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THE WRESTLER: SCOMPOSIZIONE IN SEQUENZE

II.2.1. LO SPAZIO DEL RING COME LUOGO SIMBOLICO

La scomposizione in sequenze appena effettuata evidenzia, soprattutto se confrontata con quella di Hunger, due aspetti particolarmente rilevanti. Il primo, di ordine compositivo, riguarda l’articolazione del film in un cospicuo numero di scene giustapposte: si tratta di una marcata frammentazione del dettato narrativo che - pur non intaccando la coesione del racconto - moltiplica le situazioni, i luoghi e le peripezie rappresentate sullo schermo. Paragonato alla compattezza strutturale di Hunger, l’andamento paratattico di The Wrestler conferisce al film un ritmo episodico che da una parte enfatizza l’incalzante succedersi degli avvenimenti e dall’altra espande il raggio narrativo della rappresentazione, creando l’impressione di una dilatazione dell’arco temporale coperto dalla pellicola.

Il secondo aspetto, di carattere estetico, concerne la plateale prossimità della cinepresa al corpo di Randy: una profonda solidarietà tra sguardo della macchina da presa e soggetto inquadrato che - pur non impedendo parziali dissociazioni visive - fa dell’una la propaggine, o meglio la protesi, dell’altro. Raffrontata alla compostezza stilistica del film di McQueen (culminante nel lungo dialogo a camera fissa col sacerdote), l’aderenza della cinepresa al corpo attoriale di Mickey Rourke da una parte assicura al film la sua coesione estetica, scongiurando l’effetto potenzialmente dispersivo dell’andatura episodica, e dall’altra valorizza i

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rari momenti di scissione tra le due istanze, connotando in chiave commentativa i frangenti in cui la camera prende provvisoriamente le distanze da Randy.

Il punto di confluenza tra questi due aspetti è costituito dalla dimensione del ring, una dimensione sempre uguale a se stessa nonostante le varie dislocazioni geografiche: i numerosi spostamenti nei piccoli centri del New Jersey o in quello più grande del Delaware (Wilmington) non modificano la configurazione spaziale del quadrato, sostanzialmente identica (quattro lati tra i quattro e i sei metri di lunghezza, tre corde a delimitarne il perimetro) e costruita secondo regole stabilite dalla varie federazioni di wrestling. Ed è proprio in virtù di questa regolarità spaziale, una regolarità che garantisce l’omologazione e la conformità degli incontri, che il ring assume un valore palesemente simbolico: non è soltanto il luogo dove i wrestler combattono, ma diviene con ogni evidenza l’habitat ideale di Randy, l’ambiente nel quale e grazie al quale egli ha forgiato e mantiene in vita la propria identità.

Un luogo simbolico che, ufficializzato dalla convenzionale assunzione del nome d’arte (Randy “The Ram” Robinson sostituisce nominalmente e simbolicamente Robin Ramzinski), riveste un ruolo di primaria e insostituibile importanza. In altri termini, il ring è il luogo nel quale Randy si riconosce come soggetto a pieno titolo, un soggetto attivo, perfettamente integrato nella comunità e circondato dall’affetto della folla:

è solo nel quadrato che egli può sentirsi “un vero americano, l’eroe di tutti noi, come pronuncia enfaticamente lo speaker che lo introduce per la prima volta durante i titoli di testa”142

. Si tratta di una connotazione identitaria così evidente che la critica non ha potuto fare a meno di sottolinearla.

Sulle pagine di «Cineforum», difatti, Jonny Costantino scrive:

“Soltanto sul quadrato Randy è nel suo elemento, soltanto nei panni di “The Ram” (l’Ariete) non è solo, come lo è rimasto nella vita quotidiana, dov’è alla mercè della luce del giorno, una luce che, impietosa, fa svaporare la corazza e rivela quel che rimane del lottatore in tutta la sua vulnerabilità: il vecchio pezzo di carne maciullato, l’animale in gabbia con grembiule, targhetta e cuffia trasparente (…)”143

.

Il ring, dunque, non è più un semplice luogo di competizione spettacolare e scontro fisico, ma diviene a tutti gli effetti uno spazio di composizione identitaria e riscontro simbolico: per Randy l’uscita dallo spazio del quadrato - e a maggior ragione la rinuncia alla possibilità di occuparlo di nuovo - equivale in tutto e per tutto a una perdita dell’identità e allo smarrimento della sua funzione comunitaria. Il rapporto tra mondo reale e

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Cfr. Prologo.

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microcosmo agonistico si è completamente invertito: il fuori non è altro che una gigantesca gabbia che imprigiona e spersonalizza, mentre lo spazio chiuso “al quadrato” del ring (un’area circoscritta all’interno di un altro spazio chiuso) si tramuta in arena liberatoria e banco di prova di un’identità che ha bisogno dell’esibizione di violenza e del riconoscimento pubblico per mantenersi in vita, al di là degli acciacchi fisici e della fragilità cardiaca.

“La difficoltà vissuta da Randy nel convivere con l’identità esterna ed estranea al quadrato rappresenta uno dei motivi principali di The Wrestler, quarto lungometraggio di Darren Aronofsky”144, ed è stata puntualmente rilevata da Mauro Caron che, su «Segnocinema», evidenziando i momenti più raffinati della pellicola, osserva:

“(…) The Wrestler vanta anche notevoli finezze, come negli episodi di Randy al supermercato, dove (sterilizzato il suo corpo di “carne maciullata” con grembiule, cuffia e guanti di plastica, e de-bestializzata la sua natura grazie al cartellino identificativo che deve appuntarsi sul petto e che lo trasforma da ram, ariete, in robin, pettirosso) deve negare la propria identità e reinventarsi un modo di comunicare attraverso la simpatia e la parola, anziché

144 Classe 1969, il regista e sceneggiatore newyorkese ha esordito nel 1998 col film presentato al

Sundance Film Festival π - Il teorema del delirio (π), in seguito al quale ha diretto Requiem for a

Dream (2000), presentato fuori concorso al 53º Festival di Cannes, e The Fountain - L’albero della vita (The Fountain, 2006), presentato in concorso alla 63ª Mostra internazionale d’arte

l’esibizione della violenza brutale (…)”145 .

“Il quadrato del ring si svincola così dalla mera dimensione spaziale, caricandosi di connotazioni identitarie strettamente correlate alle valenze politiche che permeano l’intero film. Impossibile difatti, in virtù della consistente ed esplicita segnaletica che punteggia la pellicola”146

, non associare questa identità nutrita di violenza e spettacolare sopraffazione del rivale (si noti che gli avversari di Randy si presentano tutti come “diversi e cattivi”: un punk anarcoide, un freak straccione e un iraniano sbruffone) all’aggressività e alla forza militare ostentata dagli Stati Uniti negli anni ’80 e ’90, sotto la presidenza repubblicana di Ronald Reagan prima (1981-1989) e di George H. W. Bush poi (1989-1993). Ancora Caron:

“(…) Randy, una volta annusato di nuovo la puzza degli spogliatoi, il gusto della violenza, il sapore breve del sesso, cede a tutta la propria inadeguatezza; al mondo del reale, del femminile e

145 Mauro Caron, The Wrestler, «Segnocinema», n.157, Maggio-Giugno 2009, p. 37. 146

Non mette conto elencare nel dettaglio il repertorio di segnali politici disseminati lungo tutto il film: basti ricordare che, fin dai titoli di testa, Randy è presentato come “un vero americano, l’eroe di tutti noi”, che una bandiera a stelle e strisce tappezza la parete interna del suo furgone e un’altra è appesa alla testa del letto nella sua casa mobile, la convention “Le leggende firmano autografi” si svolge nella sede dell’American Legion (organizzazione di veterani delle forze militari statunitensi che hanno prestato servizio in tempo di guerra) e che, infine, l’ingresso nell’arena dell’ultimo combattimento è accompagnato dall’inno della folla inneggia “USA! USA! USA!”. Si noti, inoltre, la descrizione di Call of Duty 4 fatta dal piccolo Adam: “È un gioco di guerra. Tutti gli altri Call of

Duty si svolgevano nella Seconda Guerra Mondiale, ma questo è in Iraq: puoi scegliere di essere un

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dei sentimenti, che sparisce dietro le tende di un sipario, preferisce il più rassicurante teatro pornografico della violenza e s’immola al pubblico che solo ha saputo, a suo modo, apprezzarlo e amarlo; emblema dell’America bushiana che preferiva alla sfida del cambiamento la rappresentazione mediatica dell’illusorio e autoconsolatorio trionfo sul nemico”147

.

Identità e politica: sono questi i due grandi temi che strutturano in profondità The Wrestler. E a ben vedere sono gli stessi assi tematici che informano Hunger: come osservato in precedenza, la lotta per il riconoscimento dell’identità nazionale costituisce il nucleo politico della pellicola di McQueen. Ecco dunque comparire, a questo livello di analisi, una prima analogia tra i due film. Ma l’analogia non si limita alla sola affinità tematica, investendo le dinamiche di sopraffazione che si producono all’interno del luogo chiuso: se in Hunger il carcere era il microcosmo in cui l’autorità esercitava impunemente e arbitrariamente la violenza sui prigionieri “non conformi”, in The Wrestler è il ring a essere raffigurato come lo spazio circoscritto all’interno del quale Randy, “emblema dell’America bushiana”, mette al tappeto gli avversari, anch’essi “non conformi”, per motivi sociali o geopolitici, schiacciandoli letteralmente col famigerato Ram Jam (“colpo dell’Ariete”).

È sulla base di queste analogie profonde che risaltano più chiaramente le diversità di trattamento tematico dei due film: se in Hunger la prigionia è un atto di forza imposto dall’autorità britannica e la prevaricazione carceraria una prassi da perpetrare a porte chiuse, tenere nascosta e minimizzare con rassicuranti comunicati ufficiali, in The Wrestler, al contrario, l’imprigionamento simbolico nel quadrato è un atto di autoaffermazione deliberatamente assunto dal soggetto e la sopraffazione muscolare una pratica da celebrare spettacolarmente, propagandare e amplificare con roboanti ovazioni pubbliche. “Il sopruso mascherato da ragion di stato del governo britannico di Hunger è stato rimpiazzato in The Wrestler dall’esaltazione di una violenza assurta a dimostrazione di potenza planetaria, segno di un’identità che ha bisogno della glorificazione mediatica per sentirsi giusta e giustificata nei propri atti”148

.

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A corollario di questa interpretazione, occorre notare che le trattative immediatamente precedenti agli incontri, oltre ad aumentare il tasso di spettacolarità dei combattimenti, suggeriscono la connivenza tra le parti in causa: sappiamo perfettamente che molti conflitti che hanno visto l’intervento militare degli Stati Uniti nella seconda metà del XX secolo sono stati occasionati da politiche di appoggio (finanziamenti e armamenti) degli stessi USA nelle zone calde del pianeta; politiche che hanno causato squilibri poi degenerati in radicalizzazioni nazionalistiche e oltranziste.

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