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Le rettifiche su crediti e le componenti di costo

4. UN FOCUS SULLA SITUAZIONE ITALIANA

4.2 I dati

4.2.3 La redditività

4.2.3.1 Le rettifiche su crediti e le componenti di costo

Il declino della redditività delle banche italiane ha fortemente risentito della crisi economico finanziaria globale che ha generato una consistente perdita di prodotto interno lordo, di produzione industriale ed investimenti fissi lordi; quest’ultimi hanno condotto alla consequenziale riduzione della domanda di credito, alla creazione di un ambiente caratterizzato da bassi tassi di interesse e pesanti spread commerciali oltre che ad un incremento consistente delle perdite su crediti a riflesso dell’aumento delle sofferenze.

Le rettifiche di valore su crediti hanno assorbito quasi interamente il risultato di gestione delle banche italiane ed hanno indotto gli intermediari a selezionare con criteri sempre restrittivi i propri clienti e a razionare sempre di più il credito concesso allontanandosi così dai bisogni dell’economia reale.

Negli ultimi cinque anni, tra il 2012 e il 2015, i profitti sono stati soffocati da 120 miliardi di rettifiche sui crediti.

Come mostra il grafico seguente, l’evoluzione storica delle rettifiche sui crediti segna un primo non eccessivo aumento nel 2009 che si mantiene pressoché costante sino al 2011 con valori che oscillano intorno ai 20 miliardi di euro; la crescita preponderante delle rettifiche su crediti inizia nel 2012 in corrispondenza alla trasmissione della crisi finanziaria all’economia reale e al successivo peggioramento della qualità dei crediti e dei creditori sempre più compromessi nella capacità di ottenere il credito e nel caso in cui lo ottenevano, di restituirlo alle condizioni prestabilite. Le rettifiche per il 2013 raggiungevano i valori più alti avvicinandosi ai 40 miliardi di euro87.

E’ solo nel 2015 che alla lenta e progressiva crescita degli utili degli intermediari bancari italiani hanno contribuito in misura determinante la flessione, marcata nelle banche di maggiori dimensioni, delle rettifiche di valore (-34,8 %) la cui incidenza sul risultato di gestione si è ridotta al 65,4%. Rispetto al 2014 le rettifiche su crediti verso la clientela ammontano nel 2015 a 16,9 miliardi di Euro e le rettifiche su crediti verso clientela deteriorati a 17,5 miliardi di Euro (-35,1%).

Fonte: Banca d’Italia, “Rapporto stabilità finanziaria”, Aprile 2016.

Il costo del credito dato dalle rettifiche di valore su crediti verso clientela in rapporto all’ammontare totale dei crediti verso clientela medi lordi per l’esercizio 2015 ha presentato un valore, trainato dal trend dei gruppi grandi e piccoli, in netto calo rispetto al dato dell’anno precedente, grazie alla riduzione di ben il 35% delle rettifiche specifiche su crediti deteriorati oltre che alle contestuali riprese di valore su crediti in bonis . Sono comunque i gruppi maggiori a riportare il costo del credito più basso (0,8%) in quanto hanno anticipato buona parte delle politiche di ricomposizione quali quantitativa di bilancio richieste anche dal LCR e dal NSFR già a partire dal 201388.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

Resta elevato il livello dei crediti deteriorati ereditato dalla recessione, ma la qualità del credito continua a beneficiare della graduale ripresa ciclica. Al netto dei fattori stagionali e in ragione d’anno, nel primo trimestre del 2016 il flusso dei nuovi

crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti, che aveva toccato un picco del 5,9% nel quarto trimestre del 2013, è diminuito al 2,9%, il valore più basso dall’avvio della crisi finanziaria globale. Il calo ha riguardato egualmente sia le imprese (-0,5% dal trimestre precedente) sia le famiglie (-0,5%). Si stanno riducendo anche le consistenze: per i gruppi bancari la quota di crediti deteriorati lordi sul totale dei finanziamenti si è lievemente contratta nel confronto con il trimestre precedente (-0,2%), così come la loro quota al netto delle rettifiche (-0,2%): questo ha portato per il primo trimestre del 2016 valori stabili delle rettifiche su crediti, segnale positivo per la ripresa della redditività delle banche italiane.

Il Fondo monetario internazionale nel rapporto sulla stabilità finanziaria globale, pur riconoscendo le azioni varate dal Governo italiano per facilitare il miglioramento del credito e l'acquisto delle sofferenze, quali le misure per migliorare l’efficienza e la rapidità delle procedure di insolvenza, anche stragiudiziali, la garanzia pubblica sulle tranche senior delle cartolarizzazioni bancarie basate sui prestiti in sofferenza, la creazione di Atlante, la riforma del trattamento fiscale delle perdite su prestiti, sostiene che queste potrebbero non essere sufficienti ad assicurarne lo smaltimento nelle quantità e nei tempi necessari per rafforzare il sistema bancario. L’Fmi sollecita dunque anche una valutazione della qualità dei bilanci delle banche più piccole che non sono sottoposte all'esame della Banca centrale europea, per ridurre la pressione sul settore

bancario in generale oltre che un’estensione della riforma delle insolvenze non solo alle sofferenze nuove ma anche a quelle esistenti89.

L’adozione di regimi di insolvenza che riducano i tempi di pignoramento determinerebbe a partire dal vantaggio di costo di rimuovere dai bilanci i non

performing loan, un guadagno finale particolarmente pronunciato nel caso dell'Italia.

Per fare questo le banche europee devono diventare più efficienti. «Ci sono troppe filiali

con troppo pochi depositi e troppe banche con costi di raccolta ben al di sopra della concorrenza», ha detto nel presentare il rapporto Peter Dattels, vicedirettore del

dipartimento mercati dei capitali.

Ecco che il settore bancario italiano è stato fortemente impegnato in azioni interne volte a ristrutturare ulteriormente i costi per mezzo di un’efficiente riduzione del numero di sportelli, delle risorse produttive impiegate in esse e delle voci di spesa ad esse relative: queste sono azioni fondamentali per ottenere dei risultati reddituali positivi.

Il sistema distributivo italiano del retail banking presenta un livello di capillarità tra i più elevati d’Europa ed un numero di abitanti bancabili per sportello tra i più bassi in Europa. Il problema non è solo di numero di sportelli, ma di ampiezza dell’offerta, di ruolo degli sportelli tradizionali all’interno della struttura multicanale delle banche e di risorse umane e fisiche utilizzate; occorre agire sulla qualità e quantità degli organici in maniera coerente con gli sviluppi del mercato e della tecnologia.

La fase di svolta del modello bancario delle reti tradizionali, imputabile ai costi insostenibili delle strutture attuali e alle evoluzioni dei comportamenti e delle preferenze della clientela, sta incentivando la focalizzazione degli sportelli bancari italiani sulle attività di vendita, contrattualizzazione e consulenza, spostando sui canali diretti l’attività di contenuto amministrativo e sta aprendo a due fronti di razionalizzazione: come risposta alle tendenze del mercato e rispetto alla strategia dei canali distributivi. In risposta alle tendenze del mercato, è prevedibile che la prospettiva sia quella di una sua attenta comprensione ed anticipazione dei movimenti tramite una migliore focalizzazione della dimensione geografica, delle segmentazioni della clientela e dei relativi fabbisogni; la comprensione della dinamica del potenziale della domanda comporta inevitabili processi di ottimizzazione strutturale quali fusioni tra sportelli contigui, un uso più razionale degli spazi fisici e dei relativi costi e un riposizionamento

verso l’alto del ruolo dello sportello e dell’ampiezza dei servizi offerti sviluppando in modo più articolato i profili professionali delle risorse umane che gestiscono relazioni della e con la clientela.

Rispetto alla strategia dei canali distributivi, occorre invece puntare su una riqualificazione della funzione della rete tradizionale dato che gli sportelli mantengono comunque un ruolo centrale e complementare rispetto agli altri canali.

In Italia c’è un ritardo di sviluppo della multicanalità: il consumatore tipo usa in media 2 canali rispetto a una media europea di 2,6 e al livello di canali di paesi come Francia e Olanda: il canale Internet 20 punti percentuali in meno (28% di utilizzo rispetto al 48% della media europea), quello telefonico 14 punti in meno (3% rispetto al 17%) e gli Atm 19 punti in meno (54% rispetto al 73%)90.

La convenienza di costo come fattore della competitività del retail banking insieme alla

customer experience e alla comodità/facilità di accesso al servizio, implicano così un

strategia di medio-lungo termine dei canali distributivi che stabilisca l’ articolazione tra canali diretti e rete tradizionale, la segmentazione di clienti e dei prodotti per i diversi canali, l’interazione tra canali e le loro politiche di pricing, una visione dello sportello come spazio libero dall’attività di back office di carattere amministrativo e principalmente dedicato alle attività commerciali, di consulenza e di supporto ai canali diretti.

Il percorso di razionalizzazione delle reti è ormai ben avviato in Italia ed è in linea con i dati stimati da KPMG nel paper “Sportelli bancari e nuovi modelli distributivi”, che prevedono il raggiungimento di una rete target nel medio termine costituita da 20.000 - 22.000 sportelli.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

Dal 2009 al 2015 gli sportelli bancari del campione si sono ridotti del 20% trainati dal forte calo che ha interessato in particolare i gruppi maggiori e grandi meno ancorati al territorio e al contatto diretto con il cliente che caratterizza invece i gruppi più piccoli nei quali l’aumento del 31% nel numero di sportelli rispetto al 2009 è attribuibile ad importanti operazioni di acquisizione che li hanno interessati.

Coerentemente e conseguentemente alla riduzione degli sportelli fisici collocati sul territorio italiano, ha fatto seguito una riduzione del numero medio dei dipendenti che ha consentito un notevole risparmio incentivante un recupero di performance reddituali delle banche italiane.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

Rispetto al dato del 2009, il numero di dipendenti si è ridotto di circa 70.000:

5.000 risorse in meno nei gruppi maggiori, 16.000 dipendenti in meno nei gruppi grandi, una sostanziale stabilità nei gruppi medi e un incremento del 18% per i gruppi piccoli. Il risultato di questa strategia di ridistribuzione efficiente della rete bancaria ha determinato per il 2015 in tutti i cluster dimensionali, fatta eccezione per i gruppi piccoli, un aumento della produttività per sportello e per risorsa sia in termini di masse amministrate, sia in termini di margine di intermediazione; i gruppi bancari italiani di dimensione maggiore hanno sfruttato le economie di scala e gli interventi di razionalizzazione sulle reti distributive e sulle strutture mentre i gruppi piccoli, maggiormente vocati al contatto con il territorio e la clientela e recentemente interessati da importanti operazioni di fusione, i cui effetti in termini di efficienza delle strutture probabilmente si potranno osservare solo nei prossimi anni, presentano bassi indicatori di struttura91.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

Il particolarmente oneroso turnaround sui modelli di business e sugli assetti distributivi e l’adeguamento delle strutture operative, delle competenze e degli organici richiesto dalla forte pressione regolamentare hanno causato di riflesso per l’esercizio 2015 un aumento dei costi operativi, delle spese amministrative, delle spese per il personale e delle principali componenti delle altre spese amministrative per gli intermediari bancari italiani. La grande crescita dei costi operativi, i quali corrispondono ad una quota in aumento del totale attivo pari all’1,8%, rispetto al dato dell’anno precedente(+6,6%), è stata causata dagli incrementi di alcune sue principali voci quali le spese amministrative (+5,7%) e gli accantonamenti netti per fondo rischi e oneri (+53%) e, annullando i

peggioramento dell’importante indicatore “Cost/Income Ratio” che misura il rapporto tra costi operativi e margine di intermediazione.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

Dal confronto con i dati del 2009 emerge che solo i gruppi grandi hanno registrato un miglioramento dell’indicatore nel tempo: se nel 2014, infatti, il miglioramento del Cost/Income Ratio era dovuto ad una riduzione dei costi operativi che aveva più che compensato le difficoltà riscontrate dal lato della produttività, il 2015 ha segnato un ritorno alla crescita dei costi operativi in conformità con un peggioramento per tutti i cluster dimensionali degli indicatori di efficienza. L’aumento dei costi operativi per risorsa (+8%) rispetto all’anno precedente e dei costi operativi per sportello (+13%) è dovuto proprio all’aumento dei costi operativi a fronte del calo visto per le risorse e per gli sportelli bancari. Nonostante la presenza radicata sul territorio tramite una fitta rete di sportelli e la minore possibilità di beneficiare di economie di scala, sono i gruppi piccoli a registrare i valori più contenuti per entrambi gli indicatori come da grafico seguente.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

Un’altra voce da attenzionare è quella delle spese amministrative. Esse si compongono delle spese per il personale e delle altre spese amministrative costituite per il 36% da spese generali, per il 19% da imposte, per il 13% da spese IT (più rilevanti nei gruppi maggiori), per il 12% da spese per immobili, per il 10% da spese professionali, per il 6% da spese per sicurezza, trasporti e logistica e per il 4% da spese per pubblicità92.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

La diversa composizione delle altre spese amministrative riflette anche le differenti scelte in termini di approvvigionamento e strategie sui sistemi informativi: gli istituti maggiori mantengono ampie parti della gestione ICT all’interno della propria organizzazione, attraverso società strumentali, incluse nel perimetro di consolidamento del gruppo, mentre i gruppi di dimensioni inferiori, per i quali è più complesso ottenere economie di scala, spesso ricorrono a consulenze esterne e a forme di esternalizzazione. Nonostante la riduzione segnata nel triennio 2012-2014, è stata registrata una crescita nel precedente esercizio 2015 che ha riportato le spese amministrative sui livelli del 2009: rispetto al 2009, infatti, le spese per il personale sono diminuite del 7%, ma sono cresciute del 12% le altre spese amministrative.

Fonte: KPMG, “Bilanci dei gruppi bancari italiani: trend e prospettive. Esercizio 2015”, Luglio 2016.

Nonostante le azioni dei gruppi bancari del campione tese a migliorare l’efficienza, la riduzione del numero dei dipendenti e l’aumento contestuale delle spese per il personale hanno causato un aumento del costo medio del personale del 10,6% in sei anni comune a tutti i cluster dimensionali: i gruppi maggiori registrano il costo medio del personale minore (circa 62.300 Euro), seguiti dai gruppi piccoli (69.500 Euro circa), mentre si attestano su valori più elevati i gruppi grandi e medi, rispettivamente 76.200 Euro e 74.800 Euro.

Il recente peggioramento dei profili di efficienza del settore bancario è imputabile principalmente a due elementi: da un lato le importanti novità regolamentari che hanno imposto adeguamenti di strutture e competenze e hanno comportato un incremento delle altre spese amministrative, soprattutto quelle relative all’ information technology e a quelle professionali, dall’altro lato i processi di modifica degli assetti distributivi della rete e la minuziosa opera di razionalizzazione dei costi relativi alle risorse impiegate che hanno determinato un incremento degli oneri operativi anche per effetto di componenti straordinarie. Nonostante ciò, questa prima ed importante leva strategica di razionalizzazione dei costi efficiente è imprescindibile per un incremento delle performance reddituali delle banche italiane.