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LO SPAZIO CONCENTRAZIONARIO COME LUOGO POLITICO

FIGURE ANTITETICHE DI RECLUSIONE: HUNGER (2008) DI STEVE MCQUEEN E THE WRESTLER (2008) DI DARREN

II.1. HUNGER: SCOMPOSIZIONE IN SEQUENZE

II.1.1. LO SPAZIO CONCENTRAZIONARIO COME LUOGO POLITICO

Lungometraggio d’esordio del videoartista e cineasta britannico Steve Mcqueen (classe 1969), Hunger è stato presentato nella sezione Un Certain Regard del 61° Festival di Cannes, aggiudicandosi la Caméra d’Or (il premio della migliore opera prima dell’intero festival). Che si tratti di un’opera intrinsecamente politica lo si evince con lampante evidenza fin dalle didascalie iniziali, ma, per apprezzare pienamente i risvolti sociali e la funzione memoriale del film, conviene porre l’accento sullo spunto che ha indotto McQueen a concepire la pellicola. Nell’articolo Bobby Sands, i film, e i ricordi di McQueen pubblicato su «Segnocinema», dopo aver ricordato i vari titoli cinematografici ispirati alla vicenda di Bobby Sands,114 Silvia Calamati osserva:

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“Vincitore della Camera d’Or a Cannes nel 2008 e opera prima di Steve McQueen, Hunger è uscito sugli schermi italiani in occasione del 31º anniversario della morte di Bobby Sands. 27 anni, di Belfast, fu il primo dei dieci giovani repubblicani che si lasciarono morire di fame nel carcere di Long Kesh, dopo anni di durissime lotte carcerarie. Hunger non è l’unico film ispirato alla vicenda di Bobby Sands. Il primo, Some Mother’s Son - Una scelta d’amore, di Terry George (1996), era la storia di due madri i cui figli, in protesta a Long Kesh, avrebbero avuto destini diversi. Poi è seguito

“C’è tuttavia un altro aspetto che va rilevato, se si vuole comprendere interamente il significato dell’opera: è la motivazione che ha spinto McQueen, giovane regista britannico, a fare il film: “Avevo 11 anni. Un giorno apparve in televisione la foto in bianco e nero di Bobby Sands. I miei genitori mi spiegarono che stava digiunando per affermare un’idea per lui molto importante. La scelta di Sands, l’usare il corpo come ultima ed estrema forma di lotta e rifiutare il cibo, rimasero per sempre nella mia mente. Al 25° Anniversario della sua morte, mi aspettavo che i media britannici parlassero di lui, ma non fu così. Eppure gli scioperi della fame in Irlanda del Nord sono stati uno dei momenti più importanti della nostra storia degli ultimi 30 anni, più della guerra delle Falkland. Il film obbliga gli spettatori a non dimenticare. Oggi i nostri giovani sanno delle violazioni dei diritti umani in Iraq, Afghanistan e nel resto del mondo, ma sono tenuti all’oscuro riguardo a ciò che è accaduto nel loro cortile di casa”115.

I tristemente noti Blocchi H del carcere nordirlandese di Long Kesh,

Sands. È il film più corale e politico dei quattro: la vicenda di Sands si fonde con quella di centinaia di giovani suoi compagni, costretti a vivere come lui nudi, in celle con i muri sporchi degli escrementi e i pavimenti coperti di urina, tra brutali maltrattamenti quotidiani. Il terzo film, Il

silenzio dell’allodola, ha avuto come regista l’italiano David Ballerini”, Silvia Calamati, Bobby Sands, i film, e i ricordi di McQueen, «Segnocinema», n.176, Luglio-Agosto 2012, p. 39.

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ribattezzato “Maze” (“Labirinto”), quelli in cui Bobby Sands e compagni misero in atto lo sciopero della fame, diventano dunque il luogo di uno scontro tra un’autorità che calpesta impunemente i diritti umani dei detenuti e degli individui disperati che, come ultima risorsa per la protesta e la rivendicazione politica, dispongono soltanto del proprio corpo. Rappresentato in tutta la sua concretezza e in tutta la sua brutalità, lo spazio concentrazionario diviene microcosmo emblematico del sopruso e dell’ingiustizia: luogo nel quale il potere si esercita in totale arbitrarietà e senza alcuna limitazione (si pensi alla violenza fisica della scena della tosatura dei detenuti o a quella, più subdolamente psicologica, della consegna degli indumenti variopinti), generando inevitabili risonanze contemporanee - non è affatto fortuito il riferimento di McQueen alle

violazioni dei diritti umani in Iraq, Afghanistan e nel resto del mondo.116

L’isolamento geografico del penitenziario di Long Kesh, raffigurato come un luogo quasi totalmente privo di connessioni spaziali con tutto ciò che

lo circonda, accentua inoltre l’esemplarità simbolica della

rappresentazione: l’assenza di inquadrature che inseriscano il carcere nell’ambiente circostante decontestualizza e astrae la particolarità del “Maze”, rendendolo emblema della privazione di libertà.

La permanenza pressoché esclusiva nel carcere non risponde quindi a vincoli tecnici o motivazioni virtuosistiche, ma dipende dall’esigenza di

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Sulle pagine di «Cineforum», Alberto Pezzotta parla anche di “inevitabili richiami al presente (Guantanamo)”, Hunger, «Cineforum», n.476, Luglio 2008, p. 60.

condensarvi espressivamente il significato singolare della testimonianza umana di Bobby Sands e il tratto simbolico della resistenza ai soprusi del potere. Il particolare della protesta di Bobby e compagni si tramuta così nell’universale della lotta per la giustizia e nel rifiuto alla rassegnazione. Lo spettatore è obbligato a condividere sensorialmente la reclusione nel penitenziario nordirlandese, poiché solo attraverso questa condivisione coercitiva può compiersi il passaggio dall’esteriorità della vicenda rappresentata sullo schermo al processo di interiorizzazione. È un passaggio cruciale dal fuori al dentro che riflette il movimento centripeto della pellicola (la prima sequenza disegna un percorso di sofferto avvicinamento al carcere, accompagnandoci al suo interno) e che traspare chiaramente dalle parole della recensione di Adriano De Grandis su «Segnocinema»:

“McQueen ci porta dentro il famigerato carcere denominato “Maze”, dove venivano reclusi i “prigionieri politici”, gli irriducibili. E da lì non esce più. Corridoi, celle, sala mensa, ogni luogo è soffocante. McQueen ha la forza e la capacità di addensare lo spazio al tempo: non ha fretta, scandisce minuziosamente ogni gesto, se deve lavare un pavimento lo fa in piano sequenza dall’inizio alla fine, con il rumore delle scope che battono il ritmo ripetitivo, che ti entra in testa, ti fa quasi

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impazzire. Il crudo realismo è rafforzato dalle azioni di pestaggio, la fotografia acida spazza i contorni definiti, ingloba lo spazio in un unico delirio”117

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Lo spazio concentrazionario si fa inoltre teatro del conflitto tra sguardi contrapposti, caricandosi di significati divergenti: penetriamo nel carcere di Long Kesh una prima volta tramite il punto di vista della guardia carceraria, che qualifica il penitenziario come luogo di lavoro

psicologicamente e fisicamente massacrante 118, e vi entriamo una seconda

volta con gli occhi di Gillen, che riqualifica la realtà del Maze in un’ottica spiccatamente punitiva e privativa 119. Ad acuire le connotazioni politiche del microcosmo carcerario, osservato dalla duplice prospettiva dei detenuti e delle guardie, saranno successivamente lo sguardo di Bobby, che imprimerà alla dimensione della prigione tratti marcatamente antagonistici 120 ,e quello del giovane agente del reparto antisommossa, che conferirà ai corridoi del “Labirinto” striature insostenibilmente violente 121.

La spazialità chiusa di Hunger si tramuta pertanto in dimensione apertamente politica anche in virtù delle discrepanze tra le prospettive dei

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Adriano De Grandis, Hunger, «Segnocinema», n.176, Luglio-Agosto 2012, p. 39.

118 Si veda la sequenza intitolata La giornata di lavoro della guardia carceraria. 119 Nella sequenza denominata Gillen e la vita nel carcere dei prigionieri irlandesi.

120 La definizione dello spazio carcerario come luogo di protesta permanente si precisa nella sequenza

designata col titolo Bobby e il suo ruolo all’interno del carcere.

personaggi che la popolano, assumendo significati ora contrapposti ora complementari. Come sottolinea De Grandis nella recensione già menzionata, la moltiplicazione degli orientamenti narrativi scongiura il rischio del manicheismo e al contempo radicalizza l’impronta politica dello scontro:

“McQueen non mette al centro volontariamente il percorso autolesionista di Bobby Sands. Sparpaglia la vicenda su più strati, su più storie, sugli opposti anche qui: non a caso inizia a casa del capo delle guardie, in uno dei pochi momenti extracarcere (…). Non c’è spazio per sentimentalismi: la denuncia è secca, il taglio politico è forte. L’eliminazione glaciale del capo delle guardie, durante la visita alla mamma malata di Alzheimer, mette McQueen al riparo di un manicheismo frontale (…), ma non ne abbassa i toni della denuncia politica”122

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