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Mobilitazione internazionale sul tema della criminalità organizzata

Politiche europee per la tutela della legalità

1. Mobilitazione internazionale sul tema della criminalità organizzata

Prima di analizzare il percorso che l’Europa Unita segue, e sta ancora seguendo, verso un’efficace lotta al crimine, è utile ripercorrere brevemente le tappe fondamentali del cammino internazionale in materia di crimine organizzato, un cammino che è stato precursore di quello europeo e che oggi cammina, invece, in parallelo con quest’ultimo.

Le Nazioni Unite, in particolare, si sono molto interessate al tema e, da quando anche l’Europa ha manifestato la sua sensibilità al riguardo, esiste una relazione di cooperazione informale tra le due107. Sicuramente le Nazioni Unite hanno molta più esperienza in materia, e i suoi documenti sono spesso usati come modello di partenza dall’Unione Europea, ma nel prossimo futuro questa relazione potrebbe invertirsi. Le due hanno formalizzato la loro collaborazione con un accordo, rinnovato nel 2005.

Nel 1950 l’Onu creò un comitato consultivo di esperti che si sarebbero dovuti riunire in congressi a cadenza quinquennale, con lo scopo di analizzare le tematiche relative alla prevenzione del crimine e alla giustizia penale. La prima strategia in materia risale agli anni ‘60, quando venne istituito il primo di tre trattati per il controllo della droga. Tuttavia, il concetto di TOC (Transnational Organized Crime) è stato sviluppato solo nel 1975, durante i preparativi per il quinto congresso delle Nazioni Unite “On the prevention of crime and the treatment of offenders” a Ginevra108.

Il termine Transnazionale è apparso per la prima volta in alcuni documenti preparatori intitolati “Cambiamenti nelle forme e nelle dimensioni della criminalità, nazionale e transnazionale” e redatti dal Segretariato dell’ONU, al fine di identificare e discutere di certi fenomeni criminali che oltrepassavano i confini nazionali. Era quella la prima volta che si parlava di una nuova dimensione del crimine organizzato, quella transnazionale appunto. Tuttavia, durante il quinto Congresso, un peso rilevante venne

107 H. C. Carrapico, The European Union and Organized crime: the securitization of organized crime and

its embedment in the construction of a risk-based security policy, op. cit., p. 27.

108 M. Berdal, M. Serrano, Transnational Organized Crime and International Security. Business or

39 dato agli aspetti economici del crimine, in particolare agli effetti sui paesi in via di sviluppo, ritenuti particolarmente vulnerabili. In secondo luogo non si facevano collegamenti tra il crimine organizzato nazionale e quello transnazionale.

Transnazionale non era un attributo di crimine organizzato, ma una modalità

organizzativa dell’impresa criminale che, appunto, oltrepassava i confini nazionali. Il crimine organizzato faceva parte dei crimini transnazionali, esattamente come i traffici illegali di droga o la corruzione. Non si considerava il crimine organizzato transnazionale come un fenomeno a sè stante. Infine, nessuno di questi concetti era definito in maniera appropriata ed esaustiva. Da queste confusionarie conclusioni si evinceva, per esempio, che anche le multinazionali occidentali potevano essere tacciate di atteggiamenti criminali, perché attuavano comportamenti illeciti, abusi di potere economico a discapito dei paesi nei quali operavano, e che un maggior controllo su di loro era necessario. Da questo si capisce quanta confusione ci fosse sull’argomento dato che, prescindendo dall’indubbia veridicità delle conclusioni riportate sulle multinazionali, un’organizzazione criminale transnazionale è ben altra cosa. Il crimine come organizzazione ricopriva solo un ruolo sullo sfondo, vago e indefinito. Non vennero fatti molti progressi da quel momento in poi. Le definizioni giuridiche restarono vaghe e solo dal punto di vista teorico-criminologico vennero fatte alcune ripartizioni, ma poco riscontrabili empiricamente, trattandosi di un fenomeno tanto variegato ed ibrido.

Cinque anni dopo, durante il sesto Congresso a Caracas, nel 1980, l’Assemblea Generale dell’Onu espresse preoccupazioni riguardo allo sviluppo del crimine come minaccia alla società e incaricò la Commissione sulla Prevenzione e il Controllo del Crimine di dare particolare attenzione a questo trend nella formulazione dell’agenda per il Settimo Congresso. In effetti venne posta nuova enfasi sulla condizione delle vittime di abusi di potere, raggruppate tutte sotto un’unica nomenclatura, e il ruolo delle corporazioni transnazionali scomparve. Tuttavia, il termine crimine transnazionale venne usato con molta parsimonia.

Un’altra tappa fondamentale fu la ratifica della Convenzione ONU contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, a Vienna nel 1988. Questa rispecchiava le intenzioni dei politici e legislatori americani proibizionisti, in guerra aperta contro le droghe, di internazionalizzare le politiche americane. Fu la prima convenzione che trattò, anche se indirettamente, le possibilità di repressione del crimine organizzato (con particolare riferimento alle organizzazioni che si occupavano

40 di traffici di droga) con strumenti efficaci, e in una dimensione multilaterale109. I punti di accordo della precedente conferenza vennero ripresi all’Ottavo Congresso all’Havana, 27 agosto – 7 settembre 1990, ma non vi furono significativi passi in avanti. Anzi, il termine transnazionale venne rimpiazzato da transborder.

Nel 1991 l’Assemblea generale dell’ONU istituì una Commissione per la Prevenzione del Crimine e la Giustizia Penale come organo sussidiario del Consiglio Economico e Sociale dell’ONU (con risoluzione 1992/1). La “Commissione Crimine” (CCPCJ) fu incaricata di deliberare politiche di contrasto alla criminalità internazionale e transnazionale. Cominciò i suoi lavori nel 1992 mettendo tra le sue priorità non solo il crimine transnazionale, ma anche il crimine organizzato, il crimine economico, compreso il riciclaccio di denaro, e i crimini ambientali. Vi erano importanti riferimenti anche alla prevenzione del crimine nelle aree urbane (criminalità giovanile) e al miglioramento dell’efficienza e “dell’umanità” dei sistemi di amministrazione della giustizia penale. La Commissione funge oggi anche da organo preparatorio ai Congressi delle Nazioni Unite sul crimine110. Il delegato italiano della prima sessione della Commissione fu Giovanni Falcone che, proprio in quell’occasione, propose l’idea di una Conferenza Internazionale sul tema del crimine organizzato nazionale e transnazionale e sulla possibilità di una cooperazione multilaterale. Questa conferenza si tenne a Napoli, dal 21 al 23 novembre 1994.

Prima di passare alla trattazione della Conferenza di Napoli e della Convenzione di Palermo sembra importante ricordare due ulteriori tappe. Innanzi tutto, sempre nel 1994, il termine transnazionale venne ripreso anche in occasione della Quarta analisi delle Nazioni Unite sulle Tendenze del Crimine e sui Sistemi di Giustizia Penale. Secondo l’analisi, transnazionali erano quei reati la cui commissione, prevenzione, effetti diretti o indiretti coinvolgevano più Paesi. Quindi, la caratteristica della transnazionalità era riconducibile non solo alle peculiarità delle attività criminali, ma anche alle loro conseguenze e all’azione repressiva per contrastarle. E’ opinione comune di molti studiosi che l’intento di quelle dichiarazioni fosse quello di fornire una definizione ampia del fenomeno, tale da giustificare l’ampliamento delle possibilità di cooperazione internazionale, incluso l’uso di strumenti intergovernativi di repressione e

109

Le conclusioni della Convenzione del 1988 servirono senza dubbio come spunto per la più esaustiva convenzione di Palermo, nella quale venne riservato più spazio alle misure preventive e all’assistenza tecnica internazionale.

41 prevenzione. La seconda importante tappa fu, nel 1997, la creazione dell’UNODOC, United Nation Office for Drugs and crime, ancora oggi riconosciuto per il suo ruolo guida nella formulazione di politiche contro il crimine organizzato.

1.1 La Conferenza di Napoli e la Convenzione di Palermo

Alla conferenza ministeriale mondiale sul crimine organizzato transnazionale, tenutasi a Napoli nel novembre 1994, parteciparono 2000 rappresentanti di 142 nazioni. La Conferenza costituisce il punto di svolta del dibattito internazionale sul tema, soprattutto per la nuova enfasi data alla complessità e alla diffusione del fenomeno della criminalità organizzata transnazionale e alla sua capacità di penetrazione dei confini nazionali. Fu la prima volta che il Crimine Transnazionale Organizzato venne precisamente definito nel senso che oggi gli si riconosce111. Si proclamò, inoltre, l’urgenza di intraprendere un’azione globale per contrastarlo. Le soluzioni allora prospettate si riferivano a un rafforzamento delle legislazioni e a una maggiore collaborazione tra gli Stati, sulla base dell’esempio delle legislazioni nazionali allora esistenti più avanzate in materia (Italia e Stati Uniti). Durante la Conferenza i delegati formularono una Dichiarazione politica e un piano di azione Globale, che divennero parte integrante dell’apparato giuridico dell’Assemblea Generale dell’ONU. Nella Dichiarazione e nel Piano di azione i partecipanti al meeting dichiararono di essere «deeply concerned about the dramatic growth of organized crime over the past decade and about its global reach, which constitute a threat to the internal security and stability of sovereign States» e «alarmed by the high cost of organized transnational crime in both human and material terms, as well as by its effect on National economies, the global financial system, and the rule of law and fundamental social values112».

Sebbene le dichiarazioni di portata generale rappresentassero sentimenti largamente condivisi, l’accordo venne meno su alcuni punti più specifici, tanto da inficiare il raggiungimento di obiettivi concreti113. Il piano d’azione fu formulato,

111

F. Allum, S. Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organised Crime, op. cit., p. 38.

112 Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Napoli, novembre 1994. 113

42 infatti, con estrema prudenza, poiché vi erano divergenti opinioni su alcuni aspetti del tema del crimine organizzato. In particolare fu difficile raggiungere l’unanimità sul Piano d’azione Globale quando si andarono a toccare argomenti delicati quali il riciclaggio e il segreto bancario: gli Stati non volevano che uno strumento normativo internazionale potesse compromettere i loro interessi economici e la loro sovranità.

Il risultato più importante fu la decisione, sancita al paragrafo 34 del Piano d’azione Globale, di istituire una Commissione ad Hoc per la formulazione di una Convenzione contro il crimine transnazionale. Dal quel momento, sino alla risoluzione che diede vita alla Convenzione ad hoc, si tentò in ogni modo di conciliare uno strumento normativo di tale portata con i singoli apparati legislativi nazionali, superando, con non poche difficoltà, le resistenze dei paesi più scettici (USA e alcuni membri dell’UE). Ecco perché furono necessarie diverse conferenze ministeriali (Buenos Aires nel 1995, Dakar nel 1997, Manila nel 1998) perché si arrivasse ad un accordo, perlomeno su una definizione comunemente accettata di criminalità organizzata.

La Commissione ad hoc partì nel 1999 gennaio, dopo la risoluzione 53/111 dell’Assemblea Generale, e fu presieduta la Luigi Lauriola. In dieci sessioni si riuscì a formulare un testo da presentare all’Assemblea generale. Ma i lavori della Commissione proseguirono sino alla formulazione di tre protocolli, che perfezionavano il trattamento di alcune peculiari situazioni, quali la tratta degli esseri umani, il traffico illegale di migranti via mare, terra e aria, la produzione illecita e il commercio di armi da fuoco. Il testo finale fu approvato dall’Assemblea Generale nel dicembre 2000, con il nome di

Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, durante

la conferenza di Palermo, da cui prese il nome abbreviato di Convenzione di Palermo. La ratifica iniziò immediatamente e la Convenzione entrò finalmente in vigore nel 2003. I contenuti della Convenzione rispecchiavano, tutto sommato, gli obiettivi posti durante la Conferenza di Napoli, anche se rimaneva piuttosto vaga la definizione di TOC, in quanto non veniva definito alcun stringente criterio in termini di numero di membri e di caratteristiche della struttura delle organizzazioni criminali. La mancanza di una definizione generale ed omogenea di criminalità organizzata, andava contro le previsioni del Piano di azione Globale, ma si rispettò la volontà del Piano di focalizzarsi sulle caratteristiche generiche della criminalità, evitando una lista specifica di crimini che avesse potuto, in qualche modo, limitare il concetto. Lo scopo della Convenzione, come sancito nell’articolo 1, è quello di «promuovere la cooperazione per prevenire e

43 combattere il crimine organizzato transnazionale in maniera più efficace114». Gli ambiti di applicazione della Convenzione sono invece elencati nell’articolo 3: partecipazione in un gruppo criminale organizzato, riciclaggio di denaro, corruzione, ostruzione alla giustizia, crimini seri, se di natura transnazionale e se riguardano gruppi criminali organizzati115.

A un primo esame si nota come gli ambiti di applicazione siano molto vasti, non troppo definiti e di conseguenza poco incisivi. Inoltre il principio di non intervento nel rispetto della sovranità statale, sancito dall’articolo 4, riduce in parte l’efficacia di questo strumento. L’applicazione della convenzione non ha chiari confini116 e non ci sono riferimenti alle possibili cause del crimine117. Tuttavia ha dei meriti: per la prima volta il termine transnazionale non è più solo descrittivo, ma diventa una tipologia criminale a sè stante. Per la prima volta il crimine organizzato transnazionale diventa un dato concreto, un nemico reale.