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Modulazione olfattiva dell'ansia sociale di performance: simulazione di un esame orale in un contesto sperimentale

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell‘Area Critica

Corso di Laurea Magistrale in

Psicologia Clinica e della Salute

“Modulazione olfattiva dell’ansia sociale di performance: simulazione di un esame orale in contesto sperimentale”

CANDIDATO Andrea Mussini

RELATORE

Dott.ssa Laura Sebastiani

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INDICE

• Premessa……….3 • Riassunto………...4 • Introduzione………...7 • CAPITOLO 1 1.1 Le caratteristiche dell’ansia sociale………...11

1.1.1 Trattamento e riduzione dell’ansia sociale………16

1.1.2 Le basi neurali dell’ansia sociale……….19

1.2 Test Anxiety: l’ansia sociale di performance degli studenti……..……...22

1.3 I parametri psicofisiologici e le risposte autonomiche………...29

1.3.1 L’ EEG………..30

1.3.2 Acquisizione ECG………...34

1.3.3 Conduttanza cutanea……….37

1.3.4 Cortisolo e proteine salivari……….39

1.4 Il mondo dell’olfatto e degli oli essenziali………41

1.4.1 Le basi neurali comuni tra olfatto, emozioni e ansia……...44

1.4.2 Esperimenti di modulazione olfattiva………..46

• CAPITOLO 2 2.1 Il nostro studio pilota: descrizione della fase di reclutamento ………...50

2.2 Analisi e interpretazione dei dati ottenuti dai questionari di campionamento….. 59

2.3 Ipotesi e obiettivi………..63

• CAPITOLO 3 3.1 Descrizione del protocollo sperimentale………..64

3.1.1 Materiali e metodi………...72

3.1.2 Considerazioni sul protocollo………...78

3.2 Analisi e discussione sui risultati………..81

• CAPITOLO 4 4.1 Conclusioni………...98

4.2 Limiti e proposte future ………...99

• Bibliografia………...103

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Premessa

Ho deciso di parlare dell’ansia da esame, perché è una problematica che ho vissuto in prima persona come studente e che costituiva una delle tematiche principali che ho dovuto affrontare in qualità di Tutor alla Pari per studenti del mio corso di laurea. Inoltre, il mondo degli odori mi ha da sempre affascinato e incuriosito e ho voluto

indagare meglio le relazioni tra olfatto ed emozioni. Già nel 1959 Irwin Sarason affermava: “Viviamo in una cultura attenta ai test, agli

esami e al giudizio, per cui le vite delle persone sono in parte determinate dalle loro performance agli esami. Di conseguenza non c’è da sorprendersi se l’ansia da test è un problema pervasivo per molti studenti: sono così disturbati dal distress associato al sostenere esami, che registrano un sostanziale calo della prestazione in situazioni in cui viene dato un voto”.

“However, despite this affective primacy in olfaction, it remains unclear how emotion and olfaction interact and converge in everyday life…The importance of the sense of smell in the social context can however vary across individuals. Odor awareness reflects the extent to which people are affected by odors in everyday life and their metacognition of olfactory sensations“(Smeets M., 2008).

“Questo saggio affronta il tema del legame tra dimensione sensoriale-percettiva e linguaggio a partire dai sensi chimici, l’olfatto e il gusto, per sottolinearne l’intrinseca ‘linguisticità’ e rilevarne il valore cognitivo. Noi tutti siamo cresciuti e educati in una cultura che ci ha abituati a percepire, a pensare e a rappresentarci la realtà in termini prevalentemente visivi e uditivi, trascurando le informazioni preziose forniteci, spesso inconsapevolmente, da olfatto e gusto, e in parte anche dal tatto (incluso quello orale). Questa svalutazione ha una lunghissima storia e le ragioni che la sorreggono da oltre duemila anni risiedono nella variabilità, nella fugacità, nella soggettività e quindi nella ‘privatezza’ delle sensazioni olfattive e gustative, nella loro eccessiva compromissione con la corporeità, con il piacere (alimentare e sessuale) e con le emozioni, nel loro carattere prossimale, e non ultimo nella difficile traducibilità verbale dei sapori e specialmente degli odori, tutti fattori che li renderebbero inaffidabili dal punto di vista

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della conoscenza. Tuttavia, negli ultimi trent’anni, un certo numero di evidenze empiriche e di dati scientifici di varia provenienza disciplinare ha permesso di rivalutare l’olfatto e il gusto, i sensi più carnali, dimostrando come essi, non meno della vista e dell’udito, contribuiscano – già dall’epoca fetale – alla nostra conoscenza del mondo circostante, con un accento loro proprio che influenza altresì i nostri comportamenti sociali, emozionali, sessuali e alimentari” (da Rosalia Cavalieri, “Il

naso intelligente: che cosa ci dicono gli odori” 2009, p. 3).

Riassunto

L’ansia sociale è uno dei principali disturbi d’ansia. Alcune psicoterapie come quella di stampo cognitivo-comportamentale risultano essere efficaci ma la risposta non è sempre univoca e potrebbe servire un’alternativa che supporti e ampli l’effetto delle terapie d'élite, per accompagnare le persone nella ricerca del benessere durante situazioni sociali. In questo studio ho analizzato le caratteristiche dell’“ansia da esame”, revisionando la letteratura presente e indagando il comportamento degli studenti dell’Università di Pisa a tal proposito. Ho ripreso dalla Tesi triennale l’ipotesi sperimentale relativa alla modulazione olfattiva dell’ansia sociale: essa si basava sull'esistenza di basi neurali comuni tra ansia sociale e olfatto, e su evidenze empiriche e scientifiche che dimostravano una stretta interazione tra sostanze odoranti, stato emotivo e funzioni cognitive (Krusemark E. et al., 2013). Ho fatto un excursus sul mondo dell’aromaterapia e degli oli essenziali e ho riportato gli effetti ansiolitici e benefici di specifici aromi: lavanda, arancia, menta e bergamotto. Allo scopo di reclutare partecipanti allo studio sperimentale ho somministrato a partire da maggio 2017, un pacchetto di questionari psicologici a circa 150 studenti, sia maschi che femmine di età compresa tra i 18 ed i 30 anni, afferenti alle sei aree di studio dell’Università di Pisa. Da questo gruppo di studenti ho ottenuto un campione di 18 volontari per la fase sperimentale che si è tenuta da maggio a ottobre 2018. In fase di reclutamento ho misurato l’atteggiamento degli studenti nei confronti di situazioni relative all'interazione e all'esposizione sociale, alla performance davanti ad un pubblico e ai rapporti con una figura autorevole come un professore. Quindi, ho potuto tracciare un profilo dell’ansia sociale degli studenti mediante l’uso di una serie di

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questionari per la valutazione dell’ansia di tratto e dell’ansia sociale (I-SPIN, BSPS, STAI Y-2, SPS, SIAS, LSAS). Ho inoltre somministrato la scala Westside Test Anxiety Scale ed una serie di domande costruite ad hoc per indagare il loro atteggiamento nei confronti degli esami universitari. Nello stesso gruppo di studenti abbiamo anche valutato il grado di consapevolezza e valutazione di stimoli odorosi durante diverse situazioni e il grado di modulazione olfattiva dello stato emotivo utilizzando la Odor Awareness Scale (Scala di Consapevolezza Olfattiva) e la Scala di Valutazione olfattiva.

La sessione sperimentale consisteva in un protocollo di stress sociale acuto assimilabile ad una situazione di esame. Era articolata per tutti i soggetti in due fasi: una fase di rilassamento ad occhi chiusi, facilitata da una stimolazione acustica che richiamava un ambiente naturale piacevole/rilassante (onde del mare), e una fase di task di pochi minuti, che consisteva nella lettura di un breve testo e nella presentazione orale di tale brano davanti ad un professore. Il gruppo sperimentale aveva la possibilità, all'inizio, di scegliere uno tra quattro oli essenziali, e l’odore preferito è stato poi diffuso nella stanza durante le due fasi. L’ambiente del gruppo di controllo invece non presentava condizioni particolari. Durante tutta la sessione sono stati registrati l’Elettroencefalogramma (EEG), l’Elettrocardiogramma (ECG) e la Conduttanza cutanea (SC), per analizzare le variazioni dell’attività cerebrale ed autonomica indotte dal task e le eventuali differenze associate alla presenza dell’odore piacevole. Sono stati inoltre prelevati due campioni di saliva per l’analisi della variazione delle proteine salivari in relazione allo stress. Prima e subito dopo il task di lettura/esposizione del brano ho valutato l’ansia di stato di ciascun partecipante mediante la scala STAI Y-1, e tra lettura ed esposizione ho somministrato un test autovalutativo sulla preparazione ad effettuare il discorso (PREP). Alla fine dell’esperimento i soggetti del gruppo sperimentale sono stati intervistati riguardo la loro percezione dell’odore durante il rilassamento e durante il task da svolgere; mentre ai soggetti appartenenti ad entrambi i gruppi veniva chiesto quali fossero le sensazioni esperite durante le diverse fasi da un punto di vista cognitivo, fisico ed emozionale. L’ipotesi avanzata è stata quella che l’odore piacevole, precedentemente associato al rilassamento, potesse non solo facilitare il rilassamento stesso ma anche esercitare una sorta di effetto positivo condizionato durante il task, riducendo cioè la risposta d’ansia durante la fase di

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lettura/preparazione e di esposizione orale. I risultati ottenuti tramite test e registrazioni dei parametri fisiologici di questo studio pilota non consentono di trarre conclusioni significative complete da un punto di vista inferenziale, visto il numero esiguo di soggetti (n=18), l’alta variabilità, alcuni problemi e limiti riscontrati. È stato possibile capire l’andamento dell’ansia di stato e dell’attività simpatico-vagale e il grado di preparazione a presentare un discorso al professore nei due gruppi. È stato dimostrato che il task ha creato distress nel nostro campione. I risultati indicativamente significativi, relativi all’analisi del proteoma salivare, soprattutto per quanto riguarda α-amilasi e immunoglobuline (IgA/K), ci suggeriscono che sia utile osservare gli effetti dello stress sul sistema immunitario. Abbiamo infatti osservato una riduzione delle immunoglobuline solo nel gruppo neutro e quindi ipotizziamo che l’odore piacevole abbia un effetto ‘protettivo’ in caso di stress acuto (stato ansioso durante la performance). Secondo ciò che riferiscono i soggetti, l’odore è stato percepito come efficace nell'aumentare il rilassamento, ma non è stato così efficace durante il task per tutti i partecipanti del gruppo. Ciò che è emerso permette però di capire meglio l’utilizzo degli oli essenziali nel modulare l’ansia degli studenti in un contesto simile ad un esame orale. Ciò sarà utile in vista di applicazioni future diverse o svolgendo l’esperimento con un numero di partecipanti più alto.

Parole chiave : university students, test anxiety, anxiolytic effect, essential oils, physiological

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Introduzione

Il seguente elaborato di tesi è la continuazione della tesi triennale “Olfatto ed emozioni. Dallo sviluppo filo- e ontogenetico dell’olfatto alla relazione tra odori e comportamento nell’essere umano: proposta di studio sperimentale sulla modulazione olfattiva dell’ansia sociale”.

La tesi ha come obiettivo quello di esplorare e unire due mondi che da diversi anni hanno stimolato il mio interesse e la mia curiosità: quello dell’ansia sociale negli

studenti universitari e quello della psicofisiologia degli odori. Nei diversi Paesi del mondo il sistema scolastico è diverso, così come il sistema di

valutazione dello studente; anche la terminologia usata per indicare queste prove (exam, test, compito) è varia. Questo perché in lingua inglese con ‘test’ si intende una prova di valutazione degli studenti che solitamente viene svolta in classe e a risposte chiuse in tutti gli istituti scolastici, dalle elementari all’università; mentre noi in italiano utilizziamo la parola ‘esame’ soprattutto riferendoci o alla prova finale delle Scuole Secondarie di Secondo Grado (la prova di Maturità) o alle prove scritte o orali che avvengono all’Università. In Italia gli esami di profitto universitari si concludono, se superati, almeno per le Università non telematiche, con una valutazione che va dal 18 al 30. Nella maggior parte delle scuole medie e superiori italiane si svolgono compiti scritti (o verifiche), interrogazioni, qualche ricerca di gruppo o fatta a casa con presentazione davanti alla classe e qualche esercitazione al pc, ed il giudizio finale è un voto espresso in numeri da 1 a 10 o da insufficiente a ottimo. Perciò con “ansia da compito” si intende l’ansia relativa alla valutazione in quest’ultimo tipo di istituti scolastici. Sono presenti chiaramente a seconda del tipo di scuola o facoltà prove più tecniche, strumentali e di laboratorio, ma quelle che sono più di nostro interesse sono classiche prove orali nelle quali lo studente deve svolgere un dialogo frontale con uno o più professori, oppure una presentazione orale alla classe. Nel corso della tesi i termini “Test anxiety”, “Exam anxiety”, “Ansia da esame” e “Ansia da compito” saranno quindi utilizzati in maniera interscambiabile.

Solo prendendo in considerazione le richieste che gli studenti fanno agli specialisti, dai quesiti che vengono posti sui blog online e tramite servizi come il Centro d’Ascolto o il servizio di tutorato alla pari dell’Università di Pisa, abbiamo compreso l’esistenza

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della paura del fallimento e dell’ansia che si origina durante la vita universitaria e la preparazione degli esami, in particolare quelli orali. Mediamente, ogni anno circa 100 studenti per corso di studio chiedono supporto ai colleghi del servizio di tutorato alla pari.

Il costrutto ‘ansia da esame’ deve sempre tenere conto di eventi esterni che incidono sull’esecuzione di una performance accademica. Infatti, questi studenti presentano una situazione di forte disagio collegata spesso ad eccessive aspettative proprie o dei genitori, ad altri problemi della vita da studente universitario come la distanza da casa, a problemi di carattere economico, amministrativo e burocratico in relazione a tasse e scadenze, o semplicemente all’ansia per ciò che avverrà nel futuro, dopo il conseguimento del titolo. Spesso l’ “Exam anxiety” riguarda soprattutto studenti del primo anno che si affacciano ad un mondo ‘adulto’ totalmente differente da quello a cui erano abituati alle superiori. Infatti, essi si trovano di fronte per la prima volta dopo la Maturità, ad esami orali con uno o più professori in commissione. Il fenomeno riguarda anche studenti ‘fuori corso’ che hanno perso la motivazione e che non riescono più a effettuare prestazioni brillanti per terminare la carriera accademica. Esistono però anche studenti che sembrano condurre una vita tranquilla, che raccontano di aver studiato e approfondito gli argomenti, ma poi di essersi bloccati e di aver dimenticato tutto ciò che sapevano appena si sono seduti davanti al professore. Questo è spesso il caso di materie insegnate da un professore ‘temuto’ dai compagni che non sono riusciti a superare l’esame. L’approccio, la valutazione della reale minaccia da affrontare e strategie di coping più o meno adattive sono al centro di queste problematiche. Un ulteriore elemento che accomuna spesso gli studenti è il procrastinare il momento dello studio o l’esame stesso. Il problema potrebbe essere sia nel metodo di studio che nella gestione della normale ansia prima di un esame, e per questo il Centro d’Ascolto e l’Università di Pisa si attivano da anni con lo ‘sportello’ al quale lo studente si può rivolgere per parlare con uno psicologo delle sue problematiche. Inoltre, vengono organizzati eventi rivolti agli studenti in cui vengono affrontate queste tematiche. L’obiettivo è sempre quello di aiutare gli studenti a guadagnare sicurezza nella loro preparazione agli esami e abilità per affrontarli, minimizzando gli effetti negativi che possono provocare (dalle richieste del Centro d’Ascolto e servizio di tutorato alla pari dell’Università di Pisa).

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Nonostante il problema sia rilevante, non esistono molti studi italiani che approfondiscono il tema dell’ansia per gli esami, che è stata oggetto di ricerche negli

USA soprattutto per quanto riguarda gli studenti delle Primary e High Schools. Nel 2005, Bodas e Ollendick hanno passato in rassegna gli studi sull’ansia da esame

fatti in tutto il mondo durante i dieci anni precedenti e hanno prodotto una review che analizzava i fattori contestuali e culturali di questo disturbo. In particolare, sono emerse alcune differenze tra USA e India relative alla “Test Anxiety” legate a differenze culturali, e ciò ha permesso di evidenziare il fatto che molti studi nel mondo occidentale hanno il difetto di essere decontestualizzati dal punto di vista culturale. Cercare di risolvere questa problematica condivisa dagli studenti di tutto il mondo e spesso sottovalutata, dovrebbe essere un obiettivo prioritario per chi si occupa di formazione e benessere dei giovani. Ma quali sono gli interventi terapeutici e le tecniche psicologiche che si possono adoperare? Evitare o rimandare la minaccia allevia lo stato ansioso eccessivo nel breve tempo ma peggiora molto rispetto all’esposizione graduale, consigliata in questi casi dagli stessi psicologi. Ad esempio, se uno studente si è bloccato durante gli esami e da quel momento ha iniziato ad evitare questa situazione ansiogena, sarebbe utile innanzitutto ‘aggiustare’ il proprio metodo di studio, unendo una buona preparazione a ritmi e aspettative adeguate. Poi il protocollo terapeutico potrebbe prevedere l’identificazione di una serie di step che hanno come obiettivo quello di aiutare la persona a sostenere un esame e che consistono nell’esposizione graduale allo stimolo.

Come primo step, ad esempio, lo studente potrebbe sedersi nell’aula mentre si svolge l’esame, limitandosi ad ascoltare le domande che il professore fa agli altri studenti iscritti. All’appello successivo potrebbe iscriversi all’esame, senza sostenerlo; per poi iscriversi e sostenerlo. Queste strategie partono dall’idea che l’ansia prima di un esame debba essere riconosciuta, accettata e utilizzata in chiave di attivazione positiva, prima

che diventi eccessiva e invalidi completamente la persona. Nonostante certe tecniche siano efficaci per la maggior parte delle persone, potrebbero

essere utili altri approcci integrativi che accompagnino lo studente durante il suo percorso di studi. Una considerazione importante da fare è relativa alle aree cerebrali che si attivano durante l’ansia sociale e quindi durante l’ansia sociale da performance e da esame. Il processamento delle emozioni durante gli stati ansiosi, infatti, avviene

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a livello di circuiti neurali coinvolti anche nell’elaborazione degli stimoli olfattivi. Il senso dell’olfatto e la cosiddetta ‘aromaterapia’, che intende usare sostanze odoranti per curare, alleviare sintomi e modulare lo stato psico-fisico della persona, negli ultimi anni sono stati al centro di molte ricerche. Possiamo sfruttare, quindi, un argomento molto di “moda” come quello della modulazione olfattiva e trovare una possibile modalità alternativa alle terapie già validate, per facilitare gli studenti durante il percorso universitario e nelle situazioni di performance sociale. In letteratura esistono alcuni studi che indagano come lo stato ansioso influenzi la sensibilità e funzione olfattiva (La Buissonnière-Ariza,V. et al., 2013; Takahashi, T. et al., 2015) e come l’ansia trasformi gli odori neutri in negativi per segnalare un pericolo (Krusemark E., Novak L., Wen Li, 2013). Tuttavia, mancano ancora evidenze scientifiche sugli effetti ansiolitici di odori e oli essenziali, generalizzabili a tutte le situazioni, nonostante gli effetti positivi di alcuni odori facciano parte dell’esperienza comune (Kadohisa, M. 2013). In particolare, non esistono dati sugli effetti dell’aromaterapia sull’ansia sociale in situazioni in cui la performance in pubblico è oggetto di una valutazione similmente a quanto avviene nel caso di esami orali. Quindi la domanda che mi sono posto è: “Un odore piacevole in una stanza può ridurre i livelli di ansia prima di sostenere un esame?”. Il mio studio pilota si è proposto di indagare proprio se l’odore piacevole di determinati oli essenziali (lavanda, arancia dolce, menta piperita e bergamotto), diffuso in una stanza, potesse influenzare positivamente lo stato emotivo di uno studente impegnato in un test assimilabile ad un esame orale (fase di studio seguita da un’esposizione orale davanti ad un docente). In letteratura gli studi scientifici sull’ansia da esame si riferiscono in genere a studenti delle superiori (per lo più fino ai 17 anni) o di un singolo corso di studio universitario. La mia ricerca si è concentrata sugli studenti universitari di differenti aree di studio dell’ateneo pisano nella fascia d’età 18-30. Il campione è non clinico, cioè formato da studenti con livelli di ansia sociale al di sotto del cutoff per diagnosi di ‘ansia sociale’. Prima di descrivere i dati raccolti, il protocollo e i risultati ottenuti, è necessario soffermarsi sulle caratteristiche dell’ansia sociale, dell’ansia da esame, dell’aromaterapia e capire cosa le unisce, per aver chiaro l’inquadramento teorico della nostra ricerca.

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CAPITOLO 1

1.1 Le caratteristiche del Disturbo d’Ansia Sociale

Per l’ICD 10 la “Fobia sociale” è costituita da paure relative al giudizio da parte di altre persone, che conducono all’ evitamento delle situazioni sociali. Le fobie sociali più gravi sono in genere associate ad una scarsa stima di sé e alla paura di essere criticati. In queste situazioni gli individui possono esperire sintomi fisici o motori, quali arrossamento, tremori, sudorazione, blocco delle parola, diarrea, nausea, urgenza di urinare e temono che le altre persone possano accorgersene, in quanto convinti che una di queste manifestazioni secondarie della propria ansia sia il problema principale

(Bogels et al., 2010). I sintomi possono progredire fino a dar luogo ad attacchi di panico. In ambito

scientifico vi è dibattito sul fatto che ansia sociale ed e disturbo evitante si trovino su un continuum in cui l’evitamento rappresenterebbe l’estremo più grave perché si estende anche a situazioni non sociali (come emozioni o novità). Indipendentemente dal fatto che ansia sociale ed evitamento siano due aspetti dello stesso disturbo esiste un 80% di comorbidità tra i due.

Il disturbo d’ansia sociale (o Fobia Sociale) viene definito nel DSM V (The Diagnostical and Statistical Manual of Mental Disorders) attraverso questi criteri: a) l’ansia sociale è una paura marcata o ansia in una o più situazioni sociali o di performance sociale in cui la persona è esposta al possibile giudizio degli altri. Gli esempi includono interazioni sociali (ad esempio, avere una conversazione), essere osservati (per esempio, mangiare o bere), o fare delle cose davanti ad altri (ad esempio, un discorso);

b) l’ansia sociale è la paura individuale di comportarsi in un certo modo, o mostrare sintomi di ansia, che saranno valutati negativamente (cioè, essere umilianti, imbarazzanti, portati al rifiuto o all’offesa di altri);

c) l’esposizione a queste situazioni sociali provoca quasi invariabilmente paura o ansia;

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d) le situazioni sociali sono evitate o sopportate con intenso disagio e sofferenza; e) la paura o l’ansia sono sproporzionate (riferendosi al contesto socioculturale), irragionevoli ed eccessive rispetto al reale pericolo rappresentato dalla situazione sociale;

f) la durata è di almeno 6 mesi;

g) l’ansia, la paura e l’evitamento causano un disagio clinicamente significativo o la compromissione di aree importanti: sociali, lavorative o in altri ambiti;

h) l’ansia, la paura e l’evitamento non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per esempio, una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale;

i) l’ansia, la paura e l’evitamento non sono limitati ai sintomi di un altro disturbo mentale, come il Disturbo di Panico (ad esempio, l’ansia di avere un attacco di panico), Agorafobia (ad esempio, evitamento delle situazioni in cui l’individuo può diventare incapace), Disturbo d’Ansia di Separazione (ad esempio, la paura di essere lontani da casa o dalle persone care), Disturbo di Dismorfismo Corporeo (ad esempio, la paura dell’esposizione pubblica dei propri difetti fisici percepiti), o Disturbi dello Spettro Autistico.

Oltre all’ansia nel corso dell’esposizione alla situazione temuta, può manifestarsi marcata ansia anticipatoria, per esempio la persona può cominciare a preoccuparsi da varie ore al giorno fino a varie settimane prima di un evento sociale difficilmente evitabile. Si può instaurare un circolo vizioso: ansia anticipatoria che determina un atteggiamento di apprensione e sintomi d’ansia, che determinano una prestazione realmente scadente e imbarazzante, che a sua volta determinerà in seguito maggior ansia anticipatoria (Meazzini P., 2002).

Il DSM IV individua un sottotipo detto ‘generalizzato’, che si distingue dalla fobia semplice, perché i primi hanno paura per la maggior parte di interazioni sociali, per il fatto che è più difficile da trattare, porta maggiormente a depressione e abuso di alcol

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e hanno più difficoltà e problemi (Brown, E. J., Heimberg, R. G., & Juster, H. R., 1995). Bisogna inoltre specificare se le situazioni temute siano interpersonali o di performance (Antony, M. M., & Swinson, R. P. , 2000): nel primo sottotipo rientrano avere un appuntamento, partecipare ad una festa, conoscere e essere presentati a nuove persone sconosciute, fare colloqui di lavoro e formali, parlare al telefono, intervenire ed esprimere la propria opinione, relazionarsi con l’altro sesso, parlare con un superiore prendere parola in una riunione o cominciare una conversazione, avere contatto oculare con la persona; nel secondo fare un brindisi, usare bagni pubblici, partecipare ad una cerimonia, mangiare in pubblico, presentarsi, camminare in luoghi affollati, fare shopping, cantare o fare sport davanti ad una platea, fare un errore in pubblico, parlare o scrivere in pubblico. L’ansia per i discorsi in pubblico risulta essere un sottotipo differente sia qualitativamente che quantitativamente dagli altri sottotipi di fobia sociale (Blöte, A. W.et al., 2009).

Il disturbo d’ansia sociale (SAD) è il tipo di disturbo d’ansia più frequente, con una prevalenza tra il 7 e il 13%. Colpisce, solo in Italia, più di un milione di persone. Nell’80% dei casi si verificano le prime manifestazioni prima dei 18 anni e sono collegate spesso ad abuso di alcol e droghe, problemi d’umore, alti livelli di distress, altri tipi d’ansia (Crum, R. M., & Pratt, L. A., 2001; Rapee, R. M., & Heimberg, R. G., 1997). È un disturbo studiato e riconosciuto ufficialmente sin dagli anni ’80. Tuttavia, pochi ne sono a conoscenza, tanto che si stima che solo il 25% delle persone che ne soffrono cerchi una terapia (fonte IPSICO). Non sorprende che l'ansia sociale sia associata a una bassa autostima, bassa scolarità, disoccupazione, dipendenza economica, essere single (Stein, M. B., & Kean, Y. M., 2000).

Le conseguenze sono disastrose per la carriera scolastica (Leary & Kowalski, 1995) e per la carriera lavorativa (Bruch, Fallon & Heimberg, 2003; Turner, Beidel, & Townsley, 1990; Phillips & Bruch, 1988) e infatti le persone che soffrono di ansia sociale tipicamente evitano le situazioni accademiche/ scolastiche e occupazionali che percepiscono come minacciose (Cuthbert, B.N., 2002). Questa strategia di evitamento impatta in modo negativo sulle performance scolastiche/occupazionali, sull'interazione sociale e di relazione e sulla qualità della vita (Stein & Kean, 2000). Vedremo meglio nel sotto-capitolo1.2 le caratteristiche dell’ansia in ambito scolastico.

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Le persone affette da ansia sociale sono caratterizzate principalmente da iperattività emotivo-fisiologica e manifestazioni cognitive distorte, spesso accompagnate da una regolazione emotiva inefficace e da una tendenza al perfezionismo che sfociano in

risposte comportamentali d’ansia (Frost et al., 1990; Hamacheck, 1978; Pacht, 1984).

Il desiderio di raggiungere la performance perfetta in combinazione ad un’eccessiva

critica di se stessi ci porta a pensare che il perfezionismo sia una dimensione fortemente legata alla fobia sociale. Questi soggetti, fin troppo organizzati e ordinati, sono sempre preoccupati per gli errori, reagendo in maniera negativa ed equiparando errore a fallimento. Hanno sempre dubbi sulla qualità della loro prestazione, fissando standard molto elevati e autovalutandosi continuamente. Queste aspettative esagerate di solito vanno di pari passo con la percezione che le figure genitoriali significative siano altamente esigenti e critiche (Frost, R. O. et al., 1993).

Per quanto riguarda l’iperattività, le persone possono presentare sudorazione accentuata, balbettii, palpitazioni, tremori, arrossamenti, mancanza di respiro e sensazioni di nausea. Vedremo meglio come queste risposte sono collegate all’attività autonomica e psicofisiologica nel sotto-capitolo 1.3.

Per quanto riguarda il secondo punto si manifestano a livello cognitivo: un senso crescente di allarme e pericolo; immagini, ricordi e pensieri negativi indotti; comportamenti protettivi; sensazione di vuoto mentale; sensazione forte di essere al centro dell’attenzione altrui (Public self consciousness, Fenigstein et al., 1975; Buss, 1980).

Le convinzioni disfunzionali o irrazionali sono pensieri che le persone fanno circa gli eventi, nei quali si trovano coinvolte e che derivano, a loro volta, da schemi cognitivi rigidi e poco adattivi, come ad esempio la convinzione che mostrare ansia sia un segno di debolezza oppure la convinzione di essere sempre attentamente osservati da parte degli altri. Tali pensieri entrano, per così dire, in funzione solo quando una persona deve affrontare una situazione sociale, cioè deve esporsi ad un possibile giudizio degli altri, facendo così scattare l’ansia e la conseguente sensazione di perdere il controllo. I pensieri automatici negativi esprimono la paura di mostrare i sintomi dell’ansia e sono per esempio: “sto parlando troppo veloce” riferito alla performance, “rideranno di me” per le conseguenze, “mi stanno guardando”, “l’ansia sta prendendo il sopravvento” mentre si ha la sensazione di essere osservati e di perdere il controllo.

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I fattori cognitivi significativi sono: la tendenza a interpretare stimoli sociali come negativi, focalizzare l’attenzione su se stessi e avere previsioni negative in contesto sociale. Ovviamente ci sono casi in cui genitori troppo critici o troppo protettivi e inibenti l’autonomia della persona, hanno generato nell’ambiente di sviluppo un fattore predisponente al disturbo.

Il modello cognitivista di David M. Clark e Adrian Wells del 1995-1997 sostiene che la caratteristica fondamentale del disturbo d’ansia sociale è il forte desiderio di dare una buona impressione di sé agli altri e questo viene contrastato e messo in discussione dalla sensazione di non avere la capacità di riuscirci. La persona si sente in pericolo e quindi si produce un’attivazione ansiosa fisiologica, emotiva, cognitiva e comportamentale. Tale attivazione costituisce però di nuovo un pericolo e così viene messa in atto una strategia difensiva che porta a concentrare l’attenzione su di sé e sui propri comportamenti. Quest’ultimo elemento è un fattore importante per il mantenimento del disturbo (Elaborazione del Sé come oggetto sociale): infatti i social fobici adottano questa prospettiva di auto osservazione per trarre conclusioni e per ottenere informazioni al fine di valutare come appaiano e cosa gli altri pensino di loro. Queste persone hanno standard elevati per le performance sociali, sono convinti delle conseguenze catastrofiche che avranno i loro comportamenti, segno di schemi su se stessi assolutamente negativi.

L’evitamento delle situazioni temute porta inevitabilmente ad un comportamento protettivo o di sottomissione. I comportamenti protettivi sono azioni mentali messe in atto dal paziente più o meno volontariamente e hanno la funzione di proteggere il soggetto dalle conseguenze temute dell’ansia. Per esempio: in risposta ai tremori la persona tenderà a impugnare con forza oggetti o provare a controllare i movimenti delle braccia; in risposta alla sudorazione ascellare terrà le braccia strette lungo il corpo o non si toglierà la giacca; in risposta alla sudorazione delle mani magari le terrà in tasca; si proteggerà dal parlare di fronte agli altri, parlando velocemente, non guardando gli altri negli occhi, facendo sempre attenzione alle proprie sensazioni somatiche; per far fronte al rossore metterà spesso le mani davanti alla bocca o alle guance. L’ansia sociale è un disturbo tendenzialmente cronico in assenza di trattamento (Dewit, Ogborne, Offord & MacDonald, 1999), quindi come trattarlo?

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16 Fig.1 Da IPSICO, Nicola Marsigli

1.1.1 Trattamento e riduzione dell’ansia sociale

Il trattamento del Disturbo d’Ansia Sociale è principalmente farmacologico, psicoterapico o un’integrazione tra i due. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è risultata la più efficace per affrontare adeguatamente il disturbo, con risultati a lungo termine, mentre i farmaci possono essere efficaci per estinguere i sintomi immediati (per esempio, prendendoli prima di fare un discorso in pubblico), ma i loro effetti sono limitati e il disturbo ritorna quando il loro effetto svanisce. I farmaci possono costituire un valido aiuto iniziale per placare sintomi maggiormente attivanti e agevolare l’aderenza al percorso psicoterapico.

La cura farmacologica della fobia sociale si basa fondamentalmente su due classi di farmaci: benzodiazepine e antidepressivi. Tra le prime, le più usate sono alprazolam e clonazepam che possono indurre però un alto rischio di dipendenza, abuso e ansia da ‘rimbalzo’ che si può generare dalla loro sospensione. Tra i secondi troviamo imipramina, della classe dei triciclici, anche se l’utilizzo non sembra promettente, e la

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fluvoxamina, la fluoxetina, la sertralina e la paroxetina tra gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), piuttosto efficaci e

con meno effetti collaterali, ma non sempre con effetti duraturi. Le Linee Guida NICE consigliano la Terapia Cognitivo Comportamentale  (CBT) e il

training di rilassamento, in quanto queste terapie hanno evidenziato prove di efficacia. Funzionano anche interventi di self-help e gruppi psicoeducativi condotti secondo un orientamento di terapia cognitiva (Fonte: National Institute for Health and Clinical Excellence, NICE, 2011).

Anche se ogni persona ha bisogno di un protocollo specifico per le proprie esigenze, il trattamento CBT individuale dell’ansia sociale prevede innanzitutto la comprensione del funzionamento del disturbo attraverso la psicoeducazione. Dopodiché si mette in atto un intervento cognitivo che ha come obiettivo generale quello di aumentare la distinzione tra sensazioni personali e realtà e di accettare l’idea di poter essere giudicati. La ristrutturazione cognitiva in primis deve far emergere questo aspetto. L’intervento di tipo comportamentale, infine, aiuta la progressiva esposizione alle situazioni temute e al contemporaneo apprendimento delle abilità sociali, grazie all’uso di tecniche e strategie che tutti possono imparare ed esercitare a casa. Se c’è un deficit primario, la terapia dovrebbe curare l’acquisizione o il potenziamento di abilità sociali, attraverso l’apprendimento di queste. L’insegnamento di abilità per gestire al meglio le situazioni sociali prevede l’utilizzo di training assertivo, tecniche (come i training di rilassamento) per la gestione dell’ansia e tecniche per la gestione dell’interazione verbale.

In presenza di inibizione, invece, il trattamento ha come obiettivo il decondizionamento dell’ansia e la disinibizione di capacità presenti e latenti. Il terapeuta deve aiutare la persona con strategie per focalizzare l’attenzione verso l’esterno, in modo che possa applicarle nelle situazioni sociali per lui problematiche, e a leggere in modo più articolato la mente dell’altro (uno degli esercizi di base è l’osservazione degli altri per immaginare le loro vite).

Tecniche fondamentali sono quelle per il decentramento cognitivo (es: chi arrossisce spesso tende a dare per scontato che anche gli altri valuteranno in maniera negativa questa caratteristica) e tecniche cognitive che aiutino a ristrutturare l’idea negativa che abbiamo rispetto a noi stessi (“sono debole, noioso, maldestro”, “non riesco a gestire

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l’ansia perché sono inadeguato”) e rispetto alle conseguenze catastrofiche (“la riunione sarà un disastro”).

Le tecniche comportamentali più usate sono la desensibilizzazione sistemica, l’esposizione in vivo, in immaginazione e graduata. Quest’ultima espone gradualmente alle varie situazioni temute, secondo una gerarchia espositiva condivisa e stilata. Le tecniche sono finalizzate ad ovviare alle distorsioni cognitive, a modificare i pensieri e meccanismi disfunzionali, a trattare direttamente il sintomo lavorando in collaborazione attiva con il terapeuta e ad offrire alla persona migliori capacità nell’affrontare le situazioni. A volte sono previste tecniche di modificazione del focus attentivo e tecniche cognitive finalizzate a modificare il contenuto delle elaborazioni del concetto del sé, utilizzando feedback audio e video (Harvey, A.G., et al., 2000). Un’ultima tecnica di enorme importanza per questa tesi e il nostro studio pilota, collegata sempre all’approccio cognitivista, infine, è il Biofeedback. Esso si basa sul principio che possiamo modificare i nostri pensieri, comportamenti ed emozioni attraverso l’informazione di ritorno dei segnali fisiologici (conduttanza cutanea, risposta elettrodermica, variazione del ritmo cardiaco, risposta elettromiografica, temperatura cutanea periferica e frequenza respiratoria). Osservare la variazione dei nostri segnali tramite strumenti e interfacce grafiche, permette al soggetto, per esempio, di apprendere più facilmente come rilassarsi. Se infatti la persona apprende atti o movimenti che favoriscono la risposta della strumentazione in direzione del rilassamento, avrà a disposizione un’ arma in più nel controllo consapevole delle proprie risposte fisiologiche, da utilizzare nei momenti di ansia (Meazzini P. e Galeazzi A., 2004).

Per affrontare i discorsi in pubblico sembrano molto efficaci strategie di autodialogo guidato utilizzate nel “Stress Inoculation Training”, che aiutano i soggetti ad affrontare la fase anticipatoria e la performance, riducendo sia i sintomi somatici che quelli emotivi legati all’ansia (Jackson B. et al., 2016). Il paziente generalmente dopo qualche settimana dall’inizio della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) avverte subito che sta recuperando molti aspetti della sua vita e si sente in grado di proseguire con la terapia così impostata, in modo graduale, fino alla risoluzione della problematica. Esistono sia interventi individuali che di gruppo con tassi di successo superiori al 75% (fonte IPSICO).

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Clark e colleghi (2003) hanno dimostrato che la terapia cognitiva ha risultati migliori rispetto a farmaci o placebo, con effetti che si mantengono stabili a un anno. Uno tra i diversi studi sull’ansia sociale mette a confronto ACT (Acceptance and Commitment Therapy) e CBT (Craske, M.G. et al., 2014): sia l’ACT che la CBT si sono dimostrati efficaci nel trattamento dell’ansia sociale, sebbene la CBT sia dimostrata superiore nel ridurre la sintomatologia (misurata con self report) legata alla paura del giudizio negativo e, sorprendentemente, sia stata ugualmente superiore con i pazienti che mostravano una più bassa flessibilità psicologica.

In generale risulta sempre utile indagare altre forme di trattamento, infatti non tutti i soggetti rispondono adeguatamente alla CBT, e recentemente stanno prendendo sempre più piede protocolli di trattamento nei quali vengono utilizzati diversi tipi di intervento (fonte IPSICO).

Per esempio, è possibile agire su soggetti che per criteri di diagnosi e livelli di ansia, non costituiscono un campione clinico, attraverso altri metodi come la modulazione olfattiva, basandosi sul fatto che esistano l’ elaborazione degli stimoli olfattivi e delle risposte d’ansia sociale condividono gli stessi substrati neurali.

1.1.2 Le basi neurali dell’ansia sociale

I soggetti con ansia sociale mostrano una reazione emotiva negativa esagerata e una regolazione cognitiva ridotta rispetto ai soggetti sani e questo è collegato ad una diversa attivazione neurale, specialmente in relazione a stimoli sociali (Goldin P. et al., 2009).

Caratteristica principale della persona con ansia sociale è, come abbiamo visto, una valutazione cognitiva esagerata degli elementi intorno a sé, come le reazioni emotive delle persone con cui si deve relazionare o del pubblico a cui si deve rivolgere. Alla base di questo processo ci sono quindi: la valenza emotiva (regolata dalla corteccia prefrontale (PFC) ventromediale e dorsomediale), l’intensità (regolata dalla PFC ventrolaterale e dorsomediale) e il riconoscimento delle emozioni (corteccia del cingolo anteriore (ACC) perigenuale). È stato dimostrato che, vedendo facce con espressione rigida o arrabbiata, si generano risposte negative legate all’attivazione dell’amigdala (Stein M.B. et al., 2007). Altre ricerche hanno dimostrato l’attivazione

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dell’insula in risposta ad espressioni arrabbiate (Straube T., Mentzel H.J., Miltner W.H., 2005; Straube T., Kolassa I.T., Glauer M., Mentzel H.J., Miltner W.H., 2004), della ACC in risposta a facce disgustate (Amir N., Klumpp H., Elias J., Bedwell J.S., Yanasak N., Miller L.S., 2005); del giro paraippocampale e della PFC ventrolaterale e mediale in risposta a facce con espressione rigida (Stein M.B., Goldin P.R., Sareen J., Zorrilla L.T., Brown G.G., 2002).

L’area che si occupa di registrare uno stimolo esterno come una potenziale minaccia sociale è la parte rostrale della corteccia del cingolo anteriore, che ha quindi la funzione di monitorare la salienza emotiva degli stimoli. I processi di regolazione cognitiva avvengono invece nella corteccia prefrontale dorsomediale e laterale (Goldin, 2009). Una connessione difettosa tra il sistema di regolazione dorsale e le regioni limbiche ventrali è segno di una disfunzione emotiva, tipica dell’ansia (Billot P. et al., 2017). L’ansia anticipatoria coinvolge un esteso network di regioni cerebrali quali amigdala, cingolo anteriore, PFC dorsolaterale e corteccia orbitofrontale (OFC) (Nitschke, J. B et al., 2006, 2009). La preoccupazione presente nell’anticipazione del discorso è una componente importante nella formazione dell’ansia sociale e ha a che fare con il processamento della paura e con il condizionamento pavloviano alla paura, prima fase del condizionamento delle risposte di evitamento, nell’amigdala (Tillfors M. et al., 2001; Le Doux, J.E., 2000). Per il condizionamento della paura sono infatti molto importanti i nuclei centrale e laterale: lesioni o ridotta attivazione di uno di questi nuclei impediscono il condizionamento della paura. L’amigdala influenza i processi cognitivi anche attraverso le sue connessioni con i nuclei a funzione modulatoria dopaminergici, noradrenergici, serotoninergici e colinergici (Hudspeth, A. J., Jessell, T. M., Kandel, E. R., Schwartz, J. H., & Siegelbaum, S. A., 2013). Anche specifici aspetti del linguaggio verbale e non verbale durante i discorsi in pubblico sono correlati all’ansia sociale di performance. L’emisfero destro è deputato all’analisi della prosodia (inflessioni, ritmo e accento nei suoni vocalici dell’eloquio), mentre parallelamente l’emisfero sinistro all’analisi del contenuto del linguaggio (Ross, E. D., & Monnot, M., 2008). Nell’ambito della valenza delle emozioni correlate a funzioni linguistiche e sociali, l’emisfero sinistro è più abile a mettere in pratica le regole di manifestazione sociale delle emozioni positive e a collegarle alle funzioni comunicative. Tuttavia, si postula che l’esperienza e l’espressione delle emozioni

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siano asimmetriche: le regioni frontali sinistre sono considerate dominanti per le emozioni positive e le regioni frontali destre per quelle negative (Wheeler, R.E. et al., 1993).

In esperimenti con piccoli di scimmia il grado di asimmetria prefrontale destra oltre a correlarsi con comportamenti relativi alla paura, si correla anche con i livelli di base dell’ormone dello stress, riscontrabili nel picco mattutino diurno di secrezione di cortisolo (Kalin, N. H., Larson, C., Shelton, S. E., & Davidson, R. J. , 1998). I nuclei basolaterali dell’amigdala sono connessi con i gangli alla base per i comportamenti di azione ed evitamento, con l’ippocampo per il consolidamento di memorie emotive e con la corteccia orbitofrontale per le scelte ‘emotive’ (E.T. Rolls, 2015). Ciascuna dimensione emotiva può guidare aspetti distinti dell’elaborazione mnemonica ed è per questo che si spiega il ruolo dell’amigdala nella modulazione della memoria e nel potenziamento dei processi di consolidamento in altre regioni del cervello dopo il verificarsi di un episodio emozionale. Uno stress elevato può compromettere il recupero dei ricordi, come può testimoniare chiunque abbia tenuto un discorso in pubblico o sostenuto un esame. La risposta di stress coinvolge il nucleo paraventricolare dell’ipotalamo, il lobo anteriore della ghiandola ipofisaria e la corteccia della ghiandola surrenale, che costituiscono comunemente l’asse ipotalamo- ipofisi-surrene (HPA). Le regioni del prosencefalo limbico e il tronco encefalico sono importanti regolatori dell’asse HPA e sono anche bersagli delle conseguenze neurocognitive a lungo termine dello stress (Roozendaal, B., McEwen, B. S., & Chattarji, S. , 2009).

Il nucleo del tratto solitario del tronco encefalico integra le informazioni provenienti da sorgenti limbiche e viscerali. L’amigdala (nuclei centrali e mediali) svolge un ruolo di retroazione dell’asse HPA, promuovendo lo stress attraverso il nucleo del letto della stria terminale, il nucleo del tratto solitario e l’ipotalamo. Lo stressor aumenta l’arborizzazione nell’amigdala, associata ad un maggior condizionamento della paura. In particolare, quindi sottolineiamo il ruolo del nucleo della stria terminale (BNST) e dei fattori di liberazione della corticotropina e della vasopressina che agiscono per

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Possiamo quindi pensare che le terapie per l’ansia sociale, in funzione della regolazione emotiva, sia da un punto di vista di appraisal (valutazione cognitiva) che di arousal (attivazione fisiologica), puntino a modulare:

1) in maniera positiva l’attività della corteccia prefrontale ventromediale, che ha un ruolo nell’estinzione della paura, e che è ipoattiva se si è esposti ad eventi traumatici e dell’ippocampo, che risente molto del distress, durante lo stato d’ansia;

2) in maniera negativa l’attività dell’amigdala, iperattiva durante l’esposizione a eventi traumatici (Handbook of Emotions: Lewis, M., Barrett, L., Haviland-Jones, J., 2008; Principles of Neuroscience: Kandel, E., Jessell, T., Schwartz, J., 2013).

1.2

Test Anxiety: l’ansia sociale di performance degli studenti

Un caso particolare di ansia sociale, che può essere classificata come un tipo di ansia ‘di performance’, è la cosiddetta ansia da esame. Molti studenti hanno una paura terribile di affrontare gli esami ma riescono a tollerare i sintomi abbastanza da non abbandonare gli studi, mentre molti altri sono nervosi prima di un esame ma esperiscono un livello adeguato di stress o ansia, e questo può essere di aiuto per la performance. Infatti, una leggera ansia anticipatoria è un fenomeno del tutto normale e utile per mantenere uno stato mentale vigile e fisico attivato (Sarason, I.G. Sarason, B.G. Pierce, G.R., 1995; Cassady, J.C. e Johnson, R.E., 2002; Birjandi P., 2010). Quando il distress e l’attivazione diventano eccessivi però l’ansia interferisce con l’apprendimento e la prestazione e possiamo parlare di “Test anxiety” (Salend, S. J., 2012; Sarason, I.G. e Stoops, R. 1978). A parità di preparazione e abilità, infatti, gli studenti più ansiosi ottengono prestazioni peggiori dei meno ansiosi (Hembree R., 1988). Chi soffre di ansia da esame:

• tende a percepire dentro di sé una forte paura di non essere abbastanza preparato per superare la prova;

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• si preoccupa di fare una brutta figura davanti agli altri e di perdere la loro stima;

• ha paura delle conseguenze che un esito negativo potrebbe avere su di sé in termini di stima o ancora di quelle che potrebbero essere le reazioni dei propri familiari;

• è spesso consapevole che la propria paura è esagerata, ma non riesce a “tenerla a freno”.

Il giudizio in ambito accademico genera un’attivazione emotiva negativa e un’attivazione del sistema nervoso autonomo estrema che, uniti alla preoccupazione di fallire una prova d’esame, diminuisce la concentrazione e la prestazione (Deffenbacher, J.L., 1980; Cassady, J.C., 2004). Non rientrano in questa categoria persone affette da disturbi d’apprendimento e del linguaggio.

I fallimenti accademici costanti hanno pesanti ripercussioni non solo sulla vita scolastica (Baker, D., & LeTendre, G. K. , 2005). Infatti, l’estremo livello di ansia vissuto da questi studenti costituisce un vero e proprio fattore invalidante (Zeidner, M. 2007). Le conseguenze possono essere: abbandono degli studi, disturbi del sonno, abuso di alcol o caffeina (Kring, A. M., Davison, G. C., Neale, J. M., & Johnson, S. L., 2007). Tra le possibili cause si annoverano una storia di brutti voti e poca preparazione o episodi di fallimento passati (Cherry, K., 2012).

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I sintomi più o meno severi, esperiti prima o durante un esame, comprendono:

1) Sintomi fisici come profusa sudorazione, tremori, tachicardia, secchezza della bocca, nausea, problemi gastro-intestinali collegati ad un’attivazione negativa emotiva. Nei casi con ansia lieve il sintomo di tensione più esperito è simile “ad avere le farfalle nello stomaco”, mentre i casi più gravi possono sfociare in attacchi di panico;

2) Sintomi cognitivi che portano agitazione e comportamenti come l’evitamento degli esami: anche se sono sicuri di conoscere le risposte alle domande della prova e aver studiato a fondo, gli studenti hanno una concezione negativa di se stessi e pensieri confusi e rapidi, che si ripetono in un circolo vizioso. Questi portano a difficoltà di concentrazione, in alcuni casi ad un blocco o vuoto di memoria completo e quindi al fallimento della prova;

3) Sintomi emotivi come umore depresso, angoscia, preoccupazione, ‘sentirsi sopraffatti’, frustrazione, bassa autostima, rabbia e rassegnazione (Centro Europeo per i disturbi d’ansia ed emotivi, CEDANS).

Che effetti ha l’ansia sulla performance a livello cognitivo? Una delle teorie più accreditate della psicologia cognitiva è la “Teoria dell’efficienza del processamento” sviluppata da Eysenck e Calvo nel 1992 e aggiornata nella “Teoria del Controllo Attenzionale” (Eysenck, M. W., Derakshan, N., Santos, R., & Calvo, M. G., 2007). Entrambe le teorie sostengono la fondamentale distinzione tra la ‘performance effectiveness’ (la qualità e l’efficacia della performance) e ‘processing efficiency’ (l’efficienza del processamento ovvero la relazione tra la qualità della performance e l’utilizzo delle risorse di elaborazione cognitiva); sostengono inoltre che l’ansia comprometta l’efficienza del processamento in misura maggiore rispetto alla qualità della performance. Infatti, entrambe le teorie affermano che l’ansia alteri l’efficienza dell’esecutivo centrale della memoria di lavoro. Inoltre, la teoria del controllo attenzionale sostiene che l’ansia abbia un impatto negativo sull’efficienza di due tipi di controllo: il controllo attenzionale negativo, coinvolto nell’inibizione di stimoli non rilevanti per il task che si sta effettuando, e il controllo attenzionale, coinvolto invece

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nello spostare facilmente l’attenzione tra diversi task per massimizzare il risultato della prestazione. La ‘test anxiety’ ha un effetto negativo sul problem-solving ma per quanto riguarda compiti aritmetici basilari solo gli studenti con una minore Working Memory sono colpiti dall’ansia per la prova (Korhonen, J. et al., 2015). Negli Usa la ‘worry’ sembra essere la componente critica dell’ansia da esame che riguarda maggiormente il compimento della performance (Deffenbacher,J. 1980; Galeazzi A. e Meazzini, P., 2004). Le componenti che costituiscono la ‘test anxiety’ maggiormente menzionate negli studi sono “worry” e “emotionality” (Unruh, S. M. e Lowe, P. A., 2010). L’ansia da esame può essere vista come un tratto di personalità situazione-specifico (Spielberger, C.D., 2010).

Il fenomeno è stato studiato ufficialmente nei primi anni ’50 da George Mandler e Seymour Sarason. Il fratello, Irwin G. Sarason, ha apportato un enorme contribuito alla valutazione dell’ansia prima degli esami, chiarendo la relazione tra gli effetti della ‘test anxiety’, le altre forme di ansia e l’ansia generalizzata (Sarason, I.G., 1957). Per l’assessment nel 1977 Irwin Sarason creò la Test Anxiety Scale, composta da 37 items ‘Vero’ o ‘Falso’ (21 nel 1957) e a questo strumento ne sono conseguiti altri come il Test Anxiety Inventory (Spielberger, C.D., 1980), che è composto da 20 items e si basa su due sottoscale ‘Worry’ e ‘Emotionality’. Un ultimo strumento di screening molto breve che citiamo è la Westside Test Anxiety Scale (R. Driscoll, 2004) composto da 10 items e che utilizzeremo nei questionari somministrati per il campionamento nel nostro studio.

In Italia il fenomeno è stato studiato soprattutto all’Università di Padova da Anna Laura Comunian tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90 con il tentativo di mettere in relazione depressione, ansia e l’autoefficacia su studenti dai 15 ai 17 anni. Nel 1993 Comunian indagò la relazione tra test-anxiety e performance scolastica, partendo dal presupposto che fosse mediata dallo stress che producono la valutazione e l’interferenza cognitiva. L’interferenza cognitiva occupa il territorio tra personalità e intelligenza: si crea infatti quando dei pensieri si intromettono nell’attività legata al task da svolgere e che provocano la riduzione del livello della performance. Esistono aspetti della nostra personalità che possono costituire delle preoccupazioni personali che disturbano e interferiscono con l’attenzione al compito da portare a termine. La personalità può facilitare la performance (pensieri di essere assorbiti nell’attività che

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stiamo svolgendo e di alta motivazione) oppure può peggiorarla (pensieri di preoccupazione per le conseguenze e per fallimento (Irwin G. Sarason, Barbara R. Sarason, Gregory R. Pierce, 1995). Comunian studiò l’interazione tra interferenza cognitiva, ansia da compito e prestazione scolastica di 300 bambini dagli 11 ai 13 anni (150 maschi e 150 femmine). I risultati mostrarono la relazione positiva tra interferenza cognitiva e ansia da compito e negativa tra queste due e la performance scolastica.

È stato dimostrato che la ‘test anxiety’ è presente in studenti di entrambi i sessi, più o meno giovani (Sowa, C.J. e LaFleur, N.K., 1986). Gli studenti più giovani però registrano livelli più alti di ansia rispetto ai soggetti con un’ età maggiore a causa di strategie di coping meno efficaci (Aysan F. et al., 2001). Gli studenti utilizzano sia strategie di coping centrato sul problema, cercando di minimizzare il distress, riducendo o eliminando lo stressor, sia strategie di coping centrato sull’emozione, limitandosi a tentare di controllare l’arousal emotivo e il distress (Kaiseler M. et al., 2009; Cohen M. et al., 2008): il secondo è segno spesso di maggiore distress durante il percorso scolastico (Penley, J.A. et al., 2002; Ben-Zur,H., 2003). Ulteriori ricerche hanno confermato che una più alta considerazione di sé è direttamente proporzionale a una maggiore realizzazione accademica (Khalaila, R. 2015), così come una più alta autostima è associata a maggiori successi scolastici (Arshad, M., 2015 e Alam, M., 2013). Il supporto sociale e la gentilezza, di compagni e professori, sono fattori protettivi per l’ansia da esame e per il distress scolastico e aumentano le possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati (Trew J. e Alden L., 2015). Considerevoli abilità nello studio (l’organizzazione delle tempistiche, la velocità nel leggere, la comprensione del testo, concentrazione, prendere appunti, ecc.) e una più alta aspettativa nei propri confronti indicano una maggiore test anxiety (Hailikari T. et al., 2018; Khalaila, R. 2015; Trautwein U. et al., 2006; Chapell, M. S. et al., 2005; Brisset C. et al., 2010; Duraku, Z.H. e Hoxha, L., 2018).

Una maggiore capacità di autocontrollo predice un minor impatto dell’ansia a livello cognitivo e sulla prestazione di studenti delle scuole medie per verifiche di matematica (Bertrams,A., Baumeister, R.F. ed Englert, C., 2016).

L’ansia per gli esami e la performance accademica sono associate anche alla mole di studio, alle forme di valutazione (tipi e modalità d’esame), alla competizione tra

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compagni e alle caratteristiche del professore (Fairbrother, K. e Warn, J., 2003). È stato dimostrato che la pressione data dallo scorrere del tempo per il completamento del task e l’ansia da esame presentano un effetto negativo sulla performance cognitiva (Orfus S., 2008). Principalmente queste ultime affermazioni ci saranno utili per giustificare alcune scelte del nostro protocollo sperimentale.

Come tenta il soggetto con ansia da esame di affrontare l’esame e trovare soluzioni? • Studia alla “perfezione” credendo che ciò contribuisca a un’ottima performance,

cosa che produce la sensazione di non sentirsi mai abbastanza preparati e quindi un blocco;

• Evita di presentarsi alla prova o rimandare ad libitum;

• Cerca di scacciare o cancellare i pensieri negativi rispetto all’andamento della prova;

• In alcuni casi utilizza rituali od oggetti portafortuna; • Si fa accompagnare da un parente, amico o partner;

• Durante l’esame: cerca di controllare le proprie reazioni emotive che producono la perdita del controllo.

Risulta indispensabile andare ad individuare queste “tentate soluzioni” ridondanti al fine di intervenire per rompere il circolo vizioso che mantiene il problema. Ciò risulta possibile grazie all’utilizzo di tecniche che permettono di affrontare le proprie paure, facendo in modo che queste da debolezza, si trasformino in coraggio (Algeri, D. 2018). Per esempio, mettere per iscritto le proprie preoccupazioni circa l’esame, prima dello stesso, comporta maggiori risultati positivi per la prestazione (Ramirez, G. e Beilock, S., 2011).

Esistono in generale alcune strategie utili per arrivare all’esame con la giusta dose di ansia.

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28 Prima dell’esame:

• Programmare un piano di studi, stendere un’agenda dividendo la materia in piccole parti, inserendole nelle diverse giornate a disposizione, calcolandosi anche i possibili giorni per il ripasso;

• Studiare con un collega, aiuta da un lato a trovare qualcuno con cui avere un confronto su ciò che si è fatto fino a quel punto e su come lo si è fatto e dall’altro a ridurre lo stress grazie alla condivisione;

• Concedersi delle pause per staccare, dedicare del tempo per se stessi, per attività all’aperto, per gli amici (2017, Consigli per la Maturità, Paola Vinciguerra); • Evitare di mettere il proprio fisico troppo sotto sforzo, cercando di dormire ed

evitando cibi pesanti e caffè la sera;

• Provare a domandarsi spesso “verrò valutato per quello che sono o piuttosto per la conoscenza della materia?”

• Evitare di studiare sul letto ed effettuare esercizi di respirazione profonda, concentrandosi su un ricordo felice della propria vita, quando arrivano ‘i pensieri negativi’ e la tensione è forte.

Durante l’esame:

• dichiarare la propria paura (fin da subito) se l’ansia è molto forte, prima che questa prevalga, aiuterà ad alleggerire lo stato di tensione e contribuirà a migliorare la performance;

• esporre lentamente i contenuti, aiuta a prendersi più tempo per pensare.

In quest’ottica, la diffusione di sostanze odorose piacevoli durante la fase di studio preesame, potrebbe essere un’aggiunta efficace per facilitare la concentrazione e migliorare la prestazione. Nel nostro esperimento, come vedremo nella descrizione del protocollo, abbiamo simulato una situazione simile ad un esame orale, in cui la persona doveva prima comprendere e studiare un argomento e poi esporlo oralmente davanti ad un professore seduto davanti a lui. Oltre alla paura del fallimento e del giudizio, lo studente sapeva di essere ascoltato da me e da un pubblico di studenti via audio.

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Uno degli scopi del nostro esperimento quindi diventa trovare una soluzione di intervento, che affianchi le terapie psicologiche e farmacologiche già validate, per gli studenti prima che cadano nel circolo vizioso dell’ansia per esami. Per questo è bene aver presente le variazioni dei segnali fisiologici durante lo stato ansioso e investigare gli effetti ansiolitici di sostanze odoranti dimostrati nell’aromaterapia.

1.3 I parametri psicofisiologici e le risposte autonomiche

Le emozioni e il verificarsi di stati ansiosi sono sempre collegati ad un’attivazione neuronale centrale e ad un’ attivazione del sistema nervoso autonomo. In particolare, in risposta a stressors acuti si attiva il sistema simpatico, ‘a discapito’ di quello parasimpatico, e quest’attività può essere monitorata attraverso i nostri parametri vitali (Anatomia umana, vol. 3, Anastasi G., 2010). Considerando la letteratura e le caratteristiche della ‘Test anxiety’, i parametri di maggior interesse, che possono dimostrare una variazione tra rilassamento e stato ansioso (sociale di performance) e tra una situazione con trattamento/odore e senza, sono: attività neuronale misurata con l’elettroencefalogramma (EEG), per cui a seconda del numero di canali utilizzati, si possono registrare con elettrodi attività di gruppi differenti di neuroni; attività e frequenza cardiaca (Heart Rate e Heart Frequency), mediante l’elettrocardiogramma (ECG); la conduttanza cutanea (chiamata con diversi nomi Galvanic Skin Response (GSR), Skin Conductance Response (SCR), Sympathetic Skin Response (SSR), Skin Conductance (SC) o Electrodermal Activity (EDA)), che misura la conduttività elettrica dalla sudorazione della pelle con due elettrodi. Esiste poi una relazione tra stress (e quindi anche distress e ansia) e variazioni di ormoni come il cortisolo (asse ipotalamo-ipofisi-surrene), e specifiche proteine presenti nella saliva. Vedremo di seguito questi segnali elettrici e le componenti salivari in relazione a diversi stimoli emozionali.

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30 1.3.1 L’EEG

Fig. 3 e fig.4 da https://bioneurofeedback.wordpress.com e slideshare.net

L’attività elettrica dell’encefalo è misurata applicando degli elettrodi sulla cute del cuoio capelluto. Il ‘sistema internazionale 10-20’ ci spiega il posizionamento degli elettrodi: i punti di repère cranici sono ‘inion’ (sulla prominenza dell’osso occipitale) e ‘nasion’ (attaccatura superiore del naso, poco sotto e al centro delle sopracciglia) e un elettrodo viene posizionato al 10 o 20% della distanza tra I-N, che corrisponde al 100%, ovvero in media 36 centimetri. Proprio per rispettare anche nel nostro campione la grande variabilità interpersonale, porre gli elettrodi in maniera corretta e ridurre lo stress che può causare farsi attaccare degli elettrodi sullo scalpo, abbiamo misurato ogni volta le distanze con il sistema 10-20 e abbiamo utilizzato per la registrazione solo un totale di 6 elettrodi. È possibile però registrare fino a 256 canali con cuffie precablate. Alla posizione che ogni elettrodo occupa sullo scalpo fa riferimento una sigla. Le sigle che individuano la posizione di un elettrodo sono formate da una/due lettere, che permettono di identificare la regione della corteccia esplorata (Fp: frontopolare; F: frontale; C: centrale; P: parietale; T: temporale; O: occipitale) e da un numero (o una z) che identifica l'emisfero (numeri dispari: sinistra; numeri pari: destra; z: linea mediana). Gli elettrodi fronto-polari sono collocati al 10% (3-4 cm) della distanza I-N, sopra le sopracciglia, i frontali vengono collocati sulla stessa linea dei fronto-polari, più sopra del 20%, poi vengono i centrali (+ 20%), infine i parietali (+ 20%) e gli occipitali (+ 20%), con questi si arriva al 90% della distanza nasion-inion, ad una distanza del 10% dall'inion. I neuroni corticali sono organizzati in modo da formare ammassi colonnari ad orientamento perpendicolare alla superficie della corteccia cerebrale, di cui costituiscono le unità funzionali elementari. L'EEG è

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l'espressione dei processi sinaptici (potenziali elettrici pre- e post-sinaptici), di potenziali dendritici e probabilmente anche di potenziali della neuroglia (cellule di sostegno). I potenziali rilevabili tramite EEG sono quelli associati a correnti all'interno dell'encefalo che fluiscono perpendicolarmente rispetto allo scalpo. Le differenze di potenziale sono individuabili con tracciati grafici che evidenziano l'attività elettrica del cervello tramite la registrazione poligrafica. Al fine di valutare questa differenza di potenziale, le onde generate vengono valutate per la loro differenza in ampiezza o tensione (ed espresse in microVolt) ed in frequenza (ovvero in cicli per secondo (c/s) o Hz). Esistono ritmi di frequenza lenti e rapidi. Il ritmo delta (0.5-4 Hz) è tipico della fase del sonno profondo (n-REM). Esistono frequenze alfa (8-13 Hz), tipiche dello stato di veglia ad occhi chiusi con riposo mentale, che vedremo nella fase di rilassamento pre-task dello studio (più occipito-parietale). Il ritmo theta (4-8) è presente in fase di addormentamento, alternato dai fusi del sonno, in ipnosi e in alcuni stati di tensione emotiva. Theta-Sigma segue la pura fase Theta durante il sonno, quando cominciano a comparire piccoli treni di onde, dette Sigma, a frequenza di 12-14 Hz ai quali si aggiungono altri grafoelementi detti complessi K. Le onde beta (13.5-30) sono dominanti in un soggetto ad occhi aperti impegnato in qualsiasi attività e durante la fase REM; il ritmo è continuo soprattutto in fase di arousal. Le onde gamma (oltre i 30 Hz) misurano attività cognitive complesse (Testo-Atlante di

Elettroencefalografia Clinica, De Feo, M.R. e Mecarelli O., 2001).

Sulla base di vari studi EEG sull’attività cerebrale associata alle emozioni (Hofman, D. & Schutter, D., 2012; Knyazev, G. et al., 2006) è emerso che il fenomeno di cross-frequency coupling, che mette in evidenza l’accoppiamento tra vari tipi di oscillazione con differenti ampiezze come delta-alfa e delta-beta (Slow Waves-FastWaves), può fornire utili informazioni su particolari stati emotivi come stati d’ansia e motivazione associata ad avvicinamento o evitamento di situazioni, ma anche sugli effetti di trattamenti come per esempio la psicoterapia. Questi accoppiamenti tra onde lente e veloci sembrano indicare la sincronizzazione e la connessione tra centri sottocorticali e del sistema limbico e delle regioni corticali (Putman P., 2011). Vengono fatti accoppiamenti riferendosi alla fase (la frazione di periodo trascorsa di una funzione periodica come le onde EEG) o all’ampiezza (l’altezza del picco o cresta). Si sfruttano

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i momenti di picco delle due frequenze, iscrivendo la frequenza più alta ‘Beta’ nella frequenza più bassa ‘Delta’, estrapolando poi le componenti per l’accoppiamento.

Fig.5 da Berman, J., et al. (2012)

Jack Van Honk e colleghi (2004) dimostrarono che una singola somministrazione di testosterone riduceva la sensibilità alla punizione e aveva un effetto ansiolitico. Inoltre, per quanto riguarda il tracciato EEG, si notava un significativo aumento delle oscillazioni delta frontali (Schutter, D. & Van Honk, J., 2004) e una riduzione dell’accoppiamento delta-beta dopo la somministrazione di testosterone. L’inibizione del comportamento e lo stato d’ansia producono un aumento del cortisolo, l’ormone correlato allo stress. Alti livelli di cortisolo sono associati, nei soggetti sani, ad un incremento dell’accoppiamento di oscillazioni delta-beta frontali. Una singola somministrazione di cortisolo incrementa in maniera significativa l’accoppiamento tra oscillazioni delta e beta (Van Peer, J.M. et al, 2008).

Knyazev e colleghi nel 2005 dimostrarono che, quando i soggetti aspettavano cattive notizie l’accoppiamento tra onde delta e onde beta aumentava, a differenza invece della situazione opposta nella quale i soggetti aspettavano notizie buone. Sempre il ricercatore russo nel 2011 dimostrò che in una situazione ansiogena la correlazione delta-beta aumentava in aree corticali come la corteccia orbitofrontale e del cingolo

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