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LINGUAGGIO, NUOVA IDOLATRIA

I.2. DALLA CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA ALL’ESIGENZA METODOLOGICA

I.2.1 ORIENTAMENTI ESPISTEMOLOGICI E METODOLOGIC

“Ogni tipologia richiama, infatti, una metodologia”52

: è questo, in versione quintessenziale, il passaggio logico che ha occupato per esteso la seconda parte del primo capitolo di Filosofia delle immagini. Occorrevano più di trenta pagine di distinzioni tipologiche e accurate differenziazioni per dare corpo teorico e consistenza filosofica a un passaggio che, se sprovvisto di un’esposizione dettagliata, avrebbe finito per apparire come un dogma indimostrato. Provata dunque con dovizia di particolari l’improduttività della sola descrizione tipologica, la questione metodologica sottesa alla riflessione sull’immagine si impone, adesso, improrogabilmente e ineludibilmente:

“Poco sollecitata nel passato, oggi una metodologia appare quanto mai indispensabile, al punto che la sua elaborazione costituisce un obiettivo ancor più essenziale della stessa descrizione e classificazione. Una filosofia dell’immagine può dunque trovare nell’assunto metodologico un veicolo privilegiato

51

Ibidem.

per sperimentare il proprio spessore speculativo”53 .

Prima di prendere direttamente in considerazione gli orientamenti più specificamente filosofici, Wunenburger si sofferma tuttavia sulle due grandi correnti di pensiero che si sono contrapposte “nel recente cammino evolutivo dell’interpretazione delle immagini”54

.Si tratta delle due linee interpretative del pensiero positivistico-scientifico e della riflessione filosofico-speculativa: più che costituire vere e proprie adozioni di metodo, esse rappresentano presupposti epistemologici “che orientano diversamente la comprensione generale delle immagini”55

.

Ribadita la necessità della definizione di un metodo come requisito

fondamentale per l’interpretazione delle immagini 56

, il filosofo francese individua una catena di presupposizioni che, risalendo dalla scienza al metodo e dal metodo al pensiero soggiacente, assegna alla filosofia un’implicita preminenza teorica:

“Ma se non c’è scienza senza metodo, il metodo presuppone a sua volta una filosofia implicita, e dunque una qualche interpretazione del suo oggetto. (…) Pensare le immagini implica l’opzione a

53 Ibidem.

54 “Ormai la definizione di un metodo di approccio è la condizione preliminare per qualsiasi riflessione

sulle immagini, dal momento che il valore di un discorso normativo o assiologico sulle rappresentazioni dipende dalla qualità del sapere che vi si dispiega”, ivi, p.75.

55 Ivi, pp.75-76. 56 Ivi, p.76.

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favore di un metodo, ma l’adozione di un metodo implica a sua volta la preesistenza di un pensiero in materia d’immagine. (…) La filosofia occupa, in questo senso, sempre il primo posto, in quanto preorientamento del pensiero, e anche per l’obbligo, particolarmente sentito dal filosofo, di verificare con precisione le

precondizioni concettuali connaturate ad ogni metodo

d’indagine”57 .

Se la filosofia riveste in ogni caso un ruolo immancabilmente prioritario, la differenziazione degli orientamenti epistemologici ha creato una dicotomia effettiva tra una prospettiva più o meno marcatamente scientifica, volta quindi a uno studio dell’immagine oggettivamente improntato, e una traiettoria più speculativa, tesa, al contrario, a misurarsi con la rappresentazione per immagini subordinando i dati di fatto al punto di vista del soggetto che li interpreta. Più ampiamente, questa dicotomia riflette l’opposizione tra le differenti finalità delle scienze umane e della filosofia, le prime essendo vincolate all’imperativo della spiegazione, la seconda risultando invece consacrata alla ricerca della comprensione. Spingendoci ancora più in profondità, osserva Wunenburger, questa divaricazione epistemologica evidenzia una discordanza radicale che investe in pieno la natura stessa delle immagini:

“Ma, più in profondità, la scelta tra i due tipi di metodo riflette un’opzione ancora più radicale tra due interpretazioni della natura stessa delle immagini: come infatti la metodologia positivista discende in genere da un’assimilazione delle immagini alla categoria dei segni, così una metodologia più filosofica tende ad ancorare l’immagine a una dimensione più specificamente simbolica”58

Dal punto di vista epistemologico, si configura dunque una concorrenza tra scienze positive e sapere filosofico che riposa sulla diversa natura attribuita all’immagine: segno per le prime, simbolo per il secondo. Al di là del nominalismo medievale successivamente culminato nella logica di Port-Royal (XVII secolo), la disciplina che rappresenta più compiutamente la concezione segnica dell’immagine è senza dubbio la semiologia, fondata dal linguista ginevrino Ferdinand de Saussure (1857- 1913) e parallelamente declinata in semiotica dal logico statunitense Charles Sanders Peirce (1839-1914). Pur sviluppando sistemi analitici parzialmente distinti,59 la semiologia, prefigurata da de Saussure come

58

Ivi, p.76.

59 Basato sulla coppia significante-significato, la cui unione prevalentemente convenzionale costituisce

la funzione segnica o - più semplicemente - il segno, il sistema di analisi elaborato da Ferdinand de Saussure si articola secondo una logica eminentemente binaria (significante/significato, denotazione/connotazione; langue/parole), mentre il metodo analitico messo a punto da Charles Sanders Peirce si dispiega secondo una logica prettamente ternaria (icona/indice/simbolo;

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scienza generale dei segni, e la semiotica, intesa da Peirce come dottrina formale dei segni, hanno interessato in primo luogo lo studio dei fenomeni linguistici, gettando contemporaneamente le basi di una piattaforma concettuale che “fa da retroterra comune ad ogni studio delle immagini”60.

Nell’ottica squisitamente filosofica di Wunenburger, l’orientamento semiologico, fortemente intenzionato a ricondurre ogni fatto comunicativo allo statuto del segno, costituisce ovviamente una forzatura totalizzante. Ed è altrettanto ovvio che sia la categoria del simbolico a costituire il territorio dell’immagine che il filosofo francese si premura di difendere tenacemente dall’espansionismo semiotico:

“Il problema vero, ora, è sapere se il dispositivo semiotico (…) consente di esaurire il campo delle immagini e di dar conto della loro natura profonda. Pare che determinate immagini, come quelle simboliche, si distinguano programmaticamente dalla definizione formalista dei segni per la loro capacità di sviluppare strati molteplici di significati e dunque di sviluppare nel soggetto un sapere allargato”61 . somiglianza/concomitanza/arbitrarietà; segno/interpretante/oggetto). 60 Ivi, p.77. 61 Ivi, p.78.

Nelle due prospettive epistemologiche, aggiunge Wunenburger, “l’interpretazione del termine, profondamente equivoco, di «simbolico» costituisce proprio uno dei punti di divergenza, di biforcazione”62

. Concepito dalle discipline di tipo logico-linguistico come un processo di sostituzione di una cosa assente con una rappresentazione compensativa, il simbolico della semiologia presenta tuttavia un duplice inconveniente:

da una parte tende ad “appiattire preliminarmente il simbolo sul segno”63

e dall’altra produce, come effetto secondario, “lo slittamento della rappresentazione verso la categoria dei concetti astratti”64

.

Stante questa duplice forzatura, la conclusione del filosofo francese non può che essere quella di una forte diffidenza nei confronti dell’assimilazione del simbolico al semiotico:

“Possiamo dunque nutrire un fondato timore di fronte all’estensione della categoria del simbolico all’insieme dei fatti inerenti al linguaggio e alla concettualizzazione: il timore che in questo modo gli venga sottratta gran parte della sua pertinenza, volta a sondare in misura specifica l’area composita delle immagini”65 . 62 Ibidem. 63 Ivi, p.79. 64 Ibidem. 65 Ivi, p.80.

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“A differenza dell’epistemologia semiotica, che concepisce le immagini come un linguaggio analizzandole conseguentemente secondo un modello linguistico, nella prospettiva concorrente, “di ispirazione più metafisica e religiosa”66

, la nozione di simbolico concerne soltanto un insieme circoscritto di immagini che si differenziano tanto dai segni linguistici quanto dai concetti astratti in virtù di una combinazione nascosta dei loro significati interni.67 In altri termini, il simbolico di questa seconda prospettiva epistemologica designa esclusivamente quelle immagini enigmatiche o misteriose che sfidano il soggetto a identificare e decifrare i loro significati più o meno reconditi in base a codici specifici o determinati protocolli di lettura. Naturalmente Wunenburger non nasconde l’insidia celata in tale concezione del simbolico, vale a dire l’abuso di letture tese a snidare sensi enigmatici e occulti in ogni rappresentazione visiva; ciononostante, osserva il filosofo francese, “questa segnalazione di figure cifrate consente comunque di accedere a una dimensione del simbolico ben più suggestiva e feconda di quella dischiusa dalla semiotica”68

.

La dicotomia tra la nozione semiotica del simbolico e quella di ispirazione metafisico-religiosa vede dunque Wunenburger schierarsi nettamente a favore di quest’ultima, dal momento che le immagini simboliche non si

66 Ibidem. 67

Wunenburger la definisce una “concatenazione occulta dei loro significati intrinseci”, ibidem.

lasciano assorbire ed esaurire dalla funzione segnica:

“(…) il segno non basta a dar conto di tutte le immagini, soprattutto delle più ricche, delle più pregnanti, quelle che comportano nel loro sistema di rappresentazione una sorta di visceralità, di profondità di senso, irriducibile a qualsiasi formalizzazione”69

.

Nell’immagine simbolica, insomma, si trova qualcosa di più del solo segno inteso come rappresentazione sostitutiva di una cosa assente 70. E questa eccedenza semantica, estranea alla semplice funzione segnica o alla dimensione lineare del messaggio denotativo, esige l’abbandono della prospettiva esclusivamente semiologica in favore di una metodologia filosofica suscettibile di integrare la dimensione semiotica in un’ottica più ampia e duttile, dal momento che “la comprensione filosofica dominante in tema di immagini (…) risulta complessivamente caratterizzata da orientamenti irriducibili all’epistemologia semiotica”71

.

È in questo frangente che Wunenburger fa riferimento all’ermeneutica, orientamento che sarà trattato nei paragrafi successivi e che fornirà lo spunto metodologico all’analisi filmica sviluppata nel secondo capitolo

69 Ibidem.

70 Si tratta della definizione del segno come aliquid stat pro aliquo (“qualcosa sta per qualcos’altro”)

formulata da Sant’Agostino (354-430) e successivamente adottata dalla scolastica, come ricorda Wunenburger a p.77.

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del presente lavoro:

“All’opposto, il procedimento ermeneutico - in Ricœur, ad esempio - si preoccupa di individuare una complementarietà tra il piano semiotico, che fa da fondamento all’espressione delle immagini, e un piano propriamente ermeneutico, che tende a penetrare il senso di un’immagine al di là della significazione immanente al linguaggio”72

.

I.2.2 IL TRASCENDENTALISMO DELL’IMMAGINE TRA