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FIGURE ANTITETICHE DI RECLUSIONE: HUNGER (2008) DI STEVE MCQUEEN E THE WRESTLER (2008) DI DARREN

II.1. HUNGER: SCOMPOSIZIONE IN SEQUENZE

II.1.2. IL CORPO COME VEICOLO DI CONFLITTO

Uno dei temi cruciali e dichiarati di Hunger consiste inequivocabilmente nella rappresentazione del corpo come veicolo di conflitto: cruciale poiché l’intero film ruota intorno all’impiego della fisicità quale strumento di prevaricazione e resistenza - dai maltrattamenti degli agenti di custodia allo sciopero della fame di Bobby, passando per l’uso degli orifizi come ricettacoli per i messaggi e per l’utilizzo degli escrementi come segni di insubordinazione - e dichiarato perché lo stesso regista, nel maggio del 2008, lo ha asserito in modo netto. Nel Pressbook ufficiale del film, alla voce “Dichiarazione del regista”, troviamo difatti un’affermazione di Mcqueen che sottolinea la contemporaneità del legame tra l’aspetto corporeo e quello politico:

“Per me Hunger ha una risonanza contemporanea. Il corpo come luogo di lotta politica sta diventando un fenomeno sempre più famigliare. È l’atto estremo della disperazione: il corpo è l’ultima risorsa di cui si dispone per protestare. Si usa quello di cui si dispone, a torto o a ragione”123.

Ma se la centralità occupata dal corpo in Hunger costituisce un dato di fatto palese e incontrovertibile, occorre tuttavia chiedersi se il suo

significato sia altrettanto assodato e univoco. Riconosciuta piena legittimità a interpretazioni svincolate dal significato letterale del testo, sorprende difatti la lettura data da Alberto Pezzotta al discorso sul corpo svolto dalla pellicola di McQueen. Sulle pagine di «Cineforum» dedicate ai film presentati nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes del 2008, Pezzotta scrive:

“Nella “labirinto” i detenuti, cui è negato lo status di prigionieri politici, per protesta non si lavano, non si radono, usano i propri escrementi per inondare i corridoi o coprire le pareti. Si ribellano con le armi che hanno a disposizione - feci, urina - e in ciò fanno arte. Se l’arte è una forma di resistenza, non è mai stata descritta così bene. Bobby Sands, morendo di fame, diventa un agnello sacrificale, sicuramente, ma anche un performer, un body artist. La lettura non vuole essere cinica o accusare di cinismo McQueen: il punto, che il regista affronta con impassibile lucidità, è constatare fin dove possa arrivare la libertà nell’uso del proprio corpo”124

.

La lettura estetica di Pezzotta, che assegna indirettamente all’interprete di Bobby Sands (Michael Fassbender) il ruolo di alter ego di Steve McQueen

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(videoartista e cineasta perfettamente consapevole delle potenzialità espressive dell’arte contemporanea), si discosta nettamente da quella fornita dal più volte citato De Grandis, che invece riconduce drasticamente l’intera riflessione sul corpo sviluppata da McQueen alla dimensione della protesta e della condanna politica:

“Il corpo è tutto. Nel cinema di Steve McQueen subisce una diretta, radicale e spietata indagine, una perlustrazione estrema, dove assume simbologie cangianti, bisogni incontrollabili, desideri e persecuzioni. Esibito, violentato, corrotto il corpo diventa manifesto politico, forma di ribellione, esuberanza sessuale, luogo di martirio. Hunger, Shame (maldestramente ribaltati, in ordine temporale, dalla sempre più imperdonabile distribuzione italiana)125 sono specchi opposti della stessa reliquia, che inevitabilmente si attraggono. […] Il corpo, che è sempre quello schietto di Michael Fassbender, attore feticcio del regista-artista multimediale britannico, s’imprigiona nel rifiuto del cibo (oltre che nella cella di un carcere) (…). Il corpo resta al centro di tutto. Nelle sue espressioni estreme di protesta: escrementi, urina, tutto ciò che lo riguarda diventa gesto di

125 Pur presentato nel 2008 al Festival di Cannes e uscito nelle sale internazionali nello stesso anno o nel

2009, Hunger è stato distribuito in Italia solo a fine aprile 2012 dalla BIM, grazie al successo riscosso dal film successivo di Steve McQueen, Shame (2011), interpretato dallo stesso Micheal Fassbender (vincitore della Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile al Festival di Venezia del 2011).

ribellione, urlo di condanna”126 .

L’innegabile centralità del corpo si presta dunque a letture distinte: corpo estetico o corpo politico? La questione si complica ulteriormente quando l’ambiguità si ripercuote sul giudizio complessivo del film, ossia quando, da ipotesi interpretativa, essa si tramuta in tesi valutativa. È ciò che succede, sempre sulle pagine di «Segnocinema», nell’articolo dedicato da Umberto Rossi alle pellicole del 61° Festival di Cannes presentate nella sezione Un Certain Regard - la più importante tra quelle collaterali alla manifestazione principale. Se tra Pezzotta e De Grandis la divergenza riguarda soltanto il significato da attribuire alla centralità del corpo, per Rossi questa centralità costituisce al contrario un deficit di senso: una massa ingombrante che occupa la quasi totalità del testo, ostacolando un’autentica analisi politica diretta e inficiando l’incisività complessiva del film. Rammaricandosi per l’eccesso di documentarismo e per la deficitaria analisi politica di Hunger, Rossi scrive:

“La prima parte del film non si discosta da un qualsiasi racconto carcerario, con tanto di guardiani, aguzzini, pestaggi e soprusi vari. La seconda segue, quasi un documentario medico, la lenta agonia del rivoluzionario, mostrandocene in dettaglio le

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sofferenze. Le maggiori perplessità riguardano la scelta del regista di cancellare qualsiasi analisi politica diretta, affidando ogni spiegazione a un lungo, statico confronto fra il detenuto e un prete, dialogo in cui sono dibattuti temi che meriterebbero ben più ampia attenzione quali la scelta fra violenza e trattativa, suicidio e fede. In poche parole un film serio, ma non del tutto convincente”127

Sarebbe troppo semplice liquidare sbrigativamente le tre posizioni come naturali e inevitabili divergenze d’opinione: osservate sullo sfondo del film, queste angolazioni critiche mettono invece in luce un aspetto determinante nel trattamento del corpo di Hunger, vale a dire la sua funzione di veicolo e non di territorio di conflitto. In Hunger il corpo è rappresentato sì come risorsa conflittuale (Mc Queen: “il corpo è l’ultima risorsa di cui si dispone per protestare”), ma è prevalentemente impiegato come mezzo di comunicazione (il passaggio dei messaggi nel parlatorio)128 o usato in quanto strumento per raggiungere un fine che risiede altrove (ancora McQueen: “Si usa quello di cui si dispone, a torto o a ragione”). Detto altrimenti, il corpo è strumentale alle ragioni della lotta, messo al servizio della causa politica (De Grandis: “il corpo diventa manifesto politico”).

127 Umberto Rossi, Cannes 2008: Un Certain Regard, «Segnocinema», n.152, Luglio-Agosto 2008, pp.

60-61.

128 La funzione comunicativa del corpo, inteso come operatore di scambio tra l’esterno e l’interno, si

attesta nella scena del colloquio in parlatorio contenuta nella sequenza intitolata Gillen e la vita nel

In definitiva, la dimensione corporea raffigurata da Hunger possiede la funzione di canale concreto per lo scambio di messaggi particolari e per la comunicazione di un messaggio che lo trascende: l’ideale, o meglio l’idea,

che guida la decisione di Bobby Sands.129 In Hunger il corpo non parla da

solo e non detta alcuna regola inderogabile: freddo, percosse e privazioni non intaccano minimamente la determinazione della protesta. L’efficacia conflittuale del corpo, insomma, non dipende dalla salute fisica dei detenuti né dalla loro vitalità, ma dipende esclusivamente dal progetto ideale in cui s’iscrive. È l’idea a farsi corpo in Hunger, un’idea che ha la stessa chiarezza dimostrativa di un discorso verbale: è per questo motivo che il lungo dialogo tra Bobby e il sacerdote non intacca l’omogeneità estetica del film.130

Ed è precisamente la mancata intuizione di questa correlazione espressiva tra messaggio e corpo che ha impedito ad Adriano Rossi di apprezzare la compattezza strutturale della pellicola. Corpo non come luogo di conflitto né come terreno di conflitto, dunque, ma come veicolo di conflitto e strumento di comunicazione. Idea che si fa corpo, parola che diventa

129 Nella sequenza denominata Visita del sacerdote, Bobby pronuncia queste parole: “Il messaggio è

chiaro, noi siamo determinati”. E ancora: “Io ho la mia idea e nella sua semplicità c’è tutta la sua forza”.

130 Si noti inoltre che l’intera sequenza è raffigurata come una partita a scacchi: seduti uno di fronte

all’altro, i personaggi sono inquadrati di profilo col tavolo-scacchiera che li separa. L’oggetto incaricato di concretizzare la sfida è rappresentato dal pacchetto di sigarette portato del sacerdote: inizialmente si trova esattamente al centro del tavolo, ma al termine della sequenza passerà nelle mani di Bobby. Alla fine del lungo dialogo il sacerdote tenta di riprendere le sigarette, ma Bobby lo invita a lasciarle sul tavolo (“Può lasciarle lì se vuole, non vorrà che mi rolli le lettere di San Giovanni”): Sands ha dato scacco al rivale e questi, con la mano sinistra, colpisce di taglio il pacchetto facendolo scivolare sul tavolo. Il gesto si carica dunque di forti connotazioni simboliche, oggettivando metaforicamente la resa del sacerdote.

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carne.