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Le caratteristiche operative del settore bancario italiano

4. UN FOCUS SULLA SITUAZIONE ITALIANA

4.1 Le caratteristiche operative del settore bancario italiano

Il settore bancario italiano ha da sempre presentato un profilo strutturale particolarmente solido grazie ad un modello di business che, limitando il ruolo della finanza, si fonda principalmente sull’erogazione di credito alla clientela retail con la quale si instaura un rapporto radicato di reciproca fiducia e dalla quale si riceve gran parte delle risorse che vengono poi prestate; a questo si aggiungono i bassi valori della leva finanziaria e gli ottimali livelli quantitativi e qualitativi di capitalizzazione.

La sostanziale assenza di aiuti pubblici alle banche italiane durante la crisi e la maggiore resilienza delle loro linee di credito rispetto agli altri paesi europei in condizioni similari, testimoniano come la solidità del settore bancario italiano, garantita dal profilo strutturalmente traditional dei business model, abbiano contribuito in maniera consistente alla tenuta complessiva del sistema economico e finanziario nazionale nonostante le inevitabili ripercussioni sulla economica reale.

Come mostra il grafico 164, mentre quasi tutti i principali stati europei, tra cui la Gran Bretagna, Germania e Irlanda in primis, hanno erogato tra il 2008 e il 2012 rilevanti quote di interventi pubblici in miliardi di euro a favore della ricapitalizzazione delle loro banche, il governo italiano ha previsto una quota molto inferiore di aiuti che hanno assunto carattere simbolico ed oneroso quali i “Tremonti bond” e i “Monti bond”; l’elevato rapporto Debito/Pil non avrebbe consentito al bilancio pubblico italiano di sopportare valori superiori di interventi senza compromettere la tenuta complessiva del sistema.

64 Associazione bancaria italiana, “Banche operanti in Italia: il contesto operativo di riferimento”,

Fonte: Abi su dati Commissione Europea “State aid screboard 2013-aid in the context of the financial and economic crisis”.

Il contesto operativo bancario italiano si caratterizza per un notevole sforzo di ricapitalizzazione da parte degli intermediari bancari interamente sostenuto dal settore e dai suoi azionisti volto ad incrementare l’erogazione del credito e da un inesorabile declino della redditività registrato dall’avvio della crisi che evidenzia lo svantaggio competitivo del settore nel confronto intra-europeo in termini di perdita di prodotto interno lordo, della produzione industriale e degli investimenti fissi. Tutto ciò ha provocato una riduzione della domanda di credito, ha creato un ambiente di bassi tassi di interesse in cui gli spread commerciali sono crollati e ha prodotto un marcato incremento delle perdite su crediti a riflesso del pesante aumento delle sofferenze. Analizzare la strategia dell’industria bancaria italiana vuol dire riconoscerne la variabilità dei progetti operativi. Il termine industria è sintomatico di una crescita dell’attività in proprio per il miglior svolgimento di quella di intermediazione, la quale è disciplinata da specifiche norme. È importante infatti che una banca non si limiti all’attività di pura intermediazione ma completi la stessa con un’attività in proprio, di lungo termine, realizzata tramite un proprio portafoglio composto da titoli di investimento e/o di negoziazione o tramite le partecipazioni di imprese delle quali cura operazioni di finanza straordinaria o valuta le rispettive prospettive di crescita per il recupero di crediti deteriorati; si tratta di investimenti “cuscinetto” volti a pareggiare gli

effetti di scompensi economico finanziari derivanti della gestione principale che deve comunque continuare ad essere rivolta sempre e soprattutto al core business.

Oltre alle risorse umane, patrimoniali e all’information and communication technology (Ict), che ha effetti sulle relazioni e sulle azioni della clientela, anche le condizioni dell’ambiente esterno, il grado di integrazione dei mercati monetari e finanziari e l’affermarsi dell’economia globale, hanno condizionato in modo determinante le modifiche dei business plans delle aziende di credito italiane agevolando lo sviluppo di nuove operatività in campo industriale e sviluppando così un nuovo modo di fare banca grazie a processi di ristrutturazione del sistema creditizio e finanziario.

La ristrutturazione del sistema bancario italiano negli anni novanta, realizzata tramite un processo di privatizzazione delle casse di risparmio, degli istituti di credito di diritto pubblico, degli istituti di credito speciale e tramite fusioni e acquisizioni, aveva dato origine a gruppi bancari che presentavano una gestione contemporanea sia di credito ordinario, in grado di mobilitare capitali di rischio privati, e sia di credito non ordinario da parte di risorse umane più generiche che specialiste, senza poter contare su politiche di raccolta puntuali e aumentando di fatto il rischio di trasformazione delle scadenze. Da qui è derivata l’esigenza di una maggiore concentrazione del sistema creditizio nazionale organizzandolo in gruppi con specializzazioni funzionali e con autonome politiche di raccolta di fondi da parte delle controllate dislocate sul territorio. In Italia, senza alcuna prospettiva strategica, la ricerca delle dimensioni dei gruppi creditizi ha seguito principalmente la via delle fusioni cercando di salvaguardare le posizioni dei manager e dei soci di riferimento.65

Tuttavia le banche italiane hanno da sempre sofferto di gap competitivi non indifferenti rispetto ai principali competitors europei a causa di una pluralità di fattori di diversa tipologia che le connotano nello specifico. Da un punto di vista fiscale i soggetti bancari italiani sono penalizzati di circa 15 punti percentuali rispetto a quelli europei; il

Decreto-legge 30 novembre 2013 n.133 ha previsto per le imprese bancarie ed

assicurative l’applicazione di un’addizionale IRES pari a 8,5 punti percentuali portando l’aliquota complessiva al 36% rispetto alla misura ordinaria prevista per le altre imprese del 27,5%. L’art. 1, comma 65 e 66, della legge di Stabilità 2016 prevede l’applicazione di una addizionale del 3,5%, a decorrere dal 2017 allorché verrà ridotta l’aliquota IRES dal 27,5 al 24%, in modo da sterilizzare in sostanza tale riduzione.

65 T.Bianchi, “L’industria bancaria verso gli anni 2020: rigenerazione manageriale”, ASSB, Marzo

Nella logica di un’anticipazione finanziaria degli effetti di gettito derivanti dalla maggiorazione di aliquota, all’addizionale IRES si è accompagnato sul piano finanziario l’aumento al 130% della misura degli acconti IRES e IRAP da versare da banche ed assicurazioni, controbilanciato dall’introduzione di un credito d’imposta d’importo corrispondente all’addizionale IRES pagata sugli utili accantonati a riserva. Tali penalizzazioni fiscali si traducono in una ridotta capacità del settore bancario italiano di finanziare le famiglie e le imprese ed in maggiore aggravio fiscale per tutti gli azionisti che decidono di investire in partecipazioni bancarie.

La disciplina del trattamento fiscale delle svalutazioni e perdite su crediti, che in passato aveva subito una evoluzione fortemente penalizzante per effetto della progressiva riduzione dei margini di deducibilità fiscale di tali poste con effetto finale di freno piuttosto che incentivo all’erogazione del credito, oggi è stata modificata per mezzo della previsione della loro deducibilità in cinque anni ad eccezione delle perdite da cessione a titolo oneroso che sono deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono contabilizzate e della eliminazione di alcune ipotesi di deducibilità immediata quali le perdite risultanti da elementi certi e precisi, quelle conseguenti all’apertura di procedure concorsuali, i crediti prescritti o di modesto importo scaduti da più di sei mesi, nonché le perdite derivanti dalla cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili. Se gli interessi passivi sono deducibili sia ai fini IRES che IRAP in misura del 96%, dal 1° Luglio 2014 alla generalità dei prodotti del risparmio, con l’eccezione dei titoli di Stato e di quelli che sono risultano ad essi equiparati ai fini fiscali, si è applicata un’aliquota del 26% disincentivando così l’afflusso di capitali esteri nel nostro Paese e amplificando in modo notevole il divario di tassazione tra diversi prodotti.

L’operatività del settore bancario italiano si caratterizza inoltre per una serie di penalizzazioni di carattere non fiscale tra cui la mancanza di commissioni per l’estinzione anticipata dei mutui che determina una difficoltà delle banche italiane a collegare i costi di raccolta a quelli di impiego per tutta la durata dei finanziamenti ipotecari. Infatti quando i costi della raccolta diminuiscono i mutuatari possono rifinanziare il proprio mutuo a condizioni migliori presso un’altra banca mentre la banca che aveva originariamente finanziato il mutuo si ritrova a sopportare per intero i costi del cambiamento delle condizioni di mercato trattenendo in portafoglio una provvista difficilmente riutilizzabile per nuovi impieghi. Se i costi della raccolta aumentano il mutuatario non subisce conseguenze da tale variazione mentre la banca deve

rifinanziare tali impieghi ad un costo più elevato. L’effetto finale è quello di un disincentivo all’erogazione dei mutui ipotecari e alla loro domanda.

Ancora, con l’intento di garantire la trasparenza nella relazione tra banca e cliente, una piena concorrenza tra gli operatori e assicurare condizioni competitive omogenee con gli altri Paesi Europei, si è necessario prevedere una revisione del regime delle commissioni relative alle aperture di credito e agli sconfinamenti eliminando i tetti previsti. E’ stabilito infatti che i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione omnicomprensiva ed un tasso di interesse sulle somme prelevate mentre per la remunerazione degli sconfinamenti è previsto a carico del cliente, oltre agli interessi, il solo pagamento di una commissione di istruttoria veloce, fissa e commisurata ai costi.

Per ridurre i gap competitivi sofferti dalle banche italiane a motivo delle penalizzazioni fiscali e amministrative considerate è possibile individuare tre interventi che hanno avuto impatti positivi sotto il profilo della loro patrimonializzazione.

Primo fra tutti la fiscalità attiva differita (Deferred Tax Asset) la quale ha assunto un importanza crescente per le banche italiane dato che molti dei costi bancari sono fiscalmente riconosciuti successivamente rispetto alla rilevazione in bilancio.

Ancora la trasformazione in crediti d’imposta delle imposte anticipate iscritte in bilancio disposta dal Governo in modo da non poter essere dedotte dal patrimonio di vigilanza delle banche italiane e l’applicazione, con il comma 22 dell’art 2 del DL n. 138 del 2011,del regime dei titoli obbligazionari ai proventi degli strumenti di patrimonializzazione diversi dal capitale che rientrano nel novero dei c.d. titoli atipici (ex D.L. n. 512 del 1983) oltre che la deducibilità dal reddito dell’emittente sulla base dell’art. 96 bis e art. 109, comma 9 del TUIR.

L’ultimo intervento degno di nota riguarda il trattamento fiscale dei titoli Additional

Tier 1 che ai sensi del regolamento n. 575 del 2013 (CRR), possono essere riconosciuti

nel patrimonio di vigilanza, solo se “al verificarsi di un evento attivatore, l’importo del capitale degli strumenti sia ridotto a titolo permanente o temporaneo o che gli strumenti siano convertiti in strumenti del Common Equity Tier1”. Per evitare che il valore degli AT1 computabile dalle banche italiane risultasse decurtato a causa del limite fissato dal CRR nel livello massimo di CET1 che si verrebbe a generare a seguito di un abbattimento totale del valore o di conversione dello strumento, il Governo con la Legge di Stabilità del 2014 ha previsto la irrilevanza fiscale delle variazioni di valore di

tali strumenti finanziari ovviando allo stato di incertezza che penalizzava la capacità del settore bancario italiano di ricorrere al mercato per rafforzare il proprio patrimonio. Il sistema bancario italiano si connota inoltre per una pluralità di servizi resi a favore della Pubblica amministrazione tra cui spicca in modo caratterizzante il servizio di rilevanza pubblica fortemente tipicizzato, regolamentato e controllato dalla Corte dei Conti di tesoreria: l’effettuazione di incassi e pagamenti per conto dell’ente gestito in un regime sostanzialmente gratuito nel quale l’unica voce attiva è costituita dagli interessi sulle anticipazioni di tesoreria, obbligatorie per legge, che genera un inevitabile disinteresse delle imprese bancarie che per non causare danni all’ente e alla collettività abbandonando il servizio pubblico, lo proseguono oltre la scadenza prevista.

Altre funzioni svolte sono il servizio di pagamento delle imposte e contributi che le banche effettuano a favore dell’Agenzia delle entrate entro il quinto giorno lavorativo successivo per il servizio F24, nel quale sono previsti in poche scadenze un numero elevato di versamenti che i contribuenti preferiscono pagare a sportello, o entro il secondo giorno lavorativo successivo per il servizio I24 o il servizio di pagamento mediante delega delle tasse, imposte, sanzioni e altre somme F23 entro il terzo giorno lavorativo successivo agli agenti della riscossione competenti.

Occorre dunque una ristrutturazione del sistema creditizio e finanziario italiano che sia consequenziale ad nuova struttura dei gruppi creditizi, ad una mobilitazione di capitali per i necessari investimenti e ad una diversa composizione delle risorse umane e che implichi la pianificazione chiara di una strategia che sviluppi progetti che prendano in considerazione l’evoluzione dell’economia globale e la conseguente reazione della clientela effettiva e potenziale a questa, fermo restando la forte situazione di incertezza del contesto economico, politico e sociale europeo caratterizzato da un eccesso di debito sovrano, da una popolazione sempre più anziana e da uno scarso coordinamento della politica economica. Il ritorno a livelli di redditività accettabili e in grado di remunerare gli azionisti presuppone tassi di crescita economica e di investimenti significativamente più elevati di quelli del periodo pre-crisi uniti ad azioni di ristrutturazione dei costi e di incremento dei ricavi predisponendo una serie di servizi alle imprese che sono generalmente più piccole rispetto a quelle degli altri paesi UE e che presentano una struttura finanziaria particolarmente debole dal lato della capitalizzazione.

“Quanto alle banche, ora sottoposte a regole e vigilanza comuni, esse restano da noi il

pilastro fondamentale per il finanziamento dell’economia. Perché possano continuare ad attrarre capitali e raccogliere liquidità sui mercati, indispensabili per adempiere

compiutamente alla loro funzione di intermediazione, ne va rafforzata la governance, garantita l’integrità dei comportamenti, accresciuta la redditività; vanno valutati gli effetti che oneri, non solo tributari, possono avere sulla loro capacità di competere in un mercato finanziario integrato66”. Queste le parole del Governatore di Banca d’Italia Visco al termine dell’assemblea del gruppo nel Maggio 2014 che testimoniano ed accentuano i problemi, le prospettive e la centralità del ruolo del settore bancario per la crescita, il funzionamento e la tenuta dell’economia italiana.