IMMAGINAZIONE CREATRICE
I.2.4. L’ERMENEUTICA TRA RIDUZIONE E RIDONDANZA DEL SENSO
“L’ermeneutica, in quanto categoria generale di una logica di rappresentazione del senso, è certamente un termine recente”98
, afferma Wunenburger, ma, in quanto esercizio di comprensione interpretativa, costituisce un’arte antica. Si tratta di una pratica applicata anticamente ai testi mitico-religiosi, da sempre oggetto di interpretazione approfondita, soprattutto per il loro dispiegamento di un florido repertorio di immagini
simboliche. Tale esercizio ha generato, a partire dai suoi esordi, due
orientamenti sensibilmente diversi: l’ermeneutica riduttiva e
l’ermeneutica ridondante.
Presente fin dall’antichità, il primo orientamento tende a demistificare i racconti fantastici e mitici, come quelli della mitologia greca, rintracciando un senso letterale sotto i numerosi sensi traslati e figurati, considerati semplicemente come spostamenti e mascheramenti allegorici di un contenuto oggettivamente ricostruibile:
“Per molti autori antichi (a partire da Senofane) i miti sono finzioni che spostano un enunciato dall’esperienza per mascherarlo sotto altre rappresentazioni analogiche, ad esempio per mezzo dell’allegoria, procedimento che consente di dire una cosa tramite un’altra”99
.
Da questo punto di vista, il repertorio mitografico consisterebbe soltanto nella trasformazione poetica e immaginifica di eventi naturali o fenomeni climatici e cosmologici, sicché l’ermeneutica avrebbe il preciso compito di ricondurre sistematicamente il senso figurato al senso proprio, il plurale delle rappresentazioni allegoriche al singolare dell’enunciato letterale. Se le immagini mitiche possiedono un’opacità e un’ambiguità immediate,
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l’esercizio dell’interpretazione si propone invece di fare chiarezza, eliminando programmaticamente le alterazioni apparenti e ripulendo la verità della rappresentazione dalle incrostazioni metaforiche:
“L’ermeneutica agisce dunque, in questo caso, in senso riduttivo, demistificante, svuotando l’immagine del suo mistero per sostituirle una rappresentazione presumibilmente vera”100
.
Le immagini ingannano e l’ermeneutica smaschera la finzione, insomma: si tratta di una dialettica che ha alimentato fin dall’antichità la ricerca del senso primordiale delle parole e che si è tradizionalmente accompagnata a una propensione essenzialmente iconoclasta, concretizzatasi nel proposito di rimpiazzare l’equivocità delle immagini con l’univocità del senso letterale. Questo tipo di riduzionismo ermeneutico, sottolinea Wunenburger, permea molte indagini filosofiche della modernità:
“Tale opzione riduttiva fa da filo conduttore a non poche correnti del pensiero moderno: basti pensare a come i cosiddetti filosofi del «sospetto» (Marx, Nietzsche, Freud) cercano di presentare le rappresentazioni normative (collettiva, in forma di ideologia, o individuale, in forma di contenuto di fede) come spostamenti
fallaci del senso, spostamenti che, mirati come sono a mascherare un senso primo finora rimosso, arrivano fino al rovesciamento del senso stesso”101
.
Il travisamento operato dalle rappresentazioni ideologiche è dunque analogo a quello praticato dalle immagini mitologiche: tattiche di dissimulazione che l’ermeneutica è chiamata a smascherare razionalmente, rivelando la verità che si cela sotto la finzione allegorica. L’interpretazione riduzionista si incarica pertanto di agire come esercizio di disinganno ed emancipazione, smantellando le sovrastrutture delle rappresentazioni ideologico-mitologiche che confondono lo sguardo e distolgono la ragione dalla comprensione della verità.
Il secondo orientamento, quello dell’ermeneutica ridondante, osserva Wunenburger, procede in una direzione profondamente diversa:
“In questo orientamento, l’impegno è piuttosto quello di ricostituire, con l’atto di lettura o di contemplazione, i sensi squilibrati e nascosti di un testo, la loro molteplicità e ricchezza, per attualizzarli in differenti contesti e momenti dell’esperienza umana”102
.
Anche questa declinazione dell’ermeneutica possiede una lunga e sedimentata storia nell’interpretazione dei testi: a partire dalla tradizione
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Ivi, pp.106-107.
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ebraica, l’esegesi biblica ha difatti valorizzato le risonanze simboliche e le corrispondenze figurali dei testi sacri, che, al di là del loro significato letterale, contengono molteplici livelli di senso e si prestano perfettamente a letture di carattere analogico, tese a spingersi oltre il piano denotativo. Come sottolinea il filosofo francese, si tratta di una prassi che riguarda complessivamente le religioni monoteistiche:
“Generalmente, nel monoteismo, la Rivelazione religiosa, in quanto Parola divina, si presenta come un testo velato che è compito del credente rendere chiaro con l’intelligenza e la fede. Per Sant’Agostino: «Uno dei vantaggi dell’oscurità stessa del testo sacro è quello di suggerire più sensi ugualmente uniformati alla verità, e produrli alla luce della conoscenza»”103.
Si viene così a delineare un metodo di interpretazione che, combinando la decifrazione allegorica con l’esegesi biblica di tradizione ebraica, permette di affrontare il mistero delle Sacre Scritture esplorando la ricchezza dei sensi delle parabole, delle narrazioni e delle immagini che esse contengono. Assimilati a organismi viventi, i testi sacri vengono interpretati a più livelli (letterale, figurale, morale e spirituale), in un percorso di innalzamento progressivo verso la rivelazione della verità
ultima, concepita come tensione verso l’assoluto. L’antitesi di questo tipo di ermeneutica rispetto al metodo riduttivo, asserisce Wunenburger, non potrebbe essere più palese:
“Vantando tali ascendenze, il metodo ermeneutico non può non opporsi, ostentatamente, al metodo illustrato in precedenza: è instaurativo e non riduttivo, perché non considera il senso letterale un senso vero intenzionalmente mascherato dalle affabulazioni, anzi, lo considera il senso più esteriore, più superficiale, che nasconde, come la scorza racchiude il nocciolo, la verità ultima”104
.
Non troppo dissimile da un processo di iniziazione, l’ermeneutica ridondante o instaurativa concepisce quindi l’interpretazione dei vari livelli del testo come un percorso che conduce progressivamente dal significato manifesto al senso latente. Si tratta inoltre di un processo interpretativo in cui i vari livelli non si escludono a vicenda, ma, al contrario, si compenetrano reciprocamente, riverberando gli uni sugli altri in un continuo gioco di rimandi e rilanci successivi. Risulta pertanto evidente che questo tipo di ermeneutica si rivela particolarmente adatta all’interpretazione delle immagini simboliche, dal momento che configura
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un metodo conoscitivo basato sulla pluralità dei livelli di rappresentazione: l’immagine simbolica mostra e nasconde al tempo stesso, non si esaurisce nel contenuto manifesto e incoraggia il soggetto a interrogarne la ricchezza enigmatica.
L’ermeneutica ridondante, infine, non si accontenta di una decifrazione logica e concettuale delle immagini, ma, pur basandosi su un metodo coerente e controllato, incita il soggetto a una conoscenza organica che comprende anche la componente simbolico-spirituale:
“Grazie ad essa, è proprio l’insieme dei rapporti tra l’Io e le sue immagini a trovarsi meglio lumeggiato e ricondotto a una vita spirituale in fondo ben più ricca di quella assicurata dalle attività di conoscenza concettuale. […] L’ermeneutica partecipa quindi alla formazione di una razionalità interpretativa originale, che consente alle immagini di entrare in un mondo di verità e significato propri, e tutto perché essa si oppone vivamente a una razionalità logico-concettuale, che per nessuna ragione può trovar «ragione» nelle produzioni per immagini”105.
È proprio questa inflessione particolare dell’ermeneutica a fare dell’interpretazione un’avventura esplorativa volta a scovare, nel territorio
delle immagini, delle intenzioni umane suscettibili di veicolare un significato esplicabile dall’interprete e, al contempo, un’eccedenza simbolica che sollecita il soggetto stesso ad addentrarsi nella riserva di senso racchiusa nelle rappresentazioni. Ed è precisamente un’avventura di questo genere a istituire un dialogo produttivo e incessante tra la forma dell’immagine e l’interprete, un dialogo che supera la dialettica meramente raziocinante della determinazione dei concetti e pone il soggetto in una condizione di continua riattivazione del senso:
“L’immagine, meglio del concetto, si presenta come una configurazione simbolica che tiene in serbo del senso, nella forma implicita propria dei segni e delle figure, e lo rende spendibile, disponibile a qualsiasi riattivazione, da parte del soggetto interpretante”106
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