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Il rischio di liquidità in banca: aspetti di vigilanza e implicazioni operative.

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INDICE

Introduzione ... 3

1. IL RISCHIO DI LIQUIDITA’ ALLA LUCE DELLA CRISI ... 5

1.1 Il problema della liquidità per le banche nella crisi finanziaria ... 5

1.2 Rassegna della letteratura sul rischio di liquidità ... 9

1.3 Evoluzioni gestionali e regolamentari del rischio di liquidità ... 15

1.3.1 Management e regolamentazione prima della crisi ... 16

1.3.2 Risposte gestionali e regolamentari alla crisi ... 18

1.3.3 Excursus sulle recenti leve qualitative per la gestione del rischio di liquidità 20 2. FOCUS SUGLI INDICATORI DI LIQUIDITA’ ... 31

2.1 La risposta Basilea III tra innovazioni e critiche:gli indicatori di liquidità ... 31

2.2 Il Liquidity coverage ratio ... 35

2.2.1 Il numeratore: high quality liquidity asset ... 37

2.2.2 Il denominatore: deflussi netti di cassa ... 40

2.3 Il Net stable funding ratio ... 43

2.3.1 Il numeratore: available stable funding ... 45

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3. LE IMPLICAZIONI DEGLI INDICATORI DI LIQUIDITA’ ... 51

3.1 Basel III Monitoring Exercise ... 52

3.1.1 Evidenze sul Liquidity coverage ratio ... 54

3.1.2 Evidenze sul Net stable funding ratio ... 61

3.2 Il Core funding ratio: un’alternativa al Net stable funding ratio? ... 65

3.3 Implicazioni a livello europeo per modelli di attività ... 72

3.3 Gli impatti su tutti gli equilibri gestionali bancari ... 78

3.4 Gli effetti sul passivo ... 80

3.5 Gli effetti sull’attivo ... 87

3.6 Gli effetti sulla redditività ... 92

4. UN FOCUS SULLA SITUAZIONE ITALIANA ... 98

4.1 Le caratteristiche operative del settore bancario italiano ... 98

4.2 I dati ... 104

4.2.1 Il passivo ... 107

4.2.2 L’attivo ... 116

4.2.3 La redditività ... 132

4.2.3.1 Le rettifiche su crediti e le componenti di costo ... 135

4.2.3.2 Le commissioni attive: nuove leve reddituali ... 148

4.2.3.3 Gli ultimi dati reddituali e il condizionamento europeo ... 150

Conclusioni ... 161

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Introduzione

La liquidità è il motore dell’intermediazione. La pericolosa fattispecie rischiosa ad essa relativa ha portato i mercati, i regolatori e gli intermediari, a seguito della crisi finanziaria internazionale del 2007, a pianificare, fissare, applicare e rispettare, una serie di nuovi strumenti e vincoli volti alla sua prevenzione, gestione e mitigazione.

L’eccessiva fiducia nella liquidità disponibile nell’intero sistema finanziario ha di fatto contribuito inevitabilmente alla mancata considerazione del rischio di liquidità in termini di gestione, monitoraggio e controllo; tuttavia questa fattispecie rischiosa può manifestarsi in maniera particolarmente intensa in brevissimi tempi portando alla scomparsa della liquidità sul mercato e dimostrando la totale inadeguatezza degli intermediari nel gestire lo scenario di emergenza.

Per questa ragione l’industria bancaria e i regulator hanno predisposto opportune tecniche di liquidity risk management e inevitabili riforme di vigilanza con l’intento di rafforzare i presidi degli intermediari a fronte del rischio di liquidità, riducendo in tal modo anche le possibilità di contagio dell’intero sistema bancario.

L’elaborato descrive i nuovi aspetti di vigilanza e le imprescindibili implicazioni operative relative al rischio di liquidità negli intermediari bancari.

Nello specifico il primo capitolo sviluppa il tema del rischio di liquidità a partire e alla luce della recente crisi finanziaria internazionale del 2007. Questa esperienza storica ha fatto emergere la multidimensionalità e la trasversalità dell’endemico rischio di liquidità sino a quel momento ignorato, oltre che l’inefficacia dei framework regolamentari allora vigenti i quali si proponevano di gestire il rischio di liquidità per mezzo di dotazioni patrimoniali o incrementi di capitale. Dopo la presentazione di una rassegna letteraria relativa al rischio di liquidità, il capitolo descrive e analizza le principali evoluzioni degli strumenti regolamentari e gestionali qualitativi e quantitativi che hanno costituito la risposta effettiva al problema della gestione del rischio di liquidità da parte degli intermediari bancari.

Il secondo capitolo si concentra sulla risposta di vigilanza regolamentare innovativa proposta dal Comitato di Basilea in materia di rischio di liquidità. Sono infatti specificate la definizione, la ratio e la composizione dei due nuovi indicatori di liquidità quantitativi proposti da Basilea III inerenti a due orizzonti temporali diversi: il Liquidity coverage ratio (LCR) e il Net stable funding ratio

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(NSFR). Entrambi vogliono ricreare a favore delle banche gli opportuni incentivi per eliminare tutte le gravi distorsioni nei loro modelli di business, responsabili dei molteplici squilibri che hanno condotto alla crisi.

L’applicazione e il recepimento di Basilea III hanno suscitato non pochi dubbi e perplessità in merito all’effettiva capacità risolutiva della nuova regolamentazione rispetto alle problematiche emerse dalla crisi. Per questa ragione il terzo capitolo, dopo aver presentato due report dell’autorità bancaria europea relativi agli attuali livelli ed effetti della nuova regolamentazione in materia di liquidità, si concentra sulle implicazioni operative generate dai due nuovi indicatori di liquidità relativamente al passivo, all’attivo e alla redditività degli intermediari bancari coinvolti.

Infine nel quarto capitolo viene presentato un focus sulla situazione italiana. Dopo aver descritto le caratteristiche operative più significative del sistema bancario nostrano, vengono descritti gli andamenti e le tendenze dei dati più significativi relativi alla raccolta, ai prestiti e alle performance reddituali delle banche italiane, alla luce del condizionamento delle decisioni di politica economica della banca centrale europea. In questo modo a partire dalla lettura dei dati numerici è possibile riscontrare in che modo e in che misura gli intermediari bancari italiani stiano effettivamente modificando la loro attività di pianificazione e gestione alla luce della progressiva entrata in vigore dei due nuovi buffer di liquidità proposti da Basilea III.

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1. IL RISCHIO DI LIQUIDITA’ ALLA LUCE DELLA CRISI

1.1 Il problema della liquidità per le banche nella crisi finanziaria

La crisi finanziaria che ha avuto origine negli Stati Uniti nel 2007 è stata la risultante di un eccessivo accumulo di rischio sistemico scaturito da: un uso sproporzionato e irresponsabile della leva finanziaria, opache tecniche di cessione del rischio di credito e un ampliamento incontrollato del mis-matching temporale tra attività e passività finanziarie, tipico processo creatore del rischio di liquidità negli intermediari1.

Configurabile come “uno stato di profonda alterazione degli equilibri economici,

finanziari e patrimoniali, il cui superamento richiede interventi tempestivi e mirati, correlati alle cause e alle forme della manifestazione”2 , la recente crisi ha dato luogo ad un collasso di liquidità senza precedenti, affermando il ruolo chiave della stessa. Il concetto di liquidità nella letteratura economica è da sempre espresso dalla opportunità di un agente di scambiare il suo benessere con prodotti, servizi o con altre attività, in un mercato che in qualsiasi momento riesce a garantire un singolo prezzo di domanda e offerta, coerente al valore intrinseco dell’asset, per mezzo della quantità e dalla qualità delle informazioni disponibili.

Il persistente allontanamento dai paradigmi di mercati ideali ha prodotto nel caso specifico del 2007, un endemico rischio di liquidità non gestito, portatore di pericolosi sconvolgimenti sistemici che si sono originati a partire dalla sua inedita interconnessione con i rischi di mercato e di credito e che si sono manifestati con un’intensità mai vista prima.

La crisi finanziaria si è innestata in un momento propizio per l’economia statunitense, caratterizzato da bassi valori di tassi d’interesse e da un esuberante livello di liquidità nel sistema; nella prospettiva favorevole di una futura crescita economica e finanziaria, le famiglie americane si erano mostrate particolarmente propense al rischio accettando di indebitarsi oltre la loro capacità di rimborso divenendo così meritevoli di fiducia da parte degli intermediari bancari.

Nascevano i celeberrimi “mutui subprime”, finanziamenti concessi per favorire l’acquisto di immobili alle fasce più deboli della popolazione, considerate

1

Intervento Dott. G.D’Agostino in “ Finanziare l’economia in tempo di crisi: le risposte dei mercati, il

ruolo degli intermediari, gli orientamenti delle autorità”, Seminario “L’industria bancaria verso gli anni 2020:rigenerazione manageriale”, ASSBB, 2014.

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particolarmente rischiose e non tipicamente finanziabili dal circuito tradizionale data la loro difficoltà nell’apportare adeguate garanzie reali di rimborso; le banche bilanciavano la grande rischiosità assunta sottoscrivendo i contratti a tassi d’interesse molto elevati.

Il ciclo economico sembrava proseguire verso una costante crescita grazie ad un sempre più radicato meccanismo “falsamente virtuoso” che consentiva al sistema di autoalimentarsi per mezzo della richiesta continua di liquidità che a sua volta veniva reperita dagli intermediari per mezzo di quelli che erano gli strumenti caratterizzanti il loro nuovo modello di business originate to distribute, le cartolarizzazioni: obbligazioni il cui rimborso era garantito dagli stessi titoli sottostanti, i subprime, spacchettandone e trasmettendone ad altri operatori di mercato l’elevata componente rischiosa.

Con lo sviluppo del modello di banca originate to distribute le banche hanno inoltre aumentato la loro dipendenza da fonti di market funding rispetto al funding basato sui depositi. La raccolta attraverso i depositi può essere infatti considerata relativamente stabile e meno sensibile alle variazione dei tassi di interesse; le mutate preferenze della clientela hanno pertanto favorito fondi pensione e di investimento a scapito dei depositi bancari di lungo termine. Ma la crescita dei depositi non è stata pedissequa con la crescita dei crediti concessi; di conseguenza le banche si sono trovate costrette a reperire fonti di finanziamento alternative. Come noto il wholesale funding è più volatile e costoso rispetto alla raccolta tradizionale ed è una fonte che deve essere spesso rinnovata ed è dunque più sensibile alle variazioni di liquidità che si presentano nel mercato. Di conseguenza aumenta il rischio di liquidità cui è soggetta la singola banca; questa sensibilità rappresenta un ulteriore canale di contagio a causa delle relazioni tra le diverse banche nel mercato interbancario ed è ancora più vero nei periodi di crisi in cui il pieno funzionamento dei mercati finanziari non è un’ipotesi realistica. Non ha fatto eccezione la citata crisi del 2007-2008 durante la quale la situazione della liquidità delle istituzioni che dipendevano da fonti di finanziamento provenienti dal mercato, anche se non direttamente esposte nei mutui subprime, ha subito una forte ed inaspettata contrazione.

Sin quando le famiglie americane erano state in grado di adempiere con costante regolarità al pagamento delle rate mensili dei mutui loro concessi, la situazione non destava particolare motivo di preoccupazione. Ma la tendenza al rialzo dei tassi di interesse e le clausole aggiuntive inserite in un secondo momento nei finanziamenti

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accordati, avevano dato l’incipit ad una spirale negativa che avrebbe condotto da li a poco al collasso della liquidità.

La complessità dei prodotti creati dalle operazioni di cartolarizzazione, ABS (Asset

Backed Securities), CDO (Collateralized Debt Obligation) e CDS (Credit Default Swap), aveva determinato innumerevoli e variegati elementi di incertezza inerenti tra

l’altro la loro composizione, il loro sottostante, i futuri cash flow, il merito di credito della controparte e pertanto una consequenziale incertezza sul grado di solvibilità dell’istituzione che li deteneva o che li emetteva compromettendone di conseguenza la capacità di funding. Nel momento in cui si era avuta conferma dell’effettiva inconsistenza della qualità dei sottostanti dei derivati e si era diffusa l’aspettativa che i mutuatari avrebbero smesso presto di restituire i finanziamenti, il risultato è stato il quasi azzeramento della domanda dei titoli garantiti da mutui ipotecari (mortage backed

securities) ed il crollo dei prezzi di tutti i titoli, speculativi e non.

Dunquele insolvenze nel settore immobiliare dei mutui subprime insieme all’incertezza e alle difficoltà nella definizione del valore dei nuovi strumenti derivati, hanno dato il via ad un problema generalizzato di informazione asimmetrica.

Le banche non sono state più in grado di valutare il rischio di controparte di investitori e risparmiatori a causa sia della bassa qualità delle informazioni a disposizione e sia dell’inadeguatezza delle loro strutture di risk measurement ad affrontare strumenti con configurazioni dei flussi di cassa particolarmente complessi, caratterizzati da poca trasparenza e scambiati su mercati over the counter.

Esplodeva così la crisi e la relativa bolla immobiliare esistente: gli acquirenti delle case non riuscivano a far fronte agli impegni di pagamento assunti e, costretti a vendere, non recuperavano quanto speso a causa della repentina caduta dei prezzi degli immobili. Il mercato aveva smesso di assorbire gli strumenti che gli intermediari provavano a smobilizzare, sia per incapacità, sia per intenzionalità e la liquidità era scomparsa improvvisamente provocando una diffusa crisi di fiducia delle banche e tra le banche. Si era interrotta infatti bruscamente la concessione dei prestiti a sostegno delle famiglie, delle piccole e medie imprese, e si era letteralmente paralizzato il mercato interbancario, canale imprescindibile di alimentazione e trasmissione della liquidità.

La carenza di informazioni affidabili ha fatto in modo che le istituzioni presenti sui mercati internazionali cambiassero atteggiamento nei confronti di tutti i soggetti con cui svolgevano le loro transazioni, spostandosi da un equilibrio di tipo “normale” a uno con “inter-bank run”: ogni banca, nel timore di non avere indietro il proprio denaro,

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rifiutava di prestare liquidità ad altri intermediari e innescava la stessa reazione nelle controparti, determinando di fatto una situazione di stallo3. Le banche preferivano ai depositi sull’interbancario quelli più sicuri presso la Banca Centrale anche se meno remunerativi ed eventualmente concedevano solo crediti a brevissima scadenza ma a condizioni e costi particolarmente onerosi; tutto questo aveva contribuito ad un’ulteriore stretta di liquidità.

La situazione di tensione aveva toccato i massimi livelli in corrispondenza dei primi fallimenti eccellenti e i primi salvataggi di istituzioni finanziarie da parte delle Banche Centrali. Nell’autunno del 2008 la bancarotta del colosso Lehman Brothers aveva generato panico nei mercati finanziari a causa del temuto “effetto domino”: la trasmissione contagiosa del suo stato di default alle altre importanti istituzioni con cui vantava relazioni, scatenando così una vera e propria crisi sistemica.

Secondo la teoria economica il rischio di liquidità di finanziamento giace nel cuore delle banche e non costituisce di per sé un evento che interessa l’intero sistema economico-finanziario. Le banche sono considerate fragili a causa del meccanismo di trasformazione delle scadenze che intraprendono: trasformano brevi scadenze (i depositi) in scadenze più lunghe (investimenti) al fine di creare liquidità di finanziamento per gli investitori4 e promuovere l’efficiente allocazione di risorse nel sistema; fronteggiano dunque un continuo trade-off tra detenere attività liquide a basso rendimento e usarle per investire in attività (relativamente) illiquide ad alto rendimento (quantomeno potenziale). Il problema sorge quando il rischio di liquidità di finanziamento viene trasmesso ad altri intermediari facendolo diventare sistemico a causa della stretta interconnessione degli stessi nel medesimo mercato per la liquidità. Il fallimento di una singola banca può provocare una contrazione nell’ammontare comune di liquidità portando a contrazioni della stessa nelle singole banche attraverso ristrutturazioni anticipate dell’insieme delle attività e passività.

Tali interconnessioni possono trasformarsi in canali di propagazione della crisi in presenza di mercati incompleti e informazione asimmetrica circa la solvibilità delle

3 Intervento Prof. Angelo Baglioni in “ Quale banca dopo la crisi”, M. Lossani ‐ A. Baglioni ‐ E.

Beccalli ‐ P. Bongini ‐ F. Panetta ‐ A. Sironi, Seminario “Bankin’ in the rain, il sistema bancario in un

mondo che cambia”, ASSB, 2009.

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banche e stimolare timori di rischio di credito di controparte5 come nel avvenuto a partire dal 2007.

Il timore di un altro caso Lehman aveva portato le banche centrali e i governi dei principali paesi ad intervenire urgentemente e tempestivamente a sostegno di tutte le istituzioni finanziarie in crisi6.

La Federal Reserve (d’accordo con la Federal Deposit Insurance Corporation) e la

Bank of England (d’intesa con la Financial Services Authority) in risposta alla spirale

negativa originatasi dall’effettiva non gestione del rischio di liquidità nelle due sue componenti di funding e market, aveva deciso di ripristinare linee di liquidità a favore sia delle banche commerciali, sia delle grandi banche di investimento.

Lo stesso avevano fatto i governi di alcuni paesi attraverso iniezioni di capitale, linee di credito, linee di liquidità, emissioni obbligazionarie subordinate: risorse pubbliche di drenaggio a favore di istituzioni tecnicamente insolventi contravvenendo in tal modo al principio di “no bail out” sancito negli USA dal Federal Deposit Insurance

Corporation Improvement Act del 1991 secondo il quale le autorità di vigilanza non

sarebbero dovute intervenire in operazioni di salvataggio di istituzioni finanziarie private se non per la tutela dei creditori depositanti.

Il problema della liquidità per le banche durante la crisi del 2007, frutto della non gestione della sua fattispecie rischiosa e risultato della spirale negativa fra crollo della fiducia e deterioramento delle aspettative, si è trasmesso ben presto dalla finanza all’economia reale colpendo i consumatori finali dei servizi bancari, le famiglie e gli imprenditori e dando avvio alla fase di profonda recessione che il sistema economico finanziario internazionale ancora oggi stenta a lasciarsi alle spalle.

1.2 Rassegna della letteratura sul rischio di liquidità

Non è semplice fornire un’univoca ed onnicomprensiva definizione di rischio di liquidità. Molti studiosi nel corso del tempo hanno proposto diverse definizioni e teorie prevedendo misure specifiche, sistemiche o modelli sofisticati che ne evidenziassero la relazione con le sue cause generatrici; tutte teorie valide ma non esaustive dato il carattere poliedrico della fattispecie rischiosa.

5

S.Brusco,F. Castiglionesi, Liquidity coinsurance, moral hazard, and financial contagion, Journal of

(10)

In letteratura sono presenti molteplici definizioni del rischio di liquidità.

La Banca Centrale Europea parla di “Risk relates to the probability of having a

realisation of a random variable different to the realisation preferred by the economic agent7”sancendone una relazione inversa con la liquidità: maggiore il rischio di liquidità, maggiore sarà la probabilità di una condizione di illiquidità e dunque minore sarà il livello di liquidità presente nel sistema. Ancora l’International Organization of

Securities Firms definisce il liquidty risk come l’incapacità di far fronte agli impegni in

modo efficace tempestivo ed economico e, per alcune aziende, come l'impossibilità di perseguire le opportunità di business redditizio.

Mentre non è possibile trovare in letteratura contributi riguardanti il rischio di liquidità della Banca centrale, in quanto considerata in ogni momento in grado di fornire una base monetaria stabile, sin da Bagehot (1873) è noto il fatto che le banche sono soggette ad un rischio di liquidità di finanziamento che in alcune definizioni è espresso come la probabilità di divenire illiquidi che varia a secondo della durata del periodo di tempo considerato (Matz e Neu, 2006; Drehmann e Nikolaou, 2008).

Seguendo Brunnermeier (2009), il rischio di liquidità di finanziamento può assumere tre forme: rischio di finanziamento del margine/haircut , rischio di rinnovamento (o il rischio che sarà più costoso o impossibile rinnovare i prestiti a breve termine), rischio di rimborso (o il rischio che i correntisti della banca o gli azionisti del fondo chiedano il rimborso del capitale). Le diverse specificazioni del rischio di liquidità di finanziamento risultano essere dannose solamente nel momento in cui le attività possono essere vendute esclusivamente a prezzi estremamente scontati ovvero quando la liquidità di mercato è bassa. Perciò, il rischio di liquidità di finanziamento consiste nel rischio che un’istituzione debba fronteggiare richieste di liquidità incerte nel futuro che nascono dalle sue attività di business quotidiane.

Secondo Brunnermeier e Perdesen8 (2007) sotto certe condizioni questo e il rischio di liquidità di mercato, che fa invece riferimento ai mercati e alla capacità di smobilizzare gli asset senza incorrere in gravi perdite, si rinforzano a vicenda creando la liquidity

spiral, circostanza in cui le banche sono costrette a ridurre il credito concesso a causa

della caduta dei prezzi degli asset.

7 European Central Bank, “Liquidity (risk)concepts definitions and interactions”,Working paper series,

2009.

8

M. Brunnermeier, L. Pedersen, “Market liquidity and funding liquidity”, Review of Financial studies, 22(6), 2201-2238, 2007.

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Anche il Commitee of European Banking Supervision nei Technical Advice afferma che l’interazione tra le due componenti di rischio di liquidità può avere implicazioni che vanno oltre la singola istituzione9.

Indubbiamente, come osservato da Tirole10 (2011) non è semplice riassumere il rischio di liquidità in un’unica misura; in letteratura sono stati infatti proposti molti indicatori che rappresentano la posizione di liquidità di una banca.

Sia Bourke (1989) che Molyneux e Thornton (1992) hanno usato l’esposizione della liquidità, data dal rapporto tra asset liquidi e il total asset, quale determinante della performance di un intermediario bancario ricavandone una relazione inversa ma comunque debole. Un indicatore similare è usato da Barth (2003) secondo il quale la liquidità è data dal rapporto tra i “non-interest assets e il totale degli asset”; gli asset liquidi possono essere considerati privi di interessi.

Lo stesso ratio, liquid asset su total asset, è stata utilizzato da Demirguc-Kunt (2003) per stimare l’impatto della regolamentazione e della concentrazione del sistema bancario e delle istituzioni. Egli afferma che una banca con un tale quoziente elevato riceve meno introiti derivanti da interessi rispetto ad un’altra banca che ha meno disponibilità liquide e meno titoli governativi, considerati facilmente smobilizzabili11.

Sundararajan (2002) propone due approcci per misurare l’esposizione al rischio di

liquidità: l’approccio delle fonti e degli usi, già proposto anche da Sanders e Cornett, e l’approccio della struttura dei fondi. Suddividendo le fonti in relazione alla loro volatilità, ovvero alla possibilità che esse possano essere prelevate nel caso di depositi o non rinnovate nel caso di debiti a brevissimo termine, il metodo analizza la struttura di fonti e impieghi mirando a calcolare i fabbisogni futuri dell’intermediario.

Kosmidou (2005) ha voluto invece esprimere l’esposizione al rischio di liquidità con il

quoziente “deposit run off ratio” indicativo della percentuale di funding a breve termine a cui la banca può aspirare attraverso la vendita degli asset se le passività a breve termine considerate venissero improvvisamente a mancare; un maggiore valore del rapporto sarebbe foriero di una minore vulnerabilità dell’intermediario in termini di liquidità.

9

Commitee of European Banking Supervision, Second part of technical advice to the European

Commision on liquidity risk management, 2008.

10J. Tirole, “Illiquidity and all its friends” BIS Working Paper n.303, 2010.

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Esistono anche ratio dove più aumenta il valore del rapporto e più è grande la probabilità di essere esposti ad un rischio di liquidità.

Sono di questa tipologia il rapporto tra i prestiti erogati e il totale delle attività, individuato ed usato da Demirguc –Kunt, Huizinga (1999) e da Athanasoglou (2006); quest’ultimo afferma che tuttavia il rapporto tra asset liquidi e il totale delle attività sarebbe una proxy migliore del rischio di liquidità sebbene inutilizzato nella sua ricerca causa scarsità dei relativi dati.

Ancora, un ulteriore indicatore positivamente correlato col rischio di liquidità è il rapporto tra prestiti netti erogati e la somma dei depositi dei clienti e passività a breve termine; Naceur e Kandil (2009) lo interpretano come il rischio di non avere abbastanza risorse liquide per fronteggiare una diminuzione improvvisa dei depositi12.

Secondo Pasiouras e Kosmidou (2007) invece, tipica proxy del rischio di liquidità sarebbe proprio il rapporto tra asset illiquidi (prestiti erogati) e le passività a breve termine; essi inseriscono tale indicatore tra le variabili utilizzate per stimare la profittabilità delle banche commerciali dell’Unione Europea.

Alternativamente ai singoli indicatori creati, valorizzanti l’esposizione al rischio di liquidità, la letteratura si è poi arricchita di altri contributi che danno una visione maggiormente complessiva e dinamica del rischio di liquidità.

Resti e Sironi (2007) hanno suddiviso le misure di funding liquidity risk in tre approcci:

approccio degli stock, che mira a calcolare la cash capital position (differenza tra attività monetizzabili e passività volatili), l’approccio dei flussi di cassa, che calcola per ogni fascia temporale il liquidity gap (differenza tra entrate ed uscite) e l’approccio ibrido che somma al liquidity gap le risorse derivabili dalla smobilizzo degli asset13.

Matz e Neu (2007) definiscono la cash capital position come la differenza tra il valore

degli “unencumbered asset” e la somma tra i debiti interbancari a breve termine e la parte non considerata stabile dei depositi della clientela. Essi inoltre citano anche un’altra metodologia, la balance sheet liquidity analysis, che mette in relazione le poste dell’attivo e del passivo in base al loro grado di liquidità e precisano che le valutazioni di tipo qualitativo non devono essere messe in secondo piano rispetto agli approcci quantitativi in quanto hanno pari dignità e funzionalità alla misurazione del rischio di liquidità.

12 S. Naceur, M. Kandil,”The impact of capital requirements on banks’cost of intermediation and performance: the case of Egypt”, Journal of Economics and Business,vol.61, 70-89, 2009.

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Saunders e Cornett (2009) hanno proposto invece ben cinque misure diverse di rischio

di liquidità: usi e fonti di liquidità (mettendo in luce il fabbisogno di liquidità),

peer group ratio comparisons (un confronto tra ratio significativi di banche con

caratteristiche giuridiche, dimensionali ed economiche simili), liquidity index (perdite potenziali risultanti dalla dismissione di asset sul mercato), financing gap (la differenza tra prestiti erogati e depositi) e infine la maturity ladder (il calcolo dei flussi di cassa in corrispondenza di diversi scenari possibili)14.

Studi ulteriori hanno voluto attenzionare l’insieme di fattori che possono impattare sul rischio di liquidità. Secondo Aspachs (2005) questi sono di due tipologie: fattori idiosincratici, precisamente redditività, dimensione, interesse dei prestiti al settore non finanziario, e fattori aggregati, Pil e tasso di interesse a tre mesi.

Shen (2009) li identifica alternativamente in cause specifiche alla banca, cause relative

alla regolamentazione e cause di tipo macroeconomico; tramite il metodo della regressione lineare egli mette in relazione il rischio di liquidità di banche provenienti da dodici economie avanzate ponendo come variabile dipendente il financing gap, calcolato come differenza tra prestiti erogati e depositi della clientela.

Anche Bonfim e Kim (2012) utilizzano il metodo dei minimi quadrati per mettere in relazione una variabile dipendente utilizzata come proxy del rischio di liquidità della singola banca e alcune cause che impattano nel rischio stesso15. Le variabili proxy considerate sono il rapporto tra prestiti erogati alla clientela e depositi della stessa (loans to costumer deposits), il rapporto tra prestiti erogati ad altre banche e ricevuti da esse (interbank ratio) e il liquidity ratio, rapporto tra asset liquidi e la somma tra depositi e debiti a breve termine. L’innovazione del contributo degli autori consiste nell’inserimento nella regressione utilizzata di una misura rappresentativa dei comportamenti di herding in base ai quali la banca non ottimizza le proprie scelte in materia di liquidità ma tende ad imitare i comportamenti delle altre banche.

Queste assunzioni di rischio collettivo agevolano il rischio contagio e il rischio sistemico generando degli schock di liquidità.

Contributi letterari in merito agli schock di liquidità sono rintracciabili in Acharya e

Schaefer (2006) i quali si concentrano in primis sul fatto che gli shock di liquidità sono

altamente episodici e tendono ad essere preceduti o associati ad ampi e negativi shock

14

A. Saunders, M. Cornett, “Financial market and istitutions”, Mc Graw-Hill International editions,2009.

(14)

sui rendimenti delle attività, motivo per il quale il rischio di liquidità è un particolare fenomeno non lineare. Un’implicazione di ciò è che i prezzi nei mercati dei capitali mostrano di fatto due regimi possibili . Nel regime normale, gli intermediari sono ben capitalizzati e gli effetti di liquidità sono minimi: i prezzi delle attività riflettono i fondamentali e non c’è effetto di liquidità. Nel regime illiquido gli intermediari sono vicini ai loro limiti di capitale o di collateral e si verifica il cosiddetto

“cash-in-the-market pricing”. In tale contesto la posizione di liquidità dei partecipanti al mercato in

un particolare mercato azionario influenza il prezzo di quell’azione.

Perciò, i prezzi riflettono indirettamente il costo del capitale implicito per questi intermediari, cioè il costo che sopportano per emettere un’unità aggiuntiva di capitale di finanziamento per intraprendere la transazione. Inoltre i due studiosi, si concentrano sul fatto che questa visione in cui i prezzi seguono due regimi, aiuta a comprendere le caratteristiche di un fenomeno apparentemente non collegato: il rischio che la correlazione dei rendimenti in diversi mercati fluttui nel tempo16.

Secondo Bervas (2006) una crisi di liquidità è il rischio di illiquidità che raggiunge il suo parossismo17 ovvero l’incapacità del mercato di assorbire i flussi di ordini determinando violenti e repentini aggiustamenti nei prezzi che non risultano essere più correlati al loro valore fondamentale. Si caratterizza per la totale scomparsa di flussi di acquisto o per l’incapacità di effettuare scambi portando gli operatori economici razionali al comportamento del “predatory trading”, cioè la vendita anticipata che toglie liquidità invece che fornirla al momento necessario.

Gatev e Strahan (2003) misurano gli shock di liquidità sistematici attraverso un

aumento dello spread tra commercial paper e buoni del tesoro (il cosiddetto paper-bill

spread) e trovano che quando tale differenza aumenta, le banche commerciali

americane vedono un aumento dei flussi in entrata nei depositi.

In aggiunta, il modello di Brunnermeier e Pedersen (2008) mostra che quando la liquidità di finanziamento è scarsa, gli investitori diventano riluttanti a prendere posizioni ad alta intensità di capitale in attività con alti margini e ciò riduce la liquidità di mercato portando ad una maggiore volatilità creando in tal modo le condizioni per uno schock di liquidità.

16

V.V.Acharya, S. Schaefer, “Liquidity risk and correlation risk: implications for risk management”,

working paper, 2006.

17 A.Bervas,”Market liquidity and its incorporation into risk management”, Financial Stability Review,

(15)

Oltre agli innumerevoli contributi letterari sulla misurazione dell’esposizione al rischio di liquidità , ve ne sono stati altri che mirano a studiare e quantificare tale rischio da un punto di vista sistemico.

Brunnermeier (2012) ha sviluppato una misura di liquidità teorica valida sia per

quantificare il rischio di liquidità specifico sia quello insito nell’intero sistema tramite un modello che mira a creare un indice di liquidità per ognuno degli stati che si possono verificare al tempo t+1 e uno totale indicativo per il momento iniziale in cui l’impresa sceglie le componenti dell’attivo e passivo e decide di assumere dei rischi18.

Infine Andrievskaya (2012) tra gli altri, valorizza il rischio di liquidità in termini sistemici come una misura di probabilità che esprime la distanza tra una soglia critica di liquidità stabilita ed il surplus totale della stessa presente nel sistema economico.

Questa rassegna della letteraria vuole far emergere lo sforzo storico del mondo accademico nel provare a teorizzare da tempo la complessa ed articolata materia del rischio di liquidità.

1.3 Evoluzioni gestionali e regolamentari del rischio di liquidità

La crisi subprime ha fatto emergere con chiarezza il ruolo cruciale che il problema della liquidità assume in una situazione di mercati illiquidi, determinando di riflesso ripercussioni estremamente negative sull’intero sistema finanziario.

Molteplici sono state le questioni emerse da questa esperienza storica:

la multidimensionalità del rischio di liquidità, la sua interazione ed inedita interconnessione con altre tipologie di rischio, l’inefficacia dei framework regolamentari vigenti, il tema della gestione del rischio di liquidità da parte delle banche come fattore critico di successo delle stesse.

E’ pertanto fondamentale cogliere le evoluzioni regolamentari e gestionali che si sono susseguite sino ad oggi in materia di rischio di liquidità per comprenderne l’imprescindibile importanza del suo presidio.

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1.3.1 Management e regolamentazione prima della crisi

Già antecedentemente alla crisi finanziaria del 2007, i grandi organismi internazionali si erano interrogati sulle cause del rischio di liquidità, tentando di improntare, per mezzo di indagini preventive, adeguate modalità di gestione dello stesso senza però arrivare alla formulazione di una normativa comune, di competenza delle singole autorità nazionali. Il primo documento collettivo emanato dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria del 1988, l’ “Accordo internazionale sul capitale delle banche”, ignorava del tutto il tema del rischio di liquidità. Solo nel 1992 il Comitato di Basilea pubblicava un documento che affrontava il problema: “A framework for measuring and

managing bank liquidity”. Muovendo da una serie di importanti raccomandazioni per le

banche in merito alla definizione di una chiara ed articolata politica di funding, alla creazione di una valida struttura di liquidity, alle pratiche di misurazione del fabbisogno di liquidità, alla formulazione dei piani di emergenza riferibili alle analisi di scenario, il Comitato definiva un documento con valore meramente informativo e divulgativo circa le best practices internazionali e propositivo di standard minimi di gestione del rischio di liquidità. Tale documento è stato arricchito nel 2000 con quattordici principi (Sound

Practices for Managing Liquidity in Banking Organisations) volti ad innovare le

tecniche di gestione del rischio di liquidità in seguito all’evoluzione dei prodotti finanziari intervenuta sul mercato.

E’ solo nell’Aprile del 2003 che il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria pubblica un nuovo e fondamentale documento: “The New Basel Capital Accord”, noto come Basilea II. Articolato in tre pilastri, l’impianto regolamentare perseguiva l’obiettivo di innovare la modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi, con lo scopo di garantire la stabilità dei mercati finanziari. Il rischio di liquidità, nello specifico, veniva disciplinato all’interno del secondo pilastro, non attraverso un requisito quantitativo esplicito ed uniforme per tutte le banche, ma con un pressante invito affinché le stesse si dotassero di strumenti e processi per misurarlo e tenerlo sotto controllo.19

Il secondo pilastro realizzava e continua a realizzare ancora oggi il processo di controllo prudenziale il quale si articola in due anime fra di esse integrate e coordinate: il processo interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale l’ Internal Capital

Adequacy Assessment Process (ICAAP), nel quale è trattato il rischio di liquidità, ed il

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processo di revisione e valutazione prudenziale, la Supervisory review and evaluation (SREP).

Il primo fa capo all’intermediario bancario il quale, con cadenza annuale (entro il 30 Aprile) effettua un’autonoma valutazione della propria adeguatezza patrimoniale attuale e prospettica in relazione ai rischi assunti e alle strategie aziendali attuate ed illustra all’autorità di vigilanza l’esposizione ai rischi, la determinazione del capitale ritenuto adeguato per fronteggiarli e le diverse caratteristiche fondanti del processo stesso, per mezzo di un resoconto strutturato riferito al 31/12 dell’anno precedente il quale contiene anche un’autovalutazione del processo ICAAP individuandone le carenze, le potenziali azioni correttive e le aree di miglioramento.

Con lo SREP invece è l’autorità di vigilanza, Banca d’Italia, BCE, che attraverso un riesame e valutazione dell’ICAAP presentatogli, realizza un’analisi dei profili di rischio della banca sia in un’ottica singola sia in un’ottica aggregata, una valutazione della sua

governance, della struttura organizzativa e del sistema dei controlli interni e la verifica

della sua osservanza del complesso di regole prudenziali; qualora vi sia la fondata evidenza che l’intermediario non sia in grado di rispettare i requisiti prudenziali anche in ottica prospettica annuale, l’autorità di vigilanza richiede l’adozione di idonee misure correttive. Queste possono essere di carattere meramente organizzativo o, qualora non funzionali alla rimozione dell’anomalia in un timing adeguato di un anno, di tipologia patrimoniale e variano in funzione della gravità delle carenze riscontrate, dell’esigenza di tempestività d’intervento, del grado di consapevolezza, capacità e affidabilità degli organi aziendali e della presenza presso l’intermediario di risorse tecniche, patrimoniali e umane.

Le analisi condotte dal Comitato di Basilea sui regimi regolamentari in materia di liquidità nei diversi paesi e riportate nel documento “Liquidity Risk: Management and

Supervisory Challenges” del Febbraio 2008 mostravano che la disciplina del secondo

pilastro di Basilea II era stata declinata ed interpretata in diverse modalità e regole. In ambito europeo ad esempio, alcuni supervisori fissavano limiti quantitativi all’esposizione al rischio di liquidità basati o sul rapporto tra gli stock degli aggregati di bilancio o sul grado di disallineamento dei flussi di cassa in entrata e uscita o su entrambi; altre autorità facevano affidamento su presidi di natura qualitativa, basati su sistemi interni di gestione, controllo e reporting.20

(18)

In Italia, la supervisione del rischio di liquidità si basava su un approccio di tipo qualitativo che faceva affidamento sui sistemi interni di gestione, controllo, reporting e sul monitoraggio delle posizioni di liquidità piuttosto che sulla fissazione di specifiche regole quantitative. L’analisi della liquidità veniva svolta nell’ambito della valutazione periodica della situazione finanziaria complessiva delle banche al fine di verificare la capacità degli intermediari di gestire efficacemente i flussi di cassa in entrata ed in uscita, sia in condizioni di normale corso degli affari sia in presenza di eventi sfavorevoli. Dal 1° gennaio 2008 tutte le banche dovevano rispettare le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale previste a livello internazionale dal Comitato di Basilea per mezzo della Circolare 263/2006 di Banca d’Italia.21

In osservanza di quest’ultima il rischio di liquidità rientrava tra i rischi che gli intermediari dovevano considerare nel secondo pilastro e, in particolare, nell’ambito del processo di autovalutazione dei presidi patrimoniali e organizzativi da disporre a fronte di tutti i rischi caratterizzanti l’attività bancaria (ICAAP). Banca d’Italia definiva in aggiunta, specifiche linee guida di cui le banche dovevano tenere conto nel definire i propri sistemi e procedure di misurazione, attenuazione e controllo del rischio di liquidità coerenti con le prassi più diffuse a livello internazionale.

1.3.2 Risposte gestionali e regolamentari alla crisi

Precedentemente alla crisi del 2007 dunque, all’interno di un quadro caratterizzato da analisi poco approfondite del rischio di liquidità e tecniche di misurazione ancorate a schemi di tipo stock-based, la gestione della liquidità si svolgeva con delle misure gestionali inadeguate, superate ed inidonee.

Indubbiamente esistevano molteplici disomogeneità tra i vari paesi riguardo all'applicazione degli high level principles presenti nel documento “Principles for

Sound Liqudity Risk Management and Supervision” emanato nel 2000.

Per questo motivo lo stesso Comitato di Basilea nel Settembre del 2008 ha attuato una revisione del documento, con l'obiettivo di rafforzare il governo e la gestione del rischio di liquidità, la trasparenza e la comunicazione al pubblico ed il ruolo dei supervisori e volta a risolvere alcune lacune riscontrate nella precedente versione tra le quali: la liquidità considerata come un rischio secondario, la gestione della liquidità in un’ottica prevalentemente di tesoreria, la sottovalutazione di probabili e improvvise contrazioni

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di alcune fonti di liquidità dovute al funzionamento di certi mercati tra i quali quello dei derivati, l’ assenza di legami tra il Risk Management, le unità di tesoreria e le business

unit, le prove di stress insufficienti, ed una completa sottovalutazione delle conseguenze

reputazionali derivanti dal rischio di liquidità.

Lo strumento di gestione della liquidità che in maniera particolare ha manifestato tutta la sua inabilità è stato in modo particolare quello degli stress test, a causa della loro grande eterogeneità e scarso coordinamento nell’ effettuazione oltre che per la lacunosa attività di controllo e supervisione da parte della capogruppo sui risultati e la loro mancata attuazione con provvedimenti opportuni come, ad esempio, la creazione di

liquidity buffer prudenziali.

Si è reso dunque necessario prevedere una soluzione gestionale nuova:

il Liquidity Risk Management. I principali building block di tale processo sono: il modello di governance che considera gli obiettivi e la struttura organizzativa per la gestione del rischio di liquidità operativo e strutturale, il sistema dei limiti operativi per il monitoraggio, le metodologie di misurazione in condizioni normali e avverse, le politiche e leve operative di risposta e l’attività di controllo della corretta esecuzione delle precedenti. Previa identificazione delle potenziali fonti che la potrebbero esporre al rischio di liquidità, l’impresa deve procedere alla sua misurazione con metodi diversi a seconda che si valuti il market liquidity risk (metodi basati sul “Value at risk” che danno la misura delle perdite potenziali sulla redditività) o il funding liquidity risk (metodi distinti in tre approcci di base: il primo basato su grandezze patrimoniali, il secondo basato sulla quantificazione dei cash flows che informa sulla loro dinamica temporale e calcola il funding gap, e l’ultimo che si configura come un modello misto). La misura del fabbisogno di liquidità derivante sarà fondamentale soprattutto in periodi di crisi nei quali le fonti di liquidità possono venire a mancare più facilmente e con conseguenze più pericolose. Ogni banca dovrà pertanto dotarsi di procedure di stress test nuove che prendano in considerazione schock di liquidità riguardanti sia l’intero sistema sia il singolo intermediario per verificare la qualità delle riserve di liquidità detenute e la capacità di adempiere ai pagamenti. Successivamente dovrà predisporre un coerente contingency funding plan chiarificatore circa le azioni che la banca potrà intraprendere per gestire un funding gap in condizioni sfavorevoli.

In funzione della soglia di tolleranza scelta, l’intermediario imposterà così una consequenziale politica di mitigazione al rischio per mezzo della detenzione di una riserva di liquidità, tenendo conto dei relativi costi opportunità, e diversificando le fonti

(20)

di funding evitando così le conseguenze di trasmissione del rischio di liquidità a livello sistemico derivanti da un’eccessiva concentrazione della raccolta in termini di mercati e controparti22.

La crisi ha chiaramente mostrato, tra le innumerevoli debolezze dell’apparato prudenziale Basilea II (la dubbia qualità del capitale dovuta all’inclusione di strumenti ibridi nel patrimonio di base, la sua tendenza ad accentuare le fluttuazioni negative del ciclo economico con successivi effetti di credit crunch, l’incremento incontrollato della leva finanziaria, l’interconnessione sistemica di grandi gruppi finanziari), la totale inadeguatezza di dotazioni patrimoniali o incrementi di capitale a gestire il rischio di liquidità imputabile al fatto che questo non si manifesta attraverso la generazione di perdite economiche ma per mezzo di uno squilibrio temporaneo nella successione prevista dei cash flow in entrata e in uscita; l’unica soluzione valida è dunque rappresentata dalla disponibilità di attività liquide o facilmente liquidabili sul mercato, in attuazione delle disposizioni di un efficiente piano di emergenza.

Il cambiamento più significativo sulla regolamentazione e di conseguenza gestione del rischio di liquidità è avvenuto, sempre ad opera del Comitato di Basilea, con la pubblicazione nel Dicembre 2010 del documento “Basel III: International framework

for liquidity risk measurement, standards and monitoring” che introduce nel nuovo

framework regolamentare di Basilea III, due indicatori di ordine quantitativo nel primo pilastro: il Liquidity coverage ratio (LCR) in vigore da Ottobre 2015,che guarda ad un orizzonte temporale di breve periodo e quindi si concentra sul rischio di tesoreria, e il

Net stable funding ratio (NSFR) che entrerà in vigore da Gennaio 2018 e considera un

orizzonte di lungo periodo concentrandosi sul rischio di liquidità strutturale.

1.3.3 Excursus sulle recenti leve qualitative per la gestione del rischio di liquidità Durante il periodo di transizione che ha visto dettagliare, specificare, armonizzare e conformare in maniera quanto più adeguata possibile le molteplici misure del nuovo corpo normativo di vigilanza prudenziale, ed in maniera particolare i due indicatori di liquidità, alle specifiche esigenze degli intermediari cui si riferiscono, si sono susseguite una serie di leve qualitative volte alla gestione del rischio di liquidità meritevoli di attenzione ed approfondimento.

22 I.C.Panetta,P.Poretta “Liquidity risk: supervisory models and best practices”, Sapienza University of

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Nel nostro paese, fondamentale è divenuta l’esigenza di un nuovo intervento regolatore realizzato attraverso l’emanazione di una circolare che recepisse il nuovo ed articolato assetto regolamentare, sostituendo completamente le precedenti disposizioni in materia di vigilanza prudenziale, in un’ottica di semplificazione e chiarezza del dettato normativo.

Per questo motivo, il 19 dicembre 2013 la Banca d’Italia ha pubblicato le nuove disposizioni di vigilanza per le banche e le imprese di investimento: la Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 entrata in vigore il 1 gennaio 2014 che assorbe e modifica la precedente circolare n. 263 del 27 dicembre 2006.

La nuova circolare recepisce il pacchetto normativo, noto come “CRD IV Package” approvato il 20 giugno 2013 dal Consiglio dell’Unione Europea a maggioranza qualificata con il solo voto contrario della Gran Bretagna, costituito dalla direttiva

2013/36/UE del 26 giugno 2013, la CRD-Capital Requirements Directive, e dal

regolamento UE n.575/2013 del 26 giugno 2013, il CRR-Capital Requirements

Regulation che recepiscono gli standard definiti dal Comitato di Basilea per la vigilanza

bancaria (c.d. framework Basilea III) e abrogano le precedenti direttive in materia le quali riproducevano le articolate disposizioni di Basilea II23.

La scelta dello strumento normativo del regolamento, direttamente applicabile negli Stati membri senza necessità di atti di recepimento, a fianco della direttiva, si spiega alla luce dell’obiettivo delle istituzioni comunitarie di creare un insieme di regole vincolanti uniformi a livello europeo (single rulebook) lasciando comunque libere le autorità nazionali, Banca d’Italia in questo caso, di esercitare alcune discrezionalità al fine di tener conto delle specificità delle diverse giurisdizioni.

Tali discrezionalità sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle previste dalla normativa precedente: alcune erano già contenute nelle Direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE, altre sono state esercitate tenendo conto dell’attuale impianto normativo e degli orientamenti e delle best practices di vigilanza maturati negli ultimi anni a livello internazionale, nonché tenendo conto delle peculiarità del mercato italiano nel contesto europeo. Banca d’Italia ha esercitato discrezionalità nelle seguenti materie (cfr. documento di consultazione pubblicato nell’agosto 2013, Applicazione in Italia del reg.

UE n. 575/2013 e della dir. 2013/36/UE): partecipazioni assicurative, esposizioni

infragruppo, disposizioni transitorie per le banche che utilizzano i sistemi IRB o i

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metodi AMA, concentrazione dei rischi, disciplina della liquidità applicabile livello individuale, ponderazione del rischio e proibizione delle partecipazioni qualificate al di fuori del settore finanziario.

Le nuove “Disposizioni di vigilanza per le banche” sono volte a rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche, a migliorare la gestione del rischio e la governance e a rafforzare la trasparenza e l’informativa delle banche, tenendo conto degli insegnamenti della crisi finanziaria. La 285/2013 si struttura nello specifico di quattro parti con impostazioni diverse a seconda della fonte normativa da cu derivano e dunque dell’ampiezza e della natura del potere regolamentare di vigilanza di Banca d’Italia. Il testo iniziale, per la dinamicità di Basilea III ed esigenze di completezza, è stato soggetto e lo è ancora a continui aggiornamenti: l’ultimo è il 16°aggiornamento del 17 Maggio 2016.

La parte I recepisce la direttiva CRD IV e disciplina in maniera particolare oltre che sull’accesso al mercato e alla struttura bancaria e sull’operatività transfrontaliera, il governo societario, il sistema dei controlli interni ecc., le riserve di capitale e il processo di controllo prudenziale (secondo pilastro, Titolo III).

La parte II è la disciplina attuativa del regolamento e pertanto è la parte più rigida, nonché l’essenza stessa di Basilea III: è qui che si trovano fra gli altri i due nuovi indicatori quantitativi di liquidità operativa e strutturale, l’LCR e il NSFR.

Infine la parte III disciplina le materie non armonizzate a livello comunitario le altre disposizioni di vigilanza prudenziale, mentre la parte IV Banco posta.

In materia di liquidità rilevanti sono stati il 4° aggiornamento del 17 Giugno del 2014 che ha introdotto il capitolo relativo all’informativa pubblico Stato per Stato, il 12°aggioramento del 15 Settembre del 2015 e il 14° aggiornamento della Circolare del 24 Novembre del 2015. Questa ultima versione, in maniera particolare, è intervenuta riguardo l’esercizio delle discrezionalità nazionali24.

Secondo quanto previsto dalla circolare, la Banca centrale europea o la Banca d’Italia possono derogare, in tutto o in parte, all’applicazione su base individuale del requisito di copertura della liquidità (LCR), nel rispetto di determinate condizioni e possono stabilire che le segnalazioni previste siano effettuate con frequenza minore o scadenze più lunghe, sulla base della situazione individuale della banca, tenendo conto delle

24

Banca d’Italia, “Disposizioni di vigilanza per le banche”, circolare n.285 del 17 Dicembre 2013, 14°aggiormento del 24 Novembre 2015.

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dimensioni e della complessità delle attività della stessa; le scelte relative al regime transitorio per l’applicazione del LCR, prevedono che gli Stati Membri o le autorità competenti possano richiedere alle banche di rispettare un LCR più elevato di quello previsto. Si prevede inoltre una deroga all’applicazione delle altre regole di liquidità previste dal CRR quali le “Segnalazioni sulla Liquidità” e le “Segnalazioni sul Finanziamento Stabile” per le banche italiane, appartenenti a un gruppo bancario. La Banca centrale europea o la Banca d’Italia possono altresì imporre specifiche restrizioni o condizioni alle attività incluse nella riserva di liquidità dell’LCR; possono richiedere alle banche di contenere i disallineamenti di valuta, imponendo limiti alla porzione dei deflussi di cassa netti in una data valuta che può essere coperta, in situazioni di stress, con la detenzione di attività liquide non denominate nella medesima valuta, nel rispetto di quanto previsto in materia di interventi correttivi.

Infine ai sensi dell’art. 413 CRR, fino all’introduzione di norme minime vincolanti sul coefficiente di finanziamento stabile (NSFR), Banca d’Italia può introdurre disposizioni in materia e può stabilire che le segnalazioni siano effettuate con frequenza minore o scadenze più lunghe. Fino al termine del periodo transitorio previsto per l’entrata in vigore dei requisiti vincolanti in materia di liquidità, può continuare a raccogliere informazioni e dati mediante strumenti di monitoraggio al fine di controllare l’osservanza delle norme vigenti in materia di liquidità.

In attesa dell’entrata in vigore a regime dell’LCR e dell’avvio del NSFR, è importante segnalare in questo racconto evolutivo gestionale e regolamentare del rischio di liquidità l’intervento dell’EBA il Dicembre 2015 e quello della BCE nel recente Gennaio 2016 quali ulteriori leve qualitative per la gestione del rischio di liquidità.

L’European Banking Authority (EBA) l’11 Dicembre 2015 ha lanciato una consultazione, aperta sino all’11 marzo 2016, riguardo allo schema di informazioni ICAAP (internal capital adequacy assessment process) e ILAAP (internal liquidity

adequacy assessment process) con lo scopo di facilitare un approccio armonizzato a tali

processi e al contempo verificare il grado di affidabilità delle istituzioni bancarie.

L’ Internal liquidity adequacy assessment process è il processo attraverso il quale il

regulator valuta i meccanismi di gestione del rischio di liquidità ed eventualmente

impone una serie di requisiti addizionali di liquidità rispetto a quelli regolamentari qualora lo ritenga necessario.

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La consultazione del Dicembre 2015 specifica25:

- le informazioni generali sull’ICAAP e sull’ILAAP, il modello di business e la strategia, nonché i meccanismi di governance;

- le informazioni metodologiche, strategiche e operative specifiche per l'ICAAP; - le informazioni metodologiche, strategiche e operative specifiche per l'ILAAP; - le conclusioni relative alla gestione in materia di ICAAP e di ILAAP e le

informazioni per garantire la qualità.

Nello specifico le linee guida proposte riguardano le modalità di raccolta delle informazioni riguardanti il processo interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale ed il processo interno di determinazione dell’adeguatezza della liquidità sulla base del principio di proporzionalità in termini di date di raccolta, frequenza dei dati, scopo e livello di dettaglio delle informazioni raccolte, facilitando in tal modo un approccio condiviso alla valutazione di vigilanza nel quadro dell'ICAAP e dell'ILAAP e permettendo una valutazione sull'affidabilità delle stime di capitale e di liquidità effettuate secondo il Supervisory review and evaluation process (SREP).

Quest’ultimo, come già accennato, si applica proporzionalmente ad enti significativi e meno significativi, viene condotto mediante l’utilizzo di un sistema integrato di analisi e quantificazione dei rischi (Risk Assessment System, RAS) e racchiude tre elementi principali:

- valutazione dei livelli di rischio e delle attività di controllo degli enti creditizi; - revisione complessiva del processo interno di valutazione dell’adeguatezza

patrimoniale (ICAAP) e del processo interno di valutazione dell’adeguatezza della liquidità (ILAAP);

- valutazione dei bisogni degli enti creditizi in termini di capitale e liquidità alla luce dei risultati della valutazione dei rischi.

L’'EBA non mira ad introdurre uno specifico 'report' ICAAP / ILAAP ma individua una serie di elementi informativi ed il loro rispettivo contenuto di base riconoscendone la possibilità di essere forniti tramite un'unica relazione, specificamente preparata da un ente o per mezzo di documenti separati già disponibili in banca; non vengono introdotti nessuna tipologia di modelli comuni con specifici dati quantitativi a supporto dei due processi, né considerazioni metodologiche diverse rispetto a quelle già specificate negli

25 European Banking Authority, “Guidelines on ICAAP and ILAAP information collected for SREP Purposes”, consultation paper, December 2015.

(25)

orientamenti SREP che rappresentano dunque un fondamentale ed imprescindibile elemento di considerazione e riferimento.

Gli orientamenti SREP forniscono infatti una serie di criteri che le autorità competenti dovrebbero prendere in considerazione nelle valutazioni ICAAP e ILAAP.

A tal fine dovrebbero essere considerati un ICAAP e ILAAP coerenti con il profilo di rischio, l’ambiente operativo, le circostanze e le esigenze dell'istituzione e allo stesso tempo l'istituto dovrebbe rendere i due processi comprensibili alle autorità competenti in merito ai caratteri di correttezza, efficacia e completezza.

I due processi, la cui progettazione è responsabilità delle istituzioni, dovrebbero essere basati sulla misurazione e valutazione di elementi quantitativi e qualitativi e dovrebbero essere completamente ed attentamente documentati. Inoltre dovrebbero costituire parte integrante dei processi di gestione, dovrebbero essere lungimiranti e rivisti in modo regolare, dovrebbero essere basati sul rischio che copre tutti i rischi sostanziali ai quali l’ istituzione è o potrebbe essere esposta, e considerare anche il quadro regolamentare ed economico dell’ambiente di business in cui l'ente opera.

Pertanto per eseguire le valutazioni di vigilanza dei quadri ICAAP e ILAAP e determinare se soddisfano i criteri specificati nelle linee guida SREP le autorità competenti devono potere avere accesso ai processi oltre che alle informazioni di base, alle politiche dell'istituzione, ai documenti metodologici, ai documenti operativi e ai documenti giustificativi che attestano l'uso di ICAAP e ILAAP nella gestione strategica di un intermediario. Per questo motivo vengono stabilite nel documento di consultazione un insieme di informazioni che le autorità competenti dovrebbero raccogliere dalle singole istituzioni al fine di svolgere le loro valutazioni e precisamente:

- un documento generale ( ' manuale del lettore ' ) che faciliti la valutazione di ICAAP e ILAAP e che fornisca una panoramica dei rispettivi documenti, il loro stato chiarendo una visione d'insieme;

- le informazioni di carattere generale sui quadri ICAAP e ILAAP oltre che sul modello di business, strategia, governance ed informazioni più specifiche; - le informazioni ILAAP specifiche, conclusioni sulla ICAAP e ILAAP e

informazioni di garanzia della loro qualità.

Importanti sono anche i criteri generali per la autorità di vigilanza competenti volti ad organizzare la raccolta delle informazioni sui due processi e l'utilizzo di tali

(26)

informazioni ai fini della loro valutazioni riconoscendo il principio di proporzionalità in relazione alle date di frequenza, granularità dei dati di riferimento e di rimessa.

Il documento EBA presenta inoltre una valutazione d'impatto che quantifica l'influenza netta (anche se non in termini monetari) della piena attuazione delle linee guida anche in termini di costi e benefici; l'effettiva applicazione delle linee guida sarà proporzionata al livello di attuazione in ciascuno Stato membro tale per cui quello che non ne da piena attuazione sosterrà meno costi ma beneficerà di minori vantaggi.

Gli orientamenti EBA vogliono migliorare l'armonizzazione prudenziale e accelerare l'effettivo rispetto delle linee guida SREP rendendo l’ armonizzazione fattibile in una fase precedente. Due sono le opzioni proposte dall’autorità bancaria europea:

-Opzione 1: 'non fare nulla' (non redigere tali orientamenti)26.

Questa opzione implica che le autorità competenti dovrebbero continuare ad applicare le loro attuali pratiche di richiesta di ICAAP e informazioni ILAAP dalle istituzioni o per mezzo di definizioni formali a livello di ogni giurisdizione (seguendo pratiche del passato) o dando la libertà alle istituzioni di fornire informazioni senza alcuna guida, non permettendo la parità di condizioni nella valutazione dei due processi in tutta l'UE e determinando così costi sproporzionati per alcune istituzioni rispetto ad altre. Il vantaggio del 'non fare nulla' sta nel preservare lo status quo attuale senza alcun cambiamento nelle pratiche o ulteriori i costi per le istituzioni in nessuno dei casi. -Opzione 2: introdurre l’ armonizzazione nella raccolta di informazioni ICAAP e ILAAP da parte delle istituzioni specificando le tipologie di informazioni qualitative e quantitative necessarie e fornire criteri per l'organizzazione del processo di raccolta. Questa opzione consente l'attuazione coerente delle linee guida SREP e fornisce alle autorità competenti il set di base di informazioni necessarie per valutare i due processi, non introduce costi aggiuntivi per istituzioni o le autorità competenti che hanno già specificato la richiesta ICAAP e le informazioni ILAAP in maniera coerente con i criteri delle linee guida mentre comporta per le autorità competenti che non hanno provato simili approcci, un aggiornamento dei loro processi interni. Il beneficio starà nella fornitura di una base coerente per i cambiamenti nelle informazioni dei due processi considerati facilitando così l'implementazione delle linee guida SREP.

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L'analisi costi-benefici che segue alla presentazione delle due possibilità indica che l'opzione 1 dovrebbe essere esclusa in quanto produce un impatto netto negativo mentre andrebbe implementata l'opzione 2

L’8 Gennaio 2016 la Banca centrale europea ha pubblicato un documento indirizzato alla dirigenza delle banche più significative con oggetto le aspettative di vigilanza su ICAAP e ILAAP e la raccolta armonizzata delle relative informazioni.

Muovendo dalla consapevolezza che i processi interni di valutazione dell’adeguatezza patrimoniale e i processi interni di valutazione dell’adeguatezza della liquidità sono strumenti fondamentali di gestione del rischio per gli enti creditizi e che se affidabili possono fornire un notevole contributo alla determinazione dei requisiti di capitale e di liquidità nell’ambito del processo di revisione e valutazione prudenziale, i gruppi di vigilanza devono essere nella posizione di valutare l’affidabilità degli ICAAP e ILAAP nella conduzione dello SREP.

L’esperienza del 2015 ha messo in luce che le informazioni presentate dagli enti significativi in merito ai rispettivi ICAAP e ILAAP spesso non coincidevano con le aspettative del Meccanismo di vigilanza unico (MVU) a causa della varietà di prassi esistenti al momento nei diversi paesi dell’MVU. Pertanto, per incoraggiare gli enti creditizi a sviluppare e mantenere ICAAP e ILAAP di qualità elevata e per chiarire la tipologia di informazioni che dovrebbero essere condivise con l’MVU la BCE ha trasmesso comunicazioni, che non dovrebbero interferire con le disposizioni nazionali giuridicamente vincolanti, concernenti27:

• le aspettative dell’MVU sull’ICAAP • le aspettative dell’MVU sull’ILAAP

• la raccolta armonizzata delle informazioni ICAAP e ILAAP.

Le aspettative di vigilanza sull’ICAAP sono espresse con riferimento a nove aree tematiche, su cui si imposterà anche la valutazione armonizzata degli ICAAP.

Data l’importanza che l’ICAAP riveste per l’ente, l’organo di amministrazione dovrebbe approvarne tutti gli elementi chiave come la struttura di governance, la documentazione richiesta, la portata in termini di rischi rilevati e rispettivo perimetro, l’orizzonte temporale, le ipotesi e i parametri per la misurazione dei principali rischi. Ci si aspetta quindi che gli enti valutino e quantifichino tutti i rischi suscettibili di esercitare un impatto rilevante sul capitale o sui profitti e concludano accertando e

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