IMMAGINAZIONE CREATRICE
I.2.5. L’IO INTERPRETANTE DELL’ERMENEUTICA
Prima di affrontare il lavoro di analisi filmica che occuperà la seconda parte di questa trattazione, occorre infine precisare, via Wunenburger, le caratteristiche del soggetto interpretante ipotizzato dall’ermeneutica. Dal momento che si tratta di un soggetto che non si limita a decodificare le immagini riconducendole a una concezione prettamente denotativa, è opportuno evidenziare il pensiero soggiacente ai suoi procedimenti interpretativi. Il filosofo francese pone la questione in questi termini:
“All’opposto del soggetto sovrano del razionalismo classico, che tende a farsi maestro delle proprie rappresentazioni, il soggetto sul quale s’impernia l’ermeneutica fa in se stesso l’esperienza di una dipendenza rispetto a qualcosa che lo oltrepassa, l’esperienza di un’opacità, o di una trascendenza del senso (…).”107.
L’Io interpretante dell’ermeneutica è dunque un soggetto che avverte inizialmente l’opacità e l’eccedenza delle immagini, provando un’intima sensazione di squilibrio tra sé e le rappresentazioni simboliche: un sentimento di sproporzione che tuttavia, lungi dal costituire un deterrente alla comprensione, apre concretamente la possibilità di una relazione profonda con ciò che lo oltrepassa e lo interroga sia dal punto di vista
affettivo sia da quello intellettuale. Corre infatti l’obbligo di puntualizzare che l’ermeneutica, pur implicando il sentimento di squilibrio appena descritto, si basa su “un’attività attitudinalmente intellettuale del soggetto”.108
In altri termini, il soggetto dell’ermeneutica muove sì dall’esperienza di un’eccedenza delle immagini, ma traduce questa esperienza globale in impulso alla comprensione degli elementi non immediatamente decifrabili, in esplorazione del “senso cifrato inscritto nel tessuto di un’opera”109
.
Per il soggetto interpretante, insomma, le immagini non costituiscono affatto rappresentazioni irrazionali o imperscrutabili, ma, al contrario, configurazioni che richiedono uno sforzo di decifrazione e traduzione. L’interpretazione non si abbandona dunque a un libero gioco di associazioni arbitrarie e pure intuizioni, bensì presuppone un metodo coerente in grado di relazionarsi con la densità simbolica dell’immagine tanto dal punto di vista sentimentale quanto da quello riflessivo. Ciò che distingue il metodo dell’ermeneutica dalla prassi semiotica o da quella marcatamente spirituale è precisamente questa compenetrazione tra dimensione sentimentale e conoscenza riflessiva:
“L’Io interpretante dell’ermeneutica è insomma un Io bifronte, ricettivo e attivo nello stesso tempo, assoggettato a un contenuto che lo trascende e nello stesso tempo animato da una volontà di
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Ivi, p.112.
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appropriazione che è volontà di esplorazione di dimensioni nascoste e insondate”110
.
Ne discendono, relativamente alla prospettiva di questa trattazione, due importanti corollari: innanzitutto l’Io interpretante si pone di fronte alle immagini in quanto soggetto culturale, vale a dire come soggetto munito di un sapere anteriore indispensabile all’avventura esplorativa, pena la neutralizzazione di qualsiasi interpretazione condivisibile. Detto più chiaramente, il sapere preliminare del soggetto rappresenta la condizione di possibilità dell’interpretazione stessa. In seconda istanza, e nonostante il carattere coerentemente regolato della comprensione ermeneutica, l’interpretazione prodotta dal soggetto non potrà dispiegarsi attraverso procedimenti integralmente oggettivi: un certo quoziente di soggettività permarrà inevitabilmente e risulterà indispensabile all’appropriazione singolare della ricchezza simbolica delle immagini. Così Wunenburger:
“(…) l’interpretazione si presenta come una soggettivizzazione di ciò che si dà all’intuizione, cioè come un’appropriazione personale, in termini di esperienza propria, del contenuto latente delle immagini. Alla relazione di separazione fra il soggetto e l’oggetto fa qui da contrappeso una relazione di non-separazione,
ossia una sorta di partecipazione che rende possibile l’assimilazione del senso”111
.
Stanti questi presupposti, l’ermeneutica si configura complessivamente come una disciplina che ravvisa nelle immagini rappresentazioni sensate dell’umanità capaci di chiamare in causa la totalità esistenziale del soggetto che le interpreta. L’individuo concreto si trova dunque a dialogare con le immagini in quanto principio di captazione dei loro contenuti e, al tempo stesso, come principio di comprensione che stabilisce una relazione attiva tra tali contenuti e la propria esperienza del mondo. Si tratta di un metodo che, in sostanza, risulta caratterizzato dalla sensibilità alla polisemia simbolica e dalla vocazione a un tipo di comprensione partecipativa. Prendendo le distanze dal freddo dualismo oggetto-soggetto del razionalismo, l’ermeneutica propone, in definitiva, un metodo caldo di comprensione che pone l’Io interpretante e l’universo delle rappresentazioni visive sullo stesso piano, calando l’immaginario nella dimensione dell’esistenza:
“L’ermeneutica cala così l’immaginario testuale e iconico nella dimensione globale dell’esistenza, della vita, che acquisiscono senso, e forse il loro senso primo, attraverso il pensiero per
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immagini”112 .
Evitando di seguire ulteriormente l’esposizione di Wunenburger nella descrizione del terzo orientamento disciplinare che ha segnato la riflessione sull’immagine, vale a dire quello rappresentato dalla fenomenologia, conviene interrompere, ai fini del presente lavoro, l’approfondimento filosofico e consacrare la seconda parte della trattazione all’analisi filmica. L’elaborazione teorica sviluppata finora permette tuttavia di delineare con ragionevole esattezza le linee
metodologiche che guideranno la successiva ricognizione
cinematografica. Memore della lezione ermeneutica, l’analisi dei due testi filmici Hunger (2008) di Steve McQueen e The Wrestler (2008) di Darren Aronofosky tenderà a porre l’accento sulla pluralità dei sensi contenuti nelle immagini, nel tentativo di sviluppare una lettura suscettibile di mettere in luce la compresenza di più livelli semantici intimamente correlati e la ricchezza delle risonanze simboliche che essi sprigionano in modi e forme differenti. Non tanto una lettura rigorosamente e inflessibilmente improntata ai principi dell’ermeneutica, insomma, quanto un’analisi attenta a non schiacciare l’interpretazione dei testi sul loro contenuto letterale e tesa a valorizzare le stratificazioni simboliche che, attraverso i procedimenti estetici e stilistici, si dispiegano nelle pellicole
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