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La situazione italiana in materia di non-financial disclosure antecedente l’entrata in vigore

Molto interessante è uno studio del luglio 201725 finalizzato a valutare la qualità della

reportistica di tipo non finanziario offerta dalle aziende italiane nel momento antecedente l’inizio degli effetti della direttiva 2014/95/UE. La finalità dello studio era quella di scovare e misurare l’eventuale gap qualitativo fra le informazioni di carattere non finanziario offerte da coloro che al momento rappresentavano i futuri destinatari della direttiva e le richieste indicate dalla stessa.

Il campione di aziende studiato si compone di 223 grandi aziende, conformi alla definizione di “ente di pubblico interesse”, comprendente al proprio interno società quotate in borsa, banche e assicurazioni con più di 500 dipendenti. Nel dettaglio il campione è formato da 168 aziende quotate, 41 banche e 14 compagnie assicurative. Le informazioni analizzate sono state quelle contenute nei bilanci finanziari, di sostenibilità

24 Commissione europea (2017), Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non

finanziario

25 Venturelli A., Caputo F., Cosma S., Leopizzi R., Pizzi S. (2017), Directive 2014/95/EU: Are Italian

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e integrati dell’esercizio finanziario conclusosi il 31 dicembre 2015. Il metodo utilizzato, che si è focalizzato sull’analisi qualitativa delle informazioni presenti negli strumenti di reporting delle aziende del campione, si è basato su un modello denominato “Non-

Financial Score”, costruito attorno alle linee guida pubblicate dal CNDCEC (Consiglio

Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) nel giugno del 201626

appositamente per facilitare le aziende italiane nella corretta applicazione della direttiva 2014/95/UE. Tale indice esprime il valore percentuale medio a livello di campione della misura in cui ogni specifica informazione esaminata, per ogni singola impresa, è stata ritenuta in conformità con le linee guida del CNDCEC. A livello concettuale il “NFI Score” è stato suddiviso in 5 diverse macro-categorie (modello di business, politiche di sostenibilità, rischi collegati alla sostenibilità, indicatori chiave di prestazione di carattere non finanziario, diversità), ognuna contenente una molteplicità di attributi valutati singolarmente ad uno ad uno per ogni azienda del campione.

Tabella 6: Risultati dello studio27

Il valore del “Non-Financial Information Score” a livello di intero campione è del 49%, risultato che manifesta l’esistenza di un gap abbastanza ampio nel momento immediatamente precedente l’inizio degli effetti giuridici della direttiva 2014/95/UE e del correlato decreto legislativo 30 dicembre 2016 n. 254. Scomponendo poi l’indice in base alle 5 macro-categorie delineate e discriminando le aziende in base ad alcune caratteristiche individuali, si possono osservare alcune interessanti tendenze.

I valori più alti raggiunti dal campione riguardano le informazioni inerenti al business

model. Tale risultato conferma come l’orientamento al mercato da parte delle aziende

26 Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC), Direttiva 2014/95/UE

sulla disclosure non finanziaria e sulla diversità nella composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo, 15 giugno 2016

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esaminate sia ancora rivolto principalmente agli investitori piuttosto che alle altre categorie di portatori di interessi. Inoltre, i bassi valori riguardanti le informazioni sulla diversità, soprattutto se confrontate con il livello medio dei concorrenti europei28,

denotano una certa riluttanza da parte del management delle aziende italiane verso la materia. Ugualmente interessante è il risultato riguardante gli indicatori fondamentali di prestazione (KPI) di carattere non finanziario. Anche in questo caso il valore è significativamente basso, fatto che dimostra come il management della maggior parte delle aziende del campione non abbia ancora implementato sistemi di controllo aziendale riguardanti la sostenibilità (sustainability control systems), o quanto meno non possieda ancora una manifestata dimestichezza in tale campo.

Passando successivamente ad una scomposizione del campione in base alle caratteristiche individuali delle aziende che compongono il campione, le organizzazioni appartenenti al settore finanziario manifestano risultati significativamente migliori di quelle appartenenti agli altri settori, soprattutto per quanto concerne materie quali la diversità, i rischi derivanti da questioni di tipo non finanziario e i KPI. Quest’ultima osservazione è tuttavia giustificabile dalla maggiore attenzione che le grandi aziende appartenenti al settore bancario ripongono sul risk management, anche alla luce dei recenti avvenimenti negativi che, partendo dal proprio settore, hanno coinvolto l’economia mondiale con effetti gravissimi. Nel campione di studio si è inoltre rilevato un maggior livello qualitativo dell’informazione non finanziaria comunicata dalle aziende con un maggior numero di dipendenti e attive a livello internazionale: fatto giustificato dalla grande attenzione che le aziende con un maggiore raggio d’azione hanno per il tema della brand reputation e dalla consapevolezza da parte loro che il fatto di essere attive nel campo della sostenibilità aziendale può rappresentare un fattore di cruciale importanza sotto tale aspetto. Anche le aziende con un’esperienza pregressa nel campo della CSR e le aziende che si affidano per la verifica delle informazioni di tipo non finanziario a società indipendenti di servizi di verifica presentano un livello qualitativo più alto in tutte le aree che compongono l’indice oggetto dello studio. Non di minore importanza, le aziende che hanno divulgato volontariamente informazioni di carattere non finanziario hanno

28 Carini C. at al (2017)

Venturelli A., Pizzi S., Leopizzi R., Caputo F. (2018), The state of art of Corporate Social Disclosure before the introduction of Non-financial reporting Directive: a cross country analysis, Preprint of Social Responsibility

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ottenuto valori in merito alla qualità dell’informazione in media più alti rispetto alle aziende che hanno attuato una non-financial disclosure in risposta a richieste di tipo

mandatory.

In conclusione, dallo studio si evince che nel complesso le informazioni di tipo non finanziario comunicate dalle aziende italiane, nel momento immediatamente precedente l’entrata in vigore della direttiva 2014/95/UE, manifestavano un gap a livello qualitativo rispetto a quanto richiesto dalla nuova regolamentazione della materia. Tuttavia, tale lacuna qualitativa non interessava le aziende multinazionali, che infatti risultavano essere attive e preparate in materia di non-financial disclosure (e nella messa in atto di ulteriori

best practice in materia di Corporate Social Responsibility) già da prima dell’entrata in

vigore della direttiva. Quest’ultima osservazione sottolinea il fatto che, nonostante l’indubbia utilità della direttiva nel colmare l’iniziale situazione lacunosa osservata nel campione di studio, a livello globale la regolamentazione della materia, così come tuttora concepita, soffre di una forte limitatezza nei suoi effetti e che è necessaria un’estensione del suo raggio d’azione anche alle imprese di minore dimensione, che sono coloro che realmente rappresentano il terreno su cui lavorare.