneutica e simbolismo, questa tesi intende delineare un percorso interdisciplinare tra riflessione filosofica e critica cinematografica. Muovendo dallo studio di Jean-Jacques Wunenburger Filosofia delle immagini, pubblicato in Francia nel 1997 e tradotto in italiano nel 1999, la trattazione è innanzitutto volta a individuare un orientamento epistemologico in grado di restituire alla nozione di immagine tutta la sua potenzialità simbolica e, in secondo luogo, a trasportare questa indicazione metodologica in ambito filmico, mostrando la sua propensione a relazionarsi liberamente e adeguatamente con la densità semantica del cinema contemporaneo.

Articolato in due parti, il seguente lavoro presenterà nella prima sezione una rassegna delle questioni sollevate dal concetto di immagine nella sistemazione storico-filosofica elaborata da Wunenburger, ravvisando nell’ermeneutica la prospettiva interpretativa più adatta a dialogare con la complessità dell’immaginario cinematografico del XXI secolo. Fondata teoricamente e adottata criticamente la metodologia di riferimento, la seconda parte della tesi si concentrerà sull’analisi di due pellicole del 2008 (Hunger di Steve McQueen e The Wrestler di Darren Aronofsky), istituendo tra loro una fitta rete di collegamenti intertestuali e mettendone in luce tanto le affinità morfologiche quanto le differenze molecolari. Benché scandita in due sezioni appartenenti a sfere culturali non direttamente connesse, l’argomentazione instaurerà gradualmente un solido collegamento tra la speculazione filosofica e l’indagine

cinematografica, prestando particolare attenzione all’indirizzo

ermeneutico che orienterà la successiva ricognizione filmica. Stabilendo una profonda complementarità tra il piano semiotico, che fa da

(4)

fondamento all’espressione delle immagini, e il piano simbolico, che si spinge nelle pieghe nascoste delle immagini stesse, il procedimento ermeneutico permetterà di esplorare i testi filmici con un ragionevole e produttivo margine di libertà interpretativa. In questo modo l’autonomia e la specificità dei due ambiti disciplinari saranno salvaguardati nei loro tratti essenziali, ma il collegamento stabilito costituirà il banco di prova della metodologia interpretativa e, al contempo, la verifica sul campo della complessità connotativa delle pellicole prese in esame.

Il primo capitolo, denominato La filosofia delle immagini di Jean-Jacques Wunenburger, si organizzerà in due paragrafi suddivisi a loro volta in sottoparagrafi. Nel primo “macroparagrafo”, intitolato Problemi di definizione e ipotesi tipologica delle immagini, sarà affrontata la spinosa questione della definizione delle immagini e della loro distinzione tipologica in relazione alla dimensione corporea e linguistica, con un importante approfondimento concernente le nozioni contigue di immagine, immaginazione e immaginario. Il secondo “macroparagrafo” - Dalla classificazione tipologica all’esigenza metodologica - chiamerà invece in causa gli orientamenti metodologici espliciti o impliciti associati alla riflessione sull’immagine, ponendo infine l’accento sulla prospettiva ermeneutica e sul modello di soggetto interpretante che essa postula.

Intitolato Figure antitetiche di reclusione: Hunger (2008) di Steve McQueen e The Wrestler (2008) di Darren Aronofsky, il secondo capitolo riprodurrà a grandi linee l’organizzazione in paragrafi e sottoparagrafi adottata nel primo. Alla scomposizione in sequenze dei rispettivi testi filmici seguiranno accurate analisi critiche che, prendendo in considerazione le connotazioni attribuite agli spazi chiusi, la centralità del corpo come veicolo o territorio di conflitto e i percorsi sacrificali delineati dai due lungometraggi, configureranno un confronto teso a evidenziare assonanze e dissonanze di natura tematica ed estetica. Situata a livelli di

(5)

5

profondità crescente, l’analisi, pur tenendo conto delle letture formulate dalla critica italiana, non perderà di vista la peculiarità dell’inflessione ermeneutica, conservando pertanto un ineliminabile e indispensabile quoziente di soggettività.

In virtù del modello interpretativo mutuato dallo studio di Wunenburger e grazie alla ricchezza simbolica delle pellicole osservate, la lettura comparativa condotta su due testi filmici apparentemente inassimilabili rivelerà, al contrario, inaspettate occorrenze di somiglianza e corrispondenza analogica. È proprio su questo terreno comune, collocato a una profondità maggiore rispetto al piano letterale, che le diversità di arrangiamento strutturale delle due pellicole risalteranno in modo determinante, mostrando da una parte la singolarità dei dispositivi simbolici che le contraddistinguono e, dall’altra, la prolificità dell’esercizio ermeneutico in ambito cinematografico. Un esercizio interpretativo che, sebbene rigorosamente fondato e organicamente coerente, interpella il soggetto impegnato nella costruzione del senso sotto il profilo affettivo e personale non meno che sotto quello intellettivo e razionale.

(6)

CAPITOLO PRIMO

LA FILOSOFIA DELLE IMMAGINI DI J.J. WUNENBURGER

L’assunto che muove Jean-Jacques Wunenburger1

nell’esplorazione dello sconfinato e apparentemente illimitato universo delle immagini risiede essenzialmente nella constatazione della loro onnipresenza nella vita contemporanea. Si tratta di una constatazione che il filosofo francese riconduce immediatamente all’affermazione definitiva della civiltà dell’immagine, profetizzata negli anni ’60 come “sigillo finale dell’era Gutenberg, vale a dire della cultura scritta e della cultura astratta”.2

Pubblicato nel 1997 e tradotto in italiano nel 1999, Filosofia delle immagini si situa dunque al di qua della diffusione capillare e attualmente pervasiva di Internet e dei fenomeni associati quali posta elettronica, blog, reti sociali e applicazioni per messaggistica istantanea, giusto per menzionare i più eclatanti, pertanto la sua impronta da consuntivo di una situazione definitiva e sostanzialmente irreversibile non può essere definita particolarmente premonitrice. Il modello comunicativo che si è

1

Nato il 28 agosto 1946, Jean-Jacques Wunenburger è attualmente professore di Filosofia e Preside

Onorario presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Jean Moulin Lyon III. Dal 1984 al 1999 ha diretto il Centro di Ricerche Gaston Bachelard sull’Immaginario e la Razionalità dell’Università di Borgogna. Presso l’ateneo lionese ha successivamente ricoperto le cariche di Direttore dell’Istituto di Ricerche Filosofiche e di Direttore delle Relazioni Internazionali. Le sue ricerche si sono incentrate prevalentemente sulle strutture e le funzioni delle immagini, dei simboli e dei miti studiati nei loro rapporti con la razionalità filosofica (epistemologia, estetica ed etica), scientifica e culturale. Tra le sue numerose pubblicazioni occorre segnalare

La vie des images (Presses Universitaires de Strasbourg, 1995), Philosophie des images (Presses

Universitaires de France, 1997); L’homme à l’âge de la télévision (Presses Universitaires de France, 2000);

Imaginaires du politique (Ellipses, 2001); Une utopie de la raison. Essai sur la politique moderne (La Table

ronde, 2002); L’imaginaire (Presses Universitaires de France, 2003) e Imaginaires et rationalité des

médecines alternatives (Les Belles Lettres, 2006). Dedicato al padre della psicoanalisi, il suo ultimo studio è

intitolato Freud - Science ou religion? (Esprit Du Temps, 2013).

2

Jean-Jacques Wunenburger, Filosofia delle immagini (Philosophie des images, Presses Universitaires de France, 1997; tr.it. di Sergio Arecco, Einaudi, Torino,1999), p.XI.

(7)

7

affermato a partire dai primi anni del XXI secolo, difatti, non soggiace più alla supremazia delle immagini, ma, intrecciando in modo sempre più stretto testi di natura diversa, vede risorgere la parola dalle sue ceneri. Una parola indubbiamente sprovvista di quei caratteri di affidabilità e autorevolezza che possedeva in passato, ma nondimeno una parola viva e adoperata con incomparabile continuità dalla comunità dei fruitori della tecnologia contemporanea - comunità che sarebbe irragionevole non riconoscere in ininterrotta e incontenibile ascesa.

Ciononostante, a prescindere dalla deficitaria lungimiranza, è proprio tale prospettiva da bilancio definitivo a conferire paradossalmente allo studio di Wunenburger la sua urgenza e la sua forza interna, come se il sentimento di irreversibilità, anziché tradursi in rassegnazione o disperazione apocalittica, costituisse al contrario l’occasione di osservare con lucidità e distacco uno scenario perfettamente compiuto e consolidato. È dunque a partire da questo assunto che il filosofo francese, non nascondendo le insidie dell’impresa e assumendo un punto di vista quasi esclusivamente retrospettivo, procede all’esplorazione dell’universo delle immagini:

“Tale situazione storica, che rischia di essere banalizzata da una quantità di stereotipi, costringe in misura molto maggiore che in passato a ripensare storicamente e criticamente un tipo di

(8)

rappresentazione dalle indubbie suggestioni ma dai contorni quanto mai incerti.”3

Storicamente e criticamente: i due avverbi circoscrivono con sufficiente esattezza la traiettoria seguita da Wunenburger, dal momento che la filosofia contemporanea non può più trascurare o sottovalutare l’immagine, ma, egli sostiene, “è obbligata a rivalutarla, riconsiderando certi suoi atteggiamenti conservatori, aggiornando certi suoi concetti e certi suoi giudizi”.4

Se l’assunto è quindi di carattere retrospettivo e critico, l’obiettivo

dichiarato consiste invece in una “riconquista filosofica”5 dell’immagine:

una riconquista che, per essere tale, non può limitarsi a una semplice rassegna descrittiva delle immagini e a una constatazione dei loro effetti, ma deve addentrarsi nelle questioni squisitamente filosofiche sollevate dall’immagine nella cultura contemporanea e nella storia del pensiero. Si tratta di un obiettivo che Wunenburger esprime in questi termini:

“Il compito specifico di un approccio filosofico consiste (…) nel determinare la natura e la funzione delle immagini, nell’esporre i

3 Ibidem. 4

Ivi, p.XII.

(9)

9

presupposti e le implicazioni delle teorie sviluppate in proposito,

nell’interrogarsi sui valori e i significati di tali

rappresentazioni.”6

I.1. PROBLEMI DI DEFINIZIONE E IPOTESI TIPOLOGICA DELLE IMMAGINI

Il primo passo compiuto da Wunenburger per fondare la sua riconquista e determinare l’oggetto di studio consiste nel fornire una definizione dell’immagine. Si tratta di una definizione preliminare che tende a collocare l’immagine in uno spazio separato tanto dalle cose reali quanto dalle rappresentazioni concettuali apparentemente prive di somiglianza con le cose stesse:

“Possiamo chiamare convenzionalmente immagine una

rappresentazione concreta, sensibile (a titolo di riproduzione o copia) di un oggetto (modello referente), materiale (una sedia) o concettuale (un numero astratto), presente o assente dal punto di vista percettivo, e che intrattiene un tale legame col suo referente da poterlo rappresentare a tutti gli effetti e consentirne così il riconoscimento e l’identificazione tramite il pensiero.”7

6

Ivi, pp.XII-XIII.

(10)

Eccessivamente incoraggiante e illusoriamente unificante, una definizione simile serve tuttavia al filosofo francese soltanto come base da cui prendere le distanze, dal momento che essa ingenera esagerata fiducia nell’unità della nozione designata col nome di immagine, occultandone vistosamente pluralità e complessità:

“Il rigore e il valore di una riflessione intorno all’immagine restano infatti condizionati dalla valutazione della pluralità e della complessità dell’oggetto in questione: valutazione che passa attraverso il confronto tra definizione teorica ed esperienza empirica, o realtà fenomenica.”8

Ciò che interessa il filosofo francese è invece porre l’accento sulla realtà multiforme delle immagini, adottando inizialmente un metodo tipologico nel tentativo di delineare la configurazione che questa realtà cangiante assume nel dominio psicologico e culturale. Se è dunque la pluralità a costituire il principio di comprensibilità delle immagini, tale varietà non dissolve irrimediabilmente la realtà iconica in una nebulosa indistinta e inafferrabile, poiché, osserva Wunenburger, “le immagini fanno comunque parte di un unico mondo, ossia di un insieme differenziato

(11)

11

dotato di un’unità e di una totalità”.9

Prese le distanze dall’illusione dell’unità concettuale suggerita dal termine “immagine”,10

Wunenburger procede dapprima a un rapido excursus sulle fluttuazioni semantiche del termine “immagine” nella lingua greca, in quella latina e in quelle neolatine, notando la straordinaria ampiezza dei significati connessi alla parola, significati che vanno dall’impressione lasciata nella coscienza dalla percezione (immagini-impressione) alle rappresentazioni più astratte (idee), passando per un livello intermedio situato tra la percezione reale della cosa e l’astrazione intellettuale della

cosa percepita (immagini mnesiche).11 Ma, anziché scoraggiare la

riflessione, è proprio tale vastità semantica a costituire l’effettivo punto di partenza della riconquista filosofica. Ed è proprio in questo frangente che Wunenburger intacca l’illusoria unità della definizione preliminare, adottando una prospettiva che fa della plasticità del campo semantico associato all’immagine un autentico e inaspettato punto di forza:

“Già fin d’ora possiamo supporre che non sia del tutto illegittimo estendere l’immagine fino a farle comprendere da un lato il sensibile puro e dell’altro l’intelligibile puro, senza per questo farle comprendere tutti i singoli momenti e tutte le singole forme

9 Ivi, p.6.

10 Wunenburger definisce questa unità illusoria “identità artificiale” e comoda ipostasi”, ivi, p.7.

11 Si tratta di un livello intermedio che associa il termine «immagine» “a un’idea di rappresentazione la

cui percezione perduri in assenza d’intuizione e dia luogo a procedimenti mnesici, per fissarla con la memoria, o immaginativi, per rielaborarla con l’immaginazione”, ivi, .p.12.

(12)

delle attività di rappresentazione.”12

L’ampia gamma di significati associati al termine “immagine” - sostanzialmente riconducibili ai tre campi semantici di “immagini-impressioni”, “idee astratte” e “immagini mnesiche” - rappresenta insomma lo spunto dell’intera riflessione filosofica: lungi dal minacciare l’unità e la coerenza della categoria iconica, l’ampia portata semantica offre al contrario l’opportunità di ripensare i rapporti tra il sensibile e l’intelligibile, rapporti che proprio nell’immagine si mostrano in tutta la loro ricchezza.

A rimanere invariata, nonostante l’impressionante espansione semantica della categoria, è tuttavia la funzione rappresentativa dell’immagine: sia che si consideri sotto il profilo percettivo sia che si concepisca sotto quello puramente intellettuale, la funzione dell’immagine resta quella di rappresentare la cosa sostituendosi ad essa o, dal versante opposto, manifestare l’esistenza di un pensiero visivo soggiacente. La conclusione teorica - strettamente legata all’epistemologia - che deriva da questa concezione allargata dell’immagine pone infine l’accento sulla natura mista e mediata della rappresentazione iconica:

“Resta il fatto che attraverso questi usi differenti emerge un

(13)

13

orientamento semantico che collega l’immagine innanzitutto a una

rappresentazione mediata, mista, la quale consente

contemporaneamente di unire e opporre due entità o piani contrari, mantenendo fermo il presupposto che nelle concezioni filosofiche della conoscenza sussistano da un lato la realtà oggettiva delle cose così come ci viene presentata mediante l’intuizione sensibile e dall’altro un livello d’informazione astratta, concetto o idea, mediante il quale noi ci dotiamo di oggetti di pensiero indipendentemente dalla loro configurazione empirica.”13

I.1.1. RAPPORTI TRA CORPO E IMMAGINE

Se l’entità composita e intermedia costituita dall’immagine rinvia necessariamente alla materialità di una rappresentazione che oggettivi un contenuto sensibile, la produzione o la riproduzione dell’immagine implica altrettanto necessariamente la “preesistenza mentale della sua rappresentazione”14

,una preesistenza che a sua volta presuppone il processo percettivo: “c’è immagine per un soggetto solo se si è formata in lui a partire da una percezione”15

. La riflessione di Wunenburger si addentra quindi nell’ambito della genesi delle immagini, convocando

13 Ivi, p.14. 14

Ivi, p.15.

(14)

l’attivazione corporea del soggetto, i cui sensi sono chiamati a partecipare alla produzione/riproduzione iconica:

“Il numero e la varietà delle immagini dipendono dunque dal corpo proprio, dai suoi mediatori sensori (i cinque sensi) e motori

(gesto, voce), che partecipano alla formazione delle

rappresentazioni sensibili e concrete.”16

La mediazione dei sensi costituisce quindi un passaggio obbligato per la successiva rappresentazione di un oggetto. La nascita dell’immagine non dipende soltanto dall’attività visiva, ma, puntualizza Wunenburger, risulta dall’azione concomitante di tutte le facoltà sensoriali:

“Ora, le attività sensorie sembrano tutte presiedere alla nascita delle immagini: vista, udito, olfatto, gusto, tatto, ovvero l’intero polipaio dei cinque sensi, ai quali bisogna aggiungere la sinestesia corporea interna, l’immagine formata dalla mimica gestuale e la creazione specifica di immagini mediante la voce nell’espressione linguistica.”17

Per quanto riguarda la percezione visiva, il filosofo francese osserva il

16 Ibidem. 17

(15)

15

sostanziale accordo dei vari modelli epistemologici sul processo di traduzione degli stimoli esterni in informazioni che costruiscono la visione dell’oggetto nella coscienza. L’immagine della realtà costituisce pertanto un prodotto risultante dall’incontro tra i dati provenienti dall’esterno e l’elaborazione propria del soggetto: non una copia perfettamente esatta, dunque, ma una modellizzazione dotata al tempo stesso di conformità agli stimoli esteriori e di una certa autonomia rispetto agli stessi. Una rappresentazione sì adeguata ai referenti reali, ma al contempo costruita in virtù di processi mentali che si sviluppano nell’interiorità del soggetto:

“L’immagine, a partire dall’approccio scientifico del senso della vista, si determina dunque già come veicolo di somiglianza e dissomiglianza, capace di accomunare l’Altro e il Medesimo in un unico flusso percettivo.”18

Intessuta di conformità e autonomia, una dinamica simile contraddistingue anche i processi percettivi degli altri sensi: se l’udito raccoglie ed elabora i suoni esterni in immagini acustiche (si pensi alle forme sonore generate dalla musica o alle connotazioni materiali e spaziali della voce), il tatto, 19 come dimostrato dal caso dei ciechi dalla nascita, può pervenire alla

18

Ivi, p.16.

(16)

formazione di rappresentazioni spaziali degli oggetti esterni con funzioni compensatorie - Wunenburger parla di “immagine figurativa di supporto che simuli la sintesi della visione”20

. Benché la propensione alla rappresentazione figurativa sembri essere meno reperibile nell’olfatto e nel gusto, una considerazione più approfondita di questi due sensi rivela proprietà non riducibili alla semplice scomposizione analitica degli stimoli esterni: se l’olfatto risulta originariamente collegato a una “schematizzazione ritmica”21

sulla quale si innestano “reminiscenze, immagini culturali e simboli”22

, il gusto attiva una “rappresentazione cosciente dei sapori”23

alla quale collaborano immaginazione e ricordo, in un procedimento complesso che “non si limita a un arricchimento mentale successivo alle sensazioni, ma si mescola intimamente al vissuto gustativo”24.

In quanto dimensione eminentemente motoria, il corpo non può tuttavia essere ridotto a mero recipiente di stimoli e, in quest’ottica cinetica, esso genera un immaginario di due tipi: il primo interno e funzionale, mediante

lo “schema corporeo”25 ,e il secondo esterno ed espressivo, “attraverso le

20 Ivi, p.20. 21 Ibidem. 22 Ibidem. 23 Ibidem. 24

“Quest’immaginario del corpo proprio, il cui versante rappresentativo è appaiato a un versante cinestetico (di mobilità), appare subito essenziale nella percezione del sé grazie allo «schema corporeo» e nel riconoscimento del sé grazie alla mediazione di una «immagine speculare», ivi, p.21.

(17)

17

sue manifestazioni mimiche e gestuali, involontarie o controllate”26 . Rafforzato e consolidato dall’immagine speculare, lo schema corporeo rappresenta la condizione di possibilità di un’immagine di sé che determina l’equilibrio posturale e la corretta esecuzione dei movimenti: “tutte le attività fisiche sembrano condizionate da un immaginario che ne assicura uno svolgimento adeguato e armonico”27

.

L’immaginario del secondo tipo concerne invece la produzione di rappresentazioni mimiche e gestuali con valore dimostrativo, espressivo o codificato:

“In tal modo il corpo diviene figurativo e si sostituisce ai segni emessi vocalmente. È così che la mimica del volto o degli atti esprime spontaneamente, e in modo molto più universale dell’espressione verbale, stati affettivi o intellettuali”28

.

Oltre alle espressioni di stati d’animo, umore o temperamento, le immagini prodotte dal corpo, ovviamente, possono anche essere utilizzate per inscenare imitazioni e rappresentazioni stilizzate, come nel mimo e nella pantomima, o per veicolare contenuti complessi e codificati, come avviene nel sistema della lingua dei segni utilizzata nella comunicazione

26 Ivi, p.22. 27 Ivi, p.23. 28

(18)

dei sordomuti. Un autentico atlante delle immagini, quello disegnato da Wunenburger, che ricopre e permea l’intera dimensione corporea,

riaffermando “il vincolo tra immagine psichica e supporto biologico”29.

I.1.2. IMMAGINE E LINGUAGGIO

I problemi sollevati dalle relazioni tutt’altro che pacifiche tra funzione linguistica e immagine visiva risiedono in primo luogo nella questione dei rapporti di forza tra i due registri e nella palese difficoltà di stabilire i rispettivi gradi di autonomia. Detto più chiaramente, il verbale e il visivo sono collegati in profondità dalla priorità dell’uno sull’altro o sono due registri nettamente distinti? Wunenburger ricorda che la questione si ripresenta puntualmente nel dibattito tra fenomenologia, filosofia del linguaggio e scienze cognitive:

“(…) si tratta di determinare se l’attività dello spirito si fonda, dal punto di vista del suo «formato», sull’egemonia di una funzione descrittiva, operante per mezzo di proposizioni linguistiche - il che ricondurrebbe l’esperienza dei sensi a un modello semiotico - o presuppone una dualità irriducibile tra rappresentazione logico-linguistica, di tipo funzionale, e rappresentazione «pittorialista»,

(19)

19

di tipo analogico, fondata sull’intuizione sensoriale della cosa”30 .

Tra visualizzazione e funzioni linguistiche sembrerebbe innanzitutto sussistere una marcata distinzione riconducibile, dal punto di vista neurobiologico, alla bipolarità tra un’attività analitica afferente all’emisfero sinistro del cervello e un’attività intuitiva collegata all’emisfero destro. Una distinzione, questa, che istituirebbe una parallela distinzione tipologica sul piano psicologico: “Esistono tipi visivi e tipi verbali che non si richiamano alle immagini con le medesime modalità”31

. Ogni individuo, in altri termini, sente e assimila le immagini in modi e ragioni differenti, selezionando in modo singolare e flessibile le proprietà dei due modelli di rappresentazione e significazione. Malgrado questa netta distinzione, l’esperienza visiva continua a mantenere una qualità originaria che l’immagine linguistica, per quanto potente e icastica, non riuscirà mai a surrogare completamente 32.

Nessuna mediazione segnica è difatti in grado di eguagliare la ricchezza immediata dell’esperienza visiva, un’esperienza che pone il soggetto in relazione all’essere del - e al suo essere nel - mondo: “un fenomeno che, per una sorta di eccedenza semantica, pare incommensurabile con

30

Ibidem.Ivi, p.27.

31

Wunenburger definisce questa qualità dell’esperienza visiva “potenza originaria dello scopico”, ivi p.28

(20)

qualsiasi verbalizzazione”33 .

Nella sua globalità, la ricchezza sensoriale ed emozionale della visione, conclude Wunenburger, “coinvolge quindi il soggetto molto più intensamente della verbalizzazione, che necessita di un apprendistato, di una scoperta progressiva, e implica una inibizione del pathos”34.

Ma, una volta fissata la dicotomia in termini teoricamente rigorosi, il filosofo francese si premura di attenuarne la portata pratica, sottolineando che, nella prassi culturale affermatasi nella tradizione, l’antagonismo teorico tra immagine e parola si traduce invece in interazione effettiva e compenetrazione reciproca: “Sotto molti aspetti, dal punto di vista individuale e collettivo, siamo in presenza di una continuità, di una complementarietà, financo di un sostegno reciproco”35. Oltre all’ovvia constatazione della “polisensorialità corporea”36 del linguaggio nel suo uso concreto (voce-orecchio per l’espressione orale; mano-occhio per quella scritta o grafica), Wunenburger pone l’accento sulla dimensione grafica di alcuni tipi di scrittura come gli ideogrammi cinesi o i geroglifici egiziani e sulla solidarietà tra sfera visiva e sfera linguistica in molte tecniche di comunicazione, tra le quali, naturalmente, spicca l’iconografia cristiana: 33 Ibidem. 34 Ivi, p33. 35 Ibidem. 36 Ivi, p.34.

(21)

21

“Il cristianesimo si fonda, come prolungamento dell’ebraismo, su una venerazione cultuale di Scritture sacre (la Bibbia), sviluppando appunto un programma massiccio di rappresentazioni visive che culmina nel trionfo della pittura, prima religiosa, poi profana”37

.

È dunque l’intera storia dell’arte occidentale a essere interessata da questa complementarietà effettiva, una complementarietà particolarmente riconoscibile nei rapporti tra creazione poetica ed espressione pittorica: dalla celebre formula oraziana che assimila poesia e pittura, ut pictura poësis, alle corrispondenze tra colori e suoni fortemente valorizzate nel XIX secolo, passando per il confronto tra le arti sviluppato nel XVII secolo a proposito della raffigurazione della sofferenza. Tra arte pittorica, poesia e retorica testuale si configura dunque un dialogo profondo e incessante che si nutre essenzialmente di una dinamica bidirezionale: “da un lato è la retorica delle immagini a modellarsi sull’arte pittorica, dall’altro, per converso, è l’arte grafica a incaricarsi di tradurre la poetica di un testo”38

. Se la retorica, in quanto arte del discorso, ottiene gli effetti desiderati adottando tecniche mutuate dalla pittura e “modellando il discorso come un quadro”39, l’arte pittorica, in quanto

37 Ivi, p.35. 38

Ibidem.

(22)

creazione iconografica, oggettiva spesso aspetti linguistici sviluppandoli mediante una visualizzazione iconica o accompagnandosi a essi:

“Nel Medioevo e lungo tutto il Rinascimento, in particolare, l’espressione linguistica (scritta o orale) viene accompagnata da un’immagine visiva che la illustra e la rafforza (calligrafie figurative, miniature, emblemi, distintivi, blasoni, ecc.)”40

.

Al termine di questa rassegna ragionata sui rapporti tra immagine e linguaggio, Wunenburger giunge quindi a riformulare la dicotomia tra immagini e linguaggio in termini più sfumati e parzialmente sovrapponibili. Pur costituendo due settori distinti della produzione di immagini, funzione visiva e funzione linguistica non sono separate da una cesura netta:

“Al contrario, tanto le pratiche spontanee quanto i sistemi estetici hanno sovente cercato di rinsaldare con meccanismi di equivalenza, di corrispondenza o di omologia queste due famiglie di immagini, le quali hanno senza dubbio le loro radici in un’unica funzione espressiva. Esiste, in questo senso, una solidarietà tra visualizzazione e verbalizzazione, che affonda negli

40

(23)

23

strati più arcaici della psiche”41.

I.1.3. IMMAGINE, IMMAGINAZIONE, IMMAGINARIO

Il 6 giugno 2012, in un’intervista rilasciata al professore di Comunicazioni Sociali dell’Università Saint-Paul di Ottawa Guy Marchessault durante il Colloquio sulla Teoria Durandiana dell’Immaginario, Wunenburger definisce con esemplare chiarezza i concetti contigui e apparentemente

intercambiabili di immagine, immaginazione e immaginario 42. Formulate

con un’esposizione divulgativa e accessibile, le considerazioni del filosofo francese delucidano ulteriormente la sua posizione teorica, collegandosi direttamente alle questioni trattate nel paragrafo precedente, in particolare alla “potenza originaria dello scopico” e ai rapporti tra immagine e linguaggio. L’apparente divagazione si giustifica dunque con l’approfondimento della prospettiva teorica e con l’espressione di un punto di vista che non può più prescindere dalla diffusione dell’immagine nell’era digitale contemporanea.

Marchessault domanda innanzitutto all’interlocutore di distinguere i tre termini, specificando a che cosa essi si riferiscano. Wunenburger premette che la domanda indica molto bene il punto di partenza del suo tragitto filosofico, volto non tanto a comprendere le pratiche della ragione in

41Entrevue avec Jean-Jacques Wunenburger réalisée par Guy Marchessault,

<https://www.youtube.com/watch?v=Y0UFFcvj9ik>.

(24)

maniera interna, quanto teso a mostrare come la ragione si nutra di qualcosa che le sta al di sotto, ovvero lo psichico, gli affetti e le immagini e, addirittura, di ciò che risiede al di sotto degli affetti, vale a dire tutto quello che proviene dal corpo e dalla motricità. Si tratta di una prospettiva che si apparenta alla riflessione sviluppata nel XX secolo da filosofi come Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) e Gaston Bachelard (1884-1962): filosofi che hanno tentato di immergere l’intelligibile nel sensibile e la razionalità nella sfera delle immagini.

Per quanto riguarda il termine immagine, Wunenburger sostiene che ci siano due interpretazioni delle rappresentazioni nella tradizione filosofica: per la prima, riconducibile al grande razionalismo europeo, esiste una separazione immediata tra le rappresentazioni provenienti dal mondo sensibile, che ci forniscono delle immagini secondarie impoverite, e le rappresentazioni astratte e concettuali che, al contrario, costituirebbero fonti di verità. L’altra tradizione sostiene invece che siano le immagini a essere primarie e che le rappresentazioni astratte, indirizzate a produrre un’intelligibilità logica e discorsiva, non siano altro che l’esito della trasformazione di queste immagini per mezzo di un movimento controllato e una ricerca volontaria. È in questo frangente che Wunenburger indica inequivocabilmente la propria collocazione nel solco della seconda tradizione, dichiarandosi debitore in particolare del pensiero di Gaston Bachelard: un grande teorico della scienza come produzione di

(25)

25

concetti contro l’immagine e al tempo stesso il primo grande interprete dell’immaginazione poetica e delle attività oniriche, insistendo decisamente sul carattere originario delle immagini che occupano l’essenziale della nostra relazione col mondo e con noi stessi. Sono queste immagini primarie a essere incaricate in seguito di trasformarsi in simboli e miti o, al contrario, in discorso concettuale. Dunque, nonostante la cautela teorica osservata nel precedente paragrafo a proposito dei rapporti tra funzione visiva e funzione linguistica, risulta adesso chiara e incontrovertibile la priorità assegnata da Wunenburger - via Bachelard - al registro dell’immagine in quanto forma originaria di relazione col mondo e con noi stessi.

Quanto all’immaginazione, il filosofo francese sostiene che essa sia la parte dell’attività psichica e intellettuale che pone le immagini e le trasforma. A partire dal Rinascimento e soprattutto dalla distinzione fissata da Immanuel Kant (1724-1804), prosegue Wunenburger, i tipi di immaginazione sono due: vi è innanzitutto l’immaginazione che riproduce il mondo percepito in sua assenza, aprendo così il cammino alla memoria con tutta un’elaborazione di immagini secondarie che ci permettono di mantenere presente nel nostro spirito ciò che si è assentato. In questo tipo di immaginazione, il reale inteso come fonte principale resta il riferimento essenziale. Nel secondo tipo, al contrario, l’immaginazione è considerata come un’istanza produttrice o creatrice, generando - prima mentalmente

(26)

ed eventualmente attraverso l’esteriorizzazione di opere che la oggettivino - delle immagini nuove che vanno al di là del reale e al di là di ciò che abbiamo percepito, creando in questo stesso momento un mondo simbolico che diviene fonte di pensiero, emozioni e produzioni artistiche. Non è difficile indovinare, nelle parole di Wunenburger, la propensione per questo secondo tipo di immaginazione svincolata dall’ancoraggio realista e dalla dimensione della mera riproduzione.

Per quanto concerne l’immaginario, infine, il discorso si fa più complicato, poiché, osserva Wunenburger, oggi questo termine è divenuto piuttosto equivoco, designando spesso la totalità delle immagini che circondano e determinano la vita di un individuo o di un gruppo. Nella riflessione del filosofo francese, l’immaginario possiede invece un significato più ristretto, opponendosi ad altri due termini: il primo è “imagerie”, vale a dire tutte le immagini “fotografiche” del reale (si tratta del reale in quanto riprodotto da mezzi naturali come lo spirito o da mezzi artificiali come la fotografia, il disegno e altri sistemi di riproduzione). Il secondo termine è “immaginale”, concetto forgiato da alcune correnti di ermeneuti - in particolare dal filosofo e orientalista francese Henry Corbin (1903-1978) - a proposito dell’interpretazione dei fenomeni visionari nella spiritualità religiosa. L’immaginale si riferisce specificamente a immagini che non provengono da noi e non sono prodotte dalla nostra individualità, ma che si impongono in qualche modo allo spirito: sono immagini

(27)

27

archetipiche e visionarie che si trovano in tutte le grandi letterature spirituali e mistiche del mondo.

Ebbene, l’immaginario si colloca esattamente tra la riproduzione dell’imagerie e la visionarietà dell’immaginale, definendosi come la maniera in cui il soggetto organizza e fa vivere delle immagini creatrici: immagini che sono sì elaborate dall’individuo al di là del reale, ma che al contempo istituiscono il suo mondo di ricordi, il suo mondo di anticipazioni e fantasticherie verso l’altrove. Immagini che si introducono in permanenza nel vissuto del soggetto e interferiscono produttivamente con la sua vita, i suoi umori e le sue speranze, ma che si nutrono precisamente di questo immaginario.

I.1.4. IMMAGINE SIMBOLICA, MEDIAZIONE DEL

LINGUAGGIO, NUOVA IDOLATRIA

In un contesto del genere, è quindi l’immagine simbolica a rivelarsi particolarmente rilevante: in quanto rappresentazione non destinata alla mera duplicazione del reale, l’immagine simbolica presenta una realtà

figurativa dotata di valore affettivo ed emozionale e,

contemporaneamente, dotata di una pluralità di significazioni. L’immagine simbolica costituisce dunque il prototipo dell’immagine che alimenta un immaginario multiforme, profondo e durevole, poiché solo la simbolizzazione permette alle immagini di abbandonare la loro relazione

(28)

piatta col reale, la loro funzione di semplice riproduzione: è questa potenza di simbolizzazione delle immagini a nutrire la potenza dell’immaginazione. Nel processo di simbolizzazione occorre tuttavia introdurre l’intermediazione del linguaggio: la simbolizzazione passa attraverso il linguaggio, dal momento che le immagini visive o sonore necessitano comunque, a un certo punto, di una traduzione verbale. La lingua, osserva Wunenburger, è complessivamente composta da segni, tuttavia i suoi segni non sono sistematicamente ridotti a dei significati semplici: le parole sono spesso caricate di significati multipli, connotazioni che inaugurano dei processi che conducono verso sensi secondi e figurati. È da questi processi che proviene la simbolizzazione: dunque la simbolizzazione passa dalla significazione iscritta nel linguaggio. La prova migliore di questa dinamica è costituita dal linguaggio più ricco in immaginazione, il linguaggio poetico: un linguaggio nel quale le parole perdono completamente la loro relazione funzionale di ancoraggio realista alle cose, dando alle cose stesse tutta una serie di connotazioni e correlazioni che creano la profondità poetica. Ecco dunque riapparire l’intervento della funzione linguistica nel processo di simbolizzazione: per quanto l’immagine conservi una potenza originaria e una potenzialità creatrice non attingibile dalla lingua, il linguaggio s’innesta necessariamente e in modalità multiformi sui procedimenti che svincolano l’immagine dalla mera duplicazione del mondo. Sollecitato da

(29)

29

Marchessault, Wunenburger tocca infine la delicata questione dell’immagine nell’universo audiovisivo contemporaneo: in che modo i media attuali partecipano al gioco dell’immagine e dell’immaginario? Il filosofo francese risponde specificando che si tratta di una domanda molto difficile, poiché pone di fronte a due analisi contrapposte. La prima consiste nel fatto che il mondo audiovisivo ci offre lo spettacolo esterno di una sovrabbondanza d’immagini fisse e soprattutto mobili (cinema, televisione, tutti gli altri schermi portatili): l’umanità, constata Wunenburger, non ha mai disposto di una quantità simile di immagini per rispecchiarsi. Da questo punto di vista, dunque, siamo in contatto permanente con immagini che allargano in qualche modo la nostra immaginazione. L’analisi concorrente, verso la quale Wunenburger propende sensibilmente, ci vede al contrario come consumatori passivi di questa sovrabbondanza d’immagini: non essendo possibile un’autentica interiorizzazione, restiamo molto spesso confinati in uno stadio di accumulazione e saturazione o ci accontentiamo di versioni molto stereotipate delle immagini - violenza e sessualità in primo luogo - e tutto ciò crea un impoverimento del registro dell’onirismo e del poetico che l’umanità ha conosciuto quando viveva in un mondo molto meno equipaggiato tecnologicamente. Di fronte a questo universo audiovisivo che ci alimenta di immagini che si rigenerano in permanenza, aggiunge Wunenburger, si verifica un fenomeno simile al feticismo e all’idolatria

(30)

tradizionali: l’assolutizzazione tuttavia non riguarda più una sola immagine, ma l’intero sistema delle immagini. L’attitudine dell’individuo contemporaneo di fronte allo schermo è a tutti gli effetti un fenomeno di idolatria e dipendenza che lo priva di libertà interiore: esso, rimarca il filosofo francese, è immerso in un sistema nel quale è portato a prendere l’immagine come fonte permanente della propria attività psichica. Il consumo attuale delle immagini è quindi fonte effettiva non tanto di idolatria di un’immagine, quanto di idolatria dello schermo. Quello contemporaneo, in definitiva, rappresenta un ambiente tecnologico artificiale che minaccia la nostra interiorità e la nostra libertà: oggi le immagini divengono degli ostacoli e fattori di inquinamento che ci impediscono di trovare il mistero dell’esistenza, la profondità della vita e la dimensione del sacro. Sorgenti illusorie di onnipotenza, gli schermi del sistema dell’immagine contemporanea ci fanno credere di avere accesso immediato allo spettacolo del mondo nella sua integralità. Il compito dell’uomo contemporaneo risiede precisamente nell’apprendimento di un nuovo utilizzo dell’immagine, implicando un’educazione e un’etica che restituiscano alle immagini la loro natura di transizione e mediazione, non di principio e fine dell’esperienza umana. Non è possibile passare la propria esistenza di fronte a delle immagini, conclude Wunenburger, occorre invece che l’immagine sia un luogo di passaggio in vista di qualcos’altro: una vita spirituale, una vita interiore, un’esperienza del

(31)

31

mondo e una relazione con l’altro.

I.2. DALLA CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA ALL’ESIGENZA METODOLOGICA

Chiarite ulteriormente le premesse teoriche della riflessione di Wunenburger, approfonditi i rapporti tra simbolizzazione e linguaggio e osservata la posizione critica del filosofo francese rispetto all’idolatria contemporanea del sistema delle immagini, conviene tornare alla trattazione sviluppata in Filosofia delle immagini per seguire un percorso che, dopo una disamina prettamente tipologica, condurrà alla cruciale questione dei metodi impiegati per rapportarsi alle immagini in chiave specificamente filosofica.

Nella terza sezione della prima parte del suo studio, intitolata “La famiglia delle immagini”43

, Wunenburger prende in considerazione le due grandi famiglie delle immagini dal punto di vista della loro forma di rappresentazione:

“Le immagini si dividono, infatti, in due grandi famiglie: una mentale o psichica, che non dà luogo a oggettivazioni indipendenti dal soggetto; l’altra materiale, la cui forma rappresentativa è44

43 Filosofia delle immagini, op. cit., p.38.

44Sul rapporto tra l’immagine, la triade temporale e la memoria, il riferimento obbligato è allo studio di

Paul Ricœur Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato (Das Rätsel der

Vergangenheit. Erinnern - Vergessen - Verzeihen, Göttingen, Wallstein, 1998), tr. it. di Nicoletta

(32)

ancorata a un supporto esterno, che rende possibili esperienze condivise di ricezione”45.

Stante la maggiore propensione delle immagini mentali a una differenziazione filosofica più sottile e particolareggiata, Wunenburger elabora una distinzione basata sul rapporto delle rappresentazioni con la triade temporale presente-passato-futuro (immagine percettiva, immagine mnesica e immagine anticipatrice)46 e con il loro grado di coscienza dipendente dalle attività psichiche di veglia e sonno (immagine inconscia, immagine verbale e immagine primordiale), riservando infine all’immagine materiale una trattazione più sintetica e panoramica, attraverso una ripartizione in quattro grandi categorie parzialmente intersecate e sovrapponibili (natura del supporto, forma della rappresentazione, tecnica di produzione e modi di riproduzione).

Se la tassonomia tipologica possiede un’indubbia ma variabile finezza interpretativa e accenti più o meno partecipativi47, resta il fatto che, come

45Si percepisce con sufficiente chiarezza l’idiosincrasia del filosofo francese nei confronti della

tradizione che ha ridotto l’immagine verbale a un repertorio di figure retoriche basate sull’idea di uno scarto rispetto a un presunto “grado zero” del linguaggio; ed è ancor più chiara la sua inclinazione a scorgere nelle immagini primordiali una categoria effettivamente suscettibile di generare un

immaginario vivo e creativo: “Siamo allora in presenza di una categoria particolare, quella delle semi-immagini, o piuttosto immagini potenziali, che sono comunque portatrici dell’informazione in grado di produrre le immagini tout court” (Filosofia delle immagini, op. cit., p.62).

46Cfr. I.1.

47Filosofia delle immagini, op. cit., p69.Si percepisce con sufficiente chiarezza l’idiosincrasia del

filosofo francese nei confronti della tradizione che ha ridotto l’immagine verbale a un repertorio di figure retoriche basate sull’idea di uno scarto rispetto a un presunto “grado zero” del linguaggio; ed è ancor più chiara la sua inclinazione a scorgere nelle immagini primordiali una categoria effettivamente suscettibile di generare un immaginario vivo e creativo: “Siamo allora in presenza di

(33)

33

avveniva con la definizione preliminare dell’immagine successivamente smantellata48, l’intera sezione dimostra ancora una volta l’irriducibile pluralità della costellazione iconica e l’improduttività di una riflessione che si fermi allo stadio descrittivo, sovrapponendo le varie forme in gioco. Il problema è insomma rappresentato dalla pertinenza delle chiavi di lettura e valutazione da applicare a forme tanto disomogenee quali l’immagine mnesica, l’immagine verbale, il trompe-l'œil e via dicendo. Al termine di questa rassegna tipologica, ciò che si impone è dunque l’esigenza di prendere le distanze da approcci empirici e fondati su una concezione impressionistica dell’immagine. Così Wunenburger:

“Non è dunque auspicabile né legittimo continuare a disquisire su una nozione generica di immagine che unisce indiscriminatamente forme tanto eterogenee come un ricordo e un quadro: col rischio di scambiare la parte per il tutto, un esponente per una categoria, ipotizzando come naturale un’unità che è invece del tutto artificiale”49

.

Si fa dunque sempre più incalzante la necessità di superare l’eterogeneità

una categoria particolare, quella delle semi-immagini, o piuttosto immagini potenziali, che sono comunque portatrici dell’informazione in grado di produrre le immagini tout court” (Filosofia delle

immagini, op. cit., p.62). 48 Cfr. I.1. pp. 6-7

49

(34)

empirica messa in luce dalla descrizione tipologica e postulare, al di là della mera logica classificatoria, un pensiero metodologicamente avvertito che sappia restituire alla nozione di immagine l’unità categoriale indispensabile alla meditazione filosofica. La pertinenza del sapere attivato dalla natura dell’oggetto studiato - e inerente all’oggetto stesso - risulta pertanto determinante nel presupporre l’unità concettuale della riflessione filosofica. Ed è proprio in chiusura del primo capitolo del suo studio che Wunenburger, con un’ improvvisa accelerazione e riallacciandosi idealmente alle conclusioni teoriche derivanti dalla riformulazione della definizione preliminare 50, riafferma l’unità filosofica dell’immagine nel nesso specifico che essa crea tra i domini apparentemente inconciliabili del sensibile e dell’intelligibile:

Filosoficamente, l’immagine trova dunque, contro ogni possibile aspettativa, la propria unità in uno specifico modellamento del legame tra il sensibile e il senso, una particolarità che, paradossalmente, consente di meglio comprendere la natura e lo statuto di due entità che ad ogni ipotesi di legame sarebbero refrattarie, vale a dire il sensibile immediato, in quanto modalità di presenza dell’essere, e l’intelligibile, in quanto contenuto di un

50

(35)

35

pensiero speculativo puro”51.

I.2.1 ORIENTAMENTI ESPISTEMOLOGICI E METODOLOGICI

“Ogni tipologia richiama, infatti, una metodologia”52

: è questo, in versione quintessenziale, il passaggio logico che ha occupato per esteso la seconda parte del primo capitolo di Filosofia delle immagini. Occorrevano più di trenta pagine di distinzioni tipologiche e accurate differenziazioni per dare corpo teorico e consistenza filosofica a un passaggio che, se sprovvisto di un’esposizione dettagliata, avrebbe finito per apparire come un dogma indimostrato. Provata dunque con dovizia di particolari l’improduttività della sola descrizione tipologica, la questione metodologica sottesa alla riflessione sull’immagine si impone, adesso, improrogabilmente e ineludibilmente:

“Poco sollecitata nel passato, oggi una metodologia appare quanto mai indispensabile, al punto che la sua elaborazione costituisce un obiettivo ancor più essenziale della stessa descrizione e classificazione. Una filosofia dell’immagine può dunque trovare nell’assunto metodologico un veicolo privilegiato

51

Ibidem.

(36)

per sperimentare il proprio spessore speculativo”53 .

Prima di prendere direttamente in considerazione gli orientamenti più specificamente filosofici, Wunenburger si sofferma tuttavia sulle due grandi correnti di pensiero che si sono contrapposte “nel recente cammino evolutivo dell’interpretazione delle immagini”54

.Si tratta delle due linee interpretative del pensiero positivistico-scientifico e della riflessione filosofico-speculativa: più che costituire vere e proprie adozioni di metodo, esse rappresentano presupposti epistemologici “che orientano diversamente la comprensione generale delle immagini”55

.

Ribadita la necessità della definizione di un metodo come requisito

fondamentale per l’interpretazione delle immagini 56

, il filosofo francese individua una catena di presupposizioni che, risalendo dalla scienza al metodo e dal metodo al pensiero soggiacente, assegna alla filosofia un’implicita preminenza teorica:

“Ma se non c’è scienza senza metodo, il metodo presuppone a sua volta una filosofia implicita, e dunque una qualche interpretazione del suo oggetto. (…) Pensare le immagini implica l’opzione a

53 Ibidem.

54 “Ormai la definizione di un metodo di approccio è la condizione preliminare per qualsiasi riflessione

sulle immagini, dal momento che il valore di un discorso normativo o assiologico sulle rappresentazioni dipende dalla qualità del sapere che vi si dispiega”, ivi, p.75.

55 Ivi, pp.75-76. 56 Ivi, p.76.

(37)

37

favore di un metodo, ma l’adozione di un metodo implica a sua volta la preesistenza di un pensiero in materia d’immagine. (…) La filosofia occupa, in questo senso, sempre il primo posto, in quanto preorientamento del pensiero, e anche per l’obbligo, particolarmente sentito dal filosofo, di verificare con precisione le

precondizioni concettuali connaturate ad ogni metodo

d’indagine”57 .

Se la filosofia riveste in ogni caso un ruolo immancabilmente prioritario, la differenziazione degli orientamenti epistemologici ha creato una dicotomia effettiva tra una prospettiva più o meno marcatamente scientifica, volta quindi a uno studio dell’immagine oggettivamente improntato, e una traiettoria più speculativa, tesa, al contrario, a misurarsi con la rappresentazione per immagini subordinando i dati di fatto al punto di vista del soggetto che li interpreta. Più ampiamente, questa dicotomia riflette l’opposizione tra le differenti finalità delle scienze umane e della filosofia, le prime essendo vincolate all’imperativo della spiegazione, la seconda risultando invece consacrata alla ricerca della comprensione. Spingendoci ancora più in profondità, osserva Wunenburger, questa divaricazione epistemologica evidenzia una discordanza radicale che investe in pieno la natura stessa delle immagini:

(38)

“Ma, più in profondità, la scelta tra i due tipi di metodo riflette un’opzione ancora più radicale tra due interpretazioni della natura stessa delle immagini: come infatti la metodologia positivista discende in genere da un’assimilazione delle immagini alla categoria dei segni, così una metodologia più filosofica tende ad ancorare l’immagine a una dimensione più specificamente simbolica”58

Dal punto di vista epistemologico, si configura dunque una concorrenza tra scienze positive e sapere filosofico che riposa sulla diversa natura attribuita all’immagine: segno per le prime, simbolo per il secondo. Al di là del nominalismo medievale successivamente culminato nella logica di Port-Royal (XVII secolo), la disciplina che rappresenta più compiutamente la concezione segnica dell’immagine è senza dubbio la semiologia, fondata dal linguista ginevrino Ferdinand de Saussure (1857-1913) e parallelamente declinata in semiotica dal logico statunitense Charles Sanders Peirce (1839-1914). Pur sviluppando sistemi analitici parzialmente distinti,59 la semiologia, prefigurata da de Saussure come

58

Ivi, p.76.

59 Basato sulla coppia significante-significato, la cui unione prevalentemente convenzionale costituisce

la funzione segnica o - più semplicemente - il segno, il sistema di analisi elaborato da Ferdinand de Saussure si articola secondo una logica eminentemente binaria (significante/significato, denotazione/connotazione; langue/parole), mentre il metodo analitico messo a punto da Charles Sanders Peirce si dispiega secondo una logica prettamente ternaria (icona/indice/simbolo;

(39)

39

scienza generale dei segni, e la semiotica, intesa da Peirce come dottrina formale dei segni, hanno interessato in primo luogo lo studio dei fenomeni linguistici, gettando contemporaneamente le basi di una piattaforma concettuale che “fa da retroterra comune ad ogni studio delle immagini”60.

Nell’ottica squisitamente filosofica di Wunenburger, l’orientamento semiologico, fortemente intenzionato a ricondurre ogni fatto comunicativo allo statuto del segno, costituisce ovviamente una forzatura totalizzante. Ed è altrettanto ovvio che sia la categoria del simbolico a costituire il territorio dell’immagine che il filosofo francese si premura di difendere tenacemente dall’espansionismo semiotico:

“Il problema vero, ora, è sapere se il dispositivo semiotico (…) consente di esaurire il campo delle immagini e di dar conto della loro natura profonda. Pare che determinate immagini, come quelle simboliche, si distinguano programmaticamente dalla definizione formalista dei segni per la loro capacità di sviluppare strati molteplici di significati e dunque di sviluppare nel soggetto un sapere allargato”61 . somiglianza/concomitanza/arbitrarietà; segno/interpretante/oggetto). 60 Ivi, p.77. 61 Ivi, p.78.

(40)

Nelle due prospettive epistemologiche, aggiunge Wunenburger, “l’interpretazione del termine, profondamente equivoco, di «simbolico» costituisce proprio uno dei punti di divergenza, di biforcazione”62

. Concepito dalle discipline di tipo logico-linguistico come un processo di sostituzione di una cosa assente con una rappresentazione compensativa, il simbolico della semiologia presenta tuttavia un duplice inconveniente:

da una parte tende ad “appiattire preliminarmente il simbolo sul segno”63

e dall’altra produce, come effetto secondario, “lo slittamento della rappresentazione verso la categoria dei concetti astratti”64

.

Stante questa duplice forzatura, la conclusione del filosofo francese non può che essere quella di una forte diffidenza nei confronti dell’assimilazione del simbolico al semiotico:

“Possiamo dunque nutrire un fondato timore di fronte all’estensione della categoria del simbolico all’insieme dei fatti inerenti al linguaggio e alla concettualizzazione: il timore che in questo modo gli venga sottratta gran parte della sua pertinenza, volta a sondare in misura specifica l’area composita delle immagini”65 . 62 Ibidem. 63 Ivi, p.79. 64 Ibidem. 65 Ivi, p.80.

(41)

41

“A differenza dell’epistemologia semiotica, che concepisce le immagini come un linguaggio analizzandole conseguentemente secondo un modello linguistico, nella prospettiva concorrente, “di ispirazione più metafisica e religiosa”66

, la nozione di simbolico concerne soltanto un insieme circoscritto di immagini che si differenziano tanto dai segni linguistici quanto dai concetti astratti in virtù di una combinazione nascosta dei loro significati interni.67 In altri termini, il simbolico di questa seconda prospettiva epistemologica designa esclusivamente quelle immagini enigmatiche o misteriose che sfidano il soggetto a identificare e decifrare i loro significati più o meno reconditi in base a codici specifici o determinati protocolli di lettura. Naturalmente Wunenburger non nasconde l’insidia celata in tale concezione del simbolico, vale a dire l’abuso di letture tese a snidare sensi enigmatici e occulti in ogni rappresentazione visiva; ciononostante, osserva il filosofo francese, “questa segnalazione di figure cifrate consente comunque di accedere a una dimensione del simbolico ben più suggestiva e feconda di quella dischiusa dalla semiotica”68

.

La dicotomia tra la nozione semiotica del simbolico e quella di ispirazione metafisico-religiosa vede dunque Wunenburger schierarsi nettamente a favore di quest’ultima, dal momento che le immagini simboliche non si

66 Ibidem. 67

Wunenburger la definisce una “concatenazione occulta dei loro significati intrinseci”, ibidem.

(42)

lasciano assorbire ed esaurire dalla funzione segnica:

“(…) il segno non basta a dar conto di tutte le immagini, soprattutto delle più ricche, delle più pregnanti, quelle che comportano nel loro sistema di rappresentazione una sorta di visceralità, di profondità di senso, irriducibile a qualsiasi formalizzazione”69

.

Nell’immagine simbolica, insomma, si trova qualcosa di più del solo segno inteso come rappresentazione sostitutiva di una cosa assente 70. E questa eccedenza semantica, estranea alla semplice funzione segnica o alla dimensione lineare del messaggio denotativo, esige l’abbandono della prospettiva esclusivamente semiologica in favore di una metodologia filosofica suscettibile di integrare la dimensione semiotica in un’ottica più ampia e duttile, dal momento che “la comprensione filosofica dominante in tema di immagini (…) risulta complessivamente caratterizzata da orientamenti irriducibili all’epistemologia semiotica”71

.

È in questo frangente che Wunenburger fa riferimento all’ermeneutica, orientamento che sarà trattato nei paragrafi successivi e che fornirà lo spunto metodologico all’analisi filmica sviluppata nel secondo capitolo

69 Ibidem.

70 Si tratta della definizione del segno come aliquid stat pro aliquo (“qualcosa sta per qualcos’altro”)

formulata da Sant’Agostino (354-430) e successivamente adottata dalla scolastica, come ricorda Wunenburger a p.77.

(43)

43

del presente lavoro:

“All’opposto, il procedimento ermeneutico - in Ricœur, ad esempio - si preoccupa di individuare una complementarietà tra il piano semiotico, che fa da fondamento all’espressione delle immagini, e un piano propriamente ermeneutico, che tende a penetrare il senso di un’immagine al di là della significazione immanente al linguaggio”72

.

(44)

I.2.2 IL TRASCENDENTALISMO DELL’IMMAGINE TRA IMMAGINAZIONE SCHEMATIZZANTE E

IMMAGINAZIONE CREATRICE

Ridimensionata la potenza euristica della semiologia e rilevatane l’insufficienza nel dare adeguatamente conto del simbolico, Wunenburger segnala quindi la presenza di tre approcci squisitamente filosofici che hanno segnato la riflessione sull’immagine, spalancando nuovi orizzonti allo studio e all’interpretazione della rappresentazione iconica:

“Tre orientamenti, in particolare, hanno conosciuto notevole fortuna nella filosofia contemporanea e hanno aperto, col loro specifico contributo allo studio delle immagini, nuove prospettive per l’intero discorso speculativo: l’antropologia della conoscenza simbolica alla luce della filosofia trascendentale, l’ermeneutica e la fenomenologia, gli enunciati della quale hanno tra l’altro influenzato, e non poco, numerose ricerche relative alle scienze umane”73

.

Questi tre approcci prettamente filosofici si sono distinti in particolare per aver strappato l’immagine allo statuto di rappresentazione derivata e secondaria che aveva dominato la riflessione tradizionale: fino al loro

(45)

45

avvento l’immagine era difatti considerata come un’entità pensabile e interpretabile solo alla luce dei due ambiti concomitanti della percezione sensibile, intesa come fonte di stimolo sensoriale, e della concettualizzazione astratta, concepita quale attività di organizzazione intellettuale dei contenuti visivi. Ciò che i tre orientamenti apportano allo studio filosofico consiste essenzialmente nella promozione di un’idea autonoma e dinamica dell’immagine, affrancandola dalla sudditanza ai domini della sensorialità concreta e dell’astrazione concettuale:

“ mutamento epistemologico interverrà quando l’immagine sarà promossa al rango di entità rappresentativa autonoma e primaria, e le verrà conferita, in gradi diversi, una funzione dinamizzante o generatrice sia per le rappresentazioni sensibili sia per le rappresentazioni intelligibili”.74

Dal punto di vista storico, Wunenburger individua questa cesura filosofica, più volte prefigurata nel Rinascimento dalle concezioni sull’immaginazione creatrice, nella teoria trascendentale di Kant, “che assegna all’immagine uno statuto trascendentale situandola nel cuore delle operazioni intellettuali”.75

Si tratta di un momento decisivo nella storia del

74

Ibidem.

75

(46)

pensiero filosofico, poiché l’immagine, solitamente relegata in uno spazio costretto tra la derivazione sensoriale e l’ipoteca concettuale, si ritaglia gradualmente un ruolo di primo piano in virtù della sua partecipazione diretta all’attività percettiva e intellettiva. Affinché l’immagine si svincoli dalla funzione ancillare tradizionalmente assegnatale, è tuttavia necessario che essa faccia riferimento a un’istanza indipendente e suscettibile di costituire un immaginario specifico, vale a dire un’immaginazione trascendentale:

“È questo l’apporto delle teorie filosofiche dello spirito, che postulano un’attività a priori di immagini simboliche. Tale funzione simbolica, che fa da sfondo alla maggior parte delle teorie dell’immaginazione presso i romantici, soprattutto tedeschi, trova il suo primo fondamento concettuale nell’opera di Kant76”.

La questione affrontata da Kant - e successivamente sviluppata dal postkantismo - risiede insomma nell’individuazione di un’immaginazione creatrice capace di intervenire direttamente nelle attività rappresentative dello spirito. Benché l’analisi kantiana di Wunenburger si spinga a fondo nei meccanismi della conoscenza, allontanandoci parzialmente dalla finalità di questo lavoro, corre tuttavia l’obbligo di evidenziare le due

Riferimenti

Documenti correlati

This was all the more important because, while student bodies sought to assist the gay rights campaign, some college authorities were not as disposed to officially

Sulla base dei risultati ottenuti attraverso la calibrazione della rete, sono state selezionate le imprese con significative esposizioni verso le proprie controparti,

L'evoluzione del protagonista maschile consiste nell'attenuazione della componente ribelle della propria personalità, a favore di un abbandono totale nelle mani di Dio; anche

for  the  quality  evaluation  and  control  of  bud‐extracts  and  natural  medicines.  The  results  of  this  294. research  show  that  t he  assessment 

Darwin a proposé la version canonique de cet englobement de la culture par la nature dans La Descendance de l’homme (1871) lorsqu’il a voulu étendre aux sociétés humaines la

Ochman (2018) aveva come scopo quello di esaminare gli effetti del Nordic Walking sulla funzione polmonare e la capacità di esercizio, sulla sensazione di dispnea e sulla

After the adsorption run I (primary isotherm, Fig.S1 black line), samples were outgassed overnight (at 298 K), and then an adsorption run II (secondary

In the case of the co-intercalated hybrids, the dispersion in the two polymer matrices evidenced a blue shifted emission (20-25 nm) with respect to the corresponding