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Caratterizzazione della resistenza all'infragilimento da idrogeno di acciai al boro ad uso automobilistico

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Indice

1 Introduzione 4

2 Danneggiamento da idrogeno 7

2.1 Penetrazione . . . 7

2.2 Diffusione e intrappolamento . . . 11

2.3 Teoria del desorbimento ad alta temperatura . . . 16

2.4 Decadimento delle prestazioni . . . 17

2.4.1 Hydrogen Attack . . . 18

2.4.2 Hydrogen Induced Cracking . . . 19

2.4.3 Hydrogen Embrittlement . . . 21

2.4.4 Stress Oriented Hydrogen Induced Cracking . . . 22

2.4.5 Sulfide Stress Corrosion Cracking . . . 22

3 Tipi di frattura 25 3.1 Dimples . . . 25

3.2 Clivaggio . . . 26

3.3 Quasi Clivaggio . . . 27

3.4 Frattura Intergranulare . . . 27

4 Acciai automotive per formatura a caldo 31 4.1 Introduzione . . . 31

4.2 Storia . . . 32

4.3 Acciai da stampaggio a caldo . . . 33

4.3.1 Intrusion Resistant . . . 33

4.3.2 Energy absorbing . . . 34

4.4 Principali componenti realizzati . . . 36

4.4.1 Tailor welded . . . 36 4.4.2 Tailor rolled . . . 37 4.4.3 Tailor hardened . . . 38 4.5 Rivestimenti . . . 39 4.6 Curve di trasformazione . . . 41 1

(2)

5 Prove sperimentali 43

5.1 Analisi microscopiche . . . 43

5.2 Misure di idrogeno . . . 46

5.3 Caricamenti elettrochimici . . . 51

5.4 Four Point Bending . . . 54

5.5 SSRT . . . 56

5.6 Vasca per immersione . . . 59

5.7 Forno per austenitizzazione . . . 59

6 Risultati 61 6.1 SSRT . . . 62

6.2 Four Point Bending . . . 65

6.2.1 Provini lisci . . . 66

6.2.2 Provini forati . . . 70

6.3 Tempre umide . . . 74

6.4 Provini in immersione . . . 75

6.5 Provini verniciati per cataforesi . . . 76

7 Appendice A 79 7.1 Codice di calcolo del fattore di intensificazione degli sforzi per provini 4PB con foro . . . 79

8 Appendice B 81 8.1 Tarature di Helios . . . 81

(3)

Alla mia famiglia e a tutti coloro che supportando hanno saputo sopportare.

(4)

Capitolo 1

Introduzione

Negli ultimi anni stiamo assistendo sempre più ai crescenti problemi relativi all’in-quinamento nelle grandi città. La qualità dell’aria è diventata oggetto di sempre maggiori preoccupazioni da parte dei cittadini e delle istituzioni, è un problema che riguarda tutti e si vuole a tal proposito ricordare il blocco del traffico veicolare a gasolio per mezzi non troppo datati (EURO 4) al quale abbiamo assistito recentis-simamente in Emilia-Romagna. Risulta naturale che l’industria automobilistica si ponga il problema sul come poter affrontare in maniera efficace una riduzione della massa delle vetture, al fine di limitarne i consumi, senza per questo penalizzarne la sicurezza. A queste esigenze delle case automobilistiche l’industria siderurgica ha risposto con una costante ricerca di materiali innovativi per rendere sempre più competitivi gl automezzi dei clienti in un mercato sempre più globale. È in questo contesto che si sono sviluppate le ultime famiglie di acciai strutturali per il settore automobilistico che possono essere distinti in base alla loro funzionalità meccanica in due categorie: i) Acciai deformabili per assorbire elevate energie in caso di urto. ii) Acciai Alto resistenziali adatti a costruire la cella di sicurezza che protegge i passeggeri del veicolo. Il seguente lavoro prende in analisi una particolare specie appartenente alla seconda categoria, ovvero gli acciai per stampaggio a caldo e nello specifico quelli con composizione al Manganese-Boro.

Questi acciai hanno una formulazione particolarmente precisa che consente lo-ro di avere una resistente struttura completamente martensitica conservando allo stesso tempo un certo grado di duttilità, inoltre la formatura a caldo consente ai produttori di formare il metallo con geometrie complesse senza lasciare al suo interno tensioni residue tipiche delle deformazioni a freddo.

Tuttavia gli acciai al Manganese Boro hanno una criticità in quanto facilmente affetti da infragilimento da idrogeno, il rivestimento di cui sono provvisti pur essen-do necessario alla loro protezione ostacola l’idrogeno assorbito nel metallo in fase di austenitizzazione, tempra e cataforesi ad allontanarsi alla temperature ambiente.

Risulta quindi necessario comprendere e analizzare il fenomeno dell’infragili-mento da idrogeno per questo tipo di acciai della famiglia Advanced High Strength

(5)

1 – Introduzione Steel

In questo lavoro, svolto in collaborazione con Letomec e F.C.A. auto sono stati caratterizzati i fenomeni di infragilimento da idrogeno di due acciai al Manganese-Boro, uno di largo utilizzo e impiegato tuttora con successo in diversi modelli di automobili, ovvero il 22MnB5 commercializzato da ArcelorMittal come Usibor1500 e uno in fase di validazione sperimentale, ovvero il 34MnB5 conosciuto anche come Usibor2000

In particolare siamo andati, tramite permeazione elettrochimica, a caricare i due materiali con differenti concentrazioni di idrogeno. Successivamente sui provini caricati sono state effettuate prove di trazione in Slow Strain Rate e prove di Four Point Bending per analizzare la resistenza dei due metalli all’infragilimento ed alla frattura differita. In questo modo sono state costruite le note, in letteratura inglese, Hydrogen Embrittlement Curve e, grazie alle prove di Four Point Bending, sono state costruite le curve per analizzare il fenomeno della Delayed Fracture.

Le prove condotte sono state effettuate non solo su provini caricati di idrogeno mediante permeazione elettrochimica, ma anche su provini che avevano assorbito l’i-drogeno come conseguenza dei trattamenti di austenitizzazione e tempra. Si è potu-to così mostrare come i due tipi di caricamenpotu-to producano danni simili nel materiale e come le prove effettuate su provini caricati mediante caricamento elettrochimico diano risultati ottimi anche per studiare gli effetti dovuti all’intrappolamento di idrogeno in conseguenza di trattamenti di tempra.

Sono state inoltre effettuate prove di delayed fracture in immersione e di SSRT su provini verniciati per cataforesi direttamente negli impianti di FCA auto.

(6)
(7)

Capitolo 2

Danneggiamento da idrogeno

L’idrogeno penetra all’interno dei materiali metallici dall’ambiente, in quanto na-turalmente presente in atmosfera, andando a degradarne le prestazioni meccaniche. La penetrazione dell’idrogeno all’interno del metallo si verifica sotto condizioni alle quali i metalli si trovano facilmente esposti come ambienti acidi o salini, ambienti molto umidi, trattamenti di tempra, processi di decapaggio e fenomeni galvanici.

I primi studi sull’influenza dell’idrogeno nei confronti delle proprietà meccani-che dei metalli sono dovuti a W.H.Johnson28 che già nel lontano 1875 notò una riduzione, solo temporanea, di tenacità e allungamento percentuale in campioni di ferro pre-caricati.

Gli stadi fondamentali del processo di infragilimento verranno approfonditi nel seguito di questo capitolo

1. Penetazione 2. Diffusione

3. Intrappolamento

4. Decadimento delle prestazioni meccaniche

2.1

Penetrazione

L’idrogeno molecolare, normalmente presente negli ambienti di utilizzo dei metalli viene adsorbito dalla superficie e quindi dissociato in idrogeno atomico secondo la relazione dissociativa dell’adsorbimento Eq.(2.1)

Hgas

2 Hads+ Hads (2.1)

L’andamento della reazione è influenzato dalle superfici coinvolte nel processo e dai tipi di ossidi presenti all’interfaccia. Un atomo adsorbito può poi diffondere

(8)

2 – Danneggiamento da idrogeno

ed essere assorbito negli strati interni del materiale una volta trovati liberi i siti interstiziali

Nei test di laboratorio si possono intraprendere due strade differenti, la prima, diretta, consiste nel portare il gas idrogeno ad insistere con una certa pressione su una superficie del metallo, la seconda, di facile attuazione e di largo utilizzo, con-siste nel caricamento elettrochimico, usato soventemente sia per caricare provini di idrogeno che per condurre analisi di permeazione.

Si riportano le reazioni elementari che avvengono sulla superficie del metallo durante la fase di caricamento in cella elettrolitica.

• La reazione di combinazione di Tafel

H2(aq) 2 Hads (2.2)

• Le reazioni di electroadsorption ed electrodesorption di Volmer H++ e– Hads

H2O + e– Hads+ Oh– (2.3)

• Le reazioni diElectrodissociation e Electrocombination di Heyrovsky Hads+ H(aq)+ + e– H2(aq) in soluzioni acide

Hads + H2O + e– H2aq+ OH(aq)– in soluzioni basiche (2.4) • La reazione di assorbimento dell’idrogeno assorbito

Hads Habs (2.5)

Invertendo la (2.2) si ottiene

Hads + Hads H2acq (2.6)

La relazione (2.6) spiega perché nella soluzione satura, in prossimità della super-ficie tenderanno a formarsi bolle di gas che limiteranno l’adsorbimento dello stesso. Questo fatto spiega perché, una volta fissati il provino e la soluzione elettrolitica, esista un valore ideale di corrente per caricare al massimo i provini, valore oltrepas-sato il quale si assisterà ad una minore idrogenazione. In figura (Fig.2.1) si riporta un illustrazione che illustra le reazioni che avvengono durante una tipica prova di permeazione condotta in laboratorio.

La ricombinazione elettrochimica di Heyvrosky suggerisce le relazioni (2.4) che diventano preponderanti alle alte densità di corrente

(9)

2.1 – Penetrazione

101 Hydrogen diffusion and trapping in metals

© Woodhead Publishing Limited, 2012

At the input surface the fl ux is given by:

J D i i in Jin D J Dl iicc iirr J = D J D JD J D ∂Cxxxxxxxx = = = ËÊÁÁËÁËÊËÊÊËÊËÊËÊÁÊËÊËFFFFFFFFFˆˆ¯ˆ˜ˆ¯ˆˆ¯˜¯ˆ˜¯ˆ¯ˆ [4.20] = [kabs qad – kdes C0 (1 – qad)] [4.21]

where C0 is the sub-surface lattice concentration, ic is the charging rate

current density, ir is the recombination current density, kabs is the absorption

rate constant, kdes the desorption rate constant and qad the surface coverage

of adsorbed atoms.

If the diffusion fl ux is relatively very small:

C k k 0 ad ad abs des = 1 – qq [4.22]

The presence of an oxide fi lm is not included specifi cally here but see equation (4.2). Permeation experiments are usually designed to achieve this boundary condition as it enables derivation of diffusion parameters and hydrogen uptake. However, experiments may also be conducted in such a way that the fl ux of hydrogen through the metal is much greater than the recombination fl ux [4.25] and then

J D i F in Jin D J Dl c J = –D J D ∂Cx = [4.23]

At very short times where the concentration gradient is very steep and the diffusion fl ux high and much larger than the recombination fl ux then this relationship will tend to apply but as time evolves and the concentration gradient decreases then equation (4.22) will tend to defi ne the sub-surface lattice concentration. It should be emphasised that during this transition period the sub-surface lattice concentration will start off quite low and then

H+ + e– H2O + e– Had(ic) H2 Had Had + Had Habs Had + Had(ir) H+ + e(i p) H2 + (ir)

Charging cell Sample Oxidation cell

4.5 Schematic illustration of reaction processes associated with an

electrochemical permeation experiment.Figura 2.1

La penetrazione dell’idrogeno e il suo assorbimento (2.5) sarà quindi funzione dei ratei di generazione e ricombinazione dell’idrogeno adsorbito e dipenderà dalla diffusione che esso avrà all’interno del metallo. Tuttavia vi sono degli elementi pro-motori dell’assorbimento, chiamati anche veleni di ricombinazione, che tendono a formare idruri con l’idrogeno (per esempio AsH3, H2Se, H2S, PH3, SbH3) favorendo-ne la pefavorendo-netraziofavorendo-ne internamente al metallo. In uno studio di Protopopoff e Marcus [8] sono spiegati nel dettaglio i meccanismi chimici per mezzo dei quali i veleni di ricombinazione operano. Il loro lavoro ha comunque stabilito che il veleno di ricombinazione riduce le probabilità per l’idrogeno atomico adsorbito di trovare in una posizione adiacente una molecola con cui ricombinarsi, di conseguenza il tempo di permanenza dell’idrogeno adsorbito sulla superficie è incrementato e si ha una maggiore frazione di superficie arricchita con idrogeno adsorbito, che comporterà un maggiore assorbimento di idrogeno nel metallo.

In(Fig.2.2) si riporta un grafico presente nel lavoro di [8] che illustra sin-teticamente le energie di Gibbs degli atomi di idrogeno durante il processo di adsorbimento-assorbimento si notano i due livelli energetici dell’idrogeno adsorbito: il livello energetico più elevato per l’idrogeno debolmente vincolato alla superficie e il livello più basso per l’idrogeno fortemente vincolato Hdiss è invece l’idrogeno assorbito dal materiale

(10)

2 – Danneggiamento da idrogeno Surface Effects on Hydrogen Entry into Metals 125 ∆Gdiff Hss Hdiss Potential energy (a)

Surface Metal bulk

Gas Distance H2(g) Hads Hads 1– 2 H(g) ∆GSB ∆Gdiss ∆Gads ∆Gads ∆Gads ≠ ≠ H+ (aq)+ e– H+ (aq)+ e– Hss Potential energy

(b) Solution Surface Metal bulk

Distance 1/2H2(g) H UPD FEcat FEan UPHads OPHads H(g) HER ∆GSB ∆Gads ∆Gdiss ∆Gdiff Hdiss ∆GEA ∆GEA ∆Gads ≠ ≠ ≠ FIGURE 2.8 (a).Schematic.diagram.of.the.potential.energy.versus.distance.curves.for.the.various.H.states.at.the.metal–gas. interface,.namely.the.two.H.adsorption.states.(weakly.bonded,.corresponding.to.on-top.sites,.strongly.bonded,.

corresponding.to.hollow.sites),.the.subsurface.state.(Hss),.and.the.bulk.dissolved.(absorbed).state.(Hdiss)..The.free.

energy.changes.and.activation.free.energies.for.the.different.H.processes.are.indicated.(SB.denotes.surface-bulk. transfer)..(b).Same.diagram.as.(a).for.the.metal–aqueous.solution.interface.in.an.electrolyte.where.competition. with.adsorption.of.other.species.is.negligible..The.states.are.the.same.as.for.(a).except.the.specific.state.(H( )+aq +e−),. initial.state.of.electroadsorption.(EA),.whose.energy.level.with.respect.to.the.H2(g).level.depends.on.the.potential. referred.to.RHE1..If.E.is.positive.(anodic),.electroadsorption.occurs.in.the.strongly.bonded.state,.hence.denoted. underpotential.(UP).H ..If.E.is.negative.(cathodic),.electroadsorption.occurs.in.the.weakly.bonded.state,.hence.

Figura 2.2: Diagramma dell’energia potenziale per vari stati di H all’interfaccia aria-metallo.

Solubilità

L’idrogeno assorbito è presente in vari siti a differenti energie all’interno del me-tallo. Si possono distinguere tre famiglie all’interno delle quali è possibile trovare l’idrogeno all’interno della matrice.

• Idrogeno in soluzione solida • Trappole reversibili

• Trappole irreversibili

Gli atomi di idrogeno in soluzione solida (cioè nei siti interstiziali del reticolo cristallino perfetto) sono i soli ad essere considerati nel determinare la solubilità, tuttavia sono solo una piccola parte del contenuto totale di idrogeno all’interno del-la matrice cristallina una volta raggiunto l’equilibrio termico. Vedremo più avanti gli aspetti legati all’idrogeno nelle trappole reversibili e irreversibili e considereremo adesso l’idrogeno nelle posizioni interstiziali del reticolo, che tuttavia sono predo-minanti in numero e governano i fenomeni di trasporto dell’idrogeno.

La solubilità dell’idrogeno cambia da metallo a metallo e in funzione della tem-peratura (Fig.2.3) per quanto riguarda gli acciai la solubilità nell’austenite-γ è

(11)

2.2 – Diffusione e intrappolamento

maggiore della solubilità nella ferrite-α in quanto il reticolo CFC tipico dell’auste-nite rende disponibile le posizioni ottaedriche non disponibili nella struttura CCC

della ferrite Hydrogen diffusion and trapping in metals 95

© Woodhead Publishing Limited, 2012

T (°C) 2000 1000 500 200 100 x (H/metal) 1 10–2 10–4 10–6 Ti V 0.60 eV 0.30 eV 0.10 eV Pd –0.16 eV –0.28 eV Ni Fe Cu –0.46 eV 0 1 2 3 1/T (103/K)

4.3 Solubility data for various pure metals [8] expressed as atom

fraction.

estimates but there would be more confidence in the data of Hashimoto and

Kino if measurements had been made with much thicker membranes.

Scully et al. did note that the solubility was increased for Al–li and

Al–Mg alloys, which was attributed to both interstitial hydrogen and trapped

hydrogen at precipitate phases, though without further clarification of the

relative extent.

Calculated solubilities for a number of face centered cubic (fcc) metals, Al,

g-Fe, Ni, Cu, Ag, Pt, Au and bcc metals, Cr, a-Fe, Mo and W as a function

of temperature and hydrogen pressure have been determined by Sugimoto

and Fukai and readers are referred to that paper for the detailed plots [13].

The main emphasis of that work was on evaluating the effect of pressure.

Comparison with experimental data was not made and the data for 1 atm.

hydrogen gas pressure were confined to very high temperatures in most cases.

The exception was nickel for which reasonable correlation was obtained.

4.3

Principles of hydrogen diffusion and trapping

The sub-surface lattice hydrogen concentration, C

0

, is a direct reflection

of the severity of the environment, and is the key parameter determining

concentration-driven diffusion in the metal, which occurs, classically, by

Figura 2.3: Solubilità dell’idrogeno in diversi tipi di metalli puri in funzione della temperatura

La dipendenza della solubilità dalla pressione parziale è espressa dalla legge di Sievert secondo la (2.7)

CH = C0 p

PH2 (2.7)

che nel lavoro di Hirth [22] viene espressa come

θ = 0.00185√p· e−3440T (2.8)

2.2

Diffusione e intrappolamento

In seguito all’adsorbimento possono avvenire due fenomeni: o una ricombinazione dell’idrogeno adsorbito (2.6) o la migrazione degli atomi nella struttura cristallina

(12)

2 – Danneggiamento da idrogeno

interna. La concentrazione sub-superficiale Cs è una diretta conseguenza della seve-rità dell’ambiente circostante ed è il parametro chiave per determinare la diffusione nel metallo, dominata dai gradienti di concentrazione, che avviene classicamente tramite il salto degli atomi di idrogeno tra una posizione interstiziale e l’altra del reticolo. La velocità di questo processo, che può essere calcolato mediante le leg-gi di Fick come sarà mostrato successivamente, è ostacolata dal passagleg-gio degli atomi di idrogeno all’interno dei siti trappola a causa del maggior tempo di resi-denza all’interno di questi degli atomi. I siti interstiziali favoriti nel reticolo CCC sono i siti tetraedrici alle temperature inferiori ai 100°C mentre un incremento di temperatura rende disponibile, a causa di fattori entropici, anche i siti ottaedrici, mentre per le strutture CFC come l’austenite i siti preferenziali sono gli ottaedrici. Come evidenziato da Wipf [10] la distanza tra i siti interstiziali nei reticoli CCC è tipicamente di 0.11 nm mentre per i reticoli CFC si trova un valore di 0.18nm questo spiega la maggiore energia di attivazione per la diffusione di idrogeno nei reticoli CFC. Diversi difetti fungono da trappole microstrutturali: bordi di grano, phase boundaries, dislocazioni, inclusioni e vacanze (Fig.2.5). Vi sono anche i vuoti che si formano alle interfacce, questi possono essere classificati come trappole ma bisogna tenere presente che si tratta di trappole dinamiche, ovvero non saturabili dato che incrementano la loro capacità in risposta al progressivo Intrappolamento di idrogeno e incremento di pressione. Ciò che è di maggiore interesse pratico è tut-tavia l’idrogeno intrappolato nelle trappole microstrutturali dato che il potenziale di questo è inferiore rispetto a quello dell’idrogeno interstiziale. Le trappole con potenziale molto basso non lasciano possibilità di liberarsi all’idrogeno intrappola-to alla temperature ambiente, questi vengono chiamati siti irreversibili tuttavia le trappole irreversibili tendono ad essere riempite di idrogeno e ad avere un basso impatto sui processi diffusivi. Inoltre è ormai assodato da diversi studi in lettera-tura che l’idrogeno associato alle trappole irreversibili non influenza i fenomeni di rottura. In (Fig.2.4)

Se le fluttuazioni ambientali dell’energia termica sono sufficienti a permettere il movimento degli atomi di idrogeno contenuti nelle trappole allora queste vengono classificate come reversibili. Per una trappola reversibile assumendo l’equilibrio con l’idrogeno interstiziale l’occupazione della trappola può essere espressa con la Eq.(2.9) θr 1− θr · 1− θL θL = e−RTEb (2.9)

dove θ è la frazione occupata del sito e i simboli r ed L si riferiscono rispet-tivamente alla trappola e al sito interstiziale, Eb è l’energia libera associata alla trappola (negativa) θL << 1 è una condizione che può essere assunta e definendo CL come concentrazione e NL la densità di siti interstiziali si ottiene:

(13)

2.2 – Diffusione e intrappolamento

97 Hydrogen diffusion and trapping in metals

© Woodhead Publishing Limited, 2012

charging stage. Assuming that the deeply trapped hydrogen is retained but the readily mobile hydrogen escapes, the test will provide an assessment of the impact of the deeply trapped hydrogen in isolation. using this method for a 13 Cr martensitic stainless steels (AISI 410) [19] and for some C-steels [20], deep trapping was indeed shown to have no individual effect on cracking. In general, these deeper trap sites tend to be fi lled with hydrogen during processing and then have little infl uence on diffusivity, although there are exceptions [19].

If the fl uctuations in thermal energy are such as to enable the hydrogen atom to jump out of a trap site then these are referred to as reversible trap sites. It should be emphasised that there is no strict cut-off in terms of a binding energy that separates reversible traps from irreversible traps; essentially the probability of an atom jumping out of a trap simply gets smaller and smaller with increase in binding energy to the point that it becomes insignifi cant. Clearly, with increase in temperature, the probability will increase, the residence time of hydrogen in the trap will decrease, and the effective diffusivity will increase.

For a reversible trap site the trap occupancy (assuming equilibrium with lattice hydrogen) can be expressed by:

q q qq r r l l b 1 – · 1 – = exp – Eb Eb RT È ÎÍ È Í È ÎÍÎ ˘˚˙˘˙˘˚˙˚ [4.10] Potential energy , E Et Eb Ea Reversible Irreversible Distance

4.4 Schematic illustration of the potential energy associated with

interstitial diffusion sites with activation energy Ea, and trap sites

with binding energy Eb and activationenergy Et. The activation

energy for release of hydrogen from the trap sites will vary according to the nature of the trap site.

Figura 2.4: Livelli energetici nell’intrappolamento di idrogenoAust. J. Basic & Appl. Sci., 7(5): 329-335, 2013

331

Fig. 3: Schematic view of destinations for hydrogen in a metal microstructure: (a) solid solution; (b) solute–

hydrogen pair; (c) dislocation atmosphere; (d) grain boundary accumulation; (e) particle-matrix interface accumulation; (f) void containing recombined hydrogen (Dayal, R.K., N. Parvathavarthini, 2003). Hydrogen Damage Failure Modes:

The figure indicates the way in which hydrogen from a variety of sources transported by dislocations or lattice diffusion can accumulate at any one or jointly with other sites (traps) in the metal matrix. These traps are classified as ‘irreversible’ if they act purely as hydrogen sinks or reversible if they accept hydrogen under some circumstances but act as a hydrogen source otherwise. The so-called irreversible traps liberate hydrogen at a sufficiently elevated temperature which depends on the trap energy (Dayal, R.K., N. Parvathavarthini, 2003). The local hydrogen concentration at a potential crack site must reach a critical level for a given stress intensity factor (Kt) before the initiation of cracking. The hydrogen traps influence the likelihood of cracking by controlling the availability of hydrogen to the critical cracking locations. An increase in temperature decreases the trap energy, thus decreasing their tendency to hinder hydrogen diffusion. Above about 400°C, the apparent diffusion coefficient is close to the diffusion coefficient of hydrogen by lattice diffusion while below this temperature the diffusion coefficient is affected by hydrogen trapping. The number of reversible traps is strongly affected by the transformation products formed on cooling. For example a tempered martensite has more trapping sites than a pearlite. This is due to the increased surface area of the finer carbides in the martensite (Dayal, R.K., N. Parvathavarthini, 2003).

Fig. 4: Microcracking in hydrogen-charged specimens of X60 steel (Hardie, D., 2006).

Hydrogen embrittlement can be observed by metallurgical examination with result in either intergranular or transgranular by brittle cleavage or interface separation, depending on the relative strength of the boundary. At the region in contact with hydrogen fracture, intergranular occurs by interface separation of the grain boundaries where it depends on the relative strength of the grain boundary (Eliaz, N., 2000). Figure 4 shows an example of intergranular microcracks in hydrogen-charged specimens of X60 steel. Steels with reduced yield strengths when damaged by hydrogen charging at high fugacity can be characterized either by enhanced dislocation formation or void or fissure formation at grain boundaries and interfaces of second phase particles.

Figura 2.5: Vista schematica delle destinazioni dell’idrogeno in una microstruttura metallica: a) Soluzione solida b) Inclusione c) Dislocazioni d) Bordi di grano e) Interfaccia particella-matrice f) vuoti contenenti idrogeno ricombinato

θr 1− θr

= CL NL

e−RTEb (2.10)

e definendo kr e pr come il rateo di ingresso e uscita di una trappola reversibile si vede che:

(14)

2 – Danneggiamento da idrogeno θr 1− θr = CL kr pr e−RTEb (2.11)

che nelle situazioni dove l’occupazione delle trappole reversibili è bassa θr << 1 diventa Cr CL = Nr kr p = Nr NL e−RTEb (2.12)

Si deduce quindi che aumentando la temperatura e assumendo CL costante si avrà una ridotta occupazione dei siti trappola, tuttavia la solubilità tenderà a contrastare parzialmente questo effetto anche se l’effetto netto di un aumento di temperatura è una riduzione nell’occupazione dei siti e questa è la spiegazione dell’incremento della resistenza dei metalli caricati laddove si verifichi un aumento di temperatura come mostrato in [9] In molti studi di permeazione dell’idrogeno, il contenuto di questo è chiamato Capp e rappresenta la somma sia dell’idrogeno intrappolato (reversibile) che dell’idrogeno interstiziale dove il primo è maggiore del secondo di diversi ordini di grandezza. La derivazione della Cappè basata sulla legge di Fick ma è da notare che questa è applicabile sole laddove vi siano le condizioni di una bassa occupazione dei siti trappola. Per questa ragione è importante rilevare il contenuto dell’idrogeno interstiziale come misura della severità dell’ambiente e per valutare le forze in gioco nella diffusione secondo gradiente di concentrazione. Ad ogni modo l’idrogeno intrappolato è intimamente connesso con i processi di rottura e la quantificazione della densità e della percentuale di occupazione dei siti trappola è di fondamentale importanza.

La diffusione dell’idrogeno attraverso il metallo è governata dal rateo al qua-le gli atomi saltano tra qua-le posizioni interstiziali e dalla misura in cui i fenomeni di intrappolamento reversibili ostacolano questo processo L’impatto che avrà l’in-trappolamento sulla diffusione dipenderà dalla densità e dalla distribuzione dei microdifetti e dal loro potenziale. Molto spesso si hanno, nella pratica, due tipi di trappole che dominano sulle altre ad una certa temperatura. Le equazioni di trasporto per due tipi di trappole (1 e 2) sono riportati nelle equazioni Eq.(2.13)

∂Cl ∂t = DL∇ 2C L− ∂C1 ∂t − ∂C2 ∂t ∂C1 ∂t = N1[k1CL(1− θ1)− p1θ1] ∂C2 ∂t = N1[k2CL(1− θ2)− p2θ2] (2.13)

dove C0 è la concentrazione di idrogeno negli interstiziali del reticolo e DL è il coefficiente di diffusione (DL = D0exp[−Ea/RT ]) con D0 coefficiente standard di diffusione ed Ea energia di attivazione, N densità dei siti trappola, θ l’occupazione delle trappole e k p costanti dipendenti dalla temperatura secondo le Eq.(2.14)

(15)

2.2 – Diffusione e intrappolamento k = k0e−Et+EbRT p = p0e− Et RT (2.14)

k0 e p0 sono parametri dipendenti dal materiale, Eb è l’energia di legame e la somma di Ebed Etè l’energia di attivazione per far si che l’idrogeno si muova da una trappola all’altra mentre Et è l’energia per uscire dalla trappola le equazioni (2.13) sono adatte a definire l’evoluzione della concentrazione di idrogeno in risposta a un gradiente di temperatura tipico come quello che si usa nelle analisi di desorbimento termico, in questo caso il variare della temperatura influirà su k e p e nel coefficiente di diffusione.

Bisogna evidenziare che in presenza di tensioni elastiche, in particolare di ti-po idrostatico, il ti-potenziale chimico dei siti interstiziali sarà inferiore (maggiore profondità della valle) e quindi si avrà un termine addizionale nell’equazione di conservazione di massa che diverrà (2.15)

∂Cl ∂t = DL∇ 2C L+∇  −DRTLC · VH∇σM  − ∂C∂t1 −∂C∂t2 (2.15) dove Vhè il volume parziale e σm la tensione idrostatica. Quando si modella una permeazione con trappole reversibili e irreversibili per temperature vicine alla Tamb è lecito assumere p = 0 per uno dei tipi di trappole. Questo tipo di modellazione è errato se si usano le equazioni per modellare un desorbimento. In questo caso devono essere assunti valori finiti di p per schematizzare le trappole irreversibili termine che si ricorda essere corretto solo alle temperature ambiente. Tuttavia per gli studi effettuati con HELIOS III è sempre lecito assumere p = 0 poiché i desorbimenti vengono fatti a una temperatura tale da non far diffondere l’idrogeno nelle trappole ad energia più alta (in valore assoluto).

Attraverso un esperimento di permeazione elettrochimica come quello riportato in (Fig.2.1) si ha un flusso dato da

Si riportano le leggi di diffusione di Fick usate durante gli esperimenti di per-meazione e la loro risoluzione (2.16)

J∞ =−DH dC dx dC dt = DH d2C dx2 (2.16)

Riferendoci adesso ad una lamina di metallo del tutto simile a quelle usate nel processo sperimentale di permeazione si ottiene la soluzione Eq.(2.17) dove Cs è la concentrazione in superficie e C0 la concentrazione iniziale

(16)

2 – Danneggiamento da idrogeno C(x)− C0 Cs− C0 = 1− erf  x 2√Dt  erf (z) = 2 π Z z 0 e−y2dy con z = x 2√Dt (2.17)

Turnbull [1] fa notare che Cs concentrazione sub-superficiale di idrogeno nel metallo dipende dalla natura dell’ossido che va a formarsi sulla superficie e che si può scrivere: C0 = θad 1− θad kabs kdes · k0 km (2.18) dove θad è la percentuale di superficie con atomi di idrogeno adsorbito e k0 e km sono rispettivamente il le costanti del flusso di idrogeno dall’ossido al metallo e dal metallo all’ossido kabs e kdes sono invece applicabili alla superficie di ossido esposta all’esterno

Inoltre D è in funzione della temperatura e si può considerare: D = D0 e−

Ed

RT (2.19)

-dove si è considerato

• D0 Coefficiente di diffusione standard h

m2

s i • Ed Energia di attivazione molJ

 • R Costante universale 8.314  J

K·mol  • T Temperatura in Kelvin [K]

Così come la solubilità era fortemente influenzata dalla struttura atomica lo è anche il coefficiente D di diffusione che varia in modo sensibile tra austenite e ferrite come spiegato in precedenza

2.3

Teoria del desorbimento ad alta temperatura

Come visto un cristallo non perfetto si comporta in modo ben diverso da quanto ci si possa aspettare applicando la teoria della solubilità. Attuando una prova di permeazione otteniamo coefficienti di diffusione diversi da quelli prevedibili e stes-sa costes-sa facendo una prova di thermal desorption analysis otterremo quantità di idrogeno maggiori rispetto a quelle teoricamente assorbite. Queste differenze sono riscontrabili a causa della presenza di difetti nel reticolo che modificano i processi di adsorbimento e diffusione, questi difetti (vacanze, microvuoti, fessure, bordi di

(17)

2.4 – Decadimento delle prestazioni

grano, dislocazioni) fungono da trappole, regioni localizzate di dimensioni maggiori rispetto alle posizioni interstiziali, che attraggono l’idrogeno. Le trappole possono essere distinte in base al livello energetico ad esse associato in trappole reversi-bili e irreversireversi-bili a seconda del livello energetico associato (Fig.??); la differenza consiste nella capacità dell’idrogeno di allontanarsi spontaneamente o rimanervi bloccato se non si rende disponibile energia nel metallo sotto forma di incremento di temperatura. Nel desorbimento ad alta temperatura un incremento di questa fa fuoriuscire il metallo dalle trappole, una trattazione esaustiva dei metodi mate-matici usati per modellare la Thermal Desorption Analysis (TDA) è stata redatta da Turnbull e Hutchings in [11] si riporta qui uno dei metodi più semplici e che meglio schematizzano il processo proposto da Lee and Lee [13] L’analisi di Lee è basata sull’evoluzione dell’idrogeno considerato solamente nei siti trappola, usando la terminologia del loro articolo il rateo di fuga da un sito trappola è definito come in (2.20)

dX

dt = A (1− X) e −Ed1

RT (2.20)

dove X = 1 − N/N0 e N0 ed N sono le quantità di idrogeno al tempo zero e al tempo t > 0. A è una costante e Ed

1 è l’energia di attivazione per il rilascio dalla trappola che abbiamo chiamato in Et in questo capitolo. Il termine 1 − X definisce il contenuto di idrogeno residuo relativo a una trappola specifica. Sono quindi effettuate una serie di prove ad un rateo di temperatura φ sempre crescente e si registrano le temperature alle quali abbiamo un picco nel desorbimento chia-mandole Tc plottando lnTφ2

C e T

−1

C si nota una relazione lineare cn un gradiente di −Ed

1/R dal quale si determina facilmente l’energia per E1dovvero quello che abbia-mo chiamato Et nella trattazione precedente, l’energia per far si che un atomo di idrogeno si liberi dalla trappola. Il vantaggio considerevole dell’approccio alla Lee è la semplicità, ma non tiene conto dei parametri diffusivi il modello può essere usato considerando bassi ratei di ricombinazione dell’idrogeno e spessori dei provini, ma non si tiene di conto della possibilità che l’idrogeno rilasciato da una trappola possa divenire disponibile per un altra, semplicemente si ignora questo fatto consideran-do che l’idrogeno desorbito si allontani dal materiale. Tuttavia il modello di Lee se applicato ad acciai debolmente legati con una bassa occupazione delle trappole porta a una stima dell’energia di attivazione in linea con modelli più raffinati. Alle alte concentrazioni di idrogeno è ancora osservabile la linearità come proposta da Lee ma deve essere adottato un modello diverso per valutare l’energia

2.4

Decadimento delle prestazioni

Il decadimento delle prestazioni a seguito di problematiche legate all’idrogeno si è verificato in diversi campi, si ricordano a titolo di esempio non esaustivo:

(18)

2 – Danneggiamento da idrogeno

• Reattori chimici in presenza di idrogeno ad alta pressione • Bulloneria rivestita mediante trattamenti elettrochimici • Pipeline e oleodotti

• Acciai altoresistenziali • Acciai da smaltature (forni)

I meccanismi con cui si hanno i danneggiamenti sono ad ogni modo ridotti e possono essere (Fig.??)

1. Hydrogen Attack [HA]

2. Hydrogen Induced Cracking [HIC]

(anche chiamato Hydrogen blistering)

3. Hydrogen Embrittlement [HE]

4. Stress Oriented Hydrogen Induced Cracking [SOHIC]

5. Sulfide Stress Corrosion Cracking [SSCC]

6. Hydrogen Stress Cracking [HSC]

2.4.1

Hydrogen Attack

L’attacco da idrogeno è una forma di danneggiamento che si presenta perlopiù in acciai basso-legati con carboni la dove insistano temperature maggiori di 200°C e pressioni superiori ai 200 bar. In queste condizioni l’idrogeno può penetrare all’interno del metallo e reagire col carbonio o i carburi presenti ottenendo un idrocarburo semplice, cioè il metano. Questo fenomeno oltre a produrre vuoti e fessure dovute alla presenza del gas nella matrice metallica va a decarburare l’acciaio facendogli perdere la cementite e con essa le doti di resistenza inizialmente volute in fase progettuale. La formula che descrive il processo è:

Fe3C +8H + C 2 CH4(g)+ 3 Fe (2.21)

L’attacco da idrogeno è anche conosciuto come attacco ad alta temperatura e può essere combattuto applicando un rivestimento al Cr-Mo. impiega molto tempo a manifestarsi ed ha effetti catastrofici (Fig.2.6)

(19)

2.4 – Decadimento delle prestazioni

Figura 2.6: Esempio di tubo in acciaio al carbonio attaccato da idrogeno ad alta temperatura. All’interno del tubo scorrevano idrogeno e nitrogeno alla temperatura di circa 240°C

2.4.2

Hydrogen Induced Cracking

Nel fenomeno di HIC si ha la ricombinazione dell’idrogeno in forma molecolare sulle interfacce critiche del materiale (inclusioni, vacanze, bordi di grano, etc.) questo fenomeno può verificarsi anche in assenza di tensioni interne al materiale e si diffe-renzia dal blister poiché conduce alla formazione di vere e proprie fessure in luogo dei blister. La suscettibilità a questo fenomeno è dipendente in larga parte dalle impurezze presenti interne al materiale e al tipo di trattamento termico, ma in linea generale un acciaio è tanto più soggetto al fenomeno di HIC tanto più è resistente. Il trattamento termico che più scongiura il rischio di HIC è stato dimostrato essere il trattamento di normalizzazione+bonifica diversi modelli tendono a spiegare il fenomeno

Teoria della Pressione Interna

Un primo modello per spiegare il fenomeno dell’HIC è la teoria della pressione interna. Zappfe [6] lega l’infragilimento alla formazione di idrogeno molecolare ad alta pressione all’interno delle cavità presenti nel metallo. L’avanzamento delle cricche è possibile nel caso in cui la pressione raggiunga il valore critico per il quale Griffith propone il valore di

p = s 2Gγs aπ (1− ν) (2.22) dove: • G modulo di taglio; 19

(20)

2 – Danneggiamento da idrogeno • ν coefficiente di Poisson;

• γs energia di superficie; • a lunghezza della cricca. Teoria dell’energia superficiale

La precedente teoria di Griffith alla base della teoria della frattura lineare elastica è alla base di alcune teorie di danneggiamento da idrogeno, tra le quali le teorie dell’energia superficiale, in queste teorie si sostiene che parte dell’energia derivante dalla deformazione sia rilasciata durante la propagazione della fessura e convertita in energia superficiale. Petch e Stables [21] proposero un modello dove l’idrogeno è adsorbito dalla superficie di frattura, causando una riduzione dell’energia superficia-le e semplificando la propagazione della fessura. Maggiore sarà la concentrazione di idrogeno presente in superficie e maggiore sarà la velocità di propagazione della fes-sura. L’idrogeno adsorbito interagisce con i legami della sollecitazione internamente alla fessura e inficiando la stabilità del legame (Fig.2.7)

CAPITOLO 2. DANNEGGIAMENTO DA IDROGENO 25

Petch e Stables [49] hanno proposto un modello secondo il quale l’idrogeno è adsorbito sulla superficie di frattura, causando una riduzione dell’energia superficiale e rendendo più semplice il processo di propagazione della fessura stessa. La velocità di avanzamento della cricca dipende dalla quantità di idrogeno che è presente sulla superficie.

L’idrogeno viene adsorbito e interagisce con i legami distorti dalla sollecitazione all’apice della fessura, causando una riduzione della stabilità di legame (Figura 2.11). Questo modello è basato esclusivamente su considerazioni energetiche e non sono inclusi gli effetti di microstruttura e plasticità.

H+

A0

A1

Figura 2.11: Modello di adsorbimento. L’interazione di un generico ione (in questo caso H+) con il materiale base riduce l’energia di coesione del legame deformato

A0-A1 all’apice di una fessura.

I limiti della teoria dell’energia superficiale, come riassunto da Hirth [50], sono una significativa sottostima della tenacità a frattura ed il comportamento contrario dell’ossigeno, che non promuove la rottura dei legami ma inibisce gli effetti degradanti dell’idrogeno. Alcune ipotesi (Hancock e Johnson [41]) sostengono che all’apice della fessura venga preferenzialmente adsorbito ossigeno, coerentemente con la maggior affinità con il ferro rispetto all’idrogeno, ossidando il materiale e formando una barriera protettiva.

2.6.4 Teoria di Decoesione del Reticolo (HEDE)

Il modello di decoesione (Hydrogen Enhanced DEcohesion, HEDE) è stato proposto da Troiano [51] [52] e sviluppato da Oriani [53] [54]. Questa teoria è correlata al modello di adsorbimento dell’idrogeno, in accordo con l’assunzione per cui la riduzione dell’energia superficiale nella zona di interfaccia ione-superficie sia un potenziale sito di infragilimento. Il modello di decoesione estende il concetto all’intero reticolo cristallino, in senso volumico.

L’idrogeno presente nella matrice dell’acciaio si concentra nelle regioni con elevato stato triassiale di trazione, formando zone di sovrasaturazione che portano ad un indebolimento del legame atomico e facilitando la nucleazione di una microcricca. Quando la concentrazione locale di idrogeno raggiunge un valore critico, funzione dello stato tensionale, il fronte di frattura all’apice della cricca propaga finché il

Figura 2.7: L’interazione di uno ione H+ proveniente dall’ambiente interagisca con il materiale base riducendo l’energia di coesiva del legame A0 A1

Il modello teorico sviluppto da Petch è basato esclusivamente su considerazioni energetiche e non considerà eventuali effetti dovuti alla plasticità del materiale. I limiti di questo approccio si manifestano in una sottostima della tenacità a frattura. Teoria della decoesione del reticolo

Il modello di decoesione è stato trattato per primo da Troiano [25] e sviluppato poi da Oriani [18] la teoria alla base del modello sviluppa la teoria dell’energia estenden-dola all’intero reticolo cristallino in senso volumico piuttosto che applicarla alla sola zona di interfaccia ione-superficie. L’idrogeno nella matrice dell’acciaio, secondo la

(21)

2.4 – Decadimento delle prestazioni

teoria, si concentra nelle regioni ad elevato stato idrostatico di trazione, formando zone sovra sature che portano ad un indebolimento del legame atomico, facilitando al contempo la nucleazione di una microcricca. Raggiunto il valore critico della concentrazione locale di idrogeno il fronte di frattura all’apice della cricca propaga fino a quando il processo non è arrestato da un a plasticizzazione che arresta il pic-co tensionale. L’idrogeno si accumula poi nuovamente nella zona plasticizzata poer far ripartire il processo che globalmente risulterà in un avanzamento della frattura

(Fig.2.8)CAPITOLO 2. DANNEGGIAMENTO DA IDROGENO 26

Stato Tensionale Triassiale Carico Generico H H Frattura Fragile H ┴ ┴ ┴ ┴ ┴ ┴

Propagazione della Fessura Accumulo Dislocazioni

Figura 2.12: Schematizzazione del modello di decoesione.

Successivamente l’idrogeno si accumula nuovamente nei pressi del nuovo fronte della fessura, con avanzamento del processo a step alterni di danneggiamento e riaccumulo (Figura 2.12).

La presenza di idrogeno può indebolire anche il legame metallico. Gli elettroni degli atomi di idrogeno presenti in soluzione in un metallo di transizione possono modificare le bande energetiche dei nuclei metallici (Figura 2.13). Il sovrapporsi delle bande dei metalli di transizione (come ferro, cobalto, nickel) causa un’azione repulsiva fra i loro atomi, modificando la distanza interatomica.

Legami 3d De nsità degli Stati N(E) Energia degli Elettroni E Legami 4s (a) 3d Densit à degli Stati N(E) Energia degli Elettroni E 4s Energia Addizionale dovuta ad Idrogeno (b)

Figura 2.13: Effetto dell’idrogeno sulla configurazione elettronica in un metallo di

transizione in assenza di idrogeno (a) e in presenza di idrogeno (b).

Un aumento della concentrazione elettronica nelle bande energetiche porta ad

Figura 2.8: Propagazione secondo il modello di decoesione del reticolo La criticità nella validazione di questo modello risiede nella debolezza delle prove a supporto della teoria formulata. In particolare a livello sperimentale si riscontra il problema di riuscire a rilevare il contenuto di idrogeno all’apice della fessura che in teoria dovrebbe essere maggiore rispetto alla concentrazione nel resto della matrice metallica

2.4.3

Hydrogen Embrittlement

Tra le forme di degradazione delle prestazioni questa è la prima a manifestarsi in quanto si riesce ad osservare anche per basse concentrazioni di idrogeno, nonostante i passi avanti compiuti nella modellazione del fenomeno per cercare di comprenderlo ancora restano diversi aspetti da chiarire. Come visto i fenomeni di intrappolamen-to possono avvenire in ambienti dove vi siano correnti e alle alte temperature, il

(22)

2 – Danneggiamento da idrogeno

fenomeno è inoltre favorito da tensioni idrostatiche, l’aspetto positivo di questo fenomeno è la sua reversibilità, infatti se la quantità di idrogeno introdotta non ha provocato fessure o cricche è facile allontanare l’idrogeno nelle trappole reversibili con temperature basse che non modificano la struttura dell’acciaio. L’infragilimento si manifesta preferibilmente nelle zone di intaglio, in queste zone quando il mate-riale viene sottoposto a tensione si ha un aumento di concentrazione dell’idrogeno. La ragione per la quale nelle prove SSRT sono stati usati provini con un fattore di concentrazione degli sforzi è dovuta infatti al tutelarsi da questo fenomeno. Il danno si manifesta al raggiungimento in queste zone della concentrazione critica che segue una legge del tipo:

CH = C0e

VH σi

RT (2.23)

La concentrazione di idrogeno nella zona di concentrazione delle tensioni CH dipende in modo esponenziale dalla tensione all’apice della cricca σi e quindi dal carico applicato, nella relazione R e T sono la costante universale e la temperatura mentre VH è una costante che vale nel caso degli acciai circa 2cm3/mol e C0 è la concentrazione nelle zone non in tensione.

2.4.4

Stress Oriented Hydrogen Induced Cracking

Lo Stress Oriented Hydrogen Induced Cracking è una comune e insidiosa forma di infragilimento da idrogeno che si verfica abitualmente in ambienti umidi e con acido solfidrico H2S. Rispetto a HIC però SOHIC si presenta come una serie multipla di fratture dovute ad HIC che sono disposte perpendicolarmente alla direzione delle fratture principale, questo fenomeno è dovuto essenzialmente ad alte concentrazio-ni di tensioconcentrazio-ni resdue internamente al materiale, condizione critica che si verifica facilmente dovesi hanno materiali saldati. I dispositivi potenzialmente soggetti a questo tipo di danneggiamento devono essere ispezionati e mantenuti secondo la norma NACE-RP0296, inoltre è opportuno la dove si abbiano saldature sottopor-re il materiale a un trattamento termico post saldatura per far si che si allentino le tensioni residue o in alternativa usare particolari elementi di lega che evitino il problema. Un materiale resistente a HIC con rivestimento polimerico e in assenza di tensioni interne non può presentare quest tipo di danneggiamento

2.4.5

Sulfide Stress Corrosion Cracking

Nota anche come tensocorrosione da solfuri, è microscopicamente simile alla ten-socorrosione e risulta essere una forma di infragilimento da idrogeno di natura catodica che si è verificato in maniera particolarmente catastrofica in quei settori industriali ad alta presenza di composti azotati e solforati come l’industria petrol-chimica. Gli acciai e le leghe sensibili a questo fenomeno reagiscono con il solfuro di idrogeno H2S formando solfuri metallici e idrogeno atomico come sottoprodotti

(23)

2.4 – Decadimento delle prestazioni

di corrosione. L’idrogeno tenderà a ricombinarsi per formare H2 sulla superficie op-pure diffondera internamente al metallo, dove qui si ricombinerà creando pressione all’interno dei microvuoti. La presenza di solfuri è particolarmente problematica poiché lo zolfo è un forte veleno di ricombinazione che impedisce all’idrogeno ato-mico di allontanarsi dal metallo. Il fenomeno è particolarmente pericoloso dato che si manifesta anche in quei materiali che sono reputati al sicuro poiché protetti cato-dicamente. La velocità di corrosione negli ambienti ad alte concentrazioni di acido solfidrico tende ad aumentare col diminuire del pH della soluzione acquosa come mostrato in (Fig.2.9). In ambienti anaerobici le reazioni di dissociazione sono: Anodo Fe Fe2+ + 2 e– Catodo H2S + H2O H++ HS– + H2O HS– + H2O H++ S2–+ H2O (2.24) Reazione netta Fe + H2S FeS +2H (2.25)

CAPITOLO 4. DANNEGGIAMENTO DA IDROGENO

31

reazione netta

F e + H

2

S

−→ F eS + 2H

0

Figura 4.12: Concentrazione di acido solfidrico in funzione del pH.

Sotto condizioni acide, l’H

2

S (vedi Figura 4.12) pu`

o dissolversi in soluzione acquosa.

In pratica, i prodotti della corrosione del ferro in soluzioni acquose contenenti zolfo sono

basati sul solfuro di ferro, come mostrato sopra, ma possono prendere anche altre forme

molecolari quali F eS

2

, F e

7

S

8

o F e

9

S

8

in funzione del pH, della pressione parziale

dell’a-cido solfidrico e del potenziale di ossidazione della soluzione.

E’ ormai generalmente accettato che l’SSC sia una forma di infragilimento da idrogeno

che si presenta in molti acciai altoresistenziali (HSS), tuttavia gli studi meccanici condotti

sul fenomeno sono ancora esigui. Il sulfide stress cracking pu`

o essere prodotto in

mate-riali suscettibili a questo tipo di infragilimento, attraverso la simultanea presenza di una

tensione esterna di trazione applicata al componente e un ambiente corrosivo contenente

H

2

S. L’acido solfidrico ha, in questo fenomeno, un duplice ruolo:

1. incrementa la velocit`

a di corrosione dell’acciaio in ambiente acquoso;

2. inibisce la ricombinazione dell’idrogeno in forma molecolare, favorendo cos`ı l’ingresso

dell’idrogeno atomico nel materiale.

Ne deriva che la presenza di H

2

S aumenta l’effetto infragilente dell’idrogeno rispetto

ad ambienti senza acido solfidrico.

Meccanismo del Sulfide Stress Cracking

Per quanto appena detto, sembrerebbe che la connessione tra rotture per SSC e

pre-senza di idrogeno sia del tutto casuale. Gran parte del contributo offerto dall’idrogeno al

fenomeno dell’SSC `e dovuto all’intima somiglianza tra le rotture avvenute per SSC e quelle

osservate in vari tipi acciai per fatica statica in ambienti non contenenti H

2

S. Dobbiamo

aggiungere, a differenza di fratture avvenute per SSC in leghe contenenti N i, che `e

comun-que possibile osservare il meccanismo di dissoluzione anodica dell’SCC (Stress Corrosion

Cracking).

Figura 2.9: Concentrazione di acido H2S in funzione del pH

In molti acciai altoresistenziali è stata riscontrata questa forma di infragilimento, tipicamente per verificare la resistenza di un determinato tipo di materiale al SSCC lo si sottopone ad una tensione di trazione tenendolo immerso in un ambiente acido

(24)

2 – Danneggiamento da idrogeno

ricco di acido solfidrico, l’acido solfidrico ha un effetto doppiamente dannoso perché: 1) Incrementa la velocità di corrosione, 2) Inibisce la ricombinazione di idrogeno in forma molecolare.

(25)

Capitolo 3

Tipi di frattura

Le superfici di frattura mostrano il percorso di propagazione della fessura. La plasticità dei materiali è un aspetto importante che sarà preso in considerazione nell’esaminare le superfici dal momento che è questa che dissipa la maggior parte dell’energia necessaria alla propagazione della fessura. Le fratture dei materiali metallici sono diverse tra loro ma sono caratterizzate da alcune strutture comuni. Ovvero:

• Dimples • Clivaggio

• Separazione delle interfacce

Le fratture imputabili agli attacchi da idrogeno non risultano differenti da queste modalità all’analisi microscopica, modalità che in questo capitolo saranno analizzate una ad una.

3.1

Dimples

La modalità di frattura che presenta microvuoti (Dimples) è tipica della frattura di tipo duttile, le dimensioni e la forma dei dimples non sono uniformi ed essi sono distinti in dimples primari (grossi) e secondari (fini) come visibile in (Fig.3.1). In caso di metalli infragiliti con idrogeno la presenza di Dimples sulle superfici di frattura indica che il materiale ha comunque conservato una certa duttilità. Basandoci sullo studio di Nagumo [19] si osserva come il caricamento di idrogeno nel metallo causi, a livello microscopico, l’allargamento dei microvuoti primari e il rifinimento di quelli secondari, come da (Fig.3.2) da questo risultato si vede come il contenuto di idrogeno riduca l’entità della deformazione plastica e assieme a questa anche la tenacità del materiale.

(26)

3 – Tipi di frattura

Figura 3.1: meccanismo di frattura duttile di una lega AM60B

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 0 10 20 30 40 Depth/width of Dimple Areal Fraction (%) Non idrogenato Idrogenato

Figura 3.2: Confronto dimensionale tra microvuoti presenti su un acciaio a medio tenore di carbonio non idrogenato ed idrogenato rotto a flessione [19]

3.2

Clivaggio

La frattura per clivaggio è tipica della frattura fragile negli acciai con struttura CCC ed è riconoscibile dalla propagazione della fessura lungo i piani {100}. Nelle fratture

(27)

3.3 – Quasi Clivaggio

imputabili a infragilimento da idrogeno degli acciai la frattura per clivaggio è estre-mamente rara e si manifesta solo in particolari condizioni. Fratture per clivaggio con infragilimento da idrogeno sono state ottenute da Tetelman e Robertson27 per singoli cristalli di Fe con percentuali di Silicio attorno al 3% fortemente idrogenati si riporta in (Fig.3.3) una foto caratteristica di una rottura per clivaggio

Figura 3.3: meccanismo di frattura fragile di una lega AM60B

3.3

Quasi Clivaggio

Con una il termine quasi clivaggio si vuole indicare una superficie di frattura piut-tosto piatta e con bordi irregolari che non possa essere ricondotta ad un piano principale di propagazione come nella frattura per clivaggio. Questo meccanismo di frattura è spesso osservabile nei materiali infragiliti per idrogeno. Anche se non si può riuscire a ricondurre questa specie di frattura ad un unica morfologia, Martin e Fenske [20] hanno mostrato come la struttura caratteristica del quasi-clivaggio siano le creste, e come queste siano correlabili con bande di deformazione intense e altamente localizzata sotto la superficie. La superficie di frattura nel quasi-clivaggio nasce dalla crescita e coalescenza dei microvuoti che iniziano a propagarsi lungo le intersezioni delle bande di scorrimento. In (Fig.3.4) si vedono le creste tipiche di questa struttura

3.4

Frattura Intergranulare

Le superfici di frattura che riguardano gli acciai martensitici attaccati con idrogeno mostrano morfologie che evidenziano la struttura del grano austenitico, la frattura

(28)

3 – Tipi di frattura

no carbides are associated with these ridges and none appear in the field-of-view. Therefore, carbides are not involved in the formation of this fracture surface.

4. Discussion

SEM examination of the fracture surfaces of the hydro-gen-failed sample and of foils of different metals deformed to failure in situ in the TEM showed similar characteristics in the form of saw-teeth (ligaments). The TEM studies showed the ligaments formed in initially thick, electron opaque material that had been undergone significant defor-mation such that a small volume was thinned to electron transparency. Final separation in this region occurred by dislocation slip followed by crack propagation along the active slip systems [20]. From the similarity of these fea-tures in the two cases, it is proposed that the saw-teeth on the ridges are the result of final separation of the thinned volume that connects two ridges. Although this final stage of failure involves extreme plastic processes, which may be accelerated by the presence of hydrogen, the formation of the saw-teeth is not central to the overall hydrogen degradation and fracture of this steel. However, the presence of these features provides important evidence as to the separation process, which is depicted schemati-cally in Fig. 4 and would produce opposing fracture sur-faces that match ridge-to-ridge; this schematic is similar

From topographical maps of the fracture surface along with characterization of the sub-surface microstructure, it has been shown that the surface ridges are associated with failure along slip bands, which have experienced intense and localized deformation. The localization of the deforma-tion as well as the accompanying reducdeforma-tion in cross-slip is consistent with the localized plasticity associated with the shielding model of hydrogen embrittlement [21]. In this mechanism, the accumulation of hydrogen in the stress field of the dislocation essentially modifies the stress field of this dislocation–hydrogen complex. In certain directions, this modification results in a reduction in the dislocation inter-action energy with other elastic obstacles and in others it results in an increase [22–24]. Consequently, in directions in which a reduction occurs, dislocation interactions and processes effectively occur at a lower stress level than in the absence of hydrogen. The effect is most prominent in regions of high concentrations of hydrogen, and deforma-tion can become localized to one slip system as cross-slip is hindered and even prohibited by the presence of the hydrogen environment attached to the dislocations [25].

In the following, several mechanisms are considered that could generate the fracture surface morphology observed in Figs. 1 and 2from the underlying microstructure shown inFig. 3. The schematics presented inFig. 5consider differ-ent possible scenarios for the initiation sites and growth mechanisms and the resulting fracture surface. The

attri-Fig. 1. (a) SEM image of a select area of a fracture surface showing the features typical of a quasi-cleavage surface; (b) high-magnification image showing ridges with saw-teeth features at the apex; (c) fracture surface of an Al TEM foil strained to failure in situ in the microscope; (d) fracture surface produced in an initially electron opaque region in a Cu–Co alloy deformed at room temperature in situ in the TEM.

M.L. Martin et al. / Acta Materialia 59 (2011) 1601–1606 1603

Figura 3.4: Immagine SEM della superficie di una frattura per quasi clivaggio

si manifesta lungo i bordi del grano austenitico ed è alla base dei modelli di frattura usati per l’infragilimento. La struttura è tipica per gli infragilimenti dovuti a tem-pra, e infatti nelle analisi al SEM condotte in questo lavoro è stata una modalità di frattura spesso incontrata (Fig.3.5). La prevalenza della modalità intergranu-lare è stata dimostrata [] per gli acciai martensitici a medio tenore di carbonio in prove SSRT dopo caricamento con idrogeno. Dagli studi di Nagumo [17] si vede in (Fig.3.6)

Figura 3.5: Campioni di USIBOR 2000. Sinistra: Campione non idrogenato dal comportamento duttile con dimples evidenti. Destra: Campione con frattura fragile intergranulare H2 = 0.5ppmw

(29)

3.4 – Frattura Intergranulare

threshold stress decreased with increasing P contents, and the decrease at a constant P content was pronounced with increased Mn contents. The yield strengths were almost the same, ~745 MPa, but the fracture surface changed from transgranular to partially IG associated with the decrease in the threshold stress.

Enhancement of IG fracture by hydrogen at tensile tests of medium carbon Cr-Mo martensitic steels containing different amounts of Mn are shown in Figs.7.6, 7.7,7.8 and 7.9in Sect. 7.1(e). The fracture mode was mostly IG, and the higher Mn contents caused the smoother fracture surfaces and reduced accom-panying fine tear patterns. Tensile test results under concurrent hydrogen charging are shown in Fig.8.8[24]. The Mn contents did not affect tensile properties when hydrogen was not present, but the fracture stress and tensile ductility decreased with increasing Mn contents in the presence of hydrogen, in accord with other studies on Kthfor AISI 4340 steel [23].

On the other hand, high Mn contents pronounced the increase in the hydrogen absorption capacity after straining as shown in Fig.7.8. The vacancy-type nature of the trap sites was revealed by TDA as shown in Fig.7.9. The increase in the density of strain-induced trap sites is apparently against the reduction of plasticity that appeared on the fracture surface. However, the results are plausible when extremely localized strain in regions near prior austenite grain boundaries intensifies accumu-lation of damage, there leading to premature fracture. Constraint for slip extension across grain boundaries favors the creation of strain-induced vacancies as the result of mutual interactions of dislocations. The microstructural entity of Mn operating for strain localization is not definite quantitatively, but Mn likely affects structural factors such as impurity segregation and precipitation of carbides in grain bound-aries, as suggested in preceding studies.

Boron is a unique element that intensifies the hardenability of steels with contents as low as ppm by segregating at austenite grain boundary. The states of B in steels are controlled by other alloying elements and thermal histories since B

Fig. 8.8 Tensile properties of medium carbon martensitic steels with different Mn contents with/ without hydrogen charging (Nagumo et al. [24])

180 8 Effects of Microstructural Factors on Hydrogen Embrittlement

The IG fracture surfaces accompanying plasticity are not specific to steels and to the presence of hydrogen. Fracture surfaces of ultra-high strength 7075 aluminum alloys containing high Mg and Zn solutes were predominantly IG mode at fracture toughness tests, and fracture toughness decreased accompanying increasing amounts of IG fracture [24]. High magnifications of IG surfaces revealed very shallow dimples with fine particles ( ~0.1 μm). In situ observations for thin foil specimen revealed void initiation at grain boundary precipitates. It was postulated that the void initiation was induced by constraint against deformation near grain boundaries.

The prevalence of IG mode fracture was demonstrated for compositional effects in medium carbon martensitic steels at slow-elongation rate tensile tests under concurrent hydrogen charging [25]. The compositions of the steels were similar except manganese contents of 0.5, 1.0 and 1.5 %, and the specimens were plates of 2 mm in thickness and 10 mm in width without notch. Hydrogen charging was conducted by cathodic electrolysis in a 3 % NaCl aqueous solution containing 0.5 g/l 32# NH4SCN at a current density of 5 A/m

2

. Fracture surfaces are shown in Fig.7.6 [25], and the tensile properties with and without hydrogen charging are shown in Fig. 8.8 in Sect. 8.2. It is to be noticed that enhanced degradation by higher manganese contents appeared only when hydrogen was present.

Fracture under hydrogen-charging always initiated near the corner of the spec-imen with IG fracture mode prevailing. Fine tear patterns were frequently observed on IG surfaces but the surface was smoother for higher manganese contents. Chemical etching of the IG surface with saturated picral revealed that tear took place along martensite lath boundaries. The average roughness of the fracture surface measured by means of scanning laser microscopy decreased with increasing Mn contents as shown in Fig.7.7[25]. The roughness corresponds to the dissipation of plastic energy on crack growth and the results of Fig.7.7are in accord with the

Fig. 7.6 Tensile-fracture surfaces of medium carbon martensitic steels under hydrogen charging. Manganese contents: (a) 0.5, (b) 1.0 and (c) 1.5 % (Nagumo et al. [25])

146 7 Characteristic Features of Deformation and Fracture in Hydrogen Embrittlement

Figura 3.6: Proprietà meccaniche e frattografie di un acciaio martensitico con contenuto di carbonio medio al variare del contenuto di manganese con e senza caricamento da idrogeno a) 0.5%Mn b) 1.0%Mn c) 1.5%Mn

(30)
(31)

Capitolo 4

Acciai automotive per formatura a

caldo

4.1

Introduzione

L’industria dell’auto deve ridurre il peso e il costo dei veicoli garantendo sempre migliori performance in termini di sicurezza. Per raggiungere questi obiettivi è ne-cessario che i produttori e i loro fornitori sviluppino continuamente nuovi materiali. I materiali sviluppati fino ad oggi per soddisfare le esigenze di un mercato sempre più competitivo sono:

• Gli acciai tipici della famiglia AHSS • Le leghe di alluminio

• Le leghe di magnesio • Il carbonio

Come si può notare da (Fig.4.1) le leghe di magnesio e alluminio hanno una limitata formabilità e resistenza e per gli acciai ad un aumento di resistenza è sempre associato con una più bassa formabilità che impedisce di fatto la realizzazione di pezzi con forme complesse. Con la seconda generazione di AHSS, in particolare con gli acciai TWIP si poteva vedere qualche miglioramento in termini di formabilità mantenendo alte le caratteristiche di resistenza, tuttavia questa famiglia di acciai possiede molti elementi in lega che la rendono costosa e particolarmente soggetta al fenomeno del delayed cracking, ragione per cui non ha incontrato il successo commerciale sperato.

Lo stampaggio a caldo è un processo per formare acciai legati con manganese e boro in varie percentuali e fargli assumere geometrie complesse. A questo fine sono impiegabili due metodi:

(32)

4 – Acciai automotive per formatura a caldo

12.1.2

A typical hot stamping line

A typical hot stamping line consists of (1) furnace/heating device, (2) material han-dling system, (3) press, (4) die set, (5) exit line, and (6) trimming/piercing systems.

Typically for heating, roller hearth furnaces are used. These are, depending on the type and production rate, furnaces that are 30 to 60 meters long. Roller hearth furnaces are typically gas and/or electric heated. To save space, “double decker fur-naces” (as seen inFig. 12.3) and “multi-chamber furnaces” have been designed and used in mass production [1315]. Since 2013, conduction heating is also used by

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 0 10 20 30 40 50 60 70

Ultimate tensile strength (MPa)

Total elongation (%) Austenite (FCC) T Ferrite (BCC) Martensite (BCT) Aust. SS TRIP TWIP IF Mild BH CMn Mn-B Alloyed steel (as delivered)

Ferrite & Pearlite

Heated >950°C Austenite (FCC) Quenched Martensite 1 2

Quenched in the die >27°C/s

3–5 min. in Furnace

Austenitization

Figure 12.2 Summary of hot forming.

Source: Recreated after W.D. Callister, Fundamentals of Materials Science and Engineering, fifth ed., John Wiley & Sons, New York, NY, 2001, ISBN 0-471-39551-X; and E. Billur, C. Wang, C. Bloor, M. Holecek, H. Porzner, T. Altan, Advancements in tailored hot

stamping simulations: cooling channel and distortion analyses, in: Proceedings of Numisheet 2014, AIP Conf. Proc. vol. 1567, 2014, pp. 10791084[6,7].

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 0 10 20 30 40 50 60 70

Ultimate tensile strength (MPa)

Total elongation (%) Aust. SS TRIP TWIP IF Mild BH CMn

L-IP Mild Steels

Conventional High Strength Steel Advanced High Strength Steel 2ndGeneration AHSS Lightweight Alloys Al Al (hs) Better Formability

* Steel to steel comparison. Al And Mg have lower density (more lightweight potential) and lower E-modulus (more springback) compared to steel with similar strength.

Mg

Higher forces & springback* Lightweight Potential*

3rdGeneration

AHSS

Figure 12.1 “Banana diagram” of strength and elongation showing different steel grades compared with lightweight alloys.

Source: Recreated after J.N. Hall, Evolution if advanced high strength steels in automotive applications, in: Great Designs in Steel, May 18th, Livonia, MI, USA, 2011; BaoShan Iron and Steel Co., Ltd., Automotive Advanced High Strength Steels, Catalogue, 2013; and Posco Technical Research Lab, 2016 Automotive Steel Data Book, 2016[24].

388 Automotive Steels

Figura 4.1: Materiali per costruzioni automotive ordinati per UTS e allungamento percentuale

1. Processo diretto 2. Processo indiretto

Nel processo diretto la lamiera è scaldata in un forno fino alla temperatura di austenitizzazione e poi formata e temprata direttamente nello stampo. Nel pro-cesso indiretto la lamiera viene deformata tagliata e deformata a freddo per poi successivamente essere scaldata e temprata. La tensione ultima a rottura si attesta attorno ai 1500MPa per USIBOR®1500 e attorno ai 2000MPa per USIBOR®2000

4.2

Storia

La tecnica di stampaggio a caldo, dove il materiale viene scaldato fino alla tempera-tura di austenitizzazione, formato e successivamente temprato è un antica tecnica di lavorazione dell’acciaio già usata dai maestri di spada Giapponesi. Il primo bre-vetto sullo stampaggio è del 1914 ed é Svizzero. I primi utilizzi degli acciai stampati a caldo furono agricoli, nella fabbricazione delle lame degli aratri che necessitano di resistenza e formabilità. Ma il primo impiego della formatura a caldo a livello industriale si avrà negli anni ’70 in Svezia. Nel 1973 Jarnverks (fusa adesso con SAAB) [12] depositò un primo brevetto e continuò a sviluppare la tecnologia con Volvo. La prima applicazione nel settore automobilistico fu nel 1984 sulla SAAB 9000, nel 1986 la Jaguar XJ e nel 1993 la Ford Mondeo cominciarono ad usare l’acciaio stampato a caldo nei longheroni laterali antiurto delle portiere. Nel 1996 Renault usò i primi paraurti e sempre SAAB fu la prima ad usare questa fami-glia di acciai nel B-pillar seguita da BMW, Citroen e Peugeot che cominciarono a costruire anche gli A-pilliar e i montanti del tetto. Nel 2002 fu lanciata la prima Volvo XC90 che consacrò il successo della nuova famiglia di acciai. Questa auto aveva ben dieci componenti formati a caldo che pesavano per il 7% nel peso finale

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