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Il carattere nazionale dell'arte russa: il pensiero del popolo espresso attraverso l'opera di Kramskoj

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

KRAMSKOJ : L’ARTE

L’inizio dell’attività di Kramskoj riguarda gli anni 60 del XIX secolo: è un periodo in cui la Russia vede il primo sviluppo della borghesia e, conseguentemente, di avanzate lotte sociali da parte delle truppe popolari. Ciò si riflette in tutti gli aspetti del vivere russo, dopo le riforme apportate dallo zar a favore dei feudatari. Manifesta negli stati d’animo della massa popolare, questa lotta viene condotta da intellettuali di

estrazione modesta, tra i quali il nostro artista.

La sua vocazione artistica risiede proprio nel rappresentare le immagini e nel 1857 entra nell’Accademia degli artisti per apprendere la grande arte del passato.

Ci sono pervenuti alcuni articoli e una vasta corrispondenza di Kramskoj con artisti, scrittori, critici, in cui l’arte rappresenta l’argomento principale di queste lettere. Una considerevole quantità della corrispondenza è formata dalle lettere del pittore a P.M. Tretjakov, fondatore della galleria nazionale dell’arte russa. Egli è il primo

pittore ad aiutare Tretjakov in questa grande impresa: le sue lettere lo orientano nella scelta dei quadri per la sua galleria, secondo gli obiettivi e le caratteristiche dell’opera degli artisti russi. Inoltre, particolare attenzione merita una parte della corrispondenza dedicata alle lettere destinate ai redattori giornalistici A.N.Aleksandrov e a A.S. Suvorin.

Spinto da un appassionato desiderio di facilitare la pubblicazione delle sue idee sull’arte ma completamente disinteressato ad ottenere fama, Kramskoj dona a questi uomini il suo pensiero, riassume la sua opera creativa in un modello, mantiene la tendenza democratica dell’arte propagandistica con fervore, un’arte diretta al servizio

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del popolo, e non della classe borghese, più propensa a preoccuparsi del proprio guadagno e della propria popolarità.

In Occidente gli ideali democratici si rivelano limitati ai soli paesi con interessi inerenti alla borghesia, in Russia trovano un senso gli ideali incarnatesi soprattutto nella società oppressa e interessata al trionfo della democrazia. Questo pone le

fondamenta per portare le questioni sullo sviluppo sociale al centro dell’attenzione degli intellettuali progressisti: proprio in Russia sorge un’arte capace di riflettere le aspirazioni e gli ideali dell’uomo contemporaneo.

In questa posizione, venutosi a creare un punto di riferimento nella sua teoria estetica, l’arte, in particolare quella plastica, acquisisce il significato di una specifica attività umana.

In una delle sue lettere egli stabilisce così la facoltà dell’arte plastica: “... ogni uomo abbastanza intelligente, vivendo nel mondo, sforzandosi di usare la lingua umana, sa molto bene che ci sono cose che il linguaggio non può assolutamente esprimere. Egli sa che proprio l’espressione del viso viene in aiuto a tempo debito, altrimenti la pittura non ha ragione di esistere”.

Questa sua espressione può essere facilmente compresa in maniera errata, come negazione del ruolo chiave delle idee nella creazione dell’opera artistica, ma

naturalmente questo non è sminuire il ruolo dell’arte; anzi, egli porta come esempio la fortuna dell’arte nell’Antica Grecia e nel Rinascimento europeo a dimostrazione che, come allora, l’arte raggiunge l’apice perché partecipa alla risoluzione dei

problemi fondamentali della vita popolare e esprime i desideri,gli ideali e la fede del popolo.

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dal potere “feudale” dell’Accademia.”Penso, - scrive già nel 1886, - che in ciò si racchiude l’eliminazione di tutte le anomalie a favore di una sana crescita”. C’è però da considerare che la liberazione della personalità cela in sé un

nuovo pericolo per l’arte democratica: il pericolo dell’individualismo. Per salvare

l’arte da questa calamità il pittore propone come uno dei capisaldi fondamentali dell’arte la sottomissione dell’aspirazione individuale del pittore a favore dell’interesse del popolo. Ottenendo la libertà della rappresentazione artistica, egli si pone la domanda: “libertà da cosa?”. E risponde: “Naturalmente, solo dalla tutela amministrativa, tuttavia è necessario che il pittore presti la più alta obbedienza e dipendenza...agli istinti e ai bisogni del popolo, all’armonia del sentimento interiore e al moto personale al servizio degli altri”.

Ciò che Kramskoj definisce “armonia del sentimento interiore e moto personale al servizio degli altri”, noi la chiamiamo unità dialettica, ovvero gli interessi personali e sociali dell’uomo. E’ notevole che egli viva in un’epoca caratterizzata da opposte tendenze, la rottura tra personale e sociale, poiché nell’unità dell’una e dell’altra egli individua il caratteristico limite della natura umana, la sua naturale, normale

manifestazione. Basta quindi soffermarsi su queste straordinarie parole, scritte dall’artista F.A. Vasilev: “Voi umani siete la dimostrazione del mio pensiero, e cioè che la vita individuale, felice o infelice che sia, cominci con un immenso, sconfinato spazio, in cui i suoi ideali sono comuni a tutta l’umanità. E ci sono degli interessi, capaci di far vibrare il cuore, che pensano quotidianamente, che vanno oltre le gioie e le tristezze familiari,e sono di gran lunga più profondi”.

Se l’unità del personale e del sociale è stata definita come caratteristica della natura umana, allora per Kramskoj la sottomissione dell’arte agli interessi del popolo non

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significa assolutamente porre violenza alla personalità umana, il limite della libertà creativa dell’uomo, la libertà della creazione artistica è per il democratico pittore il libero Sviluppo dell’artista, il suo impegno sociale. Ma l’artista può servire il popolo solo conoscendo i suoi interessi, solo incarnando i suoi ideali nelle immagini, in modo chiaro e affine.

Alla radice del problema occorre esaminare ancora una condizione avanzata dal pittore, quella sul carattere nazionale dell’arte: “Mi batto per l’arte nazionale. Penso che non esista altra forma di arte che quella nazionale”.

Egli pensa bene, che la forma nazionale stabilisca la possibilità di fare un’arte comprensibile e accessibile alla massa, anche se non racchiude la possibilità d’espressione di tutta l’umanità: secondo il pittore, ciò penetra nell’arte di quella nazione che si trova “davanti allo sviluppo dell’umanità”.

Un’altra regola generale che egli stabilisce in base all’analisi dell’esperienza

riguarda la tendenziosità dell’arte, considerandola non nel senso di manifestazione delle sue idee astratte, prese da fuori; ma come rivelazione estetica del rapporto dell’artista con la realtà, che gli appartiene, poiché egli è uomo e cittadino.

L’arte cessa di essere parziale, quando nell’artista muore la percezione della sua

appartenenza all’ “idea della vita umana”, allora l’arte, come ad esempio nell’arte greca, nel Rinascimento, nell’arte fiamminga, privata della tendenziosità, “degenera nel puro diletto, nel lussuoso ornamento, così finisce col diventare artificiosa e muore”. Il suo pensiero sullo scopo sociale dell’arte va ricercato proprio negli stretti rapporti con l’impostazione della questione nello specifico, essa fa parte dell’educazione morale dell’uomo, in particolare l’arte realizza la sua funzione educativa, il suo

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“L’artista, - scrive - non deve dare consigli edificanti”, ma “rappresentare

immagini, vive, reali, e su questa strada arricchire gli uomini”: basandosi sulla realtà, l’arte attinge al suo stesso modello ed esempio, e aiuta l’uomo a essere migliore.

Nell’impostazione della questione sul ruolo educativo dell’arte egli studia l’autorità dell’estetica illuminista, da Diderot, che aveva come ideale l’edificante arte di Greuze, prende a modello l’opera di L.N.Tolstoj e di I.E.Repin .

Comprendendo giustamente la questione dell’arte pubblica come educativa, il pittore sbaglia quando pensa che l’educazione morale possa risolvere comodamente le contraddizioni della vita: ciò si ricollega con la sua incomprensione per la natura antagonista fra classi nella società contemporanea. Non per niente egli riporta con stupore il racconto di M.E. Saltykov – Ščedrin1: “il carassio idealista”2, dove si

1 Pseudonimo dello scrittore russo M. E. Saltykov (Spas-Ugol, Tver, 1826-Pietroburgo 1889). Discendente di un'antica

famiglia nobile, studiò al liceo di Carskoe Selo e qui scrisse i suoi primi versi di stampo romantico. Assunto

successivamente al Ministero della Guerra, fece molte conoscenze nel mondo politico e partecipò anche alle riunioni del circolo di M. V. Petraševskij, in cui si dibattevano i temi del socialismo utopistico occidentale. Già sospetto alla polizia, non appena pubblicò il racconto Un affare imbrogliato (1848) venne confinato a Vjatka, dove lavorò nell'ufficio del governatore. Frutto di questo soggiorno obbligato furono gli Schizzi provinciali (1856-57) nei quali si delinea già la vena satirica di Saltykov. I suoi scritti furono accolti dalle riviste più avanzate, come Sovremennik (Il contemporaneo) e Vremja (Il tempo) e furono così divulgate anche le sue Satire in prosa (1859-62) e i Racconti innocenti (1863). Nuovamente trasferito a Pietroburgo, Rjazan e Tver, preferì rinunciare agli alti incarichi (1868) cui era ormai pervenuto e dedicarsi completamente alla letteratura. Diresse con Nekrasov Otečestvennye Zapiski (Annali patri). Critico risoluto, nemico dell'arte per l'arte e dei filo-occidentalisti, sostenitore dell'estetica di Černyševskij, di Dobroljubov e di Belinskij, aveva già dato nel 1857 un capolavoro in teatro, La morte di Pazuchin, non indegno della potenza tolstoiana. Attento a ogni mutamento sociale della sua Russia, pubblicò le Lettere sulla provincia (1869) sul tema dell'abolizione della servitù della gleba, ripreso nel suo capolavoro La famiglia Golovlëv, storia drammatica, disperata, della decadenza di una famiglia nobile, pubblicato negli anni 1873-74, decantazione artistica della Storia di una città (1870) in cui aveva narrato, in chiave di cronaca, la storia di una città nell'arco di un secolo. Gli stessi I Pompadour e le Pompadour e I signori di Taškent (1873) sono da vedere in chiave preparatoria del suo capolavoro, intento com'era l'autore a seguire l'evoluzione della Russia da Stato patriarcale in società borghese. Opere, peraltro, cui manca la corposità, la continuità della narrazione, spesso costituite da quadri dove la saldatura è costituita da un comune personaggio, sempre però vivificati da una satira originalissima. Ammalatosi seriamente nel 1875 Saltykov-Šcedrin si recò in Occidente dove conobbe fra gli altri Turgenev, Flaubert e Zola, maestri del realismo e del naturalismo. Realista egli stesso, tanto da essere considerato il continuatore di Gogol, in effetti Saltykov-Šcedrin trascende sempre l'oggettività e sconfina nel fantastico, nell'iperbolico, nel grottesco. Quella satira che farà esclamare a Turgenev: “Ma questa non è letteratura!”. Saltykov-Šcedrin, che dopo le sue prime prove aveva cominciato a firmare anche con lo pseudonimo Šcedrin, unito poi indissolubilmente al nome vero, aveva fatto della satira una sua maniera di narrare straordinaria, e ne sono testimonianza splendida le Favole (1886). Oggi egli è considerato il maggior scrittore satirico russo, ma la sua fama, costruita anche con le opere minori – tra le quali sono degne di ricordo Il diario di un provinciale (1872), Discorsi benintenzionati (1876), Asilo Monrepos (1879), All'estero (1881) e Piccolezza della vita (1887) –, resta soprattutto legata al calvario dei Golovlëv, opera unitaria, in cui la Russia dolente non solo di Gogol, ma di Dostoevskij, di Turgenev, dei maggiori testimoni di un mondo in agonia, è di nuovo tutta in primo piano con la sua miseria e le sue grandi anime.

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riconosceva nel personaggio. La sua idea sul cammino guida verso il riassetto sociale è, così, utopistico. A sua volta ciò, naturalmente, deriva dall’interpretazione

idealistica della storia, caratteristica della concezione illuminista.

Ma non bisogna trarre la conclusione che l’arte, e in primo luogo quella dei pittori realisti russi, non giochi un suo ruolo nella soluzione dei problemi sociali: chiarendo le vistose contraddizioni della realtà e insieme a queste manifestando nella lotta forze avanzate, formulando ideali democratici, l’arte russa contribuisce alla realizzazione della rivoluzione sociale e la sua forza è aspirare proprio ad arrivare

fino all’origine, al realismo.

Partendo dalla condizione fondamentale sulla natura dell’arte e dell’opera artistica,egli risolve la questione che riguarda la forma realistica nella tappa avanzata

del suo sviluppo, manifestando costantemente il senso determinante dell’arte grandiosa.

L’artista esorta a seguire l’arte del passato e quella a lui contemporanea: la

rappresentazione artistica è sempre perfetta e può avverarsi solo se l’artista si sforza

di protezione né di incoraggiamento, ma io, lettore, di qualcosa ho bisogno. Anzitutto, l’effetto impressionante. Gli scrittori contemporanei non mi avevano ancora mai dato un piccolo spazio così come dei contenuti tanto interessanti; non solo, è di un così grande valore artistico che io non riesco a smettere di meravigliarmi! Il racconto è più di un racconto, è anche un’immane tragedia! Del resto, ciò non è nuovo per Voi, e perciò mi tratterrei dallo scriverVi solo per esprimere la mia meraviglia e ammirazione, ma per porVi una domanda, che è molto importante per me. Potete, naturalmente, non considerare la mia richiesta , se a questa non si può dare risposta. Quell’ordine delle cose che figura nel Vostro racconto risulta, in definitiva, un ordine normale. Lì ci sono il carassio e il luccio. Ammettiamolo, sono sempre pesci, ma tuttavia di due tipi, vale a dire che tra di loro non ci potrà mai essere un punto d’incontro. Dalla prima volta, la differenza nei caratteri si farà così grande, che per nessuno ci sarà mai problema, se un bel giorno il luccio decidesse di non mangiare più il carassio. Ma per gli uomini – la questione è un’altra: sia per quelli che si possono paragonare al carassio; sia per quelli che si rispecchiano nel luccio, con la stessa altezza, la stessa costituzione del corpo, etc... – a parole, per l’uomo non c’è una vana chimera che provvede al miglioramento dei rapporti umani, come per il carassio – la partita, evidentemente, è persa, e si perderà per sempre; oltre che a nessuno sembrerà terribile la sconfitta del carassio, come quella dell’uomo idealista – un orrore senza fine.Ma intanto il Vostro parallelo è così affine e la conclusione opprimente, che mi verrebbe voglia di sapere il Vostro parere, se ciò è possibile. Sarei immancabilmente con Voi, ma non mi fanno uscire, ecco perché mi limito a

scriverVi. E siccome anche Voi siete malato, allora forse riterrete più opportuno scrivere due parole. Non ho una bella considerazione degli uomini, anzi è piuttosto opprimente, ma per giungere a una conclusione del genere, mi manca anche il coraggio, così come so che la perdita di quest’ultima speranza non merita la vita. E anch’io, come uomo – carassio, spero

ancora.* * Dalla lettera a Saltykov – Šcedrin, 21 Novembre 1884

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di rendere l’incarnazione della sua idea nel migliore dei modi: “... non gli scopi tecnici fanno progredire la tecnica, ma il perseguimento dell’incarnazione dell’idea”.

Nei giorni nostri una parte degli artisti pensa che la perfezione della produzione artistica ostacoli la percezione dell’arte di massa, e gli occorre un grande lavoro per chiarire il suo metodo formale affinché l’opera risulti comprensibile allo spettatore. E’ interessante confrontare con quest’ultimo punto di vista il ragionamento di

Kramskoj: “L’uomo riceve l’impressione dell’opera artistica solo attraverso gli occhi. Per inchiodare lo sguardo dello spettatore e richiamare la sua attenzione, è necessaria un’affascinante apparenza: in questo modo, se nel quadro c’è un non so che di persuasivo, penetra nel cuore dell’uomo, altrimenti la pittura non è comprensibile a tutti e spesso rimane nella sfera circoscritta degli amanti, degli intenditori, dei critici o di qualsiasi altro ruolo in cui l’arte pubblica risulta inoperosa”. Così, secondo il pittore, l’eccellenza della forma artistica “è un’affascinante apparenza” ,vale a dire una condizione obbligatoria dell’arte di massa.

Da autentico democratico, egli esprime fiducia per il senso estetico del popolo, dicendo che: “ mai il signore si offenda di ciò che è semplice e non stupido, come la critica d’arte”. Riconoscendo il parere di “migliaia di spettatori”, “supreme autorità di giudizio per l’artista”,egli parla in questi termini: “Chi fra tutti è più difficile

accontentare? Gli uomini che si trovano tra due poli opposti di sviluppo: l’uomo semplice ma intelligente e il luminare”.

Nel concetto di “ uomo semplice ma intelligente” si manifesta la sua profonda fiducia per il senso estetico, compreso nella stessa natura umana, corrotto dalla borghesia ignorante e dalla ricercata perfezione della persona illuminata. Tale è il suo atteggiamento riguardo alla questione del rapporto fra idea e forma nell’arte in

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generale; perciò i suoi sforzi si concentrano sull’elaborazione di questo problema a proposito dell’arte a lui contemporanea. Per lui il suo secolo è soprattutto un secolo “di conoscenza e di convinzione”, quindi la prima esigenza che si presenta nell’arte contemporanea è l’attività creativa concepita non in rapporto alla comprensione intuitiva della realtà, capace di far fallire il pittore, ma in rapporto alla conoscenza scientifica delle imparziali leggi della natura.

In queste parole è espresso il monito contro il soggettivismo, contro l’atteggiamento arbitrario nei confronti della natura, che conduce l’artista all’identificazione con il suo punto di vista distorto. Egli presta molta attenzione al problema che

concerne la perfezione dell’arte e imposta la sua soluzione secondo il tipo di percezione che ha l’uomo contemporaneo. In termini scherzosi dice: “Vorrei

soddisfare una mercantessa, che per niente non vorrebbe vedere sotto il naso Il “Nero”. Cos’è questo “nero”, che non vuole vedere la mercantessa? In concreto è la

rappresentazione dell’ombra, e, nello stesso tempo, la percezione della tinta di colore nero come chiazza. Per principio, questa è la franchezza del procedimento artistico.

La perfezione del procedimento artistico deve racchiudersi nell’impalpabilità del procedimento, realizzazione completa di tutti gli elementi della forma e

contemporaneamente trasmissione del finissimo passaggio plastico e

coloristico in forme realistiche. “Cosa occorre adesso, per non dire cose risapute? Non solo la mente occupa una posizione di rilievo, ma non deve anche farsi notare”,“...più è vicino alla verità, alla natura, più è impercettibile il colore”.

Egli ripete in continuazione che l’uomo contemporaneo è diverso da un modello coerente, da quegli “ingenui giganti” che dipinsero Velazquez e Rubens: ricordiamo

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ancora una volta che la sua è un’epoca di rottura con i vecchi principi e che questa crisi tocca l’animo umano; nella coscienza del pittore s’instaura un processo di

sopravvalutazione di tutto ciò che pare incrollabile, che “ritorna” e che “è limitato”, come se il conflitto interiore dell’uomo lo portasse definitivamente ad intraprendere la strada del dubbio e dell’esitazione. Egli vuole trasmettere e percepire non decisione, ma lavoro di coscienza.

Sull’impostazione di tale questione psicologica egli è straordinariamente vicino a Tolstoj, personalità determinante per lo sviluppo generale del realismo russo in quel periodo: Černyševskij 3: definisce l’originalità dello psicologismo di Tolstoj “la dialettica dell’animo umano”. Ciò si può dire sia per lo psicologismo dell’arte

figurativa russa di questo tempo, stabilita teoricamente da Kramskoj, sia brillantemente personificata nella sua opera. Alla luce del problema, impostato in questo senso, deve cominciare a diventare chiara la ricerca della forma, capace di trasmettere la

delicatissima fase di transizione, “la minima deviazione del piano di rilievo”, del semitono nel luminismo e nel colorismo.

Nell’organizzazione del suo pensiero estetico, occupa un posto importantissimo la

questione sull’ideale dell’arte contemporanea: il senso estetico dell’Europa si sviluppa in

3 Nacque nel 1828 a Saratov, una triste e povera città della provincia contadina, nella famiglia di un prete ortodosso membro

del concistoro. Il regime di servitù della gleba, l'oscurantismo religioso e l'arretratezza culturale erano le caratteristiche principali del mondo contadino di Saratov. Tuttavia l'ambiente familiare (il padre uomo di cultura aperta, la madre interessata all'arte) stimolò la sua crescita culturale e la consapevolezza delle contraddizioni sociali della Russia zarista e della condizione dei contadini..Lasciata la città paterna nel 1848, frequentò l'università di San Pietroburgo, dove si laureò nel 1850. Tornato a Saratov, insegnò al locale ginnasio e si sposò con Ol'ga Vasil'eva, sua compagna di vita e di lotta. Successivamente visse a Pietroburgo dal 1853 al 1862, dove fu editore del giornale "Sovremennik" ("Il Contemporaneo"), sul quale pubblicò gran parte della sua produzione filosofica, di critica letteraria e politica. La lotta politica per

l'avanzamento della democrazia in Russia occupava un ruolo centrale nel Contemporaneo. Il giornale criticò radicalmente i progetti di riforma contadina del governo, fino a tacere deliberatamente sulla riforma del 1861, in cui i contadini erano nominalmente liberati dal giogo della servitù della gleba senza ottenere il possesso della terra. In questo modo, Černyševskij implicitamente indicava come unica via d'uscita quella della rivoluzione contadina.Nel 1861 fondò la società rivoluzionaria segreta "Zemlja i Volja" ("Terra e Libertà"). Nel 1862 il giornale Il Contemporaneo fu sottoposto a censura, e nel luglio dello stesso anno, Nikolaj Černyševskij viene arrestato senza motivazione legale e rinchiuso nella fortezza di Pietro e Paolo: incarcerato a 34 anni, sarà liberato, dopo la prigionia e l'esilio in Siberia, solo poco prima della morte, nel 1888.

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quel tempo nel trionfo del vivere borghese, propenso a diventare l’inconfutabile norma del vivere umano; ciò contribuisce alla stabilizzazione dei rapporti borghesi, sui quali si è già detto sopra.

Un’altra cosa che è già stata affrontata è la realtà russa, che penetra con il pathos della lotta di liberazione, generata dall’eroismo e dagli eroi: negando l’ideale come espressione del bello, “non evidente fra gli uomini”, egli è estraneo alla negazione dell’ideale generale.

Da democratico, egli sostiene ciò che ama e vuole il popolo:“da quanto so di quella parte di popolo che conosco (e di cui io faccio parte), questo è ciò che vuole: racconti eroici, e nient’altro”; perciò questi racconti non devono essere inventati, ma basati su eroi autentici. La loro autenticità è la dimostrazione “ dell’esistenza reale della loro onestà e della loro schiettezza nel trionfo della verità”.

Quella della perfezione della creazione artistica ha rappresentato finora una delle questioni più discusse dell’arte sovietica, perciò sarebbe particolarmente interessante ricordare l’esatta definizione di limite di perfezione, dato da Kramskoj: “Osservando da molti anni compositori, pittori e architetti, so che in generale sbagliano quando, raggiunto il senso, la massima espressione, di solito pensano che è possibile ancora migliorare. E’questo appunto il concetto ed è un errore. Il concetto psicologico è tale che, se una volta la forma in questione manifesta il problema, ogni altra sarà solo peggiore [...] Se, attraverso il disegno e la lavorazione dettagliata, diventa in genere leggermente (e sottolineo: leggermente!) migliore, non sarà peggiore,ma maggiore, Dio me ne guardi!”

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quadro di Kostandi “Gli uomini”4: “Non per controbattere, nella vita quei nasi lasciano profondamente a desiderare, ma nel quadro sono addirittura sospetti”.

Il ruolo di Kramskoj è importante non solo come teorico dell’arte, ma anche come critico degli avvenimenti artistici a lui contemporanei: fissando il corso dello sviluppo dell’arte russa a lui contemporanea, egli, con la stessa attenzione, segue il cammino dello sviluppo dell’arte in Europa, soprattutto in Francia, poiché, in quel periodo, Parigi è il centro attivo dell’arte in Europa. Sarebbe errato pensare che egli si accosti all’arte europea solo Dal punto di vista del suo superamento, anzi: tutte le lettere riguardo alle mostre che ha visto, senz’altro mantengono il pensiero su “a cosa corrisponde imparare”.

Egli riconosce la necessità per l’arte russa di uscire alla luce, così esclama: “Come fare per non perdere lungo il cammino il pregio più prezioso dell’artista, il cuore?” Ma è proprio nell’arte europea che egli non scorge il cuore e a questo proposito scrive: “Magari Patti5 ha il cuore? Ma perché, quando l’arte della borghesia consiste proprio nella negazione di questo pezzo di carne: ostacola il guadagno; è scomodo togliere di dosso la camicia al povero per mezzo delle truffe borghesi”.

Così, egli collega il carattere dell’arte contemporanea europea con la sua natura borghese, prendendo come riferimento il famoso artista spagnolo Fortuny6:

4 Pittore ucraino (Dofinovka, Odessa, 1852 - Odessa 1921), autore di quadri di genere (Dall'amico malato, 1884), di

paesaggi, soprattutto dei dintorni di Odessa, e di ritratti; membro del gruppo degli Ambulanti, accademico dal 1907.

5 Soprano italiana (Madrid, 19 settembre 1843 - Brecock 27 settembre 1919). Prototipo di Prima Donna, fu considerata la

cantante più brillante del suo tempo.

6 Fortuny nacque nel 1838 a Reus, in Catalogna, da una famiglia di modeste origini. All’età di dodici anni rimase orfano di

madre e venne assegnato alla tutela del nonno. Quest’ultimo riconobbe immediatamente le capacità artistiche del nipote e gli fece frequentare la scuola di Domènec Soberano. Due anni dopo, nel 1852, quando si trasferì a Barcellona, Fortuny fu subito notato per la propria abilità manuale ed ottenne così una borsa di studio che gli permise di frequentare la Scuola di Belle Arti. Grazie ad un ulteriore finanziamento poté terminare gli studi a Roma, dove giunse nel 1858.Qui strinse amicizia con il pittore romano Attilio Simonetti (1843-1925) con il quale viaggiò a Napoli ed entrò in contatto con l'ambiente pittorico napoletano. Simonetti divenne suo allievo e divise con lui lo studio in Via Flaminia.Quando nel 1860 scoppiò la guerra ispano-marocchina, le autorità di Barcellona incaricarono Fortuny di recarsi in Marocco per immortalare le scene delle battaglie; risalgono a questo periodo numerose opere di ottima fattura, tra cui La battaglia di Tetuán. Nei mesi marocchini Fortuny rimase fortemente influenzato dalla vivacità cromatica dei colori africani, al punto che fece ritorno a Tangeri per altre tre volte: la predilezione per i soggetti orientaleggianti lo avrebbe accompagnato per tutto il resto della sua vita.Di ritorno dall’Africa Fortuny fece poi tappa a Parigi (dove trasse ispirazione dalle opere di Delacroix) e quindi a

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“A volte la massa dei borghesi non può ricordare il suo nome più di una volta...eppure egli... è il loro portavoce”.

E’possibile comprendere cosa vuol dire Kramskoj dalle sue seguenti parole: “Non c’è persona che ha degli scopi sull’arte da portare avanti... ma dove sono? Non

credete più a questi. E’ meglio! Le opinioni dominanti, ovvero la loro assenza, è elevata a principio..”

In mancanza degli ideali comuni l’arte si chiude nell’ambito dei suoi obiettivi

professionali e tutti i suoi sforzi si concentrano nel raggiungimento del virtuosismo: gradualmente il ruolo dell’arte si riduce alla funzione di puro svago, decorazione, che accontenta il gusto del borghese.

Nel corso dell’arte europea comincia il periodo in cui, “tutti diventano uomini illuminati, perfino i maiali, in qualità d’illuminati, ritengono che il loro parere sia straordinariamente saggio e sono tutti obbligati ad accettarlo, non si può essere da meno, sebbene uno sia al corrente anche degli altri”.

I gusti borghesi, ovvero “la voce dell’aurea mediocrità”, come la definisce il pittore, si prendono il potere nei confronti dell’arte: così accade che un talento come Fortuny si riveli, senza averlo previsto, portavoce dei gusti della borghesia, che può anche non sapere il suo nome.

Tale è, fatte poche eccezioni, l’arte che si presenta alle mostre del Salone parigino. Giustamente Kramskoj rileva in quest’arte, che travisiamo in bellezza accademica, la

Roma. A questo secondo soggiorno romano risalgono la sua opera più celebre, La Vicaría, nonché una serie di piccoli oli ed acquerelli che dimostrano il suo valore di miniaturista così come la sua eccezionale maestria nella tecnica e nella

modulazione del colore. Gli entusiastici commenti di Théophile Gautier ("Fortuny come acquafortista eguaglia Goya e si avvicina a Rembrandt") gli procurarono in breve tempo fama internazionale.Fortuny sposò Cecilia de Madrazo, figlia di Federico de Madrazo, direttore del Museo del Prado, e negli anni successivi si spostò per mezza Europa, vivendo prima a Parigi (1870), poi due anni a Granada e infine a Roma. Dopo alcuni brevi viaggi a Parigi, Londra e Napoli, Fortuny morì a Roma il 21 novembre 1874 all’età di 36 anni, in seguito ad una febbre malarica contratta durante il suo soggiorno

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“sfrontatezza” del rilievo e del colore, guarda con desolazione agli entusiasmi nei confronti di quest’arte da quattro soldi, che è molto simile ai grandi monumenti del passato. Egli scrive a proposito del Salone sulla mutata condizione dell’innovazione artistica in un unico stimolo, come dall’arena di una lotta concreta tra artisti.

Ed ecco che, nella stessa corrente artistica europea, nasce un movimento che si contrappone al Salone:l’ “impressionismo“, o, come lo chiama il pittore,

“Impressionalismo”, vede la luce. Forse è sbagliato affermare che Kramskoj, senza tanti preamboli, tratti negativamente del nuovo movimento, anzi, inizialmente vi scorge qualcosa di vivo, che resiste alla routine salone – accademica.

Nell’arte russa egli vi osserva una situazione completamente diversa: qui vi vede, contrariamente all’anarchia e alla competizione, che caratterizzano la vita in Europa, “un gruppo di uomini che operano contemporaneamente e che professano gli stessi principi” per questo egli scorge negli artisti russi il sincero interesse per la realtà, il desiderio di esprimere nell’opera il proprio atteggiamento verso di essa, e prende corpo in lui come “tendenziosità”. Il pittore scopre la peculiarità dell’arte russa, in nome degli artisti russi, “ per rendere il quadro tendenzioso non tendenzioso”.

Il criterio del pubblico russo, con la coscienza non ancora corrotta, nella quale persiste un briciolo di sano ideale, lo obbliga a cercare “la piena manifestazione di tale

ideale” nell’arte, creando lo stimolo per lo sviluppo dell’arte in Russia, che corrisponde effettivamente alle nobili aspirazioni dell’uomo.

Così, secondo il pittore, l’arte russa, che si manifesta con molta cautela, e nonostante ciò è sufficientemente chiara, ha tutti i requisiti per diventare la continuatrice della grande tradizione del passato nel XIX°secolo.

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““L’inferno” dantesco è senza dubbio importante in poesia, ma anche “Le anime morte” di Gogol’ non è da meno”.

Al pragmatismo dell’arte europea , basandosi sull’esperienza dell’arte

russa,egli contrappone l’idea della poesia contemporanea come poesia “concetto, nobile slancio e sdegno per il male”. Il pittore è profondamente convinto che l’arte russa stia affrontando un giusto percorso, che porterà inevitabilmente alla sua fioritura, non lo turba che per il momento “gli artisti russi dipingono con freddezza, troppo

dettagliatamente, la loro mano è impacciata”,e che essi “sono assolutamente incapaci con il colore, sono proporzionati con i loro modelli” etc..etc…; tuttavia con quale gioia, senza invidia, loda il successo di ogni artista russo, ogni notevole avanzamento della “scuola” !

Lo slancio sociale, che passa sotto il segno del democratismo d’umile estrazione e che si fonda in Russia dalle più favorevoli condizioni per lo sviluppo dell’arte, in

condizioni di grande pathos ideologico, culminando verso gli inizi degli anni ’80, termina dopo la sconfitta del populismo da parte dello zarismo: il crollo

organizzativo comporta il disincanto sociale negli ideali del populismo, il terrore e l’oppressione della reazione politica provocano un calo dello slancio, ripercuotendosi anche nell’arte russa e facendo disperdere gradualmente i membri dei pittori ambulanti. Non capendone il vero motivo, Kramskoj soffre per questi cambiamenti così difficili, arriva a pensare ad una riconciliazione con l’Accademia, si spinge alla ricerca del cammino verso la salvaguardia dell’idea nella parola stampata, che anima la Società. Ma anche in questo suo momento difficile egli non abbandona la convinzione che la fioritura dell’arte russa, a cui si è dedicato una vita intera, è solo rimandata, che egli è ancora in testa.

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Il suo sogno unisce la futura fioritura dell’arte russa con l’arrivo di quel

momento nella storia dell’umanità in cui “conclusosi inevitabilmente il periodo di transizione,in fin dei conti si arriverebbe a quella organizzazione che un tempo era, dicono, in terra, la preistoria, dove gli artisti e i poeti erano uomini, come gli uccelli che cantano per il puro gusto di cantare [...] solo a queste normali condizioni l’arte diventerà autentica e pura, e verranno concepite creazioni che le tradizioni nazionali attribuiranno a Dio, talmente sono belle, pure e impeccabili nella forma”.

Molte questioni sull’opera artistica, che animavano gli animi al tempo di Kramskoj, non perdono ancora oggi la propria attualità. I suoi enunciati sono interessanti non solo dal punto di vista dello studio dell’arte del passato, ma anche da quello degli interessi dell’arte del nostro tempo.

La sua corrispondenza è la più ricca miniera sul pensiero dell’arte: in questa

è racchiusa la sua argomentazione democratica e realistica, la più concreta nell’opera dei pittori realisti.

1.1 KRAMSKOJ E LE SUE OPERE Più IMPORTANTI

“Sono nato il 27 maggio 1837 nella cittadina di Voronež Ostrogožsk, da genitori

appartenenti alla piccola borghesia locale. Quando avevo 12 anni morì mio padre, ma di lui ricordo solo che era molto severo. Se non sbaglio, egli lavorava nel consiglio

comunale come giornalista; invece mio nonno, da quello che so, era un militare rinomato, e pare che abbia fatto anche lo scrivano in Ucraina. Dei miei avi non ricordo più niente. Vedete, loro sono talmente antichi, come qualsiasi nobile del resto. I primi tempi studiavo presso un vicino alfabeta, in seguito sono andato alla scuola di paese, dove ho conseguito il diploma con i massimi voti e diverse lodi [...],

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insomma,ero un allievo modello.

[...] All’età di 12 anni, siccome ero ancora troppo piccolo, mia madre mi ha fatto ripetere l’ultimo anno, e poi mi hanno rilasciato il diploma sopra citato [...]. Come vedete, la mia cultura è molto vasta. Non potendo frequentare il ginnasio per ragioni economiche, sono rimasto nel mio paese e ho cominciato ad esercitarmi con la calligrafia nel consiglio comunale, dove al posto di mio padre è subentrato mio fratello maggiore [...]. In seguito ho lavorato per un po’ di tempo presso un geometra. All’età di 16 anni, il caso mi ha dato la possibilità di abbandonare il consiglio comunale per seguire un fotografo, venuto nel nostro paese in occasione del raduno dell’esercito e delle parate, del cambio delle sentinelle e delle esercitazioni. Con questo fotografo ho girato buona metà della Russia in 3 anni, come ritoccatore e acquerellista.Volevo assimilare tutto quello che potevo apprendere, e per questo leggevo molto.

A 20 anni sono andato a S. Pietroburgo e nel 1857 sono entrato nell’Accademia, per andarmene nel 1863 con altri 14 uomini, rinunciando ad un grande concorso [...].

Ancora allievo dell’ Accademia, nel 1863 ho eseguito 50 disegni al professor Markov per la cupola nella Basilica del Salvatore a Mosca e 8 cartoni di grandezza naturale. Poi, uscito dall’Accademia, per un anno e mezzo ho dipinto per la stessa cupola. E ritratti, sia a matita, sia a colori, di quello che mi circondava. Dove e perché solo ritratti, non lo so e non ricordo, perché io, come uomo russo a questo riguardo sono un buono a nulla. [...] La mia storia sarebbe incompleta, se non aggiungessi che non ho mai invidiato così nessuno come l’uomo istruito. Prima avevo persino un pauroso senso d’inferiorità davanti un qualsiasi studente universitario”.

Dalla lettera a A.K. Šeller – Michailov 1880

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LA DIFFICOLTA' DELL'OPERA

“Penso ai sogni giovanili dell'Accademia, degli artisti, come se tutto ciò fosse perfetto! Sin da bambino e poi da ragazzo provavo l'impulso di continuare a imparare e di perfezionarmi a insegnare... Ma la realtà, aspra, volgare, autentica, non mi dava la possibilità di maturare in modo giusto, tuttavia appassendo crescevo e imparavo. Cosa? Lo sapete; facevo qualcosa nel dormiveglia, a tentoni. E improvvisamente, un istinto si risvegliò...il 9 novembre del '63, quando 14 uomini rinnegarono il programma. Fu l'unico fantastico giorno della mia vita vissuto bene e onestamente! Ricordo quel giorno con chiarezza e felicità. E svegliatomi dall'intorpidimento, ero pronto per l'arte! Io amo l'arte, e la amo ancora, Voi lo sapete. Più del partito, più dei fratelli e delle sorelle! Che fare - a ciascuno il proprio. Ed ecco che passarono lunghi anni faticosi e poco produttivi. Tutto quello che ho seminato non ha mai dato frutto. Non lo sapevo allora e non lo so

adesso...Che cosa ho imparato? La scuola provinciale toccò il mio animo a malapena, perchè con quell'istruzione non andavi lontano...Qualsiasi soggetto, qualsiasi

idea, qualsiasi quadro furono interamente distrutti da un'analisi spietata. Come l'acido che si discioglie, l'analisi mentale mi penetrava...e l'assorbii, sembra, completamente.”

Dalla lettera a I.E.Repin. 6 gennaio 1874

Nel 1857 Kramskoj entra nell’Accademia degli artisti per apprendere la grande arte del

passato,ma presto sente l’istituzione imperiale come un giogo che sopprime la sua personalità. Nella coscienza del pittore matura la protesta contro l’oppressione accademica, che limita la libera espressione della sua creatività, e che lo obbliga ad

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imitare quadri famosi di soggetto storico o mitologico.

Ecco perchè in un giorno importante per l'arte russa – il 9 novembre 1863 – Kramskoj fa uscire dall’Accademia 14 giovani artisti, e li prepara a concorrere a una gara che

inaugurerà, accanto all’arte ufficiale, lo sviluppo in Russia di “un’arte particolare e, insieme, democratica”.Capeggiando una gioventù democratica di pittori il 9 novembre 1863, egli si prende la responsabilità del futuro destino dell’arte russa.

Da quest'unione nasce come embrione la "Cooperativa degli Artisti" di S.Pietroburgo, organizzata a immagine e somiglianza dell'atelier di Vera Pavlova.(dal romanzo di Černyševskij "Che fare?"7e pronta a maturare in seguito l’idea di un'associazione che promuove mostre di pittura ambulanti.

Lo scopo principale dell'unione è lo sviluppo dell'arte, democratica non solo nella forma dell'organizzazione, ma anche come ideologia, provocando un impulso vitale verso la critica. Se la critica è effettivamente l’espressione del bisogno estetico della società, il Pittore deve possedere una bussola che gli indichi l’esatta direzione della creazione artistica; in altre parole, in quel periodo Kramskoj crede che solo con la liberazione della Critica democratica si può scagionare la coscienza sociale dalle fossilizzate idee

estetiche. In questo modo, la critica contribuirebbe al trionfo dell’arte democratica e realistica. Nelle sue lettere ai pittori, egli anela a cambiare la critica assente, dotarla di un suo filo conduttore contemporaneo nell’opera artistica.

7 “Verso la metà del terzo anno, le ragazze capirono che proprio dal carattere collettivo del laboratorio dipendeva la loro

partecipazione agli utili, e che il carattere della sartoria, il suo spirito e ordinamento, consisteva nell'armonia delle volontà, realizzata col concorso di ogni individualità: il tacito consenso della più timida o della meno dotata non era meno utile al rafforzamento e allo sviluppo della sartoria dell'attiva partecipazione della più audace o della più dotata.Trascuro molti particolari, perchè non descrivo la sartoria e ne parlo solo nella misura in cui è necessario per illustrare l'attività di Vera Pavlova. Se ricordo qualche dettaglio, lo faccio solo perchè risulti evidente come si sia comportata Vera Pavlova e come abbia guidato l'impresa passo passo, con costanza e fermezza, come rigidamente abbia rispettato la regola che si era

imposta: non comandare, ma consigliare, spiegare, offrire la propria collaborazione, aiutare tutte le compagne. “("Che fare?" Descrizione dell'atelier di Vera Pavlova, pag. 179)

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“Oh! Come amo la pittura! Amata pittura! Morirei, se non ti capissi tanto quanto nelle Mie possibilità. Spesso, incontrandomi con un uomo, provo la sensazione di non parlare la sua stessa lingua! Ma davanti alla parola: “dipinge”, o “ama l’arte” – perdo

completamente questo sentimento negativo, e nell’animo, rispettandolo, mi rapporto a egli, e fortemente! ... Mi rapporto a lui poiché è l’unico che ama la pittura, lo stimo nel profondo perché egli rispetta quest’arte grandiosa e raffinata, lo amo e gli sono affine perché non la respinge, perché comprende la forza della pittura, senza la quale il mio mondo interiore non può esistere. Pittura!

Sono pronto a ripetere questa parola fino all’infinito, su di me ha un forte ascendente; questa parola – è la mia scintilla estetica, alla sua pronuncia io provo tutto un tumulto interiore.

Parlando della pittura io mi entusiasmo al massimo. In questo periodo questa occupa completamente tutto il mio essere – tutte le mie capacità intellettuali, in una parola, tutto me stesso”.

Dal diario giovanile di I.N.Kramskoj, 1853 - 1854

Uno dei punti chiave della teoria estetica di Kramskoj riguarda le opportunità pratiche

dell’arte di risolvere l’ardua e importante questione di spiegare il complesso mondo dell’animo umano. In questo il punto chiave tra i generi artistici deve spettare al quadro, poiché attraverso di esso si può conoscere meglio l’uomo, il rapporto che ha nei

confronti dell’ambiente circostante, del prossimo, dell’umanità in generale.

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diversi fino a un certo punto. Certi sono, come dire, obiettivi, osservano i fenomeni della vita e li riproducono scrupolosamente; gli altri sono soggettivi. Questi ultimi si creano le proprie simpatie e antipatie, che si ancorano fortemente nel profondo del cuore, sulla base della vita e dell’esperienza.Vedete, ciò che è preso da un modello prestabilito, non è importante. Io, sinceramente, preferisco i secondi.”

Dalla lettera a V.M.Garšin8 16 febbraio 1878

La visione dell’arte di Kramskoj è piuttosto complessa: egli è un fiero nemico dell’accademismo, e ritiene che l’imitazione pedissequa degli obiettivi creativi per esempio, di Raffaello, siano deleteri per l’arte. L’originalità della sua posizione estetica consiste nel fatto che per lui mai si può paragonare Raffaello a Poussin: Raffaello è un genio, Poussin solamente un suo imitatore.

Raffaello, così come Tiziano, Rubens, Rembrandt, i maestri antichi creatori della “Venere di Milo”, del busto di Giove o de l’”Apollo del Belvedere”, rappresentano per

8 Nato a Dnipropetrovs'k, il padre, un ufficiale dell'esercito russo, si suicidò in sua presenza quando aveva soli sette anni per

il ricordo degli orrori della guerra. Ciò fece di Garšin un convinto pacifista e pertanto fu costretto a malavoglia ad arruolarsi nella fanteria durante la Guerra tra Russi e Turchi del 1877-78. Fu tuttavia ben voluto dagli altri soldati ed ebbe la

protezione di certi ufficiali che gli permisero di tornare a casa dopo essere stato ferito in battaglia in Bulgaria.Le sue esperienze come soldato hanno fornito le basi per i suoi primi racconti, come ad esempio Quattro Giorni (in russo Четыре дня – Četyre dnja). In Quattro Giorni, un monologo più che un racconto vero e proprio, l'autore si basa su un incidente realmente accaduto: un soldato ferito alla spalla sinistra è dato per morto sul campo di battaglia per quattro giorni, duranti i quali rimane faccia a faccia davanti al cadavere di un soldato turco che aveva ucciso. Garšin dimostra sin dai primi racconti la grande empatia che ha caratterizzato tutta la sua opera.Ebbe un precoce successo letterario, ma non ebbe mai rapporti con altri intellettuali per i continui attacchi di malattia mentale e, si pensa, di epilessia. Disperato, all'età di trentatré anni si suicidò saltando dal suo appartamento al quarto piano.L'opera di Garšin comprende in tutto una ventina di storie, contenute in un unico volume, scritte con tale empatia, come detto, con una tale compassione che qualcuno lo paragonò al grande Dostoevskij. Oltre a Quattro Giorni un altro suo racconto fondamentale è Novel, nel quale narra l'infedeltà di una donna in modo lirico e ironico.In Che cosa è, che cosa non è stato e in Attalea Princeps si assiste all'interessamente dell'autore per la favola, infatti entrambe le opere raccontano il comportamento di piante e animali nelle vicende umane. Invece in Ufficiale e Servo l'autore appare simile a Čechov per l'ambientazione squallida, l'oscurità del significato e per l'eccellente

costruzione.La sua opera più nota è il racconto Il Fiore Rosso, la prima "pazza-storia" della Letteratura russa[1]. In essa Garšin raggiunge il più alto livello di sensibilità morale; essa narra di un pazzo con l'ambizione di sfidare e sconfiggere il male del mondo: egli scopre che tutti i mali sono contenuti in tre papaveri che sono cresciuti nel giardino dell'ospedale, dove risiede; con grande astuzia elude la sorveglianza ospedaliera e li coglie; poi muore per esaurimento nervoso, contento di aver raggiunto il suo scopo. Il clima opprimente dell'ospedale e la morte del pazzo simile a quella di un martire sono descritte con grande abilità da Garšin ma anche con un po' di malevola ironia.

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Per lui le più alte vette dell’arte passata, continua fonte di stupore e ammirazione. Ma, assieme alla sua ammirazione, egli è ben consapevole che copiare il passato non è la strada giusta per creare una nuova grandiosa concezione dell’arte. Nel suo articolo “Sguardo sulla pittura storica” egli enuncia che: “Sebbene con rammarico e tristezza, il pittore rinuncia alle opere degli antichi e sacrifica l’amor proprio al servizio della collettività; e poiché la bellezza eterna, venerata dagli antichi, si realizza invisibilmente tra gli uomini, l’audace spirito indagatore con l’adorazione di sé mentono; mentono alle religioni, mentono alle culture, e non portano a niente”. In altre parole: l’arte, desiderosa di rappresentare le opinioni dell’uomo contemporaneo, deve superare il terreno delle idee religiose e mitologiche per arrivare alla realtà della conoscenza. Ciò vuol dire che l’arte, impostata sulla base del realismo, deve rinunciare alle aspirazioni ideali, e sottomettersi alla prosa reale e quotidiana.

Il pittore evidenzia questa problematica anche nell’articolo menzionato: “Ma allora dove si collocano gli ideali, se non su un piedistallo?” "[...] A questa domanda risponde il pittore, fedele agli ideali e che vive pienamente la sua esistenza, il pittore, che

comincia a farsi sentire con la lingua del mondo, comprensibile a tutti i popoli, nell’attuale rivoluzione e nell’ultima era del mondo – l’era della conoscenza e della

convinzione...”.

La vera vocazione dell’arte, secondo il suo punto di vista, si manifesta nella conoscenza dell’universo spirituale e interiore dell’uomo.

La spiritualità umana – è il miglior strumento conoscitivo dell’arte, e soprattutto è soggetta alla sua influenza. Avendo il potere di creare idee concrete, essa, a differenza delle altre forme di conoscenza, è capace di avvicinarsi all’essere umano nella

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convincente alle idee, grandiose nelle immagini viventi e concrete.

“Voi, sinceramente, avete notato in me l’incapacità di occuparmi degli schizzi? Ciò può essere veramente strano, ma, sebbene abbia provato, proprio non ci riesco. Io dipingo ritratti – nella mia mente è già chiara la scena con tutti i suoi elementi e il suo impianto, e io devo riprodurla”.

Dalla lettera a Repin. 16 febbraio 1878

Il quadro, secondo Kramskoj, possiede un vantaggio rispetto al ritratto (da intendersi nel

suo stretto significato, al quale mai corrispondono i ritratti dello stesso pittore), che in nessun caso può risultare un semplice calco dalla natura. Questo esige dall’artista il rapporto concentrato con la realtà e, a questo riguardo,il quadro deve saper dare una chiave d'interpretazione comune alle impressioni sparse dalla vita. Con questo processo sorge la possibilità non di una creazione frammentaria, ma di un’immagine globale, adeguata all’integrità del fenomeno rappresentato.

Alla domanda riguardo al tipo di quadro, egli risponde: “E’ la rappresentazione di un fatto reale o dell’ispirazione dell’artista, nella quale una cosa racchiude tutte, affinché l’osservatore capisca di cosa si tratta”.

Interpretando così la funzione del quadro, egli nega ovviamente lo studio inteso come opera indipendente, anzi: pretende dall’artista un’opera completa in modo che, riprodotta nella tela, l’immagine sia comprensibile “con qualsiasi cosa nata dalla sua anima”. La chiarezza del significato interiore dell’opera esige la combinazione armoniosa con il carattere esteriore dell’immagine, ciò vuol dire che l’artista, da una moltitudine di forme proposte alla sua realtà, deve togliere quelle che esprimono più pienamente una data

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idea, un dato argomento.

A questo riguardo è esemplare la lettera di Kramskoj all'artista Vasilev9, dove descrive all'amico il progetto del quadro "Visita al rudere", dove pone l'accento sul fatto che solo l’idea, prima di dare un significato alla creazione artistica, deve nascere nella mente dell’artista con chiarezza plastica. “La concezione artistica di plastico – è

particolarmente speciale - scrive. – E se c’è la mano di una mente divina, dotata di capire tali concetti, allora l’uomo che possiede la stessa facoltà, può diventare solo e immancabilmente un’artista!...”

"VISITA AL RUDERE"

"Ho iniziato un nuovo quadro, di cui, mi pare, Vi ho già parlato. Il soggetto rappresentato è un vecchio aristocratico, scapolo, che si reca al suo podere di famiglia dopo molto tempo, e lo trova in rovina: il tetto è crollato in un punto, muffa e ragnatele dappertutto, sulle pareti una serie di ritratti degli antenati. Lo sostengono nel cammino due figure femminili straniere dall'aspetto sospetto. Accanto a lui un acquirente - un pingue mercante. Il maggiordomo del rudere sta informando il compratore che quello era il nonno del suo padrone, e quella la nonna, e l'altro tal dei tali etc etc..., ma egli non lo ascolta e osserva interessato,invece, il tetto, e la vista che offre, di gran lunga più interessante. Tutto il corteo si arresta, perchè il vecchio proprietario terriero non riesce ad aprire la stanza seguente.

I miei amici più cari dicono che è un soggetto interessante. Non so ancora cosa ne uscirà

9 Vasil´ev, Fëdor Aleksandrovič. - Pittore (Gatčina, presso Pietroburgo, 1850 - Jalta 1873). Allievo di I. I. Šiškin, dipinse

paesaggi, notevoli per l'armonia dei colori, ispirati soprattutto a un viaggio sul Volga, fatto con I. E. Repin e E. K. Makarov, e alla Crimea, dove trascorse gli ultimi anni di vita ammalato di tubercolosi (Il disgelo, 1871, e Nei monti della Crimea, 1873, galleria Tret´jakov, Mosca). Di grande intensità sono i disegni e gli acquerelli, conservati in parte nel Museo russo di San Pietroburgo.

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fuori, sebbene so, che tipo di quadro dovrà essere."

Dalla lettera a F.A.Vasil’ev 18 agosto 1873

CRISTO NEL DESERTO

“A causa di una serie d’impressioni spesso ho lasciato andare la mia gravosa percezione della vita. Credo vivamente, che nella vita di ogni uomo arrivi il momento creato a immagine e somiglianza di dio, quando s’imbatte nella riflessione – che lo incamminerà verso il bene o verso il male... Sappiamo tutti, che una simile esitazione finisce per forza di abitudine.

Ampliando poi il pensiero, abbracciando l’intera umanità, io, per esperienza, per il mio piccolo essere originale [...], posso indovinare quale terribile dramma si sta sviluppando nel periodo delle crisi storiche. Ed ecco che ho la spaventosa necessità di raccontare al prossimo quello che penso. Ma cosa dire? In che modo posso essere comprensibile? Per le sue caratteristiche naturali la lingua degli antichi egizi per me è la più facile da capire. E allora io, una volta, particolarmente occupato a passeggiare, lavorare, riposare, etc.etc., improvvisamente ho visto una figura seduta in profonda meditazione. Ho iniziato a scrutarla molto attentamente, ad andarle vicino, e durante tutto il tempo della mia osservazione (molto lungo), questa non si è mossa, non mi ha notato. La sua riflessione era così seria e profonda, che l’ho obbligata costantemente in un’unica posa. Sedeva così, quando il sole era ancora davanti a lei, sedeva stanca, estenuata, inizialmente portava gli occhi al sole, poi non si è accorta della notte, e all’alba, quando il sole cominciava a sorgere dietro di lei, continuava a sedere immobile. Ed è

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sotto l’influenza di un’iniziale freddo mattutino, si è istintivamente raggomitolata su se stessa, solo quello, del resto; le sue labbra erano aride, si chiudevano in un lungo silenzio, e solo gli occhi palesavano un lavorio interiore; sebbene nessuno la notasse, di tanto in tanto aggrottava le sopracciglia – quando si ricordava di una cosa o dell’altra. Mi era chiaro che questa era occupata a risolvere una questione talmente importante, che era insensibile alla terribile stanchezza fisica.

Sembrava invecchiata di dieci anni, tuttavia io ho indovinato, che ciò derivava da quel tipo di carattere che, avendo la forza di distruggere tutto, dotato del potere di

sottomettere a sé tutto il mondo, decideva di non fare ciò a cui lo richiamavano le inclinazioni naturali. Ed ero sicuro, perché percepivo che finché non avesse preso una decisione, non si sarebbe abbattuta. Chi era costui? Non lo so. Con tutta probabilità, un’allucinazione; e bisogna pensare che non l’ho vista realmente. Mi sembrava che questo fosse il modo migliore per esprimere ciò che volevo dire. E

allora, non avevo bisogno d’inventare nessuno, mi sono solo sforzato di ritrarre. Alla mia opera ultimata ho dato un titolo audace. Ma se potevo dipingerla allora, quando l’ho vista, potevo affermare che era veramente Cristo? Non so. E poi, come descriverlo? Avendo incontrato questa persona per caso,e avendola scrutata attentamente, a tal punto ho provato una quiete, che la mia questione esistenziale si era risolta. Io già sapevo oltre: si, l'avevo risolta. E non mi spaventava affatto l’epilogo a cui sarei giunto. Lo trovavo già naturale, persino inevitabile. E se ciò era naturale, allora non poteva essere uguale? Perfino migliore, perché immaginate la vittoria: tutti lo accolgono, lo ascoltano, egli trionfa! Se solo potrebbe iniziare quella prospettiva in cui l’umanità può sentirsi completa, che dà agli uomini la forza colossale di andare avanti? Io

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rintracciarla.

Allora, non era Cristo. Cioè, non lo so, chi realmente fosse. E’la manifestazione dei miei pensieri.

In che momento? Quello di passaggio. Cosa segue dopo? Il prossimo libro.

Mi perdoni il fatto che io parlo tanto e non dico niente di chiaro. Mi dispiacerebbe molto se tutte queste cose fossero considerate sciocchezze.”

Dalla lettera a V.M. Garšin, 16 Febbraio 1878

IL PROGETTO DEL DIPINTO INCOMPIUTO "GIOISCI, IL RE è

UN GIUDEO!"

“E'assolutamente necessario scrivere ancora "Cristo", per far capire a quella folla, che Ride a squarciagola, con tutta la forza dei loro enormi, bestiali polmoni, che non hanno capito niente.

Infatti immaginatevi: il pazzo si trovava, dicono, dove è salvezza. Egli mandò Me e Io sono suo Figlio. Io lo so quello che Egli vuole, vivete per Me, distribuite i vostri tesori e proseguite il vostro cammino in funzione di Me. Ma mi arrestarono: "Si! Proprio così! Lo sapete che i soldati dicono che io sono il re? Va bene, ma i miei abiti sono quelli di un buffone, non è vero?" Mi travestirono, divulgarono la baggianata sul Sinedrio, tutta la cittadina si affacciò alla porta, si riversò sulla piazza e,vedendo tale spettacolo, tutti, scoppiarono a ridere. E la gloria s'incamminò lungo la luce dei poveri pazzi, che

volevano indicare la via per il regno dei cieli. E piaceva il fatto che fino a quel momento avrebbero potuto sbellicarsi dalle risate senza ritegno. Questo ghigno sguaiato mi

perseguita ormai da tempo. Non si capisce se è triste, o non è triste, che essi ridano.” Dalla lettera a F.A. Vasil’ev 1 Dicembre 1872

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“Ancora una volta mi rivolgerò a Cristo, se vivrò, presumibilmente; e scriverò "Essere o non essere" o qualcosa di simile. Quando egli indosserà la corona di spine,e i grotteschi panni reali, non davanti al popolo ma davanti a Caifa10, e verrà la mente

geniale che lo farà re, molteplici guerre intestine si massacreranno sul suo nome. E'un miracolo. Manderanno a chiamare gli aristocratici - e tutti quelli che si presenteranno alla porta,

all'uscio, a un passo dalle gallerie scoppieranno a ridere...

Ora egli è solo accanto a me, ed è qui con i segni di tutte le nostre debolezze umane, ma poiché egli conosce il suo cammino, nel momento dell'esecuzione sarà tranquillo come una statua e quando il palmo giusto lo colpirà sulle guance, pallido come un cencio. Se noi prendessimo seriamente in considerazione il bene e l'onestà, saremmo in pace l'uno con l'altro, provate a portare la cristianità nella vostra vita, state a sentire le risate che vi circondano. Queste risate ovunque mi perseguitano, in qualsiasi posto io vada io le sento.”

Dalla lettera a A.D. Čirkin 27 dicembre 1873

La domanda che si pone l'artista è: "chi sono i santi, gli eroi, e i paladini del popolo del

tempo attuale e quotidiano che scorre?”. All’epoca di Kramskoj i partigiani del popolo erano i rappresentanti progressisti appartenenti a un’intelligentia di umile origine. Loro sono gli eroi, presenti con il popolo nel duro lavoro, nel patibolo verso la vergognosa colonna, capaci di grandi atti eroici rinunciando alle esigenze personali in nome dei più alti interessi della collettività”. A loro si rivolge il suo pensiero, alla ricerca di un ideale umanistico di modernità. Questo ideale si manifesta nella coscienza del pittore

10 Giuseppe figlio di Caifa (ebraico: יוסף בַּר קַיָּפָא, Yosef Bar Kayafa), meglio noto come Caifa (greco: Καῖάφα;

aramaico: ק!פא; floruit 18-36), fu sommo sacerdote e capo del sinedrio ebraico dal 18 al 36. Ricoprì tale carica ai tempi di Gesù che, secondo il Vangelo di Luca e il Vangelo di Giovanni, fece arrestare e di cui chiese la crocefissione.

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sull’immagine dell’uomo che sa vincere il proprio egocentrismo, portare avanti con sacrificio gli interessi collettivi e le ambiziose aspirazioni, trovando in ciò la propria soddisfazione: in questo modo, il bello prende corpo nella sua coscienza come bellezza etica, come bellezza dell’uomo, interiore e morale.

L’interesse principale per lo sviluppo dell’uomo, “nel potere del carattere generale”, attira costantemente il pittore verso il ritratto, in ogni caso nella sua interpretazione del quadro, che è “necessaria all’osservatore”. Secondo il suo parere riguardo all’arte, spesso egli si esprime con il termine “personificazione dell’astratto”.

“Astratto” come idea, che cura l’immagine artistica, non racchiudendo in sé niente di mistico. “Astratto” è, in sostanza, la conferma di quello che forma per l’artista uno degli essenziali, se non il principale obiettivo dell’arte. “Personificazione” equivale all’incarnazione “dell’astratto”senso dell’opera nel vivo, nel concreto, che ha, a differenza dall’opera ritrattistica, individualista, un significato universale.

Il quadro di Kramskoj “Cristo nel deserto” è la prova della “personificazione

dell’astratto” durante la sua carriera. Egli stesso nega che il viso rappresentato nel quadro sia quello di Cristo. “Non è Cristo” vuol dire, “non è dio” e nemmeno “un

Uomo dio”, ma “l’uomo, L’uomo!”. La scienza moderna compie molti sforzi per dimostrare la reale esistenza di Cristo come personaggio storico e proprio per questo suggerisce gli argomenti a favore della sua origine umana, e non divina, che gli è

necessaria. Se Cristo non fosse un uomo, il dipinto perderebbe il suo significato, poiché, rappresentato in veste di dio, le debolezze, le passioni e le aspirazioni umane gli

sarebbero inaccessibili; allo stesso modo scompare la necessità dell’uomo di lottare con se stesso e di vincere il proprio Ego,Egli è in possesso della realtà storica e con essa del suo valore universale.

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Nel “Cristo” si riflettono i tratti tipici dell’uomo del suo tempo, in cui è

racchiuso il valore imperituro del dipinto. Lo stesso problema, definito dal pittore con il termine “personificazione dell’astratto”, è affine alla nostra interpretazione riguardo alla creazione delle opere tipiche/generalizzate.

Sia che il pittore personifichi il suo “astratto” nell’opera di Cristo o dell’uomo, che sposta il centro della lotta dentro se stesso, sia che proponga l’opera proprio in qualità d’ideale di modernità, si rivela l’utopistico carattere illuminista delle sue idee politico – sociali. “Gli sforzi di qualsiasi individuo su se stesso” – ecco in cosa spera l’artista per risolvere le contraddizioni sociali: e in supporre ciò sbaglia. Ma a quel tempo, per la lotta a favore del “trionfo della verità”, condotta da “un gruppo di eroi”, occorrevano “gli sforzi dell’individuo su stesso”,e ne avevano bisogno proprio per la liberazione della massa popolare.

1.2 Il CARATTERE NAZIONALE DELL’ARTE

“Difendo l’arte nazionale, e penso, che l’arte non possa esprimersi diversamente. Mai e in nessun posto c’è stata arte diversa, ma se esiste come arte, allora è solo in virtù del fatto che si manifesta alla nazione, che sta davanti allo sviluppo universale. E se un bel giorno, nel lontano futuro, la Russia occuperà una posizione fra gli stati, allora la propria arte sarà fortemente nazionale, e diventerà universale. Davvero queste semplici posizioni hanno ancora bisogno di prove? E’ noioso, alla fine, girare intorno a tutte queste verità lapalissiane.”

Dall’articolo “I sentimenti dell’arte russa” [Судбы руссково искусства] 1880

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nazionale. Voi dite, ma universale? Certo, ma essa è universale, poiché si può esprimere solo nella forma nazionale, ma se ci fossero motivi internazionali, allora sarebbero relegati in un’epoca passata, che tutti gli stati difendono allo stesso modo…In breve, finora l’arte si racchiude nella forma, e solo a partire da questa forma difende l’idea.”

Dalla lettera a I.E.Repin. 20 Agosto 1875

“Affinché l’arte sia nazionale, non bisogna occuparsi di essa, occorre solo concederle piena libertà d’espressione. Con la piena libertà d’espressione, la nazionalità sarà una forza spontanea, naturale. Come l’acqua lungo la china manterrà interamente tutte le opere degli artisti di una data stirpe, almeno loro, secondo le loro simpatie personali, sono lontano dai puri motivi popolari.”

Dalla lettera a I.E.Repin. 10 Settembre 1875

ARTE E POPOLO

“Nel ‘57 sono andato a San Pietroburgo come un cucciolo cieco. Nel ‘67 sono cresciuto talmente tanto, da essere pronto ad usare tutti i mezzi, mentre gli altri erano liberi; pensavo, che in ciò si racchiudesse la soluzione a tutti i problemi artistici, l’eliminazione alle anomalie e la crescita felice. Liberi da cosa? Dalla tutela amministrativa,

naturalmente, ma l’artista, tuttavia, ha bisogno d’imparare la

somma ubbidienza e dipendenza dagli istinti e dalle necessità del proprio popolo, e approverò il sentimento interiore e l’integrazione del movimento personale con quello generale.”

Dalla lettera a V.V.Stasov11 21 Luglio 1886

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“… La più grande autorità giudiziaria per gli artisti è e sarà l’impressione, che migliaia di spettatori fanno uscire fuori dai quadri.”

Dall’articolo “Su Ivanov” [Об Иванове ] 1880.

“Voi pensate che il caro Ilja Efimovič, come artista, dovrebbe imparare l’impressione

diretta dal pubblico semplice? Dovrebbe, non parlo - di uniformarsi, ma di prendere atto della propria espressività semplice e primitiva, intuire a chi piace e a chi no, e perché. Se Voi ritenete, come alcuni, che questa folla non è degna di ciò e che bisogna appellarsi a lei. Di proposito uso il verbo “appellarsi”. Ed ecco il perché. La cerchia sociale

chiamata colta, ha le sue teorie riguardo l’arte, le sue critiche, a volte più forti di altre, Ma conosciamo il loro valore.

Essa, in sostanza, non è elevata, né per noi, né per chi viene prima di noi. Dappertutto la critica brancola nel buio, e in confronto alle idee originali, ai concetti sani, è tanto sparsa in diversi vecchi brandelli, che diventa la disgrazia dell’artista, se solo potesse conferire per un attimo le proprie direttive per il suo reale valore. Per noi, io non posso parlare: è risaputo. L’artista dove può trovare la verità, dove deve cercare il filo conduttore, capace di procurargli un affidabile dirigente? Voi dite: non c’è bisogno di fare sforzi inutili; anche se solo l’artista può essere sincero. Altrochè, io sono completamente d’accordo. Ma dove essi, questi artisti, si distinguono per qualcosa, in una società dagli

interessi unici? Che noi tutti, artisti russi,siamo sinceri, è vero, ma perché non siamo soddisfatti dell’uomo genuino e semplice? La nostra mostra non appaga il pubblico,e di

sua vita. Si è laureato alla Facoltà di Giurisprudenza nel 1843, è stato ammesso alla Accademia Imperiale delle Arti nel 1859 ed è stato fatto membro onorario della Accademia Russa delle Scienze nel 1900, insieme con il suo amico Lev Tolstoj.Ha scoperto un gran numero dei suoi più grandi talenti, ispirato molte delle loro opere e combattuto le loro battaglie in numerosi articoli e lettere alla stampa. Da "nazionale", Stasov sente che l'arte non deve rappresentare soltanto la vita delle persone, ma anche avere un senso per mostrare loro come vivere.

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questo vi dovete convincere. E’vero, nella società echeggiano

voci, che a mezzo stampa dicono: “Ecco la mostra!” E altri, per contro: “Il diavolo lo sa, che cosa è questa! Semplicemente vergogna e orrore!” Io non parlo di questi, ma di quelli che quotidianamente ignoriamo, che ogni giorno in silenzio entrano, guardano e escono, quelli che con estrema ingenuità e sincerità vi convinceranno, che egli “non capisce niente, che egli, perdonate, non può dire niente, egli può solo amare i quadri”. Cominciate a parlare con questi uomini poi, un bel giorno, quando le mostre non ci saranno più, quando i giornali scriveranno e litigheranno a sazietà, e faranno in modo di dimenticare, Voi noterete, che essi hanno capito tutto quello che hanno visto, che essi hanno espresso su tutto un notevole parere estremamente originale, neanche

lontanamente simile a quelli che avete espresso Voi, e spesso talmente originale e colto, che proverete vergogna sia per queste teorie proprie, sia perché s’impadroniranno del potere supremo, che griderà a gran voce. Nessun signore è stato mai offeso da chi è semplice e intelligente, o da ciò che si chiama critica artistica. E se ci fosse la possibilità di registrare in questo modo le impressioni primarie, prima che l’uomo baratti con qualcuno le proprie idee, noi da molto tempo, a titolo di questa sola statistica, avremmo una critica autentica (non parlo - della storia dell’arte) e sana.

Sono sicuro, che se solo l’artista si convincesse di questo, allora potrebbe accadere, come

sono sicuro che egli lo capirebbe subito, e riconoscerebbe volentieri il proprio despota. Ma ciò è spesso difficile, quasi impossibile, e non si parlerebbe più a vanvera su questa cosa.”

Dalla lettera a I.E. Repin. 9 Maggio 1878

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milioni di impressioni è possibile distruggere le posizioni e le direttive della critica, ma la nostra critica artistica è stata finora completamente priva di proprie

istruzioni direttive generali,e dove esse s’intravedevano, erano prese in prestito dall’estero (spesso senza discernere), non prestando alcuna attenzione alle idee di noi artisti […]

E così, vista la mancanza della nostra critica, quella russa, per noi, artisti, è estremamente importante conoscere l’impressione. Poiché questa è unica, e indica il cammino agli onesti artisti russi. Ci troviamo nelle tenebre più complete: cosa faremo? Ci vorrebbe

qualcosa, alla fine, che ci faccia fare, quello che desidera l’uomo.” Dalla lettera a A.S.Suvorin12 4 Marzo 1884

L'IDEALE DELL'ARTE CONTEMPORANEA

“Ma ecco la mia disgrazia, e devo dire, la disgrazia di tutta l'arte contemporanea: in nome

di cosa l'arte deve (ovvero è obbligata) a fare imprese eroiche? Per l'ideale a cui si

aspira? Ci sarà per l'uomo quest'ideale, così sacro, come Dio per Davide?”

Dalla lettera a A.S.Suvorin 26 Febbraio 1885

“Conosco talmente tanto parte del popolo,che so (io stesso faccio parte del popolo e delle stesse parole volgari) quello che ama, e ciò che vuole: racconti eroici, e nient'altro [...] Infatti, pensateci un attimo: che a noi ci consola, o almeno ci consolava, soprattutto la lettura. Quando ero bambino, ero felice quando c'erano gli eroi epici, che erano Giovani; in età adulta, mi ha affascinato il cavaliere, come prova della reale esistenza dell'onestà, della schiettezza del personaggio e della lottai per il trionfo della giustizia, e all'avvicinarsi della vecchiaia il godimento del riposo in sicurezza, e quindi del perdono

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