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Non è possibile trattare il crimine come naturalmente connesso con l’essere umano, in quanto è anch’esso un costrutto sociale, nato come conseguenza di altri costrutti: l’illegale esiste da quando esiste la legalità. Partendo da questo discorso di portata generale possiamo però analizzare meglio le cause che stanno alla base di una particolare manifestazione della criminalità contemporanea, quella organizzata appunto. Il crimine organizzato ha avuto diversi sviluppi e diverse cause, a seconda delle aree di riferimento e dei periodi storici. In alcuni contesti, in particolare quelli relativi all’Est- Europa, lo Stato si è trovato a vacillare a causa di violente e repentine riconversioni

88 Ibidem. 89 Ibidem. 90

32 degli apparati politici, militari o economici91, e questo ha causato uno sviluppo della criminalità organizzata.

In generale, le cause che portano all’aggregazione criminale in forme associative stabili e strutturate hanno una dimensione endogena, o domestica per così dire, ed una esterna92. Nella dimensione domestica centrale è il rapporto con lo Stato. La natura e la forza relativa dell’apparato statale giocano un ruolo centrale nell’emergere e nel consolidarsi del crimine organizzato. «I networks illegali – scrivono Berdal e Serrano - nascono dalle viscere dell’apparato statale»93. Spesso la debolezza dello Stato, la mancanza del monopolio della coercizione e del controllo delle risorse politiche ed economiche hanno portato i governanti a stipulare contratti e accordi con gli altri attori dell’arena politico-economica. Senza contare che la criminalità si insinua proprio dove lo stato si ritira, abdica, lasciando tutto nelle mani di uno sterile proibizionismo. L’abdicazione al potere statale è in genere il primo fattore a favore dell’insediamento di un’impresa criminale. Schloenhardt scrive: «The determination of which goods and services are available in the illegal market strictly depends on the relevant laws. Hence, it can be stated that it is the decisions of the legislative authorities that create illegal markets with economic opportunities for criminal organizations. The larger the markets in which transactions are proscribed by the government, the greater are the incentives for organized crime94».

Tra le scelte politiche, il proibizionismo si è rivelato nel corso degli anni la maggiore causa dello stanziamento di attività criminali, tanto quanto la collusione. In qualche modo è una forma indiretta di accettazione delle attività criminali da parte dell’apparato politico. Chiaramente uno Stato debole è più vulnerabile a situazioni di questo genere, e il rischio aumenta se vi sono circostanze d’instabilità politico- economica. Se molti Stati tollerano la presenza di alcune attività illegali sul loro territorio, uno Stato debole è invece soggetto a stipulare veri e propri accordi, specie se l’attività illegale produce considerevoli cash flows95. Questo necessario incontro tra

sfera criminale e sfera politica avviene perché per lungo tempo lo Stato si è occupato anche di quelle attività che in seguito ha definito illegali. L’azione, la regolazione e la

91 F. Allum, S. Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organised Crime, op. cit., p. 3.

92 M. Berdal, M. Serrano, Transnational Organized Crime and International Security. Business or

Usual?, op. cit., p. 21.

93 Ivi, p. 22.

94 A. Schloenhardt, Organized crime and the business of migrant trafficking, op. cit., p. 207.

95 M. Berdal, M. Serrano, Transnational Organized Crime and International Security. Business or

33 proibizione dello Stato ha effetti diretti sulle attività criminali. Vietando determinati commerci di taluni beni e servizi lo Stato non solo crea mercati illegali, ma rinuncia, in quel campo, alla gran parte dei suoi poteri regolatori, lasciandolo alla mercè dei criminali. La proibizione è il focolaio da cui nasce la criminalità, creando mercati criminali di beni di cui, di fatto, continua a sussistere una domanda interna. «Dove il legale sistema giuridico rifiuta di esercitare il suo potere, - continuano Berdal e Serrano - il rischio che gruppi criminali si sviluppino e svolgano “funzioni pubbliche”, cresce considerevolmente»96.

Così avviene anche in scala transnazionale: l’internazionalizzazione delle politiche proibizioniste è stata una dei principali paradigmi esplicatori del crimine organizzato transnazionale. «L’internazionalizzazione [criminale] – concludono Berdal e Serrano - è precisamente un fenomeno che mira a soddisfare una domanda di beni e servizi che continuano a essere richiesti, nonostante siano stati proibiti o sottoposti a rigida regolamentazione, nazionale o internazionale»97. Senza contare che gli stessi confini nazionali hanno creato opportunità per lo sviluppo del crimine, con diversificati livelli di tassazione e incoerenze normative.

In generale, il problema delle proibizioni statali non sta nella loro effettiva positività o meno, ma nel livello di adesione del tessuto sociale, nella loro esecutività e accettazione. E’ chiaro che proibire del tutto qualcosa per il quale esiste una domanda potrà portare a situazioni paradossali dal punto di vista legale. Tutti riconosceranno che la definizione di cosa è lecito e cosa non lo è deriva da secoli di processi storici e politici. In alcuni campi l’impulso proibizionista dello Stato è stato persuasivo, come nel caso dell’abolizione della schiavitù ad esempio. Ma bisogna tener conto della lentezza dei processi storici di assimilazione e legittimazione di alcune norme98.

96 Ivi, pp. 15-16. 97 Ibidem.

98 M. Berdal, M. Serrano, Transnational Organized Crime and International Security. Business or

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5.1 Cause esogene

Nelle società postcomuniste i gruppi criminali, originatisi dal crollo del passato regime politico, hanno sviluppato una struttura più complessa ed eterogenea99 rispetto a quelli precedenti. Hanno cercato di adattarsi al nuovo scenario europeo, trovandosi a confrontarsi con i gruppi occidentali, già consolidati al di là del muro di Berlino. Come poi tali gruppi criminali si siano espansi a livello transnazionale è materia complessa. La dimensione esterna delle cause del crimine organizzato transnazionale non dipende più, infatti, solo dalle varie strutture nazionali, ma dall’intera area geografica di riferimento, con un moltiplicarsi di variabili.

Abbiamo visto, per quanto riguarda il traffico di migranti, che le cause principali sono imputabili a politiche migratorie restrittive, ma possono essere fatte alcune considerazioni di carattere più generale, assumendo una prospettiva, per così dire, esterna e non più focalizzata sulle azioni dei singoli Stati. L’aumento di un’ineguale divisione di ricchezza ha stimolato un “unwanted labour mobility”100, definito criminale da alcuni paesi di destinazione. «A significant economic or political differential between countries – scrive Schloenhardt - provides trafficking organizations with a consumer population which seeks to migrate to another country. For example, where there is a disparity in income levels between two economies, or significant unemployment in one country, but not in the other, “economic migration” will occur despite migration laws which criminalize it»101. Una migrazione di tale genere non favorisce certo l’integrazione, e le difficoltà sociali ed economiche trovate nei paesi di destinazione hanno portato, e portano tutt’ora, molti a ricercare profitti nell’unico ambito che sembra non soffrire le cris: la criminalità. In particolare, riferendoci all’Est Europa, dalla seconda metà degli anni ‘80 si è verificata una forte ondata di espansione dei mercati illegali, innescata dal crescente numero di migranti provenienti da questi paesi e desiderosi di entrare nell’UE. A causa di una legislazione migratoria restrittiva, infatti, solo una minima parte delle domande d’ingresso è stata soddisfatta per vie legali,

99 F. Allum, S. Gilmour, Routledge handbook of Transnational Organised Crime, op. cit., p. 7. 100 Ibidem.

101

35 favorendo lo sviluppo di un vero e proprio contrabbando umano, sia nelle regioni d’origine che di destinazione102.

I processi di globalizzazione su scala mondiale hanno favorito e accelerato le interconnessioni tra mercati illegali domestici, e accresciuto la mobilità dei criminali attraverso i confini nazionali. Contemporaneamente la liberalizzazione economica ha ridotto la capacità dei governi di ergersi a regolatori delle forze di mercato e ha, involontariamente, facilitato lo sviluppo di quei settori dell’economia globale controllati dalla criminalità. Accanto a ciò, a seguito dell’aumento del crescente gap tra nazioni sviluppate e non, o forse a causa della maggiore percezione di questo gap, è diventata opinione comune, in alcune nazioni povere, la convinzione che la via illegale fosse quella più breve per riuscire ad arricchirsi all’estero. Gli scambi illegali sono ulteriormente aumentati a seguito del crollo della cortina di ferro. L’apertura dei confini ad Est, una volta strettamente controllati dalle truppe del patto di Varsavia, ha innescato inevitabilmente un vero e proprio boom dei mercati illegali in tutte le nazioni che avevano fatto parte dell’area di influenza sovietica103. Così, i gruppi criminali indigeni, connessi in maniera più o meno stretta alla Mafia Russa, si sono trovati di fronte, da un lato più ampi mercati e nuove possibilità di profitto, dall’altro gruppi organizzati occidentali, competitivi e agguerriti. Questo ha creato nuove dinamiche nello scenario europeo, tutt’ora in evoluzione e che andremo ad esaminare nei capitoli successivi.

Inoltre, andando a guardare le cause di alcuni fenomeni localizzati, vediamo più specifiche e dirette responsabilità. Relativamente alla corruzione, anch’essa annoverata tra le pratiche criminali, non dimentichiamoci che, fino alla fine della guerra fredda, gli Stati occidentali hanno supportato qualsiasi Stato corrotto fintanto che fosse anti- comunista, favorendo quindi la salita al potere di personaggi, se non criminali, quantomeno ambigui104.

102 C. Fijnaut, L. Paoli, Organised Crime in Europe, concepts, patterns and control policies in the

European Union and beyond, op.cit., p. 2.

103 Ivi, p. 3. 104

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Capitolo 2