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Criminalità Organizzata Transnazionale nell’area Balcanica.

3.2 Una Serbia europea

Nel giugno 2004 Boris Tadić, del Partito Democratico come il premier Koštunica, venne eletto presidente, per essere riconfermato 4 anni dopo, nelle elezioni del gennaio 2008. Le elezioni del 2008 hanno rappresentato molto di più che la scelta del nuovo presidente, poiché hanno sancito la volontà popolare su importanti questioni di politica interna e internazionale. La rielezione di Tadić ha avuto un particolare

296

Ž. Cvijanović, Belgrado: svolta nel "processo Ðinđić", in Osservatorio Balcani e Caucaso, 12 maggio 2004.

297 D. Nenadić, Morte di un testimone non protetto, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 15 giugno 2006. 298 Ibidem.

299

110 significato perchè gli elettori, con un'affluenza davvero eccezionale per la Serbia, hanno mostrato di voler procedere sulla via dell’integrazione europea e della risoluzione della controversia con il Kosovo300.

Durante questi anni la mafia ha continuato, tra alti e bassi, ad avere un ruolo da protagonista nella politica serba. Tadić si è dimostrato particolarmente attento alla lotta al crimine organizzato in Serbia, pronto a toccarne gli interessi fondamentali e diventando un bersaglio delle organizzazioni criminali. Infatti, nell’aprile del 2010 «la polizia serba, - si legge in un articolo sul sito del giornale online Eastjournal - con il fondamentale supporto della Dea (la Drug Enforcement Administration americana), ha portato avanti due operazioni contro il narcotraffico»301.

Durante la presidenza Tadić, nell’arco di pochi anni, sono stati arrestati potentissimi criminali serbi, accusati di gravi crimini contro l’umanità e da anni ricercati dalla polizia internazionale. Radovan Karadžić è stato il primo ad essere arrestato, nel luglio del 2008. Si legge su Repubblica: «Karadžić è ritenuto responsabile di genocidio per l'assedio di Sarajevo, durato 43 mesi e costato la vita a dodicimila persone, e per la strage di Srebrenica del 1995, che ha portato al massacro di ottomila musulmani302». Nel maggio 2011 anche il criminale Ratko Mladić è stato catturato, dopo lunghissimi anni di latitanza. È accusato di aver organizzato la strage di Srebrenica. I collegamenti tra Mladić e il crimine organizzato sono ben evidenziati in un articolo di Francesco Martino: «Secondo la Procura internazionale, Mladić era parte di un'associazione criminale il cui scopo era quello di eliminare o deportare bosniaco musulmani (bosgnacchi), bosniaco croati o altre persone di nazionalità non serba da vaste aree della Bosnia Erzegovina303». Tra i membri di questa associazione criminale figurano moltissimi esponenti dell’ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e poi della Repubblica di Serbia, tra i quali Slobodan Milošević. Nel luglio 2011 è arrivato l'arresto di Goran Hadžić, ultimo ricercato dal tribunale dell'Aja ancora latitante. Goran Hadžić, ex presidente della Repubblica Serba di Kraijna, era ricercato per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Molti si sono chiesti se in realtà questi arresti siano stati opportunamente organizzati proprio in un momento in cui alla Serbia servivano

300

F. Martino, Tadic di nuovo presidente, in Osservatorio Balcani e Caucaso 4 febbraio 2008.

301 Zola M., Amaro Montenegro – tra mafia, cocaina e affari sporchi, in Eastjournal, 24 giugno 2010. 302 La Repubblica, Bosnia, arrestato Karadzic. Era latitante da 13 anni, 21 luglio 2008.

303 F. Martino, Tadić: abbiamo arrestato Ratko Mladić, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 26 maggio 2011.

111 dimostrazioni concrete per avere credibilità di fronte all’Unione Europea, ma Tadić ha respinto ogni accusa.

La Serbia ha proseguito sul sentiero verso l’integrazione europea, con l’elezione del presidente “europeista” Tomislav Nikolić nel 2012, tuttora presidente. Quello stesso anno la Serbia è ufficialmente diventata membro candidato all’ingresso nell’UE. Il cammino però si è rivelato più faticoso del previsto. Nel febbraio del 2013 il premier serbo Ivica Dačić si è trovato invischiato in una serie di accuse secondo le quali avrebbe legami con la mafia serba. In effetti, per sua stessa ammissione, il premier avrebbe frequentato esponenti del clan di Darko Sarić. Tra le accuse a suo carico ci sono anche quelle secondo cui il premier avrebbe concesso cariche ministeriali a membri della malavita304.

Gli scandali attorno alla figura di Dačić hanno portato alle elezioni anticipate nel marzo del 2014, che hanno visto vincitore il Partito Progressista Serbo (SNS). Aleksandar Vučić è attualmente il nuovo primo ministro. Vučić ha dichiarato prioritaria per il suo governo la lotta alla corruzione e alla criminalità. Nonostante i clamori che hanno portato alle sue dimissioni, Dačić non è stato allontanato dalla politica, ma ha assunto le cariche di vice-premier e ministro degli Esteri nel nuovo governo. In accordo alle sue dichiarazioni, in giugno, Aleksandar Vučić ha improvvisamente deciso di sostituire tutti i vertici della polizia serba. Secondo recenti indiscrezioni in effetti, il principale boss del narcotraffico serbo sarebbe attualmente Dragoslav Kosmajac, che ha goduto e continua a godere della protezione della polizia. Lo stesso Darko Šarić, durante un interrogatorio ha accusato il capo della polizia anti-crimine serba di proteggere gli affari della malavita305.

Il nuovo premier, inoltre, è stato molto chiaro sulle scelte che la Serbia intraprenderà, dichiarando che l’obiettivo più importante è l’integrazione nell’UE, anche rinunciando al sostegno di Mosca306. Tuttavia, questo risultato sembra ancora lontano: «Vučić governa in modo autoritario, - scrive Dragan Janjić - la credibilità e la capacità d'agire delle istituzioni sono seriamente compromesse, sempre più frequenti sono i casi di censura, in particolare su internet, di populismo e vi è un completo dominio della scena politica, senza praticamente dibattito pubblico e l'opposizione è

304 D. Janjić, Serbia: la sottile linea fra criminalità e politica, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 21 febbraio 2013.

305

D. Janjić, Serbia: epurazione di polizia, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 30 giugno 2014.

306 D. Janjić, Serbia, la svolta di Vučić verso Bruxelles, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 20 giugno

112 troppo debole per svolgere il ruolo chiave di controllo del potere nel sistema parlamentare307».

Secondo molti osservatori le scelte del governo Vučić potrebbero essere dettate più da calcoli circostanziali che da un’effettiva ventata d’europeismo. Secondo Dragan Janjić , infatti, i recenti accadimenti in Ucraina avrebbero portato a questo cambiamento di strategia. «È del tutto chiaro – prosegue Janjić - che l’influenza dell’Occidente e della Nato in Ucraina diventano molto maggiori di prima e che la Russia, a dispetto del fatto di essere riuscita ad annettersi la Crimea e ad innescare la rivolta nell’Ucraina orientale, si è ulteriormente indebolita. In breve, la capacità di Mosca di influire sugli accadimenti nei Balcani e di sostenere, economicamente e in altri modi, i potenziali alleati si è ridotta, il che significa che anche i motivi di un rafforzamento dell’alleanza tra Russia e Serbia sono svaniti308».

4.

Montenegro

La Repubblica del Montenegro è uno Stato indipendente dal 3 giugno 2006 quando, a seguito di un referendum, si è staccato dalla Repubblica di Serbia. Il Montenegro è stato parte della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia fino a che non si è disintegrata, nel 1992. Proprio quell’anno, la Serbia e il Montenegro, formarono una nuova federazione che, nel 2003, assunse il nome di Unione Statale di Serbia e Montenegro.

Già nei primi anni del 2000 il Montenegro aveva cominciato a rivendicare una certa autonomia e l’Unione del 2003 è, infatti, il risultato di una riformulazione del legami tra i due Paesi. Nel 2006 l’Unione ha cessato di esistere, lasciando due Stati perfettamente indipendenti. Il primo presidente della Repubblica del Montenegro è stato Filip Vujanović, tuttora in carica al suo terzo mandato. Nel corso degli anni la criminalità serba e quella montenegrina si sono spesso intrecciate. Tuttavia, ancor prima che ottenesse la piena autonomia, questo piccolo Stato balcanico si è imposto sulla scena internazionale per alcuni scandali che vedevano coinvolti importanti uomini politici.

307 Ibidem. 308

113 Milo Đukanović è stato un protagonista dell’arena politica montenegrina sin dai primi anni ‘90, salvo brevi pause, alternando la carica di primo ministro a quella di presidente. Fu un importante collaboratore di Milošević, fino a quando non decise di votarsi alla causa indipendentista. Durante i suoi 24 anni di carriera politica la sua credibilità è stata ripetutamente messa alla prova con accuse gravissime. Nel maggio del 2001 il giornale croato Nacional pubblicò un articolo che accusava Milo Đukanović di aver promosso il contrabbando illegale di sigarette dal Montenegro, in stretta collaborazione con vari boss della mafia balcanica. L’articolò suscitò un’ondata d’indignazione che si risolse con la creazione di una Commissione parlamentare d’inchiesta. La commissione non evidenziò nessuna prova concreta, e il caso si risolse in un nulla di fatto.

Tra i collaboratori mafiosi di Đukanović citati dal Nacional spiccava il nome di Stanko Subotic Cane, boss mafioso serbo, che ha avuto per anni un ruolo preponderante nel traffico di sigarette in Montenegro. I suoi collegamenti con il premier montenegrino sono venuti fuori dalle confessioni di alcuni pentiti, secondo i quali il traffico di sigarette non sarebbe l’unico crimine di cui il premier si è macchiato. In particolare, un collaboratore di giustizia ha accusato Đukanović di essere il mandante dell’omicidio di Goran Zugic, Consigliere per la sicurezza di Stato. «Sia Zugic sia Đukanović sarebbero stati inoltre nel libro paga di Subotic, con un appannaggio mensile di 100.000 marchi tedeschi – si legge sul sito online dell’Osservatorio Balcani e Caucaso -. Ma non basta: tra i personaggi sospettati di essere stati corrotti da Subotic ci sarebbe anche il Primo ministro macedone - Ljupco Georgijevski»309.

In realtà Milo Đukanović era indagato dal 1999 dalla direzione distrettuale antimafia di Bari che, nel 2002, ha notificato l’accusa nei suoi confronti: organizzazione e gestione di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sigarette di contrabbando. Secondo il pubblico ministero Giuseppe Scelsi, il premier importava in Montenegro dalla Svizzera migliaia di tonnellate di sigarette, che poi introduceva in Italia illegalmente grazie alla collaborazione di alcuni criminali, tra cui spicca il nome di Paolo Savino. Anche Secondo la DDA di Bari, Đukanović si è avvalso dell’aiuto di Subotic, che aveva il compito si riciclare il denaro guadagnato con le operazioni di contrabbando. «Secondo l'accusa, - scrive Gilić - Subotic avrebbe trasportato dalla Svizzera in Montenegro e poi a Cipro il denaro a bordo di tre aerei, uno

309

114 dei quali acquistato proprio grazie alla "tassa di transito" di sigarette che il governo montenegrino impose in quegli anni ai contrabbandieri. Il denaro sarebbe stato versato su un conto corrente nella Bank of Cyprus, e utilizzato per vari pagamenti e investimenti. Poi sarebbe stato trasferito nelle banche del Liechtenstein. La DDA di Bari accusa Ðukanović anche di aver agevolato il traffico illecito tramite la società pubblica "Zetatrans"; di aver garantito, tramite i vertici della polizia montenegrina, che i motoscafi dei contrabbandieri attraccassero nei porti di Zelenika e Bar, e di aver dato protezione ai latitanti italiani che si rifugiavano in Montenegro»310.

Ðukanović ha sempre negato le accuse, insistendo che «si trattava di un normale transito di merci, in accordo con le leggi jugoslave e con le normative in vigore in tutta l'Europa - riporta Tanja Bošković sul sito dell’Osservatorio Balcani e Caucaso -. Ðukanović ha ribadito che i soldi derivati da quell'attività hanno aiutato il Montenegro a resistere al doppio embargo, della comunità internazionale e del regime di Slobodan Milošević, per finanziare pensioni, scuole, ospedali311». In realtà dalle intercettazioni ricavate dalla DDA di Bari risulta che i traffici si riferiscono a un periodo che va dal 1998 al 2002 e quindi in parte successivo all'embargo312.

L'indagine della procura sulle responsabilità del premier si è conclusa nell’aprile 2009 con una richiesta di archiviazione per via dell'immunità diplomatica di Ðukanović. Nonostante Ðukanović abbia cercato di allontanare le accuse da sè, alcune circostanze che si sono verificate durante gli anni dei presunti traffici e anche dopo, rivelano un’altra verità. Importanti funzionari della polizia montenegrina e giornalisti, che sono probabilmente venuti in contatto con informazioni sui traffici di sigarette e droga, sono rimasti uccisi in circostanze misteriose. Nel 2000 è stato ucciso il consigliere presidenziale per la sicurezza, Goran Zugic. Nel 2001 è toccato a Darko Beli Raspopovic, capo della narcotici. Nel 2004, è morto Dusko Jovanovic, direttore del quotidiano di opposizione Dan. Il 30 agosto 2005 è stato ucciso il vice capo della polizia criminale, Slavoljub Scekic che stava indagando sull’omicidio di Jovanovic313. Lo stesso Pukanić, direttore del settimanale Nacional, che per primo aveva pubblicato le indiscrezioni su Ðukanović, è stato vittima di un attentato, nel 2008. A proposito di quest’ultimo episodio, Ratko Knežević, per anni collaboratore e diplomatico al servizio

310 J. Gilić, Bruciatura di sigaretta, in Osservatorio Balcani e Caucaso, giugno 2007.

311 T. Bošković, Djukanovic nel mirino della Procura di Napoli, in Osservatorio Balcani e Caucaso, 16

luglio 2003.

312 Ibidem. 313

115 del premier, durante il processo a Zagabria ha accusato Ðukanović e Subotić di essere i mandanti dell’omicidio del giornalista314.

Secondo le indagini dei servizi segreti occidentali l’ex premier montenegrino ha intrattenuto relazioni anche con un altro personaggio in vista nella mafia balcanica: Darko Šarić 315. «Nel giugno 2010 la Dea, - si legge sul giornale online Narcomafie - intercettando le telefonate di Šarić, ha scoperto che il boss versa alle banche del premier montenegrino il 20% dei proventi derivanti dal narcotraffico. Proprio Ðukanović, infine, si disse disponibile a concedere la cittadinanza a Šarić, cittadino serbo, nato però nel paesino di Pljevlja, tra le montagne del Montenegro settentrionale316». A confermare queste informazioni contribuiscono le rivelazioni sulla latitanza di Darko Šarić: «il governo montenegrino ha consentito al boss del narcotraffico Darko Šarić di lasciare il Montenegro proprio il giorno in cui la Serbia aveva spiccato nei suoi confronti il mandato di cattura internazionale».

Il quotidiano montenegrino Vjiesti ha pubblicato un resoconto dettagliato sulla latitanza e la cattura del boss, avvenuta nel marzo 2014: Šarić sarebbe si sarebbe spostato tra l’America Latina e la sua città natale in Montenegro, Pljevlja, fino a che non è stato localizzato dai servizi segreti serbi. A questo punto si sarebbe arreso senza condizioni. Stupisce che sia rimasto indisturbato mentre pendeva su di lui un mandato di cattura dell’Interpol, ma stupisce ancora di più che il governo del Montenegro non ne fosse a conoscenza. In effetti, Šarić ha sempre goduto di un certo favore tra i membri del governo montenegrino, che si sono sempre dichiarati pienamente favorevoli a concedergli la cittadinanza, nonostante fosse un ricercato internazionale317.

L’IFIMES (International Institute for Middle-East and Balkan Studies), in Slovenia, analizza regolarmente le condizioni dei paesi dell’Est Europa e dei Balcani, ed è arrivato a concludere nei suoi rapporti che i due decenni del regime di Milo Ðukanovic hanno ridotto la società montenegrina in condizioni misere. Il livello di corruzione è tra i più alti in Europa318. Le mafie dall’estero trovano nell’economia montenegrina la possibilità di riciclare denaro sporco. Secondo quanto scritto dal giornalista Canka nel 2010 «Un'ingente quantità di denaro guadagnato col traffico di droga sarebbe stata investita nel mercato immobiliare, depositata nelle banche e avrebbe

314 M. Canka, Sotto il segno della mafia, in Osservatorio Balcani e Caucaso, marzo 2010. 315

Zola M., Amaro Montenegro – tra mafia, cocaina e affari sporchi, in Eastjournal, 24 giugno 2010.

316 Notizia disponibile sul sito Narcomafie.it.

317 M. Canka, Sotto il segno della mafia, in Osservatorio Balcani e Caucaso, marzo 2010.

318International Institute for Middle-East and Balkan Studies (IFIMES), Presidential Election in

116 intaccato le aziende montenegrine319». Nel suo articolo il giornalista prosegue dicendo che l’economia del Montenegro si fonda ormai sul denaro messo in circolazione dai traffici illegali.

Questi episodi non hanno sicuramente agevolato il Monentegro durante il suo percorso di avvicinamento all’Unione Europa. «Negli ultimi anni Bruxelles aveva chiaramente lasciato intendere – scrive Riccardo de Mutiis - che il riconoscimento al Montenegro dello status di candidato a entrare nell’Unione era condizionato a un miglioramento della situazione interna sia sotto il profilo del comportamento della magistratura, ritenuta non indipendente e poco professionale, sia sotto quello dell’azione della pubblica amministrazione, giudicata corrotta e incompetente, sia infine sotto quello dell’Ordine pubblico, considerato gravemente compromesso dalla presenza diffusa della criminalità organizzata»320.

Tuttavia, nel dicembre 2010, è arrivata la notizia delle dimissioni di Ðukanovic e, subito dopo, quella del conferimento dello status di candidato all’ingresso nell’UE. Chiaramente l’uscita di scena del premier è stato un primo segnale di una volontà di miglioramento, ma, come espresso dalla stessa Commissione europea321, il percorso verso una reale legalizzazione della politica e dell’economia montenegrina è ancora lungo.

5.

La Mafia Albanese

Dopo una lunga dominazione ottomana, l’Albania si proclamò indipendente il 28 novembre del 1912, a seguito della Prima Guerra Balcanica (1912-1913). Di fatto, tuttavia, venne trasformata in un protettorato, sotto il controllo di sei nazioni, le stesse che un anno dopo si sarebbero scontrate nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1920, si decise di spartire l’Albania tra le potenze vincitrici, ma a questa decisione si oppose il presidente americano Wilson che, con i suoi 14 punti, stravolse le abitudini diplomatiche del vecchio continente. L’Albania divenne uno Stato realmente

319 M. Canka, Economia drogata, in Osservatorio Balcani e Caucaso, marzo 2010.

320 R. De Mutiis, Montenegro tra Europa e criminalità organizzata, East- Europe and Asia strategies, n.

35, aprile 2011, p. 40.

117 indipendente, e quello stesso anno entrò a far parte della Società delle Nazioni. Si susseguirono una serie di governi fino a che, nel 1924, venne eletto presidente Ahmet Zogu, che approvò una nuova costituzione e proclamò l'Albania una repubblica.

Nel 1928, il presidente Zogu cambiò improvvisamente linea politica, e decise di instaurare una monarchia costituzionale, sull’esempio italiano, autoproclamandosi re. Zogu mantenne il titolo di re fino al 1939 quando, a seguito dell’occupazione dell’Albania da parte dell’esercito italiano, il titolo passò a re Vittorio Emanuele III.

Quando la Seconda Guerra Mondiale volgeva ormai al termine, nel 1944, Enver Hoxha, a capo del Partito Comunista Albanese, prese il potere, manifestando l’intenzione di seguire rigidamente l’ortodossia sovietica. La sua ammirazione nei confronti di Stalin perdurò ben oltre il processo di destalinizzazione, tanto da procurargli l’isolamento dal resto dell’Europa comunista. I rapporti con la Jugoslavia si erano già interrotti nel 1948, quando Tito era stato espulso dal Cominform. Contrario all’allontanamento dell’URSS dall’ortodossia marxista-leninista, Hoxha decise di avvicinarsi alla Repubblica Popolare Cinese, in occasione della crisi sino-sovietica, peggiorando ulteriormente i rapporti con Mosca, fino al ritiro dell’Albania dal Patto di Varsavia, nel 1968. Nel 1976 anche i rapporti con la Cina si interruppero, a seguito della morte di Mao.

Il completo isolamento albanese contribuì alla persecuzione che Hoxha mise in atto contro gli oppositori politici, causando migliaia di vittime. Alla sua morte, nel 1985, Ramiz Alia prese il potere, attuando una serie di riforme e predisponendo una riapertura delle relazioni diplomatiche con l’Europa. Fino a quel momento l’Albania era vissuta per oltre cinquant’anni in isolamento e si sapeva davvero poco della sua organizzazione economica e politica.

Nel 1990 Alia reintrodusse il multipartitismo, segnando la fine del regime comunista e l’inizio di una nuova era per l’Albania. Venne introdotta gradualmente un’economia di mercato e si riaprirono i confini, causando l’esodo di migliaia di emigranti, in particolare verso l’Italia e la Grecia322. La privatizzazione, tuttavia, accompagnata dal collasso della produzione agricola e industriale e all’inflazione, causò un alto livello di disoccupazione e una diseguale divisione della ricchezza. Pochi imprenditori riuscirono ad accumulare grandi capitali rapidamente, mentre la stragrande

322 C. Fijnauti, L. Paoli, Organised Crime in Europe, concepts, patterns and control policies in the

118 maggioranza della popolazione cominciò a vedere peggiorate le proprie condizioni di vita.

Questa situazione offrì terreno fertile allo sviluppo delle famose piramidi finanziarie, una sorta di meccanismo di frode, attuato da aziende private fuori dal controllo dello Stato, o con il beneplacito dello stesso. Quasi tutte le famiglie albanesi depositavano i loro risparmi nei numerosi istituti bancari esistenti, con la promessa che questi sarebbero stati investiti. Ogni mese questi capitali in deposito maturavano interessi che i cittadini potevano decidere di intascare o di reinvestire. In realtà gli interessi provenivano da depositi di altri risparmiatori, creando una sorta di circolo in