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Scompenso cardiaco acuto: associazione tra citochine infiammatorie, stato di congestione, funzione renale e prognosi

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Academic year: 2021

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Scuola di Specializzazione in Medicina Interna

Scompenso cardiaco acuto: associazione tra citochine infiammatorie, stato

di congestione, funzione renale e prognosi

CANDIDATO:

RELATORI:

Dr. Samuele Giubbolini

Prof. Stefano Taddei

Prof. Stefano Masi

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INDICE

1. INTRODUZIONE 3

1.1 SCOMPENSO CARDIACO: DEFINIZIONE 5

1.2 EZIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE 6

2.2.1 CLASSIFICAZIONE SECONDO LA FRAZIONE DI EIEZIONE 7 2.2.2 CLASSIFICAZIONE SECONDO LA GRAVITÀ DELLA PATOLOGIA 9 2.2.3 CLASSIFICAZIONE SECONDO LA TEMPISTICA DI PRESENTAZIONE DEI SINTOMI 11

1.3 EPIDEMIOLOGIA 11

2.3.1 PREVALENZA ED IMPATTO ECONOMICO 12

2.3.2 INCIDENZA E TENDENZE 13

2.3.3 OSPEDALIZZAZIONI E PROGNOSI 15

1.4 FISIOPATOLOGIA 17

2.4.1 SISTEMA NERVOSO SIMPATICO 18

2.4.2 SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE 20 2.4.3 PEPTIDI NATRIURETICI 21 2.4.4 RIMODELLAMENTO VENTRICOLARE 22 1.5 CLINICA 24 2.5.1 SINTOMI 25 2.5.2 SEGNI 27 1.6 DIAGNOSI 30

1.7 COMUNI MARCATORI UTILIZZATI NELLA STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA 32

1.8 LA DISFUNZIONE RENALE NEL PAZIENTE CON SCOMPENSO CARDIACO 36

2.8.1 LA DISFUNZIONE RENALE COME CAUSA DI CONGESTIONE 36

2.8.2 PROGNOSI 37

1.9 L’INFIAMMAZIONE CRONICA COME CAUSA DI MALATTIE NON TRASMISSIBILI 38

1.10 L’INFIAMMAZIONE NELLA PATOGENESI DELLO SCOMPENSO CARDIACO 39

1.11 L’INFIAMMAZIONE NELLA PROGNOSI DELLO SCOMPENSO CARDIACO 42

2. SCOPI 43 3. MATERIALI E METODI 44 4. RISULTATI 47 5. DISCUSSIONE 55 6. CONCLUSIONI 58 7. BIBLIOGRAFIA 60

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1- Introduzione

Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica complessa, derivante da alterazioni cardiache strutturali o funzionali che inficiano il riempimento e/o l’eiezione ventricolare, e si configura come una delle principali cause di mortalità e morbilità a livello globale

La prognosi di tale patologia è influenzata, tra gli altri fattori, dalla presenza di disfunzione renale e di congestione, ma la relazione tra queste e il sistema dell’infiammazione è meritevole di approfondimento.

L’obiettivo di questa tesi è di indagare l’associazione tra la presenza di disfunzione renale e di congestione e le concentrazioni sieriche dei marcatori infiammatori in pazienti con scompenso cardiaco acuto e, inoltre, di evidenziare il risvolto prognostico di tale associazione.

Lo studio ha arruolato 97 pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana tra il 2012 e il 2015, con un’età media di 66 ± 12 anni e una frazione di eiezione pari a 30 ± 8%.

Prima della dimissione, lo stato di congestione dei pazienti è stato valutato utilizzando uno scoring system basato sui criteri di Framingham.

Sono stati misurati inoltre i livelli sierici di hsCRP, IL-1, IL-6, IL-10, TNF-, sTNFR-1, sTNFR-2 e TGF-.

Quindi, i pazienti sono stati divisi in quattro gruppi sulla base della presenza di disfunzione renale (eGFR <60 ml/min/1.73m2) e di congestione (score di Framingham ≥2).

L’end-point primario è stato definito come la combinazione della mortalità per tutte le cause e della riospedalizzazione per scompenso cardiaco acuto.

Durante il follow-up (durata mediana 32 settimane), 37 pazienti sono deceduti e 14 sono stati riospedalizzati per scompenso cardiaco acuto. I pazienti con disfunzione renale e congestione mostravano livelli sierici di TNF- (p=0.037), sTNFR-1 (p=0.0042) e sTNFR-2 (p=0.001) significativamente più alti, livelli sierici di TGF- (p=0.02) significativamente più bassi e prognosi peggiore (p=0.0001). Disfunzione renale (p=0.02) e congestione (p=0.01) risultavano predittori indipendenti dell’end-point primario, assieme al NT-proBNP (p=0.002) e al TNF- (p=0.004).

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Una mediation analysis ha infine evidenziato come l’aumento del TNF- giustifichi per il 40% la relazione tra disfunzione renale, congestione ed outcome.

In pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto, la presenza di disfunzione renale e di uno stato di congestione persistente è associata ad aumentati livelli di citochine infiammatorie e ad una prognosi peggiore. L’attivazione del pathway infiammatorio che include TNF-, 1 e sTNFR-2 potrebbe avere un ruolo in questa associazione.

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2- Scompenso Cardiaco

2.1 DEFINIZIONE

Come osservato da Douglas Mann, nessuna tra le definizioni sino ad oggi proposte per lo scompenso cardiaco si è rivelata in grado di descrivere appieno la complessità di tale sindrome clinica1. Cionondimeno si rende necessario, ai fini del presente lavoro, fare riferimento alle definizioni riportate nelle linee guida stilate dalla American College of Cardiologists Foundation/American Heart Association (ACCF/AHA) e dalla European Society of Cardiology (ESC), intorno alle quali vi è attualmente ampio consenso.

La ACCF/AHA designa lo scompenso cardiaco come sindrome clinica complessa, risultante da qualsiasi alterazione, strutturale o funzionale, che interessi il riempimento ventricolare o l’eiezione del sangue. Manifestazioni cardinali dello scompenso sono la dispnea e l’affaticabilità, che possono limitare la tolleranza all’esercizio fisico, e la ritenzione di liquidi, che può causare congestione polmonare e/o splancnica, eventualmente associate ad edema periferico. Dal momento che alcuni pazienti non presentano segni o sintomi riferibili ad un sovraccarico di fluidi, il semplice termine “scompenso cardiaco” è da preferirsi al precedente “scompenso cardiaco congestizio”. La diagnosi è clinica ed è basata su un’accurata anamnesi e su un rigoroso esame obiettivo; non esiste alcun test che sia, da solo, determinante ai fini diagnostici.2

Anche le linee guida 2016 della ESC sottolineano la natura clinica della diagnosi di scompenso cardiaco, definito come corteo di sintomi (dispnea, gonfiore agli arti inferiori, astenia) e segni (aumento del turgore giugulare, crepitii polmonari, edema periferico) derivanti da anomalia cardiaca strutturale e/o funzionale, che causi una ridotta portata cardiaca e/o la presenza di pressioni intracardiache elevate a riposo o durante sforzo. Anomalie asintomatiche della funzione sistolica o diastolica del ventricolo sinistro precedono l’insorgenza clinica. La dimostrazione di suddette anomalie è centrale ai fini del processo diagnostico. Anche se, nella maggior parte dei casi, è presente un’alterazione del miocardio che compromette una o entrambe le fasi del ciclo cardiaco, non è raro che la causa dello scompenso sia un’anomalia delle valvole, del pericardio,

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dell’endocardio, del ritmo o della conduzione elettrica; di solito, diverse anomalie sono compresenti.3

2.2 EZIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE

Nella maggior parte dei pazienti molteplici patologie, cardiovascolari e non, contribuiscono alla genesi dello scompenso cardiaco. Pertanto, non esiste una classificazione eziologica che sia universalmente accettata, poiché i confini tra le diverse classi sono spesso labili. La Tabella 1 riporta le principali cause di scompenso, secondo la suddivisione proposta all’interno delle linee guida ESC 20163.

MALATTIE DEL MIOCARDIO

Cardiopatia ischemica (IHD) • Cicatrici miocardiche • Miocardio stordito/ibernato

• Alterazioni dei vasi coronarici epicardici • Alterazioni del microcircolo coronarico • Disfunzione endoteliale

Danno da sostanze tossiche • Sostanze d’abuso: alcool, cocaina, amfetamine • Metalli pesanti: ferro, piombo, rame

• Farmaci: FANS, corticosteroidi, antitumorali (antracicline, trastuzumab, cetuximab), antidepressivi, antiaritmici

• Radiazioni Danno infiammatorio e

immuno-mediato

• Infettivo: batteri, virus, miceti, protozoi, elminti • Non infettivo: malattie autoimmuni (m. di

Basedow, artrite reumatoide, LES, sclerodermia), miocardite linfocitaria/a cellule giganti, miocardite da ipersensibilità, miocardite eosinofila (s. di Churg-Strauss)

Infiltrazione • Correlata a tumori: infiltrazione diretta, metastasi • Non correlata a tumori: amiloidosi, emocromatosi, sarcoidosi, glicogenosi, malattie da accumulo lisosomiale

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Alterazioni metaboliche • Ormonali: malattie di tiroide e paratiroidi, deficit di GH, acromegalia m. di Conn, m. di Addison, s. di Cushing, diabete, s. metabolica, feocromocitoma, patologie della gravidanza e peripartum.

• Nutrizionali: deficit di tiamina, L-carnitina, ferro, calcio e fosfato, malnutrizione complessa, obesità

Malattie genetiche HCM, DCM, RCM, ARVD, LVNC, distrofie muscolari

ALTERATE CONDIZIONI DI CARICO

Ipertensione

Difetti strutturali del miocardio e delle valvole

• Congenite: DIA, DIV

• Acquisite: patologie delle valvole mitrale, aortica, tricuspide e polmonare

Patologie endomiocardiche e pericardiche

• Endomiocardiche: sindrome di Löffler, fibrosi endomiocardica

• Pericardiche: pericardite costrittiva, versamento pericardico

Stati ad alta portata Anemia, tireotossicosi, sepsi, m. di Paget, gravidanza, fistole arterovenose

Sovraccarico di volume Insufficienza renale cronica, sovraccarico iatrogeno

ARITMIE

Tachiaritmie Aritmie atriali e ventricolari

Bradiaritmie Malattia del nodo del seno, disturbi di conduzione

Tabella 1. Principali cause di scompenso cardiaco. Da Ponikowski et al., Eur Heart J, 2016.

2.2.1 CLASSIFICAZIONE SECONDO LA FRAZIONE DI EIEZIONE

Ad oggi, il parametro più importante per classificare i pazienti con scompenso cardiaco è senza dubbio la frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF), che può essere studiata

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all’ecocardiografia transtoracica o, con precisione maggiore, tramite risonanza magnetica cardiaca. La EF è calcolata come differenza tra i volumi telediastolico (LVEDV) e telesistolico (LVESV) del ventricolo sinistro, divisa per il LVEDV, ed espressa in forma percentuale:

LVEF= (LVEDV – LVESV) / LVEDV (%)

Sulla base della LVEF sono state individuate tre classi di SC:

• HFrEF: scompenso con frazione di eiezione ridotta (LVEF ≤40%). I pazienti con HFrEF mostrano un’evidente disfunzione sistolica del VS (da cui la precedente definizione di “scompenso sistolico”), non di rado associata ad elementi di disfunzione diastolica. La causa più frequente di questo fenotipo di scompenso è la malattia coronarica (coronary

artery disease, CAD).

• HFmrEF/HFpEF borderline: scompenso con frazione di eiezione lievemente ridotta (LVEF 40-49%). Questa popolazione di pazienti mostra caratteristiche simili a quelle degli HFpEF, associate ad una modesta alterazione della EF.

• HFpEF: scompenso con frazione di eiezione conservata (LVEF ≥50%). La diagnosi di questa condizione è in genere assai complessa, anche nei pazienti che mostrino sintomi tipici di scompenso, perché richiede la dimostrazione di una disfunzione diastolica del ventricolo sinistro, tramite ecocardiografia o cateterismo cardiaco, e l’esclusione di altre possibili patologie che determinino detti sintomi; ciononostante, negli ultimi decenni è divenuto sempre più chiaro che circa la metà, o anche più, dei pazienti affetti da scompenso appartiene a questa classe4,5.

La distinzione secondo la EF risulta fondamentale, in quanto pazienti appartenenti alle diverse classi differiscono per caratteristiche demografiche, eziologia dello scompenso, comorbidità, risposta ai trattamenti e prognosi6. È importante sottolineare, inoltre, che gli studi e i trial clinici in genere sottostimano la quota di pazienti HFpEF. A ciò consegue che la maggior parte dei modelli

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fisiopatologici e dei protocolli terapeutici comunemente applicati si basa sulle conoscenze riguardanti lo HFrEF; motivo per il quale nessuna delle terapie oggi in uso ha mostrato sostanziale efficacia nel trattamento dello scompenso a frazione d’eiezione conservata.

2.2.2 CLASSIFICAZIONE SECONDO LA GRAVITÀ DELLA PATOLOGIA

La classificazione ACCF/AHA2 permette di suddividere i pazienti in base allo stadio di patologia cardiaca, sia essa strutturale o funzionale; il passaggio da uno stadio al successivo è irreversibile, in quanto corrisponde al peggioramento della patologia cardiaca alla base dello scompenso. Tale peggioramento è evidenziato da un aumento del tasso di mortalità a 5 anni e dall’aumento delle concentrazioni plasmatiche dei peptidi natriuretici7.

Stadio Definizione

A

Pazienti ad alto rischio di sviluppare scompenso, in assenza di malattia cardiaca strutturale o funzionale. I più comuni fattori di rischio, che possono essere facilmente identificati con l’utilizzo di specifici sistemi di score8,9, includono ipertensione, CAD, pregresso infarto del miocardio (IMA), diabete mellito, malattie valvolari, storia familiare significativa per cardiomiopatie ed esposizione a tossine quali alcool, antracicline o sostanze illecite (cocaina, amfetamine et cetera).

B

Pazienti con malattia cardiaca strutturale o funzionale, senza sintomi di scompenso. Rientrano in questo stadio i pazienti con ipertrofia ventricolare sinistra compensata, disfunzione ventricolare e/o valvolare asintomatica, anomalie della cinesi causate da un pregresso IMA.

C Pazienti con malattia cardiaca strutturale e con sintomi di scompenso.

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Pazienti con scompenso cardiaco avanzato e refrattario alle comuni terapie, con necessità di specifici trattamenti avanzati, quali supporto circolatorio meccanico, infusioni continue di farmaci inotropi o trapianto cardiaco.

Tabella 2. Classificazione ACCF/AHA dello scompenso cardiaco.

Identificare lo stadio della patologia cardiaca è essenziale al fine di pianificare un intervento terapeutico efficace. Questo può essere rivolto all’eliminazione dei fattori di rischio (stadio A), al trattamento della patologia cardiaca di base e alla prevenzione del rimodellamento ventricolare (stadio B) e alla riduzione dei tassi di mortalità e morbilità associati (stadi C e D, in particolar modo).

La classificazione funzionale NYHA10 considera invece la gravità della sintomatologia nei pazienti con malattia cardiaca strutturale o funzionale (stadi AHA B, C e D). Al contrario di quanto avviene per la classificazione AHA, la classe NYHA è stabilita in maniera soggettiva dal medico e può migliorare o peggiorare, a seconda dell’efficacia della terapia. Malgrado questo parametro rischi di risultare scarsamente riproducibile11 e correli in maniera imprecisa con la funzione del ventricolo sinistro, numerosi studi hanno dimostrato che la classe NYHA è un predittore indipendente del rischio di ospedalizzazione12 e di morte13,14.

CLASSE SINTOMATOLOGIA

I Nessuna limitazione dell’attività fisica. L’attività fisica ordinaria non comporta

eccessivo affaticamento, palpitazioni e/o dispnea.

II Modesta limitazione dell’attività fisica. L’attività fisica ordinaria comporta

eccessivo affaticamento, palpitazioni e/o dispnea.

III Evidente limitazione dell’attività fisica. Benessere a riposo. L’attività fisica,

anche men che ordinaria, comporta eccessivo affaticamento, palpitazione e/o dispnea.

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IV Sintomi a riposo. Qualsiasi livello di attività fisica peggiora lo stato di malessere.

Tabella 3. Classificazione NYHA dello scompenso cardiaco.

2.2.3 CLASSIFICAZIONE SECONDO LA TEMPISTICA DI PRESENTAZIONE DEI SINTOMI I pazienti con funzione ventricolare sinistra cronicamente alterata, che riferiscano sintomi riferibili allo scompenso sulla base della classificazione NYHA, sono affetti da scompenso cardiaco cronico (CHF); qualora la sintomatologia rimanga invariata per almeno un mese, lo scompenso è definito stabile.

Nel caso in cui, invece, la funzione ventricolare peggiori in breve tempo (in genere nell’arco di ore o giorni) e i sintomi compaiano o si aggravino in maniera repentina, il paziente si definisce affetto da scompenso cardiaco acuto (AHF) e non di rado necessita di ricovero in ospedale. Lo scompenso acuto può insorgere de novo (20% dei casi), ad esempio dopo un infarto acuto del miocardio o, in maniera più subdola, a causa di una cardiomiopatia dilatativa; tuttavia, più frequentemente esso costituisce l’esacerbazione di uno scompenso cronico, donde il termine di Acute Decompensated

Heart Failure (ADHF). La diagnosi di scompenso acuto è assai frequente nei pazienti ospedalizzati,

tanto in quelli affetti da patologie primitivamente cardiache quanto in quelli affetti da patologie primitivamente polmonari o renali15.

2.3 EPIDEMIOLOGIA

L’aumento dell’età media della popolazione, la distribuzione ubiquitaria dei fattori di rischio cardiovascolare e il miglioramento della prognosi globale delle patologie cardiache hanno portato ad un sostanziale incremento nella prevalenza dello scompenso cardiaco, fino a renderlo un fondamentale problema di salute pubblica nei Paesi sviluppati16 e, ad un tempo, una delle più frequenti patologie non trasmissibili nei Paesi in via di sviluppo17. A titolo di esempio, si consideri la differenza d’incidenza dello scompenso post-IMA tra oggi e gli anni pre-2000, quando gli

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interventi di rivascolarizzazione primaria non rappresentavano lo standard di terapia per l’infarto. Se il rischio di morte a 30 giorni dall’evento è diminuito dal 12% (decennio 1970-1979) al 4% (decennio 1990-1999) - e il rischio a 5 anni ha subito una riduzione comparabile -, nello stesso periodo l’incidenza di scompenso a 30 giorni è aumentata dal 10% al 23% e quella a 5 anni dal 27.6% al 32%18. Ciò suggerisce che, se i progressi ottenuti nella diagnosi e nella terapia dell’infarto ne hanno ridotto in maniera drastica la mortalità, ciò è avvenuto al prezzo di un aumentato rischio di scompenso tra i sopravvissuti.

2.3.1 PREVALENZA ED IMPATTO ECONOMICO

I dati epidemiologici sullo scompenso variano a seconda dalla definizione utilizzata, ma si può affermare che la prevalenza nei Paesi sviluppati è dell’1-2%, è in aumento costante ed è fortemente dipendente dall’età19,20. La quota di HFpEF, anch’essa variabile a seconda dei criteri diagnostici, è compresa tra il 22% e il 73% del totale21,22.

Nello studio europeo Rotterdam, che ha coinvolto circa 8000 soggetti adulti di età 55 anni, la prevalenza generale dello scompenso si attestava intorno all’8% negli uomini e al 6% nelle donne, risultando nettamente superiore tra i soggetti di età 85 anni (17.4%) che tra i soggetti di età compresa tra 55 e 64 anni (0.9%). Nel medesimo studio, il rischio lifetime di scompenso cardiaco era maggiore negli uomini che nelle donne tra i 55 e i 75 anni d’età (33% contro 28,5%) mentre dopo gli 85 anni il rischio era comparabile nei due sessi20. Secondo il National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) , nel periodo 2007-2010 la prevalenza dello scompenso cardiaco nella popolazione statunitense era del 2.4%16. Sulla base dei dati degli ultimi anni, si prevede che tale indice aumenterà ulteriormente, fino a raggiungere il 3% entro il 203016. Il totale dei costi diretti per scompenso cardiaco negli USA è compreso tra i 20 e i 30 miliardi di dollari e più della metà di questa spesa è giustificata dai pazienti ospedalizzati2.

Informazioni sull’epidemiologia dello scompenso cardiaco in Italia possono essere estratte dal report 2018 della Società Italiana di Medicina Generale, da cui emerge che la prevalenza di questa condizione era dell’1,3% nel 2016, con valori più elevati osservati in Friuli-Venezia Giulia, Liguria,

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Emilia-Romagna e Toscana. In accordo con le tendenze riscontrate in altri Paesi occidentali, la prevalenza aumenta notevolmente con l’aumentare dell’età in entrambi i sessi, con picchi del 12,4% e del 10,9%, rispettivamente in uomini e donne di età 85 anni23. Secondo i dati dello studio ARNO, i costi diretti per scompenso cardiaco, nel corso del quinquennio 2008-2012, ammontavano in Italia a 550 milioni di euro/anno e il 76% di questa cifra era ascrivibile al costo delle ospedalizzazioni. L’impatto dei costi indiretti, rappresentati dalla perdita di giornate di lavoro, è meno importante rispetto a quanto avviene per altre malattie croniche, in considerazione del fatto che la maggior parte dei pazienti con scompenso è anziana e che i soggetti in età lavorativa sono circa il 10%24.

Dati meno certi riguardano la prevalenza degli stadi preclinici di scompenso cardiaco, ossia degli stadi AHA A e B. In uno studio trasversale statunitense7, che ha coinvolto soggetti di età 45 anni, il 22% dei partecipanti era inserito nello stadio A, sulla base della presenza di ipertensione, diabete mellito, obesità o CAD; il 34% era invece inserito nello stadio B, sulla base dell'evidenza di pregresso IMA, ipertrofia ventricolare sinistra, malattia valvolare, anomalie della cinesi, dilatazione ventricolare o disfunzione sistolica e/o diastolica.

2.3.2 INCIDENZA E TENDENZE

Nello studio statunitense Health, Aging and Body Composition (Health ABC), che ha coinvolto più di 3000 soggetti di età compresa tra i 70 e i 79 anni, l’incidenza di scompenso ad un follow-up di 7 anni è risultata pari a 15,8 per 1000 persone-anno per gli uomini e 11,7 per 1000 persone-anno nelle donne25. In Europa, lo studio Rotterdam ha rilevato un’incidenza ancora più elevata (17,6 e 12,5 per mille persone-anno in uomini e donne, rispettivamente), malgrado una minore età media della popolazione esaminata20. Lo studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) ha inoltre evidenziato tassi di ospedalizzazione per scompenso più alti tra i soggetti di colore che tra i soggetti bianchi (uomini 9,1 contro 6 per 1000 persone-anno; donne 8,1 contro 3,4 per 1000 persone-anno); tuttavia, tale differenza è stata associata alla più alta prevalenza di fattori di rischio per scompenso nei soggetti di colore al momento della selezione26.

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I dati derivati dalle diagnosi di dimissione dei pazienti ospedalizzati indicano che l’incidenza dello scompenso è in diminuzione sin dall’inizio degli anni 2000, soprattutto per quanto riguarda lo HFrEF27,28. In Australia, il numero dei pazienti ricoverati con diagnosi primaria di scompenso cardiaco si è ridotto da 191 a 103 su 100.000 negli uomini e da 130 a 75 su 100.000 nelle donne tra il 1990 e il 200529. Anche i dati del Medicare statunitense (programma di assicurazione medica riservato ai soggetti di età 65 anni) riportano un calo nell’incidenza di scompenso da 32 per 1000 persone-anno nel 1994 a 29 per 1000 persone-anno nel 200330 (Figura 1). Inoltre, in un recente studio epidemiologico31 eseguito su circa 12.000 soggetti con recente diagnosi di scompenso, il 52% del campione risultava costituito da HFpEF; le donne costituivano il 46% della popolazione e il 73% aveva un’età 75 anni. Ciò testimonia il passaggio da un fenotipo di scompenso più frequente nel sesso maschile e conseguente, nella maggior parte dei casi, a CAD ad un fenotipo che colpisce ambo i sessi in egual misura, associato ad un profilo clinico complesso32, in cui sono frequenti comorbidità quali ipertensione, diabete mellito, BPCO, insufficienza renale cronica, anemia, fibrillazione atriale, patologie cerebrovascolari, depressione e demenza31.

Figura 1. Incidenza dello scompenso cardiaco in un campione di statunitensi iscritti al programma

Medicare. Dati ottenuti da Curtis et al., Arch Intern Med, 2008. 0 5 10 15 20 25 30 35 40 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 In ci d e n za (p e r 1000 p e rson e -an n o ) Anno Uomini Donne

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2.3.3 OSPEDALIZZAZIONI E PROGNOSI

I ricoveri per scompenso, in larga parte dovuti al peggioramento della sintomatologia in pazienti con CHF, rappresentano un notevole problema dal punto di vista della sanità pubblica. Tra i soggetti ospedalizzati, i tassi di mortalità e di riospedalizzazione a breve termine registrano un incremento esponenziale. Inoltre, malgrado numerose terapie siano state studiate al fine di migliorare la prognosi dei pazienti ricoverati, nessuna ha mostrato reale efficacia in tal senso: se la mortalità intraospedaliera a breve termine si è ridotta, tra il 1993 e il 2005, dal 12,6% al 10,8%, nello stesso periodo la mortalità post-dimissione è aumentata dal 4,3% al 6,4%33.

A causa dell’invecchiamento della popolazione, nei paesi industrializzati il numero di ricoveri con diagnosi primaria di scompenso rimane alto, superando il milione di casi all’anno negli USA. In Italia, secondo il Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero pubblicato dal Ministero della Salute, il totale di ricoveri per insufficienza cardiaca e shock cardiogeno nel 2016 ammontava a 180.584, con una durata media del ricovero di 9,3 giorni. Il tasso di ospedalizzazione tra i soggetti di età 18 anni era pari a 317/100.000 mentre il tasso di ospedalizzazione tra i soggetti di età 65 anni era pari a 1.084/100.00034. Lo scompenso risulta quindi essere la seconda causa di ricovero nella popolazione generale dopo il parto, nonché la prima causa di ricovero nei soggetti di età 65 anni. Vale la pena di osservare che, mentre il tasso di ospedalizzazioni per cause cardiovascolari nei pazienti con scompenso è rimasto sostanzialmente invariato tra il 2000 e il 2010, il tasso di ospedalizzazioni per cause non cardiovascolari è notevolmente aumentato nello stesso periodo27. Si può dunque affermare che le patologie non cardiovascolari sono oggi la prima causa di ricovero nei pazienti con scompenso cardiaco, in particolar modo nei casi di HFpEF, in virtù delle numerose comorbidità presenti in questa popolazione.

L’ospedalizzazione ha un effetto drammatico sulla storia naturale e sulla prognosi dello scompenso. Come evidenziato nello studio CHARM, che ha coinvolto 7572 pazienti con CHF di classe NYHA II-IV, la mortalità risulta notevolmente aumentata nei soggetti ricoverati almeno una volta per scompenso cardiaco acuto, con un hazard ratio di 3,15 (CI 95%: 2,83-3,50). Inoltre, i tassi di riospedalizzazione e di mortalità raggiungono un picco nel mese successivo alla dimissione

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(rispettivamente 25%35 e 10,4%26) e si riducono con il passare del tempo, segno che il ricovero costituisce una fase di notevole vulnerabilità per i pazienti con scompenso36 (Figura 2). Un analogo studio italiano, eseguito su una popolazione di 1855 pazienti ricoverati per AHF e 3755 pazienti con CHF seguiti in ambulatorio, ha evidenziato tassi di mortalità ad un anno del 24% per i pazienti con AHF e del 5,9% per i pazienti con CHF37. Questi risultati sono in linea con quelli dello studio ARIC, in cui la mortalità a 30 giorni, un anno e 5 anni dopo un ricovero per AHF risultava essere rispettivamente del 10,4%, 22% e 42,3%26.

Figura 2. Rischio di morte post-dimissione dopo il primo ricovero dovuto a scompenso cardiaco

nello studio Candesartan in Heart Failure: Assessment of Reduction in Mortality and morbility (CHARM). Da Solomon et al., Circulation, 2007.

Globalmente, il tasso di mortalità a 5 anni dalla diagnosi di scompenso cardiaco si attesta intorno al 50%38,39. Come già sottolineato, i tassi di sopravvivenza si riducono drasticamente con il progredire dello stadio di malattia, attestandosi al 97%, 96%, 75% e 20% negli stadi AHA I, II, III e IV rispettivamente7. Si noti che i dati e le tendenze riportati riguardano principalmente i pazienti con HFrEF, mentre la prognosi dei pazienti con HFpEF risulta più difficile da determinare, sebbene i tassi globali di ospedalizzazione siano simili tra le due classi. Tanto tra i pazienti seguiti in regime ambulatoriale40 che tra i pazienti ospedalizzati41, i tassi di mortalità sembrano essere più elevati nello HFrEF che nello HFpEF.

6,18 4,39 3,54 3,11 2,46 1,93 1 0 1 2 3 4 5 6 7 0-1 1-3 3-6 6-12 12-24 >24 Nessun ricovero H azar d r atio

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2.4 FISIOPATOLOGIA

Come già osservato, nessuna teoria fisiopatologica è in grado di spiegare in maniera esauriente gli aspetti meccanicistici che caratterizzano lo scompenso cardiaco. Ciò è senza dubbio dovuto alla complessità delle alterazioni anatomiche, biologiche e funzionali che, interagendo con una grande varietà di substrati genetici e ambientali, portano allo sviluppo di questa sindrome.

Presupposto per la genesi dello scompenso cardiaco è il verificarsi di un evento iniziante, il quale può agire secondo due direttrici: a) causando un danno diretto al miocardio, risultante nella perdita di funzionalità miocardiocitaria, e/o b) alterando la capacità del miocardio di generare forza e compromettendo, con ciò, l’efficienza della contrazione cardiaca in toto. Tale evento può essere dovuto ad una predisposizione ereditaria, come avviene per le cardiomiopatie primitive; può insorgere acutamente, come per esempio nell’infarto del miocardio, o in maniera graduale, come avviene nel caso di un sovraccarico cronico di pressione o di volume nel ventricolo sinistro. Il risultato, a prescindere dalla natura del singolo evento, è un’alterazione della funzione di pompa cardiaca.

In risposta a questo processo, numerosi meccanismi compensatori neurormonali sono attivati, al fine di preservare la funzione ventricolare entro i limiti fisiologici: i più importanti sono il sistema

renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), il sistema nervoso simpatico (SNS), il sistema dei peptidi natriuretici (ANP, BNP e CNP) e il sistema delle citochine infiammatorie. In questa fase la capacità

funzionale del paziente risulta conservata o, tutt’al più, solo lievemente ridotta; pertanto, la disfunzione ventricolare sinistra, seppur presente, rimane asintomatica. Con il progredire della patologia, la disfunzione ventricolare diviene sintomatica, in quanto i meccanismi in precedenza attivati, esaurita la possibilità di mantenere il compenso, determinano una serie di modificazioni terminali d’organo, definite nel complesso rimodellamento cardiaco. Il rimodellamento cardiaco, una volta sviluppatosi, diviene un ulteriore fattore di progressione dello scompenso, indipendentemente dallo stato di attivazione neurormonale dell’organismo. Su queste basi, il

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modello fisiopatologico neurormonale dello scompenso è stato recentemente integrato con il modello biomeccanico, in cui l’attenzione è posta non tanto sull’attivazione neurormonale in se stessa, quanto sulle alterazioni anatomiche e funzionali che da questa derivano1.

Saranno di seguito presi in considerazione singolarmente i sopracitati meccanismi neurormonali e il rimodellamento cardiaco. Si osservi, come nota a margine, che il termine “neurormonale” venne coniato in virtù della convinzione che i mediatori molecolari caratteristici dello scompenso fossero prodotti dal sistema neuroendocrino e agissero sul cuore in maniera endocrina. Tuttavia, risulta oggi evidente che molte di queste sostanze, tra cui noradrenalina e angiotensina II, sono prodotte direttamente nel contesto del miocardio e, pertanto, agiscono sui miocardiociti in maniera autocrina e paracrina. In ogni caso, il modello neurormonale ha il merito di sottolineare come la sovraespressione di mediatori biochimici, al fine di preservare la funzione di pompa cardiaca, contribuisca in realtà alla progressione dello scompenso, in virtù degli effetti dannosi che questi mediatori espletano sul cuore e sul circolo42.

2.4.1 SISTEMA NERVOSO SIMPATICO

Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco, l’attivazione del SNS è un evento precoce e di fondamentale importanza per il mantenimento della funzionalità miocardica; a tale attivazione si associa una concomitante inibizione del tono parasimpatico. Queste alterazioni nell’omeostasi del sistema nervoso autonomo erano state inizialmente attribuite alla riduzione del signaling dei barocettori aortici e carotidei “ad alta pressione” e dei meccanocettori cardiopolmonari “a bassa pressione” i quali, in situazioni fisiologiche, modulano le efferenze simpatiche dal SNC. Numerosi studi recenti hanno tuttavia evidenziato il ruolo dei chemiocettori periferici e dei metabocettori del muscolo scheletrico, i quali costituiscono il principale input eccitatorio per il SNS.

L’incremento del tono simpatico si associa ad un aumento dei livelli di noradrenalina (NA) plasmatica, tanto per l’aumentato rilascio da parte delle terminazioni nervose simpatiche, con conseguente spillover dell’ormone nel circolo, quanto per la riduzione del reuptake presinaptico. Le concentrazioni sieriche medie di NA a riposo sono 2-3 volte più elevate del normale nei pazienti con disfunzione asintomatica del VS, e ancor più elevate nei pazienti con scompenso manifesto;

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tuttavia, in una quota non trascurabile di soggetti con HFrEF tale parametro risulta nel range di normalità43. Con il progredire dello scompenso, i livelli di NA si riducono in maniera significativa, da una parte per esaurimento delle terminazioni simpatiche cardiache, dall’altra per un calo dell’attività della tirosina-idrossilasi, enzima limitante nella sintesi di NA. L’attivazione dei recettori adrenergici 1 da parte della noradrenalina permette l’incremento della frequenza cardiaca, della forza di contrazione e della velocità di rilasciamento dei miocardiociti, mentre l’attivazione dei recettori 1 ha un modesto effetto inotropo positivo e vasocostrittore, che permette di mantenere la pressione arteriosa. Tuttavia, questo meccanismo aumenta le richieste miocardiche di ossigeno e può favorire l’insorgenza di ischemia quando l’apporto di ossigeno al miocardio sia ridotto. Inoltre, l’aumento del signaling catecolaminico può innescare aritmie ventricolari ed essere causa di morte cardiaca improvvisa (SCD), soprattutto in presenza di sottostante ischemia miocardica.

Con il passare del tempo, i -recettori e le molecole trasduttrici a valle vanno incontro a desensibilizzazione e downregolazione, al fine di proteggere i cardiomiociti dalla tossicità catecolaminica, mediata dall’aumento dei livelli di Ca2+ citoplasmatico e dallo stress ossidativo. Per tale ragione, la produzione di cAMP per ogni concentrazione di noradrenalina risulta ridotta44; questo meccanismo è associato alla riduzione della riserva miocardica, che si manifesta dal punto di vista sintomatologico come riduzione della capacità di esercizio e, più in generale, della capacità di risposta ad ogni tipo di stress. Il calo dei livelli di cAMP altera lo stato fosforilativo di molecole chiave quali il fosfolambano, che in forma defosforilata inibisce l’attività della Ca2+-ATPasi sarcoplasmatica (SERCA) e altera la capacità miocardica di contrazione-rilasciamento45, e il recettore rianodinico (Ryr2), la cui fosforilazione aumenta le perdita di calcio dal reticolo sarcoplasmatico, evento che predispone all’insorgenza di aritmie46. Inoltre, si osserva una riduzione dell’espressione della catena pesante  della miosina (-MHC) in favore della catena  (-MHC), dotata di minore attività ATPasica e dunque di minor efficienza contrattile47. Nel loro complesso, queste alterazioni fanno parte del cosiddetto fetal gene program, la cui attivazione è fortemente indotta dalla noradrenalina48.

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2.4.2 SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA-ALDOSTERONE

L’attivazione del sistema RAA nello scompenso segue l’innesco del sistema nervoso simpatico ed è dovuta a numerosi fattori, tra cui l’ipoperfusione renale, la riduzione della quantità di sodio che raggiunge il tubulo contorto distale e la macula densa - con conseguente attivazione del feedback tubulo-glomerulare - e l’attivazione sostenuta dei recettori 1-adrenergici delle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare. La renina cliva l’angiotensinogeno circolante ad angiotensina I (ATI), la quale viene trasformata in angiotensina II (ATII), biologicamente attiva, dall’enzima ACE, che si trova per la maggior parte legato alle membrane cellulari nel polmone e in altri organi e, in quota minore, in forma libera nell’interstizio di cuore e vasi sanguigni. Tuttavia, la produzione dell’ATII può avvenire anche a livello dei singoli tessuti attraverso vie ACE-indipendenti, che potrebbero avere importanza rilevante nello scompenso, soprattutto quando le concentrazioni di renina ed ATI sono aumentate dall’uso degli ACE-inibitori.

L’ATII agisce tramite due recettori associati a proteine G, AT1 e AT2. Mentre l’attivazione del recettore AT1 causa vasocostrizione, proliferazione cellulare, secrezione di aldosterone e rilascio di catecolamine, l’attivazione del recettore AT2 causa vasodilatazione, inibisce la proliferazione cellulare e la secrezione di aldosterone e stimola la natriuresi e la produzione di bradichinina. L’ATII garantisce il mantenimento dell’omeostasi nel breve termine, ma la sua sovraespressione cronica è associata a numerosi effetti cardiovascolari sfavorevoli: aumento del rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose simpatiche, stimolazione della secrezione di aldosterone da parte della zona glomerulare del surrene, fibrosi cardiaca e renale. Gli effetti a breve termine dell’aldosterone, in analogia con quelli dell’ATII, sostengono il circolo favorendo il riassorbimento di sodio e acqua a livello del dotto collettore; mentre nei soggetti sani si osserva, entro pochi giorni, un fenomeno di escape dall’azione sodio-risparmiatrice dell’aldosterone49, questo non si verifica nei soggetti con scompenso cardiaco50. Il principale effetto avverso della secrezione persistente di aldosterone è rappresentato dallo sviluppo di ipertrofia e fibrosi a livello del miocardio e dei vasi sanguigni, a cui conseguono, rispettivamente, l’incremento della stiffness ventricolare e la riduzione della compliance vascolare. Inoltre, l’aldosterone altera la funzione endoteliale e il signaling barorecettoriale ed inibisce il reuptake di noradrenalina nelle terminazioni nervose periferiche.

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2.4.3 PEPTIDI NATRIURETICI

La classe dei peptidi natriuretici comprende il peptide natriuretico atriale (ANP), l’urodilatina (un’isoforma dell’ANP), il peptide natriuretico cerebrale (BNP) e il peptide natriuretico di tipo C (CNP). In condizioni fisiologiche, l’ANP è immagazzinato in granuli nei cardiomiociti atriali, mentre il BNP è sintetizzato nei cardiomiociti ventricolari e non è immagazzinato in granuli; in condizioni patologiche, ANP e BNP possono essere prodotti sia negli atri che nei ventricoli51. Entrambi i peptidi sono secreti in risposta all’aumento della tensione di parete ma, mentre l’ANP viene rilasciato con un meccanismo a burst a seguito di cambiamenti acuti nella pressione atriale, la produzione di BNP viene regolata a livello trascrizionale, a seguito di modificazioni croniche della pressione atriale e/o ventricolare.

ANP, BNP e CNP (localizzato principalmente a livello vascolare) sono sintetizzati come pro-ormoni e successivamente clivati per produrre piccoli peptidi attivi e frammenti N-terminali inattivi (NT-proANP, NT-proBNP, NT-proCNP); la degradazione dei peptidi natriuretici richiede l’azione della neprilisina, un’endopeptidasi neutra, che è in genere co-espressa con l’ACE. Il legame dei peptidi natriuretici con i recettori NPR-A e NPR-B porta all’attivazione di specifiche guanilato-ciclasi e all’aumento del cGMP intracellulare. L’attivazione della via di segnalazione dell’ANP e del BNP è associata a natriuresi, vasodilatazione e inibizione del rilascio di renina e aldosterone; il BNP, inoltre, esercita un effetto lusitropo diretto sui miocardiociti ed è un potente inibitore dei processi di fibrosi miocardica52.

INCREMENTO RIDUZIONE

GFR Pressione arteriosa

Velocità di flusso tubulare Azione dell’ATII Escrezione di Na+ Azione dell’ADH Escrezione di K+ Secrezione di renina Escrezione di Ca2+, Mg2+ e fosfati Secrezione di aldosterone

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Nello scompenso cardiaco, ANP e BNP svolgono un ruolo fondamentale nel contrastare l’iperattività del SNS e del RAAS a livello cardiovascolare e renale. Nel rene, l’ANP dilata l’arteriola afferente e costringe l’arteriola efferente, provocando un aumento della filtrazione di sodio a livello glomerulare53; allo stesso tempo, esso inibisce il riassorbimento tubulare di sodio e acqua, contrastando l’azione dell’angiotensina e della vasopressina. L’ANP agisce anche a livello del dotto collettore, riducendo il consumo di ossigeno da parte delle cellule epiteliali e, di conseguenza, il riassorbimento di sodio. Infine, l’ANP inibisce direttamente la secrezione di renina54 e di aldosterone55. Con il progredire dello scompenso, gli effetti dei peptidi natriuretici si riducono marcatamente: ne risulta una sempre maggiore tendenza alla ritenzione di sodio e acqua. Potenziali spiegazioni di questo meccanismo includono un deficit relativo nella concentrazione di tali molecole rispetto alla concentrazione dei mediatori del SNS e del RAAS, la riduzione dell’espressione dei recettori NPR e l’ipoperfusione renale.

Infine, il BNP ha un ruolo essenziale come biomarker dello status volemico dei pazienti affetti da scompenso, poiché incrementa rapidamente in relazione all’aumento dello stretch miocardico. Il suo frammento N-terminale, NT-proBNP, può essere a sua volta usato come biomarker e la sua emivita risulta più lunga di quella del BNP56. Sia il BNP che il NT-proBNP hanno dimostrato di essere marcatori affidabili nella diagnosi e nella prognosi dello scompenso57,58, come sarà mostrato in seguito.

2.4.4 RIMODELLAMENTO VENTRICOLARE

La definizione di rimodellamento ventricolare indica l’insieme delle alterazioni che si verificano a livello (1) della biologia dei cardiomiociti, (2) della struttura del miocardio e (3) della geometria del ventricolo sinistro, in risposta agli stress meccanici e all’attivazione dei sistemi neuro-ormonali59.

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Alterazioni nella biologia cellulare Alterazioni nella struttura miocardica Alterazioni nella geometria ventricolare Ipertrofia cellulare Miocitolisi Proteine citoscheletriche Espressione di geni fetali Accoppiamento eccitazione-contrazione Necrosi/apoptosi dei miocardiociti Degradazione della ECM Fibrosi miocardica Dilatazione ventricolare Aumento sfericità Riduzione spessore parietale Insufficienza mitralica funzionale

Tabella 5. Aspetti principali del rimodellamento ventricolare.

La più tipica alterazione nella biologia cardiomiocitaria in corso di scompenso è l’ipertrofia cellulare, che costituisce una classica risposta dei miocardiociti al sovraccarico emodinamico. In situazioni di sovraccarico di pressione, come l’ipertensione o la stenosi aortica, si osserva la deposizione di sarcomeri in parallelo, con un conseguente aumento nello spessore della parete ventricolare (ipertrofia concentrica). Un sovraccarico di volume, dovuto ad esempio ad un’insufficienza valvolare, porta invece alla deposizione di sarcomeri in serie e alla dilatazione del ventricolo (ipertrofia eccentrica)60; i pazienti affetti da scompenso mostrano in genere questo secondo pattern. Inoltre, i cardiomiociti mostrano una marcata perdita di elementi contrattili (miocitolisi) ed importanti alterazioni a livello delle proteine del citoscheletro. Questo si accompagna alla deregolazione dei processi di eccitazione-contrazione, dovuta alla disfunzione di proteine fondamentali nella regolazione del Ca2+ intracellulare, quali la Ca2+-ATPasi del reticolo sarcoplasmatico (SERCA), lo scambiatore Na+-Ca2+ di membrana (NCX), i recettori rianodinici (RyR) e i canali del calcio di tipo L (LTCC), e all’attivazione del già descritto fetal gene program.

Le alterazioni strutturali del miocardio riguardano da una parte la perdita di miocardiociti, conseguente all’attivazione smodata dei processi di necrosi ed apoptosi, e dall’altra il sovvertimento della struttura della matrice extracellulare. Questa mostra modificazioni di carattere qualitativo, ossia cambiamenti nel contenuto relativo dei sottotipi di collagene, e di carattere quantitativo, con un marcato aumento nella deposizione di collagene sia in presenza che in

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assenza di morte cellulare (fibrosi sostitutiva e reattiva, rispettivamente). L’incremento nella quota di tessuto fibroso riduce la compliance del miocardio e la capacità di accorciamento dei miocardiociti; inoltre, le cicatrici possono costituire substrati anatomici per l’insorgenza di aritmie da rientro potenzialmente fatali. L’attivazione dei fibroblasti consegue in parte all’azione di mediatori neurormonali come ATII e aldosterone; in accordo con questo dato, l’utilizzo di farmaci che riducono l’attivazione del RAAS si associa ad una riduzione della fibrosi miocardica61.

I cambiamenti sin qui descritti portano ad una dilatazione sferica del ventricolo sinistro; il conseguente aumento del volume telediastolico ventricolare è causa del cosiddetto mismatch

funzionale del postcarico, ossia, secondo la legge di Laplace, dell’aumento di tensione di parete

per ogni dato postcarico. L’incremento della tensione di parete riduce la perfusione del subendocardio, compromettendo ulteriormente la funzionalità miocardica, ed aumenta l’espressione di geni attivati dallo stiramento (ATII, endotelina, TNF-). Inoltre, l’aumentata sfericità del ventricolo sinistro è alla base dell’incompleto collabimento dei lembi della valvola mitrale durante la sistole, cui consegue una insufficienza mitralica funzionale, la quale riduce il volume di sangue eiettato in senso anterogrado e, più importante, incrementa il sovraccarico emodinamico sul ventricolo stesso. Il rimodellamento ventricolare si associa dunque a riduzione della portata cardiaca anterograda, aumento dello stress di parete e aggravamento del sovraccarico emodinamico ventricolare; queste alterazioni sono ciò che rende l’evoluzione dello scompenso indipendente dall’attivazione dei sistemi neurormonali. La progressione del rimodellamento ventricolare, valutata come incremento delle dimensioni del ventricolo sinistro, è associata ad un marcato peggioramento della prognosi in questi pazienti62.

2.5 CLINICA

Lo scompenso cardiaco si può presentare con un vasto spettro di manifestazioni cliniche. Similmente a quanto avviene per la febbre o l’anemia, la diagnosi di scompenso cardiaco non possiede carattere di autonomia, ma dovrebbe sempre accompagnarsi alla diagnosi della causa sottostante (malattia coronarica, ipertensione, malattie valvolari, aritmie et cetera)32.

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I sintomi dello scompenso sono in genere aspecifici, in quanto comuni a numerose patologie, cardiache e non cardiache; i segni tipici hanno specificità maggiore, ma sono più difficili da indagare. Inoltre, l’esame obiettivo può essere di difficile interpretazione in determinate categorie di pazienti, quali gli anziani, gli obesi e i soggetti con patologie respiratorie croniche. Diversi sistemi di score clinico sono stati sviluppati per rendere omogenee le diagnosi di scompenso all’interno degli studi di popolazione; uno di questi, lo scoring system di Framingham, è riportato nella Tabella 6.

CRITERI MAGGIORI CRITERI MINORI

• Dispnea parossistica notturna o ortopnea

• Turgore giugulare

• Rantoli polmonari a fini bolle • Cardiomegalia

• Edema polmonare acuto • Ritmo di galoppo (S3) • Reflusso epato-giugulare

• Perdita di peso 4,5 kg dopo 5 giorni di terapia • Edema periferico • Dispnea da sforzo • Epatomegalia • Tosse notturna • Versamento pleurico • Tachicardia (FC >120 bpm)

Tabella 6. Criteri di Framingham per la diagnosi clinica di scompenso cardiaco. È richiesta la

presenza contemporanea di due criteri maggiori o di un criterio maggiore e due criteri minori, non attribuibili ad altre patologie.

2.5.1 SINTOMI

DISPNEA

La dispnea è definita come spiacevole consapevolezza del proprio respiro. Questo sintomo aspecifico si ritrova in numerose patologie cardiache, polmonari, toraciche e psichiatriche. Nello scompenso, in genere, la dispnea compare inizialmente solo per sforzi marcati; con il procedere della malattia, essa si presenta per sforzi sempre più lievi, fino al momento in cui il paziente riferisce

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la presenza di tale sintomo anche a riposo o per sforzi minimi. I meccanismi alla base della dispnea nei pazienti affetti da scompenso sono ancora poco noti ma, ad eccezione dei casi di edema polmonare franco, sembrano avere solo una limitata relazione con la pressione polmonare di incuneamento (PCWP)63 e con i reperti obiettivi di congestione polmonare64. Numerosi studi hanno indicato nell’iperventilazione sotto sforzo una delle probabili cause di dispnea nello scompenso65; i meccanismi alla base di questa risposta iperventilatoria includerebbero un’aumentata chemosensibilità dei muscoli scheletrici e l’accumulo di grandi quantità di acido lattico anche per sforzi di lieve intensità. L’aumentata sensibilità dei chemocettori periferici alle variazioni di O2 e CO2 porterebbe, tramite meccanismi centrali, all’aumento del drive ventilatorio e all’attivazione del SNS66; l’allenamento fisico sarebbe dunque in grado di migliorare la risposta all’esercizio riducendo l’attivazione di questo ergoriflesso nei pazienti con scompenso. L’acido lattico fungerebbe da stimolo aggiuntivo per il drive ventilatorio. In alcuni pazienti, un ulteriore stimolo all’iperventilazione è rappresentato dall’aumento dello spazio morto fisiologico, a causa dell’ipoperfusione di alveoli polmonari ben ventilati.

Una forma di dispnea frequentemente riferita dai pazienti con scompenso, soprattutto in fase avanzata, è l’ortopnea, ovvero la difficoltà a respirare in posizione supina. Il meccanismo fisiopatologico ritenuto alla base dell’ortopnea è lo spostamento di una quota di sangue dalle estremità e dal circolo splancnico al letto vascolare polmonare, a causa della scomparsa del gradiente di pressione idrostatica vigente tra questi distretti in ortostatismo. L’incapacità del ventricolo sinistro di far fronte all’aumentato ritorno venoso polmonare determina la fuoriuscita di liquidi nell’interstizio polmonare, con conseguente diminuzione della compliance polmonare e della capacità vitale, da cui origina la dispnea.

Infine, i pazienti con dispnea parossistica notturna (DPN) riferiscono l’insorgenza della dispnea dopo poche ore dall’addormentamento. Oltre che ai meccanismi già evidenziati per l’ortopnea, la DPN è dovuta al riassorbimento degli edemi declivi, facilitato in clinostatismo, e alla riduzione del drive ventilatorio e del tono adrenergico che si osservano durante il sonno.

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AFFATICABILITÀ

Per lungo tempo, la facile affaticabilità e la ridotta tolleranza all’esercizio fisico dei soggetti affetti da scompenso cardiaco sono state attribuite solamente ad uno stato di ridotta portata cardiaca. Negli ultimi anni, tuttavia, numerosi studi hanno sottolineato il ruolo centrale delle anomalie metaboliche del muscolo scheletrico e dell’anemia nella genesi di tali sintomi. Nel muscolo scheletrico di questi pazienti si rileva una marcata deplezione di fosfocreatina, cui conseguono una ridotta capacità di sintesi di ATP e un aumento della sintesi di lattato in condizioni di anaerobiosi; la capacità ossidativa degli enzimi muscolari è ridotta anche in condizioni di esercizio aerobico67. Risulta inoltre alterato il rapporto tra i diversi tipi di fibre muscolari, con un aumento relativo delle fibre fasiche, rapidamente affaticabili (tipo IIb)68. La ridotta tolleranza all’esercizio costringe i pazienti all’inattività, che aggrava il decondizionamento fisico e peggiora il loro grado di disabilità.

ALTRI SINTOMI

In alcuni pazienti, la prima manifestazione dello scompenso può essere rappresentata dalle palpitazioni, da una pre-sincope o da una sincope franca; questi sintomi sono in genere associati alla presenza di un’ostruzione del tratto di efflusso o ad aritmie (fibrillazione atriale, blocchi atrio-ventricolari, battiti prematuri). Solo raramente essi sono dovuti alla bassa portata.

Non è infrequente la presenza di sintomi dispeptici, dovuti alla congestione del circolo splancnico; la presenza di dolore in ipocondrio destro o di epatomegalia indica uno stato di congestione epatica. Infine, la riduzione della perfusione renale e il suo miglioramento in clinostatismo, dovuto al riassorbimento degli edemi declivi e all’espansione del volume circolante efficace, sono alla base rispettivamente dell’oliguria e della nicturia caratteristiche di questi pazienti.

2.5.2 SEGNI

I segni tipici dello scompenso cardiaco possono essere scolasticamente distinti tra segni di sovraccarico di volume e segni di ridotta portata cardiaca. Come illustrato nella tabella, i pazienti vengono definiti wet o dry, a seconda che mostrino o meno evidenza di sovraccarico di volume, e

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Figura 4. Profili clinici dello scompenso cardiaco.

SEGNI DI SOVRACCARICO DI VOLUME

Malgrado l’accumulo di liquidi sia una cifra caratteristica dello scompenso, esso non è immediatamente apprezzabile in tutti i pazienti. La manifestazione più tipica è l’edema declive, che può essere apprezzato a livello delle caviglie nei pazienti deambulanti, a livello dei genitali esterni e del sacro nei pazienti allettati. L’accumulo di liquidi può rendersi evidente anche in forma di ascite o di epatomegalia; assai più rara risulta la splenomegalia. Pazienti con scompenso cardiaco avanzato o acuto possono presentarsi in stato anasarcatico.

Altrettanto importante è la valutazione della pressione venosa giugulare, che riflette la pressione venosa centrale (PVC); a tale scopo, il paziente deve essere esaminato in posizione semisupina a 45° di inclinazione. Alla distanza tra l’angolo di Louis e il menisco superiore della colonna di sangue nella vena giugulare destra (v.n. fino a 3 cmH2O) va sommata la distanza tra l’angolo di Louis e l’atrio destro, per convenzione pari a 5 cmH2O; ne consegue che una normale PVC è pari o inferiore a 8 cmH2O. L’aumento della pressione venosa giugulare è indice di un aumento delle pressioni di riempimento del ventricolo destro. In alcuni pazienti, un aumento del turgore giugulare non risulta evidente a 45°, ma si manifesta dopo la compressione dell’ipocondrio destro poiché, in caso di

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disfunzione ventricolare destra, il sangue proveniente dal fegato non viene accolto dall’atrio destro (reflusso epato-giugulare).

I rantoli a fini bolle o i crepitii polmonari, tradizionalmente ritenuti segno di trasudazione di liquidi nell’interstizio polmonare, risultano meglio auscultabili a livello delle basi polmonari; come già evidenziato, essi non sono frequenti nei pazienti con scompenso cronico in assenza edema polmonare franco, a causa del marcato aumento del drenaggio linfatico che si osserva in questi soggetti. Per questa ragione, la tachipnea e, nei casi più avanzati, l’ipossiemia possono essere indici migliori della presenza di congestione polmonare.

La cardiomegalia determina in genere una dislocazione laterale e verso il basso dell’itto della punta, che può inoltre risultare iperdinamico. Pazienti con ipertrofia ventricolare destra possono presentare un prolungato impulso parasternale sinistro. Il reperto di un terzo tono (S3) è frequente nei pazienti con sovraccarico di volume ed è dovuto alla dilatazione delle camere ventricolari. Non di rado, nei pazienti con scompenso avanzato l’auscultazione rivela anche la presenza di soffi da insufficienza mitralica e tricuspidale.

SEGNI DI RIDOTTA PORTATA CARDIACA

I segni più frequenti del cosiddetto low-output state sono la tachicardia compensatoria e la riduzione delle pressioni sistolica e differenziale. In caso di scompenso cardiaco acuto e, ancor di più, di shock cardiogeno, a questi si possono aggiungere confusione e alterazioni cognitive, ipotermia, pallore cutaneo, oliguria e cianosi periferica. Il rilievo di battiti ad ampiezza variabile (c.d. polso

alternante) è patognomonico di uno stato di bassa portata69.

CACHESSIA

Menzione a parte merita la cachessia cardiaca, che si riscontra di frequente nei pazienti affetti da scompenso cardiaco in fase terminale; in questi soggetti, essa costituisce un fattore prognostico

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assai negativo. La patogenesi di questa condizione non è nota, ma è stata associata ad aumentati livelli circolanti di citochine infiammatorie, specialmente di TNF-70.

2.6 DIAGNOSI

STORIA CLINICA ED ESAME FISICO

Come già osservato, sebbene il quadro clinico di un paziente con scompenso cardiaco possa essere notevolmente suggestivo, esso raramente è sufficiente per la diagnosi, a causa della scarsa specificità dei sintomi cardinali, quali dispnea e affaticabilità, e della scarsa riproducibilità di segni come il polso alternante o il reflusso epato-giugulare. La Figura 5

riporta l’algoritmo diagnostico per lo scompenso cardiaco cronico presentato sulle linee guida ESC 20163.

L’acquisizione di una valida anamnesi è un primo passo di importanza fondamentale ai fini diagnostici. Uno scompenso cardiaco è improbabile in un paziente con una storia clinica non significativa per potenziali eventi di danno cardiaco; d’altro canto, l’ipertensione non controllata, il diabete o un pregresso infarto del miocardio possono costituire indizi sostanziali, davanti ad un quadro clinico eloquente71. Il colloquio con il paziente è essenziale anche per stabilire in quale fase della storia naturale della malattia questi si trovi: a tal fine, risultano di particolare utilità lo staging ACC/AHA e la classificazione funzionale NYHA, la quale, pur essendo notevolmente soggettiva, viene tuttora impiegata ampiamente. Le variazioni di classe funzionale vanno indagate rigorosamente ad ogni visita, in quanto indici dell’efficacia della terapia o della necessità di migliorarla.

L’esame obiettivo risulta sovente significativo nei casi di AHF, mentre nei pazienti con CHF mostra una relazione incostante con la gravità della disfunzione cardiaca. Ad ogni modo, esso deve sempre essere seguito da indagini strumentali che permettano una diagnosi di certezza.

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ESAMI STRUMENTALI

Le attuali linee guida raccomandano l’esecuzione di una batteria di esami ematochimici in tutti i pazienti con scompenso cardiaco di nuova insorgenza e nei pazienti con scompenso cardiaco cronico a fini di monitoraggio; dovrebbero essere inclusi i marker di funzione renale (creatinina sierica, eGFR), gli elettroliti, i marker di funzionalità tiroidea (FT3, FT4 e TSH) e di funzionalità epatica (bilirubina, ALT/AST e PT) e un profilo del controllo glicemico e lipidico. La presenza di anemia, soprattutto se dovuta a carenza di ferro, dovrebbe essere investigata, in quanto fattore prognostico negativo potenzialmente rimovibile.

Biomarker cardio-specifici quali il BNP, il NT-proBNP e le troponine sono dosati di routine in tutti i pazienti con scompenso, in virtù del loro significato diagnostico e prognostico72; in particolar modo, il BNP e il NT-proBNP forniscono un supporto importante nella diagnosi di AHF, dato il loro elevato valore predittivo negativo.

L’acquisizione di un elettrocardiogramma permette di evidenziare la presenza di alterazioni strutturali (e.g. ipertrofia ventricolare o precedenti infarti del miocardio), aritmie e anomalie di conduzione, che possono inficiare la funzione cardiaca. Un ECG nella norma permette di escludere la presenza di scompenso con una sensibilità dell’89%71.

La radiografia del torace può permettere di diagnosticare uno stato di congestione polmonare prima che questo si manifesti obiettivamente, in presenza di reperti quali:

• Ridistribuzione del flusso sanguigno a favore dei lobi polmonari superiori; • Versamento pleurico, soprattutto nello spazio pleurico di destra;

• Strie B di Kerley; • Cardiomegalia;

• Edema polmonare franco con opacità “ad ali di farfalla”, in caso di AHF.

L’ecocardiografia è la metodica di scelta per studiare la struttura e la funzione cardiaca in un contesto clinico. Malgrado l’attenzione da tempo posta sulla LVEF come indice di funzione sistolica, è oramai noto che tale valutazione andrebbe integrata con quella del volume telediastolico

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ventricolare (LVEDV). La dilatazione ventricolare, soprattutto in presenza di riduzione degli spessori parietali, è infatti un miglior indice della progressione della malattia, tanto sotto l’aspetto neurormonale che sotto l’aspetto emodinamico. Lo studio della funzione diastolica risulta altresì essenziale, soprattutto nei casi di HFpEF. Infine, l’ecocardiogramma permette di studiare la funzione valvolare e di stimare le pressioni vigenti nel circolo polmonare.

Queste informazioni permettono solitamente di porre diagnosi definitiva di scompenso e di stabilire la terapia più appropriata per il singolo paziente.

La risonanza magnetica cardiaca, pur essendosi dimostrata una tecnica affidabile nello studio morfologico e funzionale del cuore, è ad oggi utilizzata principalmente come approfondimento diagnostico. Essa risulta particolarmente utile in caso di scompenso cardiaco dovuto a malattia infiltrativa (e.g. amiloidosi, emocromatosi et cetera) o a miocardite.

Figura 4. Algoritmo diagnostico per lo scompenso cardiaco cronico. Adattato da Ponikowski et al.,

Eur Heart J, 2016

2.7 COMUNI MARCATORI UTILIZZATI NELLA STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA

Risalgono a circa cinquant’anni fa, grazie agli studi di Braunwald e colleghi, le prime osservazioni sull’aumento delle concentrazioni sieriche di PCR e di noradrenalina nei soggetti affetti da scompenso cardiaco avanzato73. Da quel momento, l’utilizzo di biomarcatori in grado 1) di riflettere

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le alterazioni fisiopatologiche alla base della patologia, e 2) di dare informazioni diagnostiche e prognostiche non valutabili clinicamente, è divenuto pratica routinaria tanto nell’attività clinica che nella ricerca scientifica.

Peptidi natriuretici (PN): BNP e NT-proBNP

Le concentrazioni sieriche di BNP e di NT-proBNP sono predittori indipendenti di outcome a breve e a lungo termine in tutti i soggetti affetti da scompenso. Nel registro statunitense ADHERE (Acute Decompensated Heart Failure National Registry), alti valori di BNP erano associati ad un’aumentata mortalità intraospedaliera in pazienti con ADHF74; un valore prognostico altrettanto significativo è stato dimostrato per il NT-proBNP75. I valori di PN alla dimissione risultano predittori di mortalità e di riospedalizzazione ancora più accurati rispetto ai valori presenti al ricovero76. Anche nei soggetti con CHF i valori sierici di PN, e soprattutto la loro variazione in risposta alle terapie, danno importanti informazioni prognostiche e permettono di identificare i pazienti a più alto rischio di rimodellamento cardiaco77,78.

Troponine

Il rilascio in circolo delle troponine si verifica a seguito della rottura della membrana plasmatica dei miocardiociti. Per quanto l'utilizzo principale delle troponine come biomarkers riguardi la diagnosi dell'infarto acuto del miocardio, è stato evidenziato un loro possibile ruolo come fattori prognostici nello scompenso. Il meccanismo alla base del rilascio delle troponine in corso di scompenso è complesso e non del tutto noto; fattori determinanti, oltre alla necrosi e all'apoptosi dei miocardiociti, potrebbero essere lo stato infiammatorio sistemico, l'iperattivazione neurormonale e lo stretch ventricolare.

Come emerge dal registro ADHERE79, una quota di pazienti con AHF ha valori di troponine più elevati della norma, e questa popolazione mostra un rischio più elevato di morte intraospedaliera (OR 2.55, 95% CI 2.24-2.89). Tuttavia, il riconoscimento del ruolo prognostico delle troponine non ha sinora permesso di creare algoritmi terapeutici differenziati per i pazienti a più alto rischio. Anche nello scompenso cronico, l'elevazione delle troponine mantiene un ruolo primario di stratificazione prognostica, come evidenziato nello studio Val-HeFT: circa il 10% dei pazienti

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studiati aveva elevati valori di troponine sieriche, con un conseguente aumento del rischio di morte e di ospedalizzazione per scompenso a due anni80.

Marcatori di stress ossidativo

La produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) è una conseguenza del metabolismo aerobio; in condizione fisiologiche, i ROS sono neutralizzati grazie all'azione di molecole antiossidanti. Nello scompenso, i radicali liberi sono in eccesso rispetto alla capacità di metabolismo delle cellule ed alterano la struttura e la funzione di queste. I livelli sierici di due biomarker di stress ossidativo, la mieloperossidasi (MPO) neutrofila e l'acido urico, hanno dimostrato di possedere valore prognostico sia nello scompenso acuto che nello scompenso cronico81,82; inoltre, i livelli sierici di acido urico sembrano correlare con il grado di disfunzione endoteliale nei pazienti scompensati. Tuttavia, le terapie volte a ridurre la formazione di ROS non hanno modificato il rischio di ospedalizzazione e morte per cause cardiovascolari in studi randomizzati83.

Marcatori di rimodellamento cardiaco

Numerosi componenti della risposta infiammatoria sono cronicamente iperespressi nei pazienti con scompenso e contribuiscono al rimodellamento cardiaco, sia in maniera diretta che attraverso l'attivazione dei sistemi neurormonali. Livelli elevati di proteina C reattiva (PCR), IL-1, IL-6 e TNF-α sono comprovati predittori indipendenti di mortalità per tutte le cause84, per quanto rimanga ancora da stabilire se tale elevazione sia determinante nella progressione dello scompenso o sia solo un epifenomeno di altri processi.

Anche i marcatori di rimodellamento della matrice extracellulare (ECM) hanno un ruolo riconosciuto nel predire la presenza di alterazioni della normale struttura delle fibre collagene, la dilatazione ventricolare e l'aumento della stiffness miocardica. I livelli di metalloproteasi della matrice (MMP) e dei loro inibitori tissutali (TIMP) sono alterati nel miocardio di pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa e questo correla con il rischio di outcome avversi85.

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Marcatori di disfunzione e danno renale

La disfunzione renale è una delle comorbidità più rilevanti nei pazienti con scompenso. Accanto alle forme di insufficienza renale acuta (AKI) e cronica (CKD), i pazienti scompensati mostrano non di rado episodi di lieve peggioramento della funzione renale, con aumenti 0,3 mg/dl della creatininemia e/o riduzioni 20% dell'eGFR, definiti Worsening Renal Function (WRF); questi episodi predicono l'insorgenza della CKD86. Parametri come la creatininemia e la stima del filtrato glomerulare (eGFR) sono accurati predittori di outcome avversi nello scompenso; in particolare, l'eGFR risulta in quest'ambito un fattore predittivo più accurato di numerosi marker cardiospecifici87. Nuovi marcatori di funzione renale, come la cistatina C, sono risultati predittori anche più accurati della creatinina e dell'eGFR88, ma non sono ancora entrati nella pratica clinica.

I marker di danno renale acuto, quali NGAL e KIM-1, hanno acquisito un peso determinante, in quanto le alterazioni dei marker di funzionalità si rendono evidenti solo nei giorni successivi ad un eventuale danno renale organico. Tale danno, nei pazienti con scompenso, può derivare tanto dall'ipoperfusione renale quanto dall'eccessivo uso di farmaci nefroattivi, quali diuretici, ACE-inibitori e sartani, o nefrotossici, come alcuni antibiotici (aminoglicosidi, trimetoprim) e i FANS. I livelli di NGAL sono elevati nell'AHF e predicono, pur con accuratezza modesta, l'insorgenza di disfunzione renale, con conseguente peggioramento della prognosi89. I livelli urinari di KIM-1, una glicoproteina espressa nel tubulo prossimale, risultano elevati nei pazienti con CHF e correlano con la frazione d'eiezione ventricolare e con la classe NYHA90. Nello studio GISSI-HF, sia NGAL che KIM-1 si sono dimostrati predittori indipendenti di morte per tutte le cause e di ricovero per scompenso, anche in pazienti con eGFR inalterata.

Marcatori ematologici

L'anemia rappresenta una comorbidità comune tra i pazienti scompensati e possiede un valore prognostico assai rilevante. La patogenesi dell'anemia nello scompenso cardiaco è multifattoriale e include fattori quali l'insufficienza renale, la flogosi cronica, il deficit di ferro e di altri fattori nutrizionali e il sanguinamento cronico in corso di terapia antiaggregante o anticoagulante. Oltre ad aggravare i sintomi dello scompenso, l'anemia è associata con un aumento del rischio di outcome avversi, tanto nello HFrEF che nello HFpEF, in maniera indipendente dai valori dei peptidi

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