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La direttiva 2014/95/UE e la disclosure di carattere non finanziario

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Corso di Laurea Magistrale

in Economia e gestione delle aziende

ordinamento ex D.M. 270/2004

Tesi di Laurea

La Direttiva 2014/95/UE

e la disclosure di carattere

non finanziario

Relatore

Ch. Prof. Chiara Mio

Laureando

Dario Bugin Matricola 855651

Anno Accademico

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(3)

Indice

Abstract………..I

Introduzione………III

Capitolo 1………..1

1.1 La nuova regolamentazione comunitaria in materia di non-financial disclosure………1

1.1.1 La situazione antecedente e le origini della direttiva 2014/95/UE………...1

1.1.2 La Direttiva 2014/95/UE……….3

1.1.3 Il Decreto Legislativo 30 dicembre 2016 n. 254………...9

1.1.4 Una sintesi giuridica……….13

1.2 Un giudizio sul contributo della direttiva 2014/95/UE alla non-financial disclosure…………...14

1.3 L’implementazione della direttiva 2014/95/UE nell’ordinamento giuridico degli Stati membri………18

1.4 La situazione italiana in materia di non-financial disclosure antecedente l’entrata in vigore della direttiva 2014/95/UE……….22

1.5 La direttiva 2014/95/UE: un agente di cambiamento………...25

1.5.1 United Nations Sustainable Development Goals (SDG)…..………27

1.5.2 La finanza sostenibile………...29

1.5.3 La lotta al cambiamento climatico……….31

1.5.4 Le aziende e i diritti umani……….32

1.6 Conclusione……….34

Capitolo 2………..36

2.1 La disclosure di informazioni non finanziarie……….36

2.1.1 Le origini della reportistica non finanziaria………37

2.1.2 La definizione del termine “non finanziario”………..38

2.1.3 Le ragioni della disclosure non finanziaria………43

2.2 La situazione globale attuale in materia di disclosure non finanziaria………..45

2.2.1 La richiesta di disclosure non finanziaria………..46

2.2.1.1 La situazione quantitativa e la distribuzione geografica delle richieste di disclosure non finanziaria………48

2.2.1.2 Il carattere voluntary o mandatory delle richieste di disclosure non finanziaria………50

2.2.1.3 La provenienza delle richieste di dislosure non finanziaria………....52

2.2.1.4 I destinatari delle richieste di disclosure non finanziaria……….54

2.2.1.5 Il formato di reporting richiesto per la disclosure non finanziaria……….57

(4)

2.2.2 L’offerta di disclosure non finanziaria………61

2.2.2.1 Una panoramica quantitativa sull’offerta di disclosure non finanziaria………64

2.2.2.2 La distribuzione geografica dell’offerta di disclosure non finanziaria………..65

2.2.2.3 La distribuzione per settore dell’offerta di disclosure non finanziaria……….70

2.2.2.4 L’offerta di disclosure non finanziaria all’interno dell’Annual Report…………72

2.2.2.5 Le principali tendenze riguardanti l’offerta di disclosure non finanziaria….78 2.3 Conclusioni………..87

Capitolo 3………..89

3.1 Due modelli di reporting non finanziario………..…...89

3.1.1 La reportistica di sostenibilità: i "GRI Standards"………89

3.1.1.1 GRI 101: Foundation………92

3.1.1.2 GRI 102: General Disclosure………..101

3.1.1.3 GRI 103: Management Approach………...103

3.1.1.4 GRI 200: Economic……….105

3.1.1.5 GRI 300: Environmental……….105

3.1.1.6 GRI 400: Social………..106

3.1.2 La reportistica integrata: l'"<IR> Framework"………...108

3.1.2.1 Parte I – Introduzione………..110

3.1.2.2 Parte II – L’Integrated Report………..118

3.2 Il collegamento fra i due modelli di reporting e le richieste della direttiva 2014/95/UE…….133

3.2.1 Il confronto fra i GRI Standard e l’<IR> Framework………133

3.2.2 Il collegamento fra i due framework e la direttiva 2014/95/UE……….142

3.2.3 L’Integrated Reporting: il futuro del Corporate Reporting?...150

Conclusione………..152

Indice Tabelle………..155

Indice Figure………156

Bibliografia………...159

(5)

I

Abstract

La seguente tesi di laurea magistrale si concentra inizialmente sull’analisi della direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea a riguardo della “comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e taluni gruppi di grandi dimensioni” e del correlato atto normativo (decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254) emanato dal Governo italiano per il recepimento della stessa all'interno dell'ordinamento giuridico nazionale. Dopo aver introdotto tali atti normativi, l’attenzione si sposta sulla loro contestualizzazione nel contesto politico-economico odierno e nella letteratura esistente. La successiva parte dell’elaborato invece, dopo aver brevemente introdotto e cercato di far chiarezza su alcune definizioni e concetti rilevanti (fra i quali l’informazione non finanziaria, di sostenibilità e sulla responsabilità sociale d’impresa), tratta la materia della

disclosure non finanziaria, dapprima, ricercando nella letteratura le ragioni che stanno

alla base della questione e gli effetti/benefici che possono derivarne per l’azienda e i propri stakeholder e, successivamente, sulla base dei dati di una nota società di consulenza, presentando al lettore la situazione mondiale attuale, sia dal lato della domanda, con riferimento agli strumenti emanati da governi, mercati borsistici o altre organizzazioni che volontariamente o obbligatoriamente richiamano alla disclosure non finanziaria, sia dal lato dell’offerta, con riferimento al livello di informazione non finanziaria comunicato all’esterno da parte delle più grandi aziende di alcuni paesi del mondo. Infine, l’ultima parte dell’elaborato spiega, commenta e confronta due fra i più importanti standard esistenti a livello mondiale in materia di reportistica di carattere non finanziario, offerti rispettivamente dal Global Reporting Initiative (GRI) e dall’International Integrated Reporting Council (IIRC), tentando inoltre di collegare le linee guida insite in tali modelli con le disposizioni della direttiva 2014/95/UE, al fine di mettere in luce se e in quale modo possano considerarsi un’efficace risposta ad essa.

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III

Introduzione

Al giorno d’oggi le questioni collegate all’ambiente naturale e alla società stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante all’interno dell’opinione pubblica. Il loro inserimento sempre più frequente all’interno dei programmi dei governi nazionali, delle unioni sovranazionali e delle organizzazioni internazionali ne è la prova. Inoltre, si aggiungono le diffuse preoccupazioni riguardanti la stabilità del sistema finanziario, fattore fondamentale per il benessere collettivo e per la crescita economica mondiale futura.

Il seguente elaborato di tesi, partendo da tale considerazione, vuole osservare come tali questioni influenzino l’attività e le scelte del soggetto “azienda”. In particolare, l’elaborato si focalizza sul processo di comunicazione fra l’azienda e l’ambiente esterno, in risposta alle sempre crescenti richieste informative sui temi “non finanziari” provenienti dai suoi

stakeholder. Nonostante si stia verificando un progressivo passaggio dal carattere

volontario al carattere obbligatorio della regolamentazione della non-financial disclosure, le aziende leader di mercato sono già attive volontariamente da molto tempo sulla questione. Infatti, lo strumento che per definizione rappresenta il mezzo di comunicazione fra azienda e stakeholder, il bilancio d’esercizio, si è spesso mostrato inadeguato a rappresentare efficacemente la situazione reale dell’azienda. Gli stessi investitori hanno compreso tale problematica e stanno cambiando il modo stesso in cui prendono le decisioni di investimento, non più interessandosi solo all’aspetto finanziario in senso stretto e al solo orizzonte temporale breve. Per ridurre l’incertezza in un contesto sempre più complesso è necessaria un’informazione sempre più completa. Inoltre, nell’ultimo ventennio la globalizzazione, il progresso tecnologico e il conseguente aumento negli scambi d’informazione hanno portato sia a una maggiore competizione fra le aziende sia a un’evoluzione del consumatore.

Si è dimostrato che la chiave del successo per le aziende, in grado di assicurare la sopravvivenza di lungo periodo e in grado di portare un vantaggio competitivo sulla concorrenza, è la sostenibilità. Infatti, da un lato, può risultare un fattore di “legittimazione” dell’attività aziendale da parte della società nel suo complesso e conseguentemente di aumento della reputazione, dall’altro lato può risultare un fattore determinante nelle scelte di acquisto del “nuovo” consumatore, utile a battere la concorrenza.

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IV

Va detto che, la comunicazione di carattere non finanziario rappresenta soltanto il punto finale di un ben più ampio processo di ristrutturazione dell’intera strategia aziendale attorno alla sostenibilità. Il reporting non finanziario vuole quindi essere il mezzo mediante il quale vengono consegnate all’esterno le informazioni in merito ai risultati derivanti dall’impegno dell’azienda in materia. Allora, non si possono raccogliere i frutti di una strategia di sostenibilità aziendale senza una buona comunicazione e non ci può essere buona comunicazione non finanziaria senza un’efficace strategia di sostenibilità. Nel dettaglio, il primo capitolo, dopo aver analizzato la situazione passata in termini di reportistica non finanziaria, espone il grande cambiamento in atto a livello di Unione europea, la direttiva 2014/95/UE. Tale atto normativo, infatti, rappresenta la prima iniziativa di tipo mandatory a livello comunitario in materia di disclosure di informazioni non finanziarie. Il capitolo, dopo aver esposto le norme e i destinatari della direttiva, cerca di mostrare, sia a livello comunitario che italiano, lo stato di implementazione della direttiva e le scelte di recepimento dei governi nazionali, la situazione antecedente la sua entrata in vigore e dunque il suo possibile contributo alla materia. Infine, si cerca di contestualizzare e inserire tale processo normativo all’interno della politica economica globale dell’Unione europea.

Il secondo capitolo inizialmente, grazie all’aiuto della letteratura, vuole giungere a definire il termine “non finanziario”, utilizzato anche dalla stessa Unione europea per identificare le proprie richieste di disclosure. Successivamente vuole esporre la situazione mondiale e le tendenze in corso riguardanti la disclosure non finanziaria, osservando le scelte di richiesta di tali informazioni da parte di governi, regolatori di mercato e di settore, mercati finanziari e altri enti, così come le scelte di divulgazione delle informazioni non finanziarie attuate dalle più grandi aziende al mondo.

Infine, il terzo capitolo vuole mostrare, da un punto di vista tecnico, due fra i principali modelli esistenti per la reportistica delle informazioni non finanziarie, offerti da Global Reporting Initiative e International Integrated Reporting Council. La scelta di questi due modelli è stata dettata da due fattori: il differente approccio che questi hanno in merito al concetto di “non finanziario”(1) e il fatto che rappresentino possibilmente presente e il futuro del corporate reporting(2). Il capitolo 3 successivamente, dopo aver analizzato individualmente i due framework, cerca di compararli fra di loro, al fine di identificarne i punti in comune e di contrasto. Infine, il capitolo, ricollegandosi alla direttiva 2014/95/UE, cerca di comprendere come i due modelli possano essere utilizzati dalle

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V

grandi aziende europee che rientrano nel campo di applicazione della direttiva in risposta alle sue richieste di disclosure non finanziaria.

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(11)

1

Capitolo 1

1.1 La nuova regolamentazione comunitaria in materia di non-financial

disclosure

1.1.1 La situazione antecedente e le origini della direttiva 2014/95/UE

L’introduzione della direttiva 2014/95/UE, di grandissima importanza per la materia del

corporate reporting, è frutto di un lunghissimo processo concepito attorno a due

considerazioni principali: l’incapacità del solo bilancio finanziario di fornire una completa raffigurazione dell’azienda(1) e l’esigenza di un maggiore impegno in campo sociale e ambientale da parte di tutti gli attori dell’economia ai fini dello sviluppo sostenibile(2). Riguardo al primo aspetto, molti studi si sono concentrati sull’osservazione dei limiti del bilancio d’esercizio classico1. Infatti, questo strumento, principalmente a causa della sua

complessità d’uso, visione backward-oriented e limitatezza alle sole variabili convertibili in termini monetari, non solo si conferma non idoneo a rispondere ai bisogni di informazione degli stakeholder nel loro complesso, ma si sta anche rivelando sempre meno efficace nel raggiungere il suo scopo principale, quello di offrire agli investitori informazioni utili per la presa delle decisioni di investimento. Infatti, gli avvenimenti dei decenni scorsi (come la globalizzazione, la crescita dimensionale delle aziende a seguito di fusioni e acquisizioni, la nascita di strumenti finanziari sempre più sofisticati come i derivati, ecc.) hanno portato ad una crescita esponenziale della complessità che ruota attorno alle aziende e quindi ora un numero sempre maggiore di variabili influenza le scelte di investimento, con conseguente aumento dell’incertezza. Allora, un aumento della

disclosure non finanziaria, in grado di mostrare quale sia la reale situazione complessiva

dell’azienda, separandola dalla sola sfera finanziaria e dal solo orizzonte di breve periodo, può rappresentare, oltre che un fattore di “giustizia sociale” nei confronti di tutti gli

1 Cox C (2007) Closing remarks to the second annual corporate governance summit. Delivered at the USC

Marshall School of Business, Los Angeles, CA., Accessed 23 Jul 2013

Fasan M. (2013) Annual Reports, Sustainability Reports and Integrated Reports: Trends in Corporate

Disclosure. In: Busco C., Frigo M., Riccaboni A., Quattrone P. (eds) Integrated Reporting. Springer, Cham

Eccles R.J., Krzus M.P. (2010), One Report: Integrated Reporting for a Sustainable Strategy, Chapter 3: The State of Financial Reporting Today, New York: John Wiley and Sons Ltd (Ed.), pp. 51-78

Utting, P., J. C. Marques (2010), Corporate Social Responsibility and Regulatory Governance, Basingstoke and London: Palgrave MacMillan

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2

stakeholder non precedentemente tenuti in considerazione, anche un efficace aiuto agli

investitori per ridurre l’incertezza durante le loro scelte di investimento.

Riguardo al secondo aspetto, è evidente la connessione fra il concetto dello sviluppo sostenibile, su cui si basa l’intera politica dell’Unione europea, e la direttiva 2014/95/UE. Infatti, la disclosure aziendale, poiché si colloca nell’ultima fase del processo di formulazione, implementazione, misurazione e comunicazione della strategia, rappresenta il modo mediante il quale l’impresa comunica esternamente i risultati e le conseguenze delle prime tre fasi di tale processo. Ecco che, qualora le imprese attuino delle scelte strategiche volte allo sviluppo sostenibile, come auspicato dall’Unione europea, risulta fondamentale l’esistenza di strumenti consoni a riportare le informazioni riguardanti tali scelte. Ai fini dello sviluppo sostenibile è importante dunque, fra le altre cose, un’estensione e un’evoluzione degli strumenti di reporting esistenti in grado di accrescere l’accountability delle imprese in merito ad aspetti della vita aziendale finora non colti, come ambiente, società e governance (ESG).

Il processo politico che ha portato il legislatore europeo all’introduzione della direttiva 2014/95/UE in materia di disclosure non finanziaria, ha avuto inizio molto tempo fa e si può suddividere in due fasi2. La prima fase, che va dalla seconda metà degli anni Novanta

sino alla metà degli anni duemila, iniziò quando l’allora presidente della Commissione europea, Delors, invitò le grandi aziende ad abbracciare l’idea della Social Responsibility. Purtroppo, tale richiamo fu quasi totalmente ignorato, sia a causa dell’instabile situazione economica e politica di allora, sia a causa della connotazione fortemente volontaria attribuita da Delors alla responsabilità sociale, quale fattore in grado di distinguere i leader aziendali pro-attivi impegnati in cause sociali e ambientali, volenterosi di andare oltre gli obblighi giuridici, da quelli appartenenti all’allora potente Unione delle Industrie della Comunità Europea (UNICE) schierati in un fronte comune contro iniziative di regolamentazione della materia3. Cercando di incentivare le aziende a tenere in

considerazione della Social Responsibility senza però disciplinare giuridicamente la questione, l’Unione europea pose l’enfasi sulla trasparenza dell’informazione e sulla

disclosure in materia di CSR, attribuendo così il compito di migliorare la governance delle

2 Monciardini D. (2016), The ‘Coalition of the Unlikely’ Driving the EU Regulatory Process of Non-Financial

Reporting, Social and Environmental Accountability Journal, Vol. 36 Issue 1, pp. 76-89

3 Kinderman D. P. (2013), Corporate Social Responsibility in the EU, 1993-2013: Institutional Ambiguity,

Economic Crises, Business Legitimacy, and Bureaucratic Politics, JCMS:Journal of Common Market Studies (2013), Vol. 51 Issue 4, pp. 701-720

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3

grandi aziende e di accrescere l’accountability dei manager al possibile giudizio negativo che gli stakeholder avrebbero potuto conferire all’azienda (e alle relative conseguenze). Una fase di interruzione e una minore importanza della questione all’interno dell’Unione europea si ebbe verso la metà degli anni 2000 quando l’allora neopresidente della Commissione europea Barroso affermo che la CSR non dovrebbe essere regolamentata a livello di Unione europea4. Un forte cambio di tendenza, che dette inizio alla seconda fase

del processo di attuazione della direttiva 2014/95/UE e ancora attualmente in corso, si verificò in seguito (e come conseguenza) alla crisi finanziaria del 2008, “quando la

pressione pubblica sull’Unione europea al fine di agire contro l’irresponsabilità delle aziende [complici dell’accaduto], spostarono l’attenzione dal “se” la reportistica della CSR dovrebbe essere mandatory al “come” questo risultato si potrebbe raggiungere”5. È da qui che prende

piede in modo consistente un processo pluriennale di riflessione e di coinvolgimento di molteplici stakeholder rilevanti da parte del regolatore comunitario, che porterà come risultato finale alla delineazione della direttiva 2014/95/UE. Un atto normativo rivolto alle aziende di maggiori dimensioni, scelta presa a causa degli ampi impatti (e dunque responsabilità) attribuibili a tali soggetti, che vuole risultare come un buon “compromesso” per tutte le parti. Direttiva che rappresenta un (giusto) vincolo giuridico per le aziende interessate, poiché impone loro di offrire una maggiore informazione utile agli investitori nella presa delle decisioni di investimento, superando i limiti del bilancio finanziario, contemporaneamente aumentando la trasparenza dell’informazione e l’accountability nei confronti di quegli stakeholder direttamente interessati dagli impatti sociali e ambientali dell’azienda. Ma, direttiva che vuole anche essere il motore di un’evoluzione delle grandi aziende europee, in grado di portarle, come conseguenza dell’implementazione di comportamenti e pratiche sostenibili e di sistemi di governance “giusti”, al raggiungimento di un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza extra-comunitaria e, dunque, al successo di lungo periodo.

1.1.2 La direttiva 2014/95/UE

Nell’anno 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato una direttiva in tema di “informazioni di carattere non finanziario e informazioni sulla

4 Kinderman D. P. (2013) 5 Monciardini D. (2016), pag.80

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4

diversità da parte di talune imprese e taluni gruppi di grandi dimensioni”6. Questa

direttiva rappresenta una vera rivoluzione nel campo della reportistica aziendale, poiché è la prima iniziativa normativa di tipo mandatory a livello comunitario relativa alla

disclosure di informazioni di carattere non strettamente finanziario da parte delle aziende.

A causa dell’alto livello di novità contenuto in tale direttiva, gli organi comunitari hanno lasciato più di due anni di tempo, fino alla data del 6 dicembre 2016, agli Stati membri per formulare atti normativi nazionali consoni ad accogliere e recepire nel proprio ordinamento giuridico le disposizioni contenute nella stessa. Infatti, le norme contenute nella direttiva 2014/95/UE, dopo il loro recepimento da parte degli Stati membri, sono divenute effettive, per tutte le imprese soggette all’ambito di applicazione della stessa, a decorrere dall’esercizio contabile, avente inizio il 1 gennaio 2017 (art. 4).

Entrando più nel dettaglio, la direttiva 2014/95/UE va a modificare e ad ampliare notevolmente il contenuto e la regolamentazione offerti dalla direttiva precedente in materia di rendicontazione aziendale, ossia la direttiva 2013/34/UE; in particolare va ad ampliare il tema della rendicontazione di carattere non economico finanziario offerto da talune tipologie di aziende. Infatti, prima dell’entrata in vigore della seguente direttiva, l’unica citazione alla non-financial disclosure era contenuta nell’art. 19, paragrafo 1, terzo comma della suddetta direttiva 2013/34/UE, relativo al “Contenuto della relazione sulla gestione” e nello specifico prevedeva la seguente dicitura: “L'analisi comporta, nella

misura necessaria alla comprensione dell'andamento, dei risultati dell’attività o della situazione dell'impresa, sia i fondamentali indicatori di risultato finanziari sia, se del caso, quelli non finanziari pertinenti per l'attività specifica dell'impresa, comprese le informazioni attinenti all'ambiente e al personale”7. Come si può però dedurre, questa precedente

regolamentazione presente era molto spoglia e vaga e, soprattutto, lasciava intendere un carattere fortemente volontario nella discussione di informazioni attinenti all’ambiente e al personale, come può suggerire la precisazione “se del caso”.

Un’analisi della direttiva in esame può essere molto utile per capire il tasso di cambiamento apportato dalla stessa e quali saranno le nuove pratiche in materia di reportistica che le aziende dovranno inserire nei loro programmi per gli anni a venire.

6 Direttiva 2014/95/UE, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32014L0095 7 Direttiva 2013/34/UE, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32013L0034

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5

Dichiarazione di carattere non finanziario

L’art. 1 vuole modificare il testo della direttiva 2013/34/UE, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese. Nel punto 1 del presente articolo viene introdotta la prima fondamentale novità: la dichiarazione di carattere non finanziario. Vi è qui un richiamo al capo 5, relativo alla relazione sulla gestione, della direttiva 2013/34/UE, al quale si aggiunge una nuova parte (parte bis) al sopra citato art. 19.

Partendo da un’identificazione dei soggetti interessati si possono enucleare alcuni elementi rilevanti. In particolare, questa prima fondamentale novità apportata dalla presente direttiva, nella propria concezione, vuole disciplinare il comportamento delle imprese europee di grandi dimensioni, le cosiddette large undertaking, che costituiscono enti di interesse pubblico. Il concetto di ente di interesse pubblico, o public-interest entity, richiama la definizione contenuta nel testo della direttiva 2013/34/UE (art. 2) e si riferisce alle società quotate nei mercati finanziari regolamentati di uno Stato membro, agli istituti di credito e alle compagnie di assicurazioni, con possibilità di aggiunta di altre tipologie di azienda lasciata alla legislazione nazionale degli Stati membri. Per quanto invece riguarda l’identificazione delle large undertaking, la stessa direttiva 2013/34/UE (art. 3) definisce che perché ad un soggetto, azienda o gruppo che sia, possa essere attribuita tale etichetta deve superare almeno due dei tre seguenti parametri: totale dello stato patrimoniale uguale a 20.000.000 di €(a), ricavi netti delle vendite e delle prestazioni uguali a 40.000.000 di €(b) e numero medio di dipendenti occupati durante l’esercizio uguale a 250(c). Poiché uno degli elementi richiesti dalla direttiva 2014/95/UE è il numero medio di dipendenti occupati durante l’esercizio superiore a 500, risulta allora evidente che un’impresa per entrare nel suo campo d’applicazione, oltre ad avere il numero di dipendenti richiesto, dovrà superare uno dei primi due parametri esplicitati in riferimento all’art. 3 della direttiva 2013/34/UE riguardanti rispettivamente attivo patrimoniale e ricavi netti.

Una volta enunciati gli interessati a tali disposizioni normative, un ulteriore aspetto rilevante da esaminare è il tipo di informazioni che la direttiva richiede vengano discusse. Le nuove informazioni richieste devono trattare “temi ambientali, sociali, attinenti al

personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva e lo devono fare in misura necessaria alla comprensione dell'andamento dell'impresa, dei suoi

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risultati, della sua situazione e dell'impatto della sua attività”8. Va sottolineato il fatto che

la direttiva non chiede all’ente di interesse pubblico di discutere ciò che in generale ha a che fare con tali temi, come potrebbe essere ad esempio una donazione a favore di un’associazione non profit, ma specifica che tali questioni devono essere discusse in misura necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della situazione e dell’impatto della sua attività. Questa precisazione si rifà ai concetti di rilevanza e di materialità dell’informazione discussa. Dopo aver definito in generale le aree tematiche di interesse, la direttiva entra più nel dettaglio, delineando nello specifico quali elementi dell’attività aziendale dovranno essere discussi dalla dichiarazione di carattere non finanziario. Vengono richiesti infatti “una breve descrizione del business

model, una descrizione delle politiche applicate dall'impresa in merito ai predetti aspetti (comprese le procedure di due diligence), il risultato di tali politiche, i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell'impresa (anche in riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le relative modalità di gestione del rischio adottate dall'impresa) e i key perfomance indicator di carattere non finanziario pertinenti alla specifica attività dell'impresa”9.

Riassumendo quanto descritto, nella parte sino ad ora analizzata della direttiva, si può riepilogare il tutto in una richiesta di informazione, a capo delle imprese di pubblico interesse con un numero medio di occupati nell’esercizio superiore a 500, circa il modo in cui i loro business model, le loro politiche aziendali, gli outcome di queste politiche e il loro rischio aziendale siano influenzati dai temi sociali e ambientali. Quindi si richiede di discutere quale sia il livello di considerazione che il management ripone nei temi sociali e ambientali durante il processo di decision making e quale sia il risultato e l’impatto esterno di tali decisioni, argomentando e motivando il tutto con riferimento ad alcuni dati concreti, quali gli indici chiave (KPI) di tipo non finanziario.

I successivi commi e paragrafi del punto 1 dell’art. 1 della direttiva forniscono indicazioni accessorie per la corretta applicazione della stessa. In primo luogo, viene trattato il caso di aziende che non attuano alcuna politica in merito a uno dei temi elencati e, in particolare, viene loro richiesto di fornire una spiegazione chiara e articolata del perché

8 Direttiva 2014/95/UE 9 Ibidem

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di tale scelta (principio di “comply or explain”). In secondo luogo, si richiede alle aziende, nella loro dichiarazione di carattere non finanziario, di inserire riferimenti, ove opportuno, agli importi registrati nel bilancio d’esercizio annuali con eventuali ulteriori precisazioni in merito. Inoltre, l’ultimo comma del paragrafo 1 del punto 1 dell’art. 1 della direttiva 2014/95/UE esorta gli Stati membri a provvedere affinché le aziende, nell’adempimento dei loro obblighi informativi, possano basarsi su standard nazionali, unionali o internazionali, specificando lo standard da esse utilizzato. In terzo luogo, la direttiva offre agli Stati membri la possibilità di concedere, a una delle aziende soggette al proprio ordinamento giuridico, una parziale e motivata omissione delle informazioni richieste (principio di “safe harbour”), in casi eccezionali, qualora queste riguardino sviluppi imminenti o questioni in oggetto di negoziazione la cui divulgazione potrebbe compromettere gravemente la posizione commerciale dell’azienda. Successivamente di particolare rilevanza è il paragrafo 4 del punto 1 dell’art. 1 che concede la possibilità agli Stati membri di esentare le imprese dall’obbligo di preparare la dichiarazione di carattere non finanziario all’interno della relazione sulla gestione, qualora queste redigano una relazione distinta per il medesimo esercizio contenente le informazioni richieste per la dichiarazione e purché questa sia idoneamente resa disponibile al pubblico. Infine, gli ultimi paragrafi del punto 1 dell’art. 1 incaricano gli Stati membri a provvedere mediante legislazione nazionale affinché vi sia il controllo dell’avvenuta presentazione della dichiarazione di carattere non finanziario (o della relazione distinta) e affinché, a loro discrezione, vi possa essere una verifica delle informazioni contenute in tale dichiarazione.

La direttiva 2014/95/UE prevede inoltre che tutto ciò che è stato finora esposto a riguardo della dichiarazione di carattere non finanziario per le singole imprese valga anche identicamente per i gruppi di imprese. In particolare la direttiva, nel suo art. 1 punto 3, regola la reportistica della dichiarazione consolidata di carattere non finanziario, a capo delle imprese madri e comprendente i dati della società madre e delle figlie consolidate, aggiungendo la parte bis all’art. 29 della direttiva 2013/34/UE. Un’evidente considerazione che deriva da questa disposizione è: qualora un’impresa figlia si trovi nelle condizioni dell’art. 1 punto 1 della direttiva 2014/95/UE, questa è esentata dall’obbligo di preparare la dichiarazione di carattere non finanziario se tale impresa è inclusa nella relazione consolidata sulla gestione (o nella relazione distinta) di un’altra impresa.

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La direttiva nel suo art. 1 punto 4 richiede che gli Stati membri assicurino che incomba collettivamente ai membri degli organi di amministrazione, gestione e controllo di un'impresa, che operano nell'ambito delle competenze a essi attribuite dal diritto nazionale, la responsabilità di garantire che i documenti in cui sono contenute le informazioni richieste siano redatti e pubblicati in osservanza degli obblighi previsti dalla presente direttiva.

Descrizione della politica applicata in materia di diversità

Il secondo punto dell’art. 1 della direttiva 2014/95/UE, anch’essa relativa al capo 5 della direttiva 2013/34/UE, introduce la seconda novità di fondamentale importanza: la descrizione della politica in materia di diversità applicata all’interno degli organi di amministrazione, gestione e controllo. In questo caso, il richiamo è all’art. 20, relativo alla relazione sul governo societario, al quale viene aggiunto il punto g).

È importante sottolineare che l’art. 20 richiamato fa riferimento soltanto alle imprese di cui all’art. 2, punto 1, lettera a) dello stesso testo normativo, interessando soltanto quegli enti di interesse pubblico europei i cui valori mobiliari sono negoziati in un mercato regolamentato di uno Stato membro. Questa norma dunque non interessa le altre tipologie di enti di interesse pubblico, come ad esempio banche e assicurazioni (purché queste non siano quotate in un mercato regolamentato europeo). Inoltre, la norma non considera il fattore del numero medio di dipendenti occupati durante l’esercizio superiore a 500; anche se specifica che le seguenti disposizioni non si applicano alle piccole e medie imprese.

Le novità introdotte dal sopra citato punto g) sono l’integrazione della relazione sul governo societario, quale sezione specifica della relazione sulla gestione, con informazioni che forniscano “una descrizione della politica in materia di diversità applicata in relazione

alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo dall'impresa relativamente ad aspetti quali, ad esempio, l'età, il sesso, o il percorso formativo e professionale, gli obiettivi di tale politica sulla diversità, le modalità di attuazione e i risultati nel periodo di riferimento”10.

Tale punto 2 dell’art. 1 della direttiva 2014/95/UE vuole quindi obbligare talune imprese interessate a fornire spiegazioni riguardanti la composizione dei propri organi di direzione e controllo, così da offrire agli stakeholder la possibilità di conoscere le scelte

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9

effettuate dall’azienda in merito ed eventualmente di trarne un giudizio personale sui criteri etici e meritocratici utilizzati. Si precisa che anche in questo caso vale il principio del “comply or explain”.

1.1.3 Il decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254

Come doveroso a seguito dell’entrata in vigore di una direttiva comunitaria, gli Stati membri a essa soggetti hanno dovuto provvedere, entro il termine fissato, al recepimento della stessa all’interno del proprio ordinamento giuridico mediante apposito atto normativo nazionale. Per quanto riguarda lo Stato italiano, tale recepimento è avvenuto mediante emanazione del decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 25411, con il quale il

Governo italiano ha ottemperato alle disposizioni della direttiva 2014/95/UE, regolando con un atto avente forza di legge la questione relativa alla divulgazione di informazioni non finanziarie da parte di talune aziende, con lo scopo di raggiungere a livello nazionale quegli stessi risultati fissati a livello comunitario.

Il contenuto del decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254, che ricalca sostanzialmente le linee guida indicate dalla direttiva 2014/95/UE, completa in modo preciso ed esaustivo alcune definizioni lasciate volutamente indefinite dalla stessa. Di seguito sono fornite un’esposizione e un’analisi riguardanti le specificità, le differenze e le integrazioni normative presenti nel testo del decreto legislativo se raffrontato a quello della direttiva che vuole recepire.

La prima integrazione alla direttiva di riferimento apportata dal decreto legislativo in questione riguarda l’ambito di applicazione (art. 2), in particolare i criteri necessari perché un ente di interesse pubblico risulti soggetto alle disposizioni definite dal decreto. Il decreto conferma che il soggetto, oltre ad essere un ente di interesse pubblico con un numero di dipendenti occupati medio superiore a 500, deve aver superato, alla data della chiusura di bilancio, almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali: totale dello stato patrimoniale uguale a 20.000.000 di euro(a) oppure totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni uguale a 40.000.000 di euro(b).

Una successiva rilevante precisazione esposta dal decreto riguarda la definizione di ciò che il legislatore italiano intende con l’espressione “temi sociali e ambientali”, di cui all’art. 1 punto 1 della direttiva, ovvero di ciò che il legislatore, dopo un’analisi di materialità per

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10

tali temi, ritiene debba essere discusso. In particolare, l’art. 3 punto 2 del decreto richiede che, in merito a tali temi, la dichiarazione contenga almeno “informazioni riguardanti:

l'utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rinnovabili e non rinnovabili, e l'impiego di risorse idriche (a), le emissioni di gas serra e le emissioni inquinanti in atmosfera(b), l’impatto dell’azienda sull’ambiente, sulla salute e sulla sicurezza associato ai propri fattori di rischio ambientale e sociale(c), gli aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale con particolare riguardo alle azioni poste in essere per garantire la parità di genere, alle misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, alle modalità con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali(d), le misure e le azioni a garanzia del rispetto dei diritti umani al fine di prevenire e evitare violazioni e atteggiamenti discriminatori(e), le azioni e gli strumenti posti in essere per la lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva(f)”12. Tali informazioni

devono essere discusse con un raffronto agli esercizi precedenti, con l’utilizzo degli indicatori fondamentali di prestazione (KPI) ritenuti più idonei e indicando lo standard (o gli standard nel caso siano più di uno) utilizzato per la rendicontazione di tali informazioni.

Successivamente nel punto 7 dell’art. 3, conformemente alla direttiva, si precisa che la responsabilità di garantire che la relazione sia redatta e pubblicata in conformità di legge è attribuita agli amministratori dell’ente di pubblico interesse e che, inoltre, l’organo di controllo ha il compito di vigilare sull’osservanza delle disposizioni stabilite e ne riferisce nella relazione annuale all’assemblea. È di dovere del soggetto incaricato alla revisione legale del bilancio verificare l’avvenuta predisposizione da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non finanziario e di valutare la conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto dal presente decreto (art. 3 punto 10). Si ricorda tuttavia che nella dichiarazione di carattere non finanziario possono essere omesse in casi eccezionali, le informazioni concernenti sviluppi imminenti ed operazioni in corso di negoziazione, qualora la loro divulgazione possa compromettere gravemente la posizione commerciale dell'impresa. L'omissione non è comunque consentita quando ciò possa pregiudicare una corretta ed equilibrata comprensione dell'andamento dell'impresa, dei suoi risultati e dalla sua situazione, nonché degli impatti prodotti dalla sua attività (art. 3 punto 8). Riguardo alla collocazione della dichiarazione e al regime di

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pubblicità (art. 5), viene specificato analogamente alla direttiva che la presente dichiarazione può essere compresa nella relazione sulla gestione (o nella relazione sulla gestione consolidata) oppure può costituire una relazione distinta. Vi sarà in quest’ultimo caso un riferimento all’interno della relazione sulla gestione che specificherà dov’è possibile incontrare tale relazione distinta, altresì pubblicabile all’interno del sito internet dell’ente di interesse pubblico.

Alcune importanti peculiarità introdotte dall’atto normativo nazionale sono presenti nella sua ultima parte, artt. 7 e seguenti. L’art. 7 regolamenta la fattispecie della dichiarazione di carattere non finanziario, individuale o consolidata, di iniziativa volontaria, redatta e pubblicata da un soggetto non rientrante nell’ambito di applicazione del decreto (interessato però a conformarvisi volontariamente), concedendo a questi la possibilità di apporre la dicitura di conformità allo stesso.

L’art. 8 enuncia invece le sanzioni a carico di coloro che non adempiono correttamente alle disposizioni del decreto legislativo in questione. In particolare, agli amministratori dell'ente pubblico i quali omettono di depositare entro i termini prescritti la dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 a 100.000, che può essere ridotta di un terzo se il deposito avviene nei trenta giorni successivi alla scadenza. La sanzione pecuniaria è invece ridotta della metà per i soggetti che decidono di redigere tale dichiarazione volontariamente (di cui all’art. 7). Inoltre, la medesima sanzione, da euro 20.000 a 100.000, si applica agli amministratori e ai componenti degli organi di controllo rispettivamente quando una dichiarazione di carattere non finanziario non è redatta in conformità e quando l’organo di controllo omette di riferire tale fatto all'assemblea. Infine, salvo che non costituisca un reato, quando la dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario contiene fatti non rispondenti al vero oppure omette fatti rilevanti, agli amministratori e ai componenti degli organi di controllo si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a 150.000, sanzione ridotta della metà per i soggetti di cui all'art. 7. Si specifica che la Consob è l’ente competente per l’accertamento e l’irrogazione delle suddette sanzioni amministrative. Il successivo art. 9 disciplina i poteri in materia e il coordinamento fra le autorità. La Consob, sentite la Banca d'Italia e l’IVASS, disciplina con regolamento le modalità di trasmissione diretta a lei della dichiarazione di carattere non finanziario da parte dei soggetti e le eventuali ulteriori “modalità di pubblicazione della dichiarazione(a), le

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modalità e i termini per il controllo dalla stessa effettuato sulle dichiarazioni di carattere non finanziario(b), i principi di comportamento e le modalità di svolgimento dell'incarico di verifica della conformità delle informazioni da parte dei revisori(c)”13. Nel caso fossero

necessarie modifiche o integrazioni a una dichiarazione incompleta o non conforme è la stessa Consob a provvedervi. La Consob al fine di verificare il corretto svolgimento della revisione legale può, nei confronti dei revisori incaricati, eseguire ispezioni e richiedere la trasmissione o l’esibizione di dati, notizie, documenti.

Importantissimo è l’art. 10 del decreto legislativo in esame, poiché regolamenta la seconda grande novità introdotta dalla direttiva 2014/95/UE (nel suo art. 1 punto 2): la “descrizione della politica in materia di diversità applicata all’interno degli organi di amministrazione, gestione e controllo”. Le richieste di tale art. 10, che vuole modificare la precedente normativa (decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 5814) in materia di

“relazione sul governo societario e assetti proprietari”, sono le medesime definite dalla sopra citata direttiva. Un’importante precisazione però viene fatta a riguardo dell’ambito di applicazione: mentre, com’è stato detto, la direttiva di riferimento non pone limiti dimensionali agli enti di interesse pubblico soggetti a tali obblighi, il decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254 definisce che possono omettere la pubblicazione di tali informazioni le società che alla data di chiusura dell’esercizio non superino almeno due dei seguenti parametri: totale dello stato patrimoniale uguale a 20.000.000 di euro(a), totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni pari a 40.000.000 di euro(b), numero medio di dipendenti durante l’esercizio finanziario pari a 250(c). Si ricorda inoltre che la discussione delle informazioni riguardanti la politica in materia di diversità applicata all’interno degli organi di amministrazione, gestione e controllo è richiesta solo agli enti di interesse pubblico i cui valori mobiliari sono negoziati in un mercato regolamentato di uno Stato membro, non a tutte le tipologie di ente di interesse pubblico come invece richiesto per la dichiarazione di carattere non finanziario.

Infine, l’art. 12, conformemente alla direttiva 2014/95/UE, conferma l’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254 a partire dagli esercizi finanziari aventi inizio il 1 gennaio 2017.

13 Decreto legislativo n. 254/2016

14 Decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58 “Testo unico della finanza”,

http://www.consob.it/documents/46180/46181/dlgs58_1998.pdf/e15d5dd6-7914-4e9f-959f-2f3b88400f88

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1.1.4 Una sintesi giuridica

Dopo aver esposto e interpretato i testi della direttiva 2014/95/UE e del decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254, due tabelle riassuntive sintetizzano come le disposizioni contenute in questi due atti normativi siano state inserite e coordinate all’interno dei rispettivi ordinamenti giuridici, comunitario e italiano.

Tabella 1: Direttiva 2014/95/UE, struttura e inserimento nell’ordinamento giuridico comunitario

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14

1.2 Un giudizio sul contributo della direttiva 2014/95/UE alla

non-financial disclosure

Nella fase antecedente l’introduzione della direttiva 2014/95/UE, uno studio empirico15

ha cercato di dare una valutazione in merito alla qualità di tale sforzo normativo messo in atto dal legislatore comunitario, rappresentante il primo step di un lungo percorso che vuole culminare in una più trasparente e completa disclosure aziendale. Tale studio, che si è concentrato nell’analisi di un campione di aziende appartenenti al settore dell’Oil &

Gas, poiché considerato uno dei più avanzati ed evolutivi in materia di reportistica di

sostenibilità (come confermato anche dall’elaborato “KPMG Survey of Corporate

Responsibility Reporting 2017” che sarà trattato in seguito nel Capitolo 2), ha cercato di

esaminare la direttiva sia in termini di informazioni richieste ai suoi destinatari (what) sia in termini di strumenti utilizzati per la divulgazione di tali informazioni (where). La scelta di un solo settore è inoltre da ricondurre al concetto di materialità: si ritiene infatti che fra le aziende appartenenti ad uno stesso settore vi sia omogeneità in merito alla materialità o meno di una determinata questione. Le linee guida rilasciate dalla Commissione Europea nel giugno del 201716 per aiutare le aziende nell’applicazione della

direttiva 2014/95/UE confermano tale linea di pensiero.

Il primo aspetto (what) vuole quantificare e valutare il grado di completezza dell’informazione che le imprese rendono disponibili ai propri stakeholder in merito alla sostenibilità. Nonostante lo studio sia stato effettuato nella fase ex-ante, rispetto all’inizio degli effetti apportati dalle norme della direttiva, si ipotizza, che le aziende esaminate, appartenendo al settore probabilmente più evoluto in materia di non-financial

disclosure17, avessero già al momento dello studio, poiché successivo all’emanazione della

direttiva, modificato i propri comportamenti in modo da conformarsi volontariamente anzitempo alle richieste normative della direttiva 2014/95/UE. Quest’assunto si fonda su tre ragioni principali: mostrare ai propri stakeholder l’impegno in materia di attenzione data alle sfere ambientali e sociali, a causa del consistente impatto dell’attività di tali

15 Carini C., Rocca L., Veneziani M., Teodori C. (2017), The Regulation of Sustainability Information–The

Contribution of Directive 2014/95, Preprint

16 Commissione europea (2017), Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non

finanziario, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A52017XC0705%2801%29

17 Sanches Garcia A., Mendes-Da-Silva W., Orsato R. J. (2017), Sensitive industries produce better ESG

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15

aziende su ambiente e società, così da aumentare la fiducia di questi soggetti nei confronti dell’azienda(1), evitare una tardiva risposta alle richieste della direttiva con possibili conseguenti ripercussioni negative e/o sanzioni in caso di errori e/o mancanze e inadempimenti(2), organizzare efficacemente la grande mole di lavoro e il grande dispendio di tempo necessari per mettere in atto sistemi di misurazione e di reporting “nuovi” in un’impresa di grandissime dimensioni(3). Infatti, a proposito di dimensione aziendale, le imprese del campione di studio sono state scelte con riferimento all’indice borsistico “DJSTOXX Europe 600 Index” in data 30 giugno 2015 e rappresentano le 10 aziende del settore Oil & Gas, che rispettano i parametri di campionatura scelti, inserite fra le prime 600 aziende europee per capitalizzazione.

Tabella 3: aziende petrolifere inserite nel DJSTOXX 600 Europe Index in data 30 giugno 201518

Il secondo aspetto (where) vuole invece valutare l’apporto della direttiva dal punto di vista dei possibili overlap informativi, ossia delle informazioni richieste dalla stessa che però, per loro natura, vengono già richieste o sono già solitamente discusse in altri prospetti di reporting. Questo studio si concentra in particolare nella comparazione fra i bilanci d’esercizio e i bilanci di sostenibilità dell’anno 2014, questi ultimi redatti secondo le linee guida “GRI G4”, quale principale standard seguito dalle aziende per la divulgazione di informazioni di carattere non finanziario (secondo i dati dello studio “KPMG Survey of

Corporate Responsibility Reporting 2017” successivamente trattato).

Per la valutazione della qualità della direttiva è stato implementato un indice denominato “disclosure-scoring system”. Questo indice, che distingue le informazioni in 148 variabili aventi ognuna lo stesso peso statistico e suddivise in categorie e sottocategorie secondo

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il modello concettuale indicato dalla direttiva, dà una valutazione congiunta in merito alla completezza dell’informazione(1), ossia della presenza o meno dell’informazione richiesta dalla direttiva e rappresentante una delle 148 variabili, e in merito alla “ridondanza” o ripetizione (overlapping) dell’informazione(2), ossia della presenza simultanea della stessa informazione in entrambi i documenti di reporting. Va precisato che l’indice non tiene conto della qualità dell’informazione, ma soltanto della sua eventuale presenza, attribuendo infatti a ciascuna delle 148 variabili delineate (per ciascuna delle 10 aziende oggetto del campione di studio) lo stesso peso: il valore “1” in caso di presenza della variabile e il valore “0” in caso di non presenza della stessa.

Tabella 4: Risultati dello studio19

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Una lettura dei dati risultanti dallo studio può essere utile a giungere alla definizione di un giudizio complessivo riguardante la qualità (e l’utilità) della direttiva 2014/95/UE. Per quanto concerne la completezza dell’informazione, la reportistica di sostenibilità possiede alti valori in materia ambientale, sociale, relativa ai dipendenti, di diritti umani e di anticorruzione, con grande attenzione data alle policy attuate in tali aree. Anche se è evidenziata una scarsa disclosure in aree quali gli outcome in materia ambientale e relativa ai dipendenti, i rischi in materia sociale e dei diritti umani, i KPI non finanziari in materia di anticorruzione. Per quanto riguarda le materie della diversità e del business model, queste sono trattate maggiormente in dettaglio dalla reportistica finanziaria. La reportistica di sostenibilità infatti in tali aree offre soltanto informazioni volte a completare, spiegare o comprendere più chiaramente il contenuto della reportistica finanziaria, senza offrire informazioni realmente nuove, con livelli di overlapping quasi totali. Infine, da osservare che la sottocategoria dei rischi ha rivestito grande importanza all’interno della reportistica finanziaria.

Per quanto riguarda invece l’overlapping, i livelli più alti sembrano essere limitati alle informazioni in materia di diversità e di business model. Un livello medio del 30% si ha in merito alle informazioni riguardanti ambiente, dipendenti, diritti umani e anticorruzione. Infine, i livelli più bassi sono stati rilevati in riferimento alle materie sociali.

Ricordando i limiti dello studio posti dagli assunti alla sua base, si può affermare che, poiché in linea generale le organizzazioni osservate hanno attuato la scelta di affidarsi a strumenti di reporting differenti per la divulgazione di informazioni di tipo non finanziario differenti, la direttiva offre un contributo positivo nel promuovere la messa a disposizione, da parte delle aziende interessate, di un’informazione completa riguardante

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le materie non finanziarie materiali, anche se, tuttavia, questo è effettivamente possibile solo con la lettura congiunta degli strumenti di reporting finanziari e di sostenibilità. Può quindi essere giudicato buono il grado di completezza delle informazioni derivanti dall’applicazione della direttiva, ma rimane aperta una questione in merito all’eventuale integrazione di tali informazioni in un unico strumento di disclosure.

In conclusione, gli autori dello studio danno un giudizio positivo allo sforzo del legislatore europeo culminato nell’emanazione della direttiva 2014/95/UE, sia in termini di maggior completezza dell’informazione offerta da parte delle aziende del campione agli

stakeholder (what), sia in termini di organizzazione della reportistica di tali informazioni

e dunque di facilità nel reperimento (where) delle informazioni oggetto delle richieste dell’atto normativo. Inoltre, il ruolo della direttiva 2014/95/UE non si ferma qui: infatti, poiché impone alle organizzazioni di riflettere sul modo in cui esse comunicano le informazioni di carattere non finanziario, è notevole anche la spinta verso la riconsiderazione (e possibilmente la ristrutturazione) dell’approccio globale alla sostenibilità a capo dei suoi destinatari.

Altri studi, invece, hanno mosso delle critiche nei confronti della direttiva, accusandola di essere troppo vaga, poiché non traccia un framework obbligatorio da rispettare, e di interessare un numero troppo ristretto di soggetti, ponendo soglie di inclusione troppo modeste. Tuttavia, il legislatore europeo si è difeso argomentando che, a causa dell’altissimo grado di innovazione apportato da tale disciplina giuridica e al fine di non appesantire eccessivamente le aziende europee ancora alle prese con i postumi della crisi finanziaria, almeno inizialmente, si è cercato di assicurare che il vincolo amministrativo posto fosse minimale e proporzionato alla dimensione, alla responsabilità e alla complessità delle aziende interessate20.

1.3 L’implementazione della direttiva 2014/95/UE nell’ordinamento

giuridico degli Stati membri

Dopo aver ampiamente esposto e discusso il recepimento della direttiva 2014/95/UE all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, per mezzo del decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254, può essere utile esaminare sinteticamente le scelte di recepimento

20 Barnier M. (2014), The EU transparency and accounting directives, Journal of World Energy Law and

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19

effettuate anche dagli altri Stati membri. La tabella in seguito riassume le scelte individualmente attuate dagli Stati membri in relazione ad alcune rilevanti questioni della direttiva.

Va detto inizialmente che la direttiva 2014/95/UE non vuole rappresentare un mero vincolo giuridico, ma la chiave di un’evoluzione nel modo di fare business capace di generare una migliore performance globale e duratura nel tempo per ogni singola impresa. I lunghi tempi lasciati dall’Unione europea agli Stati membri per il recepimento della direttiva e l’iniziale libertà concessa loro in merito alla scelta delle misure più idonee da attuare in tale processo, come ad esempio la possibilità di applicare o meno sanzioni per le aziende che non rispettano le richieste, rivela chiaramente la volontà dell’Unione di non assumere il ruolo di severo impositore, quanto piuttosto di guida materna volenterosa di prendere per mano ogni Stato membro e accompagnarlo, in base alle proprie caratteristiche individuali, durante un lungo processo di evoluzione e di crescita. La stessa scelta, almeno iniziale, di applicare il metodo del “comply or explain” in merito alla discussione di alcuni temi di tipo ambientale, sociale o di governance (ESG) da parte delle aziende, appare come un utile compromesso: perché se è vero che da un lato non esige obbligatoriamente l’implementazione di politiche basate su criteri di tipo ESG da parte delle aziende, dall’altro lato costringe queste a dichiarare pubblicamente a tutti i propri stakeholder il fatto di non applicarle.

Sottolineiamo il fatto che queste scelte dell’Unione europea, come quella di rivolgersi solo alle imprese di grandi dimensioni, siano presumibilmente solo iniziali e che possano essere seguite da un inasprimento futuro. Infatti, il percorso verso lo sviluppo sostenibile è lungo e richiede tempo; molto spesso mostra, da parte delle aziende più innovative in materia, la necessità di stravolgere completamente il proprio modo di fare business e di ristrutturare dalle fondamenta la propria strategia aziendale e la propria struttura organizzativa. Di fatto, l’Integrated International Reporting Council (IIRC) nell’aprile del 2015, a sei mesi dall’emanazione della direttiva 2014/95/UE, affermava che, di oltre 6.000 aziende rientranti nel campo di applicazione della direttiva, solo il 10% di esse risultava essere in linea con le sue richieste21. L’iniziale linea morbida ha dunque l’intento

di creare a poco a poco un’adesione spontanea da parte delle imprese, derivante dalla comprensione da parte loro di come le scelte di sviluppo sostenibile, così come una

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20

trasparente disclosure di tali scelte, ripaghino nel tempo. Questo permetterebbe la diffusione in tutto il sistema economico, anche fra le imprese di minori dimensioni, di una mentalità proattiva capace di andare oltre ai semplici vincoli di legge.

Ritornando all’analisi dello stato di implementazione della direttiva 2014/95/UE, è interessante osservare quali siano state le decisioni prese dagli Stati membri in merito alla regolamentazione interna di alcune definizioni e richieste lasciate volutamente aperte dalla direttiva. Infatti, lo strumento giuridico “direttiva”, a differenza del “regolamento”, vincola lo Stato membro a cui è rivolta solo per quanto riguarda il risultato da raggiungere, non per quanto riguarda i mezzi e la forma da utilizzare per il suo raggiungimento. Una principale questione lasciata indefinita dalla direttiva riguarda il tipo di imprese che rientrano nel suo campo di applicazione. Difatti, nonostante la direttiva richiami al numero medio di dipendenti nell’esercizio pari a 500, altri criteri utili a definire le “grandi dimensioni”(1) di un’organizzazione o di un gruppo oppure quali soggetti rappresentano un “ente di pubblico interesse”(2) sono stati perfezionati dagli Stati membri. La direttiva 2013/34/UE detta alcuni criteri per la loro definizione, però lascia spazio a un’integrazione normativa da parte dei legislatori nazionali. Questo fatto permette agli Stati membri di allargare o restringere il numero di soggetti rientranti nel campo di applicazione delle richieste normative in tema di disclosure non finanziaria. La direttiva richiede inoltre agli Stati membri di decidere in merito al “contenuto e agli argomenti”(3) relativi alle informazioni non finanziarie e sulla diversità discusse: l’uso delle parole “almeno informazioni ambientali e sociali […] tra cui […]”22 lascia infatti libertà di

estensione delle richieste. Il legislatore europeo incarica poi gli Stati membri di provvedere perché le imprese possano basarsi su di alcuni “framework”(4) e standard nazionali, unionali o internazionali per la discussione delle informazioni. Allo stesso modo gli Stati membri possono decidere in merito al “formato del report”(5) non finanziario, richiedendolo all’interno della relazione sulla gestione, mediante report separato o in uno qualsiasi di questi formati. Il legislatore nazionale può inoltre implementare le misure normative ritenute più opportune in merito alla “verifica delle informazioni”(6) da parte di una società indipendente di servizi di verifica, all’apposizione di “sanzioni”(7) in caso

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21

di non rispetto delle norme e alla concessione o meno dei “principi safe harbour”(8) in casi eccezionali riguardanti sviluppi imminenti o questioni oggetto di negoziazione. La tabella esposta in seguito risulta particolarmente interessante nell’offrire al lettore una panoramica sulle scelte attuate da ogni singolo paese membro. In particolare illustra se gli atti normativi emanati da ogni Stato membro per il recepimento della direttiva abbiano, in relazione a ognuna di tali questioni, tracciato le stesse richieste indicate dalla direttiva(1), adattato o ampliato le richieste della direttiva(2) o omesso alcune richieste della direttiva ritenendole inopportune(3).

Tabella 5: Implementazione della direttiva 2014/95/UE negli Stati membri23

23 CSR Europe, Global Reporting Initiative in collaboration with Accountancy Europe (2017), Member State

Implementation of Directive 2014/95/EU: A comprehensive overview of how Member States are implementing

the EU Directive on Non-financial and Diversity Information,

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22

Utile infine ricordare che considerato l’alto tasso di cambiamento apportato dalla direttiva, ai fini di una corretta implementazione da parte delle aziende nel suo primo anno di efficacia, il 26 giugno 2017 la Commissione europea ha rilasciato delle linee guida non vincolanti, denominate “EU Guidelines on Non-financial Reporting”24, al fine di dare

l’opportunità alle stesse aziende di poter ricorrere a uno strumento di supporto utile nello svolgimento di tale nuovo processo di discussione di informazioni non finanziarie e sulla diversità.

1.4 La situazione italiana in materia di non-financial disclosure

antecedente l’entrata in vigore della direttiva 2014/95/UE

Molto interessante è uno studio del luglio 201725 finalizzato a valutare la qualità della

reportistica di tipo non finanziario offerta dalle aziende italiane nel momento antecedente l’inizio degli effetti della direttiva 2014/95/UE. La finalità dello studio era quella di scovare e misurare l’eventuale gap qualitativo fra le informazioni di carattere non finanziario offerte da coloro che al momento rappresentavano i futuri destinatari della direttiva e le richieste indicate dalla stessa.

Il campione di aziende studiato si compone di 223 grandi aziende, conformi alla definizione di “ente di pubblico interesse”, comprendente al proprio interno società quotate in borsa, banche e assicurazioni con più di 500 dipendenti. Nel dettaglio il campione è formato da 168 aziende quotate, 41 banche e 14 compagnie assicurative. Le informazioni analizzate sono state quelle contenute nei bilanci finanziari, di sostenibilità

24 Commissione europea (2017), Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non

finanziario

25 Venturelli A., Caputo F., Cosma S., Leopizzi R., Pizzi S. (2017), Directive 2014/95/EU: Are Italian

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e integrati dell’esercizio finanziario conclusosi il 31 dicembre 2015. Il metodo utilizzato, che si è focalizzato sull’analisi qualitativa delle informazioni presenti negli strumenti di reporting delle aziende del campione, si è basato su un modello denominato

“Non-Financial Score”, costruito attorno alle linee guida pubblicate dal CNDCEC (Consiglio

Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) nel giugno del 201626

appositamente per facilitare le aziende italiane nella corretta applicazione della direttiva 2014/95/UE. Tale indice esprime il valore percentuale medio a livello di campione della misura in cui ogni specifica informazione esaminata, per ogni singola impresa, è stata ritenuta in conformità con le linee guida del CNDCEC. A livello concettuale il “NFI Score” è stato suddiviso in 5 diverse macro-categorie (modello di business, politiche di sostenibilità, rischi collegati alla sostenibilità, indicatori chiave di prestazione di carattere non finanziario, diversità), ognuna contenente una molteplicità di attributi valutati singolarmente ad uno ad uno per ogni azienda del campione.

Tabella 6: Risultati dello studio27

Il valore del “Non-Financial Information Score” a livello di intero campione è del 49%, risultato che manifesta l’esistenza di un gap abbastanza ampio nel momento immediatamente precedente l’inizio degli effetti giuridici della direttiva 2014/95/UE e del correlato decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254. Scomponendo poi l’indice in base alle 5 macro-categorie delineate e discriminando le aziende in base ad alcune caratteristiche individuali, si possono osservare alcune interessanti tendenze.

I valori più alti raggiunti dal campione riguardano le informazioni inerenti al business

model. Tale risultato conferma come l’orientamento al mercato da parte delle aziende

26 Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC), Direttiva 2014/95/UE

sulla disclosure non finanziaria e sulla diversità nella composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo, 15 giugno 2016

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24

esaminate sia ancora rivolto principalmente agli investitori piuttosto che alle altre categorie di portatori di interessi. Inoltre, i bassi valori riguardanti le informazioni sulla diversità, soprattutto se confrontate con il livello medio dei concorrenti europei28,

denotano una certa riluttanza da parte del management delle aziende italiane verso la materia. Ugualmente interessante è il risultato riguardante gli indicatori fondamentali di prestazione (KPI) di carattere non finanziario. Anche in questo caso il valore è significativamente basso, fatto che dimostra come il management della maggior parte delle aziende del campione non abbia ancora implementato sistemi di controllo aziendale riguardanti la sostenibilità (sustainability control systems), o quanto meno non possieda ancora una manifestata dimestichezza in tale campo.

Passando successivamente ad una scomposizione del campione in base alle caratteristiche individuali delle aziende che compongono il campione, le organizzazioni appartenenti al settore finanziario manifestano risultati significativamente migliori di quelle appartenenti agli altri settori, soprattutto per quanto concerne materie quali la diversità, i rischi derivanti da questioni di tipo non finanziario e i KPI. Quest’ultima osservazione è tuttavia giustificabile dalla maggiore attenzione che le grandi aziende appartenenti al settore bancario ripongono sul risk management, anche alla luce dei recenti avvenimenti negativi che, partendo dal proprio settore, hanno coinvolto l’economia mondiale con effetti gravissimi. Nel campione di studio si è inoltre rilevato un maggior livello qualitativo dell’informazione non finanziaria comunicata dalle aziende con un maggior numero di dipendenti e attive a livello internazionale: fatto giustificato dalla grande attenzione che le aziende con un maggiore raggio d’azione hanno per il tema della brand reputation e dalla consapevolezza da parte loro che il fatto di essere attive nel campo della sostenibilità aziendale può rappresentare un fattore di cruciale importanza sotto tale aspetto. Anche le aziende con un’esperienza pregressa nel campo della CSR e le aziende che si affidano per la verifica delle informazioni di tipo non finanziario a società indipendenti di servizi di verifica presentano un livello qualitativo più alto in tutte le aree che compongono l’indice oggetto dello studio. Non di minore importanza, le aziende che hanno divulgato volontariamente informazioni di carattere non finanziario hanno

28 Carini C. at al (2017)

Venturelli A., Pizzi S., Leopizzi R., Caputo F. (2018), The state of art of Corporate Social Disclosure before the introduction of Non-financial reporting Directive: a cross country analysis, Preprint of Social Responsibility

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Nelle ultime 2 colonne rosso e verde indicano il superamento, o meno, della soglia di saturazione del 40% per l’area medica e del 30% per le terapie intensive

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Nelle ultime 2 colonne rosso e verde indicano il superamento, o meno, della soglia di saturazione del 40% per l’area medica e del 30% per le terapie intensive

Nelle ultime 2 colonne rosso e verde indicano il superamento, o meno, della soglia di saturazione del 40% per l’area medica e del 30% per le terapie intensive

Nella seconda colonna rosso e verde indicano rispettivamente un aumento o una diminuzione di nuovi casi rispetto alla settimana precedente.. Nelle ultime 2 colonne rosso e

Nelle ultime 2 colonne rosso e verde indicano il superamento, o meno, della soglia di saturazione del 40% per l’area medica e del 30% per le terapie intensive (dati

Nella prima colonna i colori rosso, verde e giallo indicano rispettivamente una performance regionale in peggioramento, in miglioramento o stabile, rispetto alla settimana