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La migrazione planetaria in un disco di planetesimi: Risultati analitici e numerici

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Academic year: 2021

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ALMA Mater Studiorum

Università degli Studi di Bologna

SCUOLA DI SCIENZE

Corso di Laurea Magistrale in Astrosica e Cosmologia Dipartimento di Fisica e Astronomia

La migrazione planetaria

in un disco di planetesimi:

risultati Analitici e Numerici

Elaborato Finale Relatore: Chiar.mo/ Prof. Luca Ciotti Candidato: Federico Panichi XX Sessione

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This thesis work was done as part of

the research activity of the

Istituto di Radioastronomia - INAF

and

the Italian ALMA Regional Centre,

in collaboration with

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Riassunto

La tesi si propone lo scopo di analizzare in dettaglio la migrazione di un pianeta all'interno di un disco protoplanetario formato da planetesimi. Tale problema è stato studiato con metodi analitici e numerici applicati a due casi limite: disco corotante, disco controrotante. Dopo una breve prefazione che descrive un semplice modello analitico per lo studio della migrazione planetaria in un disco di planetesimi che permette, anche se in modo super-ciale, di comprendere molti dei risultati numerici ottenuti negli ultimi anni e nel corso di questo elaborato, si continua, all'interno del primo capitolo, presentando il problema astrosico. Il secondo capitolo è composto da una prima parte in cui viene dato un resoconto storico sui risultati nora ottenuti dalle varie teorie proposte e le motivazioni per continuare tale ricerca. Nei risultati precedentemente trovati da altri autori è possibile ricavare la vari-azione del semiasse maggiore dell'orbita di un pianeta soggetto all'intervari-azione gravitazionale con un disco composto da corpi con massa molto minore (plan-etesimi) con la seguente approssimazione analitica (Ida et al., 2000):

da dt = a Pplanet  πa2Σ disk M∗  (1) Nella (1) si è fatto uso dei seguenti simboli per indicare:

• a = semiasse maggiore dell'orbita del pianeta; • Pplanet= periodo orbitale del pianeta;

• Sdisk = densità superciale del disco di planetesimi;

• M∗ = massa della stella centrale.

Tale risultato è stato ottenuto con considerazioni qualitative ma può es-sere riottenuto tramite considerazioni più formali e sicamente ragionevoli (Kirish et al., 2007). E' importante sottolineare che questa semplice trat-tazione non contiene, in modo esplicito, la massa del pianeta.

Il secondo capitolo descrive il problema dei tre corpi ed abbiamo esam-inato il caso generale (General three body problem: G3BP), il caso ristretto

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in cui solo uno dei tre corpi è massivo mentre gli altri due hanno una massa trascurabile e non nulla. Un nuovo caso di disco protostellare è preso in esame: un disco in cui il pianeta ha un'orbita controrotante rispetto all'orbita dei planetesimi e/o del gas. Questo caso particolare può sicamente realiz-zarsi a causa di dierenti processi sici (Morais and Giuppone [2012]). La dierenza sostanziale tra il caso corotante e questo nuovo caso proposto è nella dimensione del gap che il pianeta crea all'interno di un disco di plan-etesimi (altresì denita feeding zone). Lo studio dettagliato delle propri-età della feeding zone consente di ricavare importanti informazioni sia sul tasso di migrazione planetaria sia sulla dinamica dei planetesimi soggetti alle varie risonanze orbitali. All'interno del gap infatti l'interazione risonante dei planetesimi con il pianeta genera orbite caotiche e fenomeni di scattering forte Wisdon [1980]. Lo studio dettagliato dell'eccentricità dei planetes-imi e della dimensione del gap ha permesso di osservare come il problema dell'interazione tra planetesimi e pianeta non sia un problema simmetrico: esiste infatti un diverso "riscaldamento" dinamico dei planetesimi nei due casi corotante e controrotante. Ciò è collegato alle dierenti risonanze che possono formarsi e, in ultima analisi, al diverso grado di entropia che il disco sperimenta nei due casi proposti. Tutto ciò è spiegabile attraverso lo studio della condizione di risonanza che può essere denita nel modo seguente:

|Ω(r) − Ωp| =

m

nκ(r), (2)

dove Ωp è la velocità angolare del pianeta mentre Ω(r) è la velocità

an-golare di un planetesimo a distanza r dal centro del disco, κ è la frequenza di epiciclo radiale dei planetesimi ed m ed n sono due numeri interi posi-tivi (negaposi-tivi). Non è sorprendente dunque che esista questa asimmetria nei due casi. Se infatti il disco è controrotante l'argomento del modulo nella equazione (2) è una somma e quindi può essere così grande che non esistono dei valori di m/n sucientemente piccoli da dar luogo a risonanze costruttive ecienti (si ricorda come solo valori di m/n piccoli danno origine a risonanze importanti). Nel caso di disco corotante, invece, il modulo è eettivamente una dierenza e dunque si possono osservare risonanze in posizioni dierenti nel disco (m/n dierenti) e molto ecienti (m/n abbastanza piccoli).

Il terzo capitolo descrive in modo approfondito i risultati di questo sec-ondo capitolo saranno fondamentali assieme a quelli del terzo e quarto per capire come la massa del pianeta giochi un ruolo fondamentale nel calcolo della variazione del suo semiasse maggiore (B. C. Bromley [2011]). Ven-gono presentati due metodi analitici che tenVen-gono conto di questo parametro (la massa): la frizione dinamica (Binney [1977]; (?,Popolo [2003]) e la teo-ria delle onde di densità (Goldreich and Tremaine [1980]; Ward [1996]). Il nostro studio è stato inoltre ampliato al caso più realistico di un disco con distribuzione di eccentricità alla Rayleigh (S. Ida and Makino [1993]) ma con

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l'interno del sistema. I risultati di questa teoria sono stati poi confrontati con quelli ricavati dalle simulazioni numeriche nel capitolo conclusivo di questa tesi. Il quarto capitolo propone una teoria alternativa rispetto a quella uti-lizzata precedentemente per descrivere il processo di migrazione planetaria: le onde di densità. L'interazione tra le onde di densità e il conseguente trasferimento di momento angolare tra i planetesimi ed il pianeta, può farlo migrare verso zone più interne rispetto alla posizione iniziale (inward planet migration). Sono stati applicati i risultati di Nicholson [1999] e Rein and Pa-paloizou [2010] a tale problema. Fin qui la parte analitica ci ha consentito di mostrare come la dierenza nella massa dei vari pianeti, la massa dei plan-etesimi, l'inclinazione del disco rispetto al pianeta, la dierente estensione del gap nel caso corotante e controrotante giocano un ruolo fondamentale per comprendere e spiegare i risultati numerici proposti nel capitolo successivo. Il quinto capitolo descrive il codice numerico impiegato e i vari algoritmi applicati per simulare i casi di:

• disco corotante massivo e non massivo (ma comunque non autogravi-tante) con distribuzione in eccentricità ed inclinazione uguali a zero; • disco controrotante massivo e non massivo (come nel caso precedente

l'interazione tra planetesimi non è stata implementata) con distribuzione in eccentricità ed inclinazione uguali a zero;

• disco corotante massivo e non massivo con distribuzione in eccentricità alla Rayleigh e con distribuzione in inclinazione uguale a zero;

• disco controrotante massivo e non massivo con distribuzione in eccen-tricità alla Rayleigh e con distribuzione in inclinazione uguale a zero. Vengono descritti i tre algoritmi utilizzati per integrare le equazioni del moto nel caso di un N-PR3BP (N problemi a tre corpi planare ristretto: in cui viene posta uguale a zero la massa dei planetesimi) e N-PG3BP (N prob-lemi a tre corpi planare generale: in cui vengono inserite anche le masse dei planetesimi ma viene inibita l'interazione tra essi). Relativamente al codice numerico utilizzato abbiamo sviluppatto, grazie anche alla collaborazione di D. Kaufmann, M. Lewis e H. Levison (gli sviluppatori rispettivamente di SW IF T ER, SW IF T e SwiftV is) un generatore di condizioni iniziali re-alizzato in JAV A. Per alcune delle simulazioni qui riportate è stato inoltre utilizzata una versione OP EN −MP del software SW IF T ER realizzata da D. Milton e attualmente non disponibile online. Grazie alla versatilità del generatore di condizioni iniziali è stato possibile utilizzarlo anche per questo secondo codice numerico. Il sesto capitolo è un'analisi dettagliata dei risultati presentati in tutto l'elaborato e si propone lo scopo, utilizzando i risultati analitici descritti nei capitoli precedenti, di spiegare in modo esaustivo le varie caratteristiche ricavate dalle simulazioni numeriche eettuate. E'

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pro-Large Millimiter Array (ALMA). E' stato possibile determinare se e quali sono i parametri fondamentali per caratterizzare, descrivere e dierenziare i dischi protoplanetari simulati numericamente in questa tesi.

Uno dei risultati di questa tesi è quello di porre dei vincoli sul tempo di migrazione di un pianeta art:cionco, sulla densità che un disco deve avere per generare uno spostamento radiale del pianeta elevato. Inoltre abbiamo interpretato i risultati ottenuti in questa tesi alla luce dei dati osserva-tivi ricavabili per sistemi extrasolari con singolo pianeta. Nella gura 1 è mostrato l'istroramma del numero dei pianeti in funzione della loro massa e del loro semiasse maggiore. Abbiamo interpretato queste due distrbuzioni come dovute alla dierente ecenza che la migrazione planetaria genera in base alla massa del pianta e alla densità superciale del disco di plan-etesimi. Nel caso di pianeti giganti gassosi (M > 100M⊕) si osserva una

netta diminuizione del loro numero nel'istogramma presentato spiegabile at-traverso l'ecente migrazione radiale subita dagli stessi. Il picco di tale distribuzione è dunque spostato verso pianeti di massa terrestre che, a causa della bassa interazione con il disco, non hanno subito nel corso dell'evoluzione all'interno del disco di planetesimi variazioni signicative del semiasse mag-giore. Presentiamo inoltre, in gura 2, l'istogramma del numero di pianeti in funzione del semiasse maggiore. Si nota come tale curva risulti essere bimodale con due picchi ben distinti. In questo lavoro, alla luce dei risultati numerici ed analitici ottenuti, inrerpretiamo questo secondo risultato ipotiz-zando sia o alla dierente densità superciale dei vari dischi in cui si sono formati i pianeti oppure al fatto che, una volta uscito dal disco, il pianeta non continui a migrare in modo molto ecace verso l'interno del disco. Ciò permetterebbe di porre un vincolo sell'estensione interna di un disco di plan-etesimi ma un analisi più approfondita è necessaria per comprendere a pieno questo fenomeno. si

In tutte le simulazioni eettuate inoltre, quando il pianeta esce dal disco spiraleggiando verso la zona centrale, la migrazione radiale cessa. Questo potrebbe consentire di comprendere la distribuzione osservativa dei parametri orbitali dei pianeti extrasolari.

Le conclusioni più rilevanti, esposte nel capitolo sette, vengono qui breve-mente elencate:

• sono stati ricavati i tempi di migrazione al variare del pianeta che con-sentono di osservare come l'equazione (1) non è completamente corretta nell'interpretare i risultati numerici. Al variare della massa, infatti, il tasso di migrazione osservato nelle varie simulazioni risulta essere dif-ferente;

• il parametro rilevante sembra essere il rapporto tra la massa del pianeta e la densità superciale del disco (B. C. Bromley [2013]; B. C. Bromley

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Fig. 1: Istogramma del numero dei pianeti in funzione della loro massa. Nel graco è presentato il sottocampione di sistemi extrasolari noti con singolo pianeta. Come si osserva il picco della distribuzione si trova a valori di masse maggiori di quella di Giove. Nel seguito della tesi si cerca di spiegare questo fatto osservativo attraverso il meccanismo sico della migrazione planetaria arrivando a concludere che tale meccanismo dipende dalla massa del pianeta.

Fig. 2: Istogramma del numero dei pianeti in funzione della loro semiasse maggiore. Nel graco è presentato il sottocampione di sistemi extrasolari noti con singolo pianeta. Come si osserva la distribuzione è bimodale.

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• sono state calcolate le torque con le varie teorie proposte. Sebbene ogni teoria descriva qualitativamente molto bene alcuni degli aspetti fondamentali della migrazione planetaria, esse dieriscono anche di un ordine di grandezza nel prevedere i risultati ottenuti nelle simulazioni numeriche eettuate. Indicazione che non vi è, ancora, una perfetta corrispondenza tra teoria analitica e risultati numerici (Cionco and Brunini [2002]);

• la dierente inclinazione nei due casi limite proposti (corotante e con-trorotante), oltre che la distribuzione in velocità dei planetesimi nel disco (sia esso completamente corotante, controrotante o con distribuzione in eccentricità) è un importante parametro per lo studio della mi-grazione radiale di un pianeta;

• l'interferometro di nuova generazione ALMA permette, grazie alla giusta combinazione di risoluzione e sensibilità elevate, di osservare le carat-teristiche fondamentali (dimensione del gap e/o presenza di planetesimi in orbite risonanti) per dischi protoplanetari a distanze di circa 70 pc o con dimensioni siche di circa 20 A.U. (Wolf and D'Alessio [2005]).

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Contents

1 Prefazione 15

2 Problema dei tre corpi 21

2.1 Introduzione . . . 21

2.2 Prologo ed epilogo . . . 22

2.3 Problema di Hill . . . 26

2.3.1 La costante di Jacobi come misura della precisione di un algoritmo . . . 41

2.4 Feeding Zone . . . 44

2.5 Chaotic Zone . . . 47

2.5.1 L'esponente caratteristico di Lyapunov . . . 51

2.6 sovrapposizione di risonanze . . . 54

3 Interazioni a due corpi: la frizione dinamica 65 3.1 Preliminari . . . 66

3.1.1 Eccentricità ed inclinazione del disco . . . 67

3.2 Caso isotropo, omogeneo e non omogeneo, senza spettro di massa . . . 69

3.2.1 prolo isotermo singolare . . . 72

3.3 Caso non isotropo, omogeneo e non omogeneo, senza spettro di massa . . . 75

3.3.1 Equipartizione . . . 76

3.3.2 Spettro di massa esponenziale . . . 77

3.4 caso anisotropo, non omogeneo, senza spettro di massa . . . . 78

3.5 Il logaritmo di Coulomb . . . 82

4 Interazione a più corpi 85 4.1 Approssimazione epiciclica . . . 85

4.1.1 Teoria delle Perturbazioni . . . 88

4.1.2 Risonanze . . . 91

4.1.3 Prametri fondamentali . . . 93

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5 Il codice numerico: SWIFTER 105 5.1 Il codice . . . 105 5.2 Algoritmo Simplettico . . . 107 5.3 Gli algoritmi: WHM vs. RMVS . . . 108 5.3.1 WHM . . . 108 5.3.2 RMVS . . . 111 5.3.3 syMBA . . . 112 6 Risultati Numerici 115 6.1 Problema dei tre corpi circolare ristretto . . . 115

6.1.1 Il gap nel caso corotante e controrotante . . . 116

6.1.2 Il riscaldamento del disco . . . 120

6.2 Problema dei tre corpi circolare generale . . . 123

6.2.1 La migrazione del pianeta: disco corotante . . . 126

6.2.2 La migrazione del pianeta: disco controrotante . . . . 127

6.3 Simulazioni di osservazioni ALMA . . . 127

6.3.1 CASA e OST: i software di simulazione ALMA . . . . 132

6.3.2 Risultati . . . 135

7 Conclusioni 161 7.1 Il problema dei tre corpi ristetto: la dispersione di velocità, l'apertura del gap e le risonanze orbitali . . . 162

7.2 La migrazione . . . 166

7.3 ALMA . . . 171

7.4 Sviluppi futuri . . . 172

A Il generatore di condizioni iniziali 179 B Le routine numeriche 183 B.0.1 L'integrazione del problema dei tre corpi ristretto . . . 183

B.0.2 L'esponente di Lyapunov . . . 188 B.0.3 L'ampiezza delle risonanze di primo e second'ordine . 191

(15)

Chapter 1

Prefazione

In questo capitolo presentiamo un semplice modello di migrazione planetaria in un disco di planetesimi. Si supponga innanzitutto che la massa del disco di planetesimi sia denita come segue:

Mdisk = 4πΣ0(r1/2out − r 1/2

in ), (1.1)

dove Σ0 è la densità superciale ed rin e rout sono rispettivamente il

raggio interno ed esterno del disco. Valori caratteristici per i parametri dell'equazione precedente sono:

• Σ0 = 30 gr/cm2,

• rout= 50 A.U.,

• rin= 20 A.U..

Se ne ricava una massa totale di 40 M⊕. Il raggio interno per tale disco di

planetesimi e' stato cosi denito utilizzando le indicazioni delle simulazioni numeriche in Clarke and Lodato [2009].

Si osservi pero' come la massa stimata, ad oggi, per la Kupier Belt risulti essere di sole 0.4 M⊕. Dunque devono esistere dei fenomeni che hanno

ri-mosso la gran parte dei planetesimi. Tali fenomeni possono essere o di ac-crescimento in situ (formazione di planetesimi e conseguentemente protopi-aneti) oppure fenomeni di scattering eiettivo (eetto onda che ha portato su orbite lontane tali particelle.

Poiché ancora oggi è presente una vasta quantità di planetesimi diusi a varie orbite nel sistema solare (fascia degli asteroidi d=2.7 AU; Kupier belt d=30-50 AU; disco diuso d=50-100 AU) ci si aspetta che tale riserva di materiale e momento angolare abbia interagito con tutto il Sistema Solare per svariate centinaia di milioni di anni se non addirittura per miliardi di anni. Si prenda poi un pianeta di massa Mp che orbiti all'interno di questo

(16)

dei planetesimi ed alcuni di essi si andranno a posizionare a distanze minori rispetto quella iniziale mentre altri a distanze maggiori.

osserveremo come la teoria della Frizione Dinamica permette di descri-vere in modo accurato tale processo. Poiché inoltre tale scattering risulta in uno scambio di momento angolare ed energia tra pianeta e disco, tale teoria permette di descrivere anche il processo di migrazione radiale del pianeta stesso. Si denisce la massa eiettata di tale disco come δm. La migrazione planetaria può essere semplicemente descritta per eetto dell'equilibrio tra le forze in gioco. Un pianeta, infatti, descrive, in prima approssimazione, un orbita circolare poiché esiste un equilibrio tra la forza centrifuga (che lo spinge verso l'esterno), che dipende dalla velocità di rivoluzione dello stesso, e la forza gravitazionale (che lo spinge verso l'interno) dovuta all'attrazione tra il pianeta e la stella centrale. Quando a causa di interazioni gravitazion-ali (accrescimento di massa, scattering gravitazionale, frizione dinamica. . . .) l'energia cinetica del pianeta varia deve, conseguentemente, variare il ziale gravitazionale per ristabilire un equilibrio del sistema. Poiché il poten-ziale gravitazionale in quest'esempio intuitivo è funzione solo della distanza tra il corpo centrale ed il pianeta, allora per ristabilire un equilibrio tra le due forze, il pianeta deve variare la sua orbita e quindi migrare o verso l'esterno (l'energia cinetica diminuisce) o verso l'interno (l'energia cinetica aumenta). Seguendo invece un ragionamento più matematico ma comunque ap-prossimativo, il cambiamento di semiasse maggiore è proporzionale alla massa con cui interagisce il pianeta.

Approssimativamente: δm Mp ∼ δa ap , (1.2)

che quindi può essere riscritto come: δa ∼ δm

Mp

ap. (1.3)

E' possibile già fare alcune osservazioni su tale risultato. Se infatti la massa del pianeta è molto maggiore rispetto alla massa del disco o analoga-mente la massa del disco è trascurabile allora la variazione del semiasse maggiore dell'orbita del pianeta stesso risulta trascurabile:

δa −−−−−→

Mp→∞

0 (1.4)

Dunque un disco deve avere una certa massa caratteristica o analoga-mente il pianeta non deve essere cosi massivo: Mp ≤ Mdisk (Armitage

[2010]). Da questa osservazione segue immediatamente che per avere una migrazione radiale consistente il pianeta deve avere una massa minore di 40 M⊕ (massa del disco di planetesimi). Ciò implica che per masse molto

(17)

quelle gioviane MJ = 320 M⊕) l'equazione precedente e/o la massa stimata

del disco vadano ricalcolate.

E' anche utile osservare come il senso della migrazione di un pianeta (outward o inward) sia caratterizzato da un elevato numero di fattori sici e numerici:

1. la composizione del disco in gas e planetesimi (Ward [1996];Popolo [2003]; C. C. Capobianco and Levison [2010]);

2. la posizione del pianeta: se si trova a distanze dalla stella centrale minori o maggiori rispetto il raggio minimo del disco o se al suo interno; 3. la presenza di altri pianeti all'interno del disco che possano causare

fenomeni di risonanza orbitale;

4. Il fatto che il disco sia autogravitante (W.K.M. Rice and Bonnell [2002]);

5. Ii numero di planetesimi e la loro massa (D. R. Kirsh and Levison [2008], A. Brunini [2007]).

Continuando poi con il calcolo precedente, si supponga che si abbia in-terazione solo tra planetesimi e pianeta e che avvenga all'incirca all'interno della seguente zona (raggio di Hill o scattering zone):

∆r ≈  3Mp M∗ 1 3 a. (1.5)

La massa di planetesimi entro questo raggio è dunque:

∆m ≈ aΣ0∆r, (1.6)

da cui e possibile ricavare la variazione del momento angolare per tutti i planetesimi a seguito dell'interazione con il pianeta:

∆J ≈ ∆mdl dr a∆r. (1.7)

Si ricordi che il momento angolare specico (l) per un'orbita circolare a distanza r dalla stella centrale (M∗) risulta essere:

l =pGM∗r. (1.8)

Da ciò segue che il momento angolare perso/acquistato in questi scatter-ing dai planetesimi e stato guadagnato/perso dal pianeta. Quindi il pianeta subisce una variazione radiale (∆a):

∆a ≈ 2πaΣ0∆m∆r

2

(18)

poiché inoltre si vuole che la migrazione proceda, il valore ∆a deve essere più grande rispetto al valore ∆r. Ciò signica semplicemente che, anché la migrazione continui, il pianeta deve trovarsi in una zona in cui i planetesimi non sono stati scatterati ma risultino ancora in un orbita non perturbata. Quindi e possibile ricavare una condizione sulla massa massima del pianeta imponendo la condizione precedente:

∆a ≥ ∆r, (1.10)

cioè:

Mp ≤ 2πaΣ0∆r. (1.11)

La condizione precedente implica che la massa del pianeta deve essere minore della massa di disco contenuta all'interno della sfera di Hill rH. Da

una condizione generale sulla massa dell'intero disco, si è passati ad una condizione locale. Si calcoli ora il tasso (rate) di migrazione all'interno di questo disco e cioè si voglia la variazione nel tempo del semiasse maggiore dell'orbita per un pianeta di massa Mp all'interno di un disco di planetesimi

con densità superciale Σp. Si calcola inizialmente il tempo che impiegano

tutti i planetesimi all'interno della feeding zone ad interagire con il pianeta: ∆t ≈ 2

3 a

∆rPplanet, (1.12)

dove il termine Pplanet è il periodo di rivoluzione orbitale del pianeta.

In-serendo tale risultato all'interno dell'eq. (1.10) si ottiene: ∆a ∆t ≈ 2πaΣ0∆m∆r2 Mp  2 3 a ∆rPplanet −1 = a Pplanet πa2Σ0 M∗ . (1.13) Assumendo valori caratteristici questo corrisponde a circa 2˙10−7[A.U./anno].

Tale risultato approssimato è, come ordine di grandezza e come dipendenze, in accordo con quello ricavato numericamente nell'articolo di Ida S. and H. [2000]. Seguendo la denizione precedente si osserva che, per un pi-aneta che rispetti la disuguaglianza denita sopra, il tasso di migrazione è indipendente dalla massa del pianeta stesso. Inoltre, come è possibile osservare nell'articolo di D. R. Kirsh and Levison [2008], il tasso di mi-grazione diminuisce, ma in modo abbastanza lento per pianeti di piccola massa all'interno di dischi molto massivi confermando così i risultati degli articoli precedenti. In questa tesi invece il rapporto tra la massa del pianeta e la massa del disco è stato aumentato per studiare la possibile dipendenza che questo parametro ha sulla variaxione del semiasse maggiore dell'orbita. I dati osservativi, ottenuti ad oggi per i sistemi extrasolari con un solo pi-aneta, presentano un picco per masse molto elevate (da 0.5 MJ no a 10

(19)

Fig. 1.1: Istogramma numero di pianeti - massa. E' osservabile come il picco di questo istogramma sia posizionato in corrispondenza di pianeti di grande masse (> 0.5 MJ).

(20)

Ciò è in parziale disaccordo con quanto descritto nora. In questa tesi ci proponiamo di vericare quali meccanismi debbano essere considerati nella trattazione modellistica per colmare il disaccordo con i dati osservativi.

(21)

Chapter 2

Problema dei tre corpi

"...quello che loro non sapevano era che lo zingaro era un campione di boxe a mani nude ed era più duro di un chiodo da bara." The Snatch

-2.1 Introduzione

Questo capitolo è composto come segue. Nella prima parte viene esposta una breve storiograa dei risultati fondamentali degli astronomi e matematici che hanno contribuito in modo sostanzale alla risoluzione, anche parziale, di questo problema. Nella seconda parte è esposto, passo dopo passo, il metodo che ha portato alla scrittura delle equazioni di Hill per il problema dei tre corpi ristretto. Sono presentati inoltre varie osservazioni, graci e commenti sia sul criterio di Tisserand che sulla costante di Jacobi (indispensabili per la comprensione dei capitoli successivi). Continuando, é presentata una breve discussione sui dischi di planetesimi e sulle grandezze fondamentali che servi-ranno in tutto l'elaborato per comprendere i risultati proposti nel capitolo nale. Si presenta un paragrafo sulla stabilità delle orbite nel problema ristretto e generale che è utile nella comprensione di come l'oggetto perturba-tore (pianeta o corpo secodnario) riesca ad aprire un gap con una dimensione caratteristica all'interno di un disco di planetesimi. Nell'utlimo paragrafo si integrano numericamente le equazioni precedentemente si calcola la stabilità esponenziale dei planetesimi su orbite corotanti e controrotanti attraverso il metodo dell'esponente di Lyapunov. E' inoltre utilizzato per descrivere il fenomeno della sovrapposizione di risonanze, necessario per comprendere la distribuzione in eccentricità dei planetesimi o degli asteroidi nella fascia Prin-cipale e nella fascia di Kupier del Sistema Solare e come esista una dierenza

(22)

2.2 Prologo ed epilogo

Lo studio di un sistema gravitazionale formato da n-corpiè stato sviluppato nel corso dei secoli utilizzando due dierenti approcci.

Il primo presenta tale sistema in modo generale tramite l'utilizzo di teo-remi atti a descriverlo nella sua interezza (es.: Teorema del moto del centro di massa).

Il secondo invece è utilizzabile solo in alcune congurazioni e tempi par-ticolari di tale problema (es.: Sistema Solare, problema dei tre corpi gen-eralizzato, lo studio degli asteroidi Troiani) e tali soluzioni presentano una precisione elevata ma, come detto, hanno validità solo per un tempo nito (sono soluzioni a carattere locale) e per casi particolari. Questo approccio prevede di prendere in considerazione un sistema analitico (integrabile) e modicarlo leggermente per riprodurre il problema sico da studiare (es.: Teoria delle Perturbazioni).

I primi risultati in ambito generale furono trovati dal matemartico ed astronomo Sir. I. Newton1 , il quale enunciè quello che oggi viene

comune-mente chiamato Teorema del moto del centro di massa (Principia Math-ematica). Eulero2 descrisse poi la soluzione di tale problema nella forma

di 10 integrali primi (o costanti del moto), risultato dell'integrazione delle equazioni del moto del problema degli n-corpi Sei sono le costanti del moto, ricavabili dal Teorema del moto del centro di massa, tre sono ricavabili dal principio di conservazione del momento angolare e l'ultimo integrale primo é l'Hamiltoniana del sistema. Quest'ultima costante del moto altro non é che il valore dell'energia totale del sistema che, per sistemi non dissipativi3, si

conserva nel tempo. Laplace4 poi (1784) trovè il cosidetto piano invariante:

1Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 25 dicembre 1642 - Londra, 20 marzo

1727) E' stato matematico, sico, losofo ed astronomo. Pubblica i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica nel 1687, opera in cui sono racchiuse le leggi di gravitazione univr-sale e con la quale il brillante homo universalis stabilisce le basi della meccanica classica e della meccanica celesete. Assieme a G. W. Leibniz denisce quello che oggi è il calcolo dierenziale. Riordina le leggi di Keplero, riottenendole come soluzioni delle equazioni dierenziali che descrivono le forze e che oggi sono chiamate equazioni di Newton. Studia inoltre il problema dei due corpi in modo approfondito; fu il primo a studiare anche il problema dei tre corpi. I suoi risultati sul moto della Luna dieriscono di un fattore due rispetto i risultati più recenti. Si applica anche allo studio della teoria ondulatoria della luce.

2 Leonard Euler (Basilea, 15 aprile 1707 - San Pietroburgo, 18 settembre 1783),

E' stato un matematico e sico svizzero. Diete importanti contributi alla sica ed in particolare alla meccanica classica e celeste. Nel 1773 perse la moglie ancora quarantenne. Si risposè tre anni dopo. Il 18 settembre 1783, in una giornata come le altre, in cui discusse del nuovo pianeta Urano appena scoperto, fu colto improvvisamente da un'emorragia celebrale e morì poche ore dopo. Pare che Pierre Simon Laplace aermè: Leggete Eulero; egli é il maestro di tutti noi.

3I sistemi non dissipativi sono tutti quei sistemi che obediscono al teorema di Liouville

(23)

piano sempre perpendicolare al vettore momento angolare del sistema preso in esame. Dopo circa sessant'anni, nel semestre 1842-43, Jacobi5 dimostrè,

all'Università di Koningsberg, il seguente risultato:

Se la forza agente su un sistema composto da n particelle dipende solamente dalle coordinate (forza posizionale), ammette un potenziale ed é

possibile trovare almeno n − 2 integrali primi per tale sistema, allora é possibile trovarne gli ultimi due ed integrarlo completamente. Ma l'opera del brillante matematico di Potsdam non si fermè a questo e, estendendo i lavori di Sir. W.R. Hamilton, dedusse come fosse possibile trasformare un sistema di equazioni del problema degli n-corpi nello stu-dio di un'unica equazione dierenziale con ordine maggiore rispetto l'ordine delle equazioni che regolavano inizialmente il sistema. Nel 1874 Newcomb dimostrè come le equazioni dierenziali che governavano il moto di un prob-lema degli n-corpi potessero essere risolte utilzzando serie periodiche. è consentì di rispondere ad una domanda che da tempo aveva perseguitato gli astronomi ed i matematici dell'epoca:

esistono soluzioni periodiche per un sistema generico di n corpi soggetti alla mutua attrazione gravitazionale ?

Un approfondita trattazione di tale quesisto la si può trovare nell'articolo di Yanguas et al. (2008): "Periodic solutions in Hamilonian Systms, Av-eranging and the Lunar Problem"). Quello che Newcomb non riusci a di-mostrare fu se tali serie convergessero oppure no. Tale domanda ha, come oggi noto, risposta negativa e fu il matematico H. Poincaré a dimostrare come in generale tali serie fossero divergenti (Les Méthodes Nouvelles, Cap.IX e XII). La ricerca di nuove soluzioni per un sistema di n-corpi e la speranza che tali soluzioni potessero essere di tipo analitico, venne inne infranta con la dimostrazione del sico e matematico Bruns il quale asserì che, usando coordinate rettangolari, non era possibile trovare altri integrali algebrici oltre quelli già noti per un sistema come quello presentato (Acta Mathematica

Parigi, 5 marzo 1872), é stato matematico, sico e astronomo francese. Ha dato fondamen-tali contributi a vadi campi della matematica, astronomia e della teoria della probabilità. Diede la svolta nale alla meccanica celeste riassumendo ed estendendo il lavoro dei suoi predecessori nell'opera in cinque volumi Mécanique Céleste (1799 - 1825). Questo capoval-ore ha trasformato lo studio geometrico della meccanica, sviluppato da Newton, in quello basato sull'analisi matematica.

5 Carl Gustav Jacob Jacobi, (Potsdam, 10 dicembre 1804 - Berlino, 18 febbraio

1851) matematico tedesco. Nacque da famiglia ebraica nel 1804. Studia all'Università  di Berlino dove ottenne il titolo di dottorato nel 1825. Nel 1827 divenne professore straordi-nario e nel 1829 professore ordistraordi-nario di matematica a Königsberg, e conserva tale cattedra no al 1842. Jacobi sore per un tracollo sico causato dal troppo lavoro nel 1843 e si trasferisce in Italia per alcuni mesi per riacquistare la salute. Al suo ritorno si sposa a

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, Vol. XI). Inoltre lo stesso Poincarè dimostrò come l'utilizzo dei soli ele-menti orbitali come variabili non permettesse l'esistenza di nuovi integrali primi uniformemente trascendenti, anche quanto tutte le masse del sistema (eccetto una) fossero inintesime.

Entrando nello specico del problema dei tre corpi che è trattato in questo capitolo, una prima soluzione venne data dal matematico italiano Luigi La-grange (Essai sur le Problème des Trois Corpos, 1772). Il metodo del matematico italiano era quello di suddividere in due parti il problema. La prima parte consisteva nel determianre la distanza relativa tra i due corpi. Il secondo passo consentiva di calcolare, una volta trovata tale distanza, il piano che contiene il moto dei corpi nello spazio e la sua orientazione. Più in particolare, nella prima parte, si cercava di risolvere un sistema di tre equazioni dierenziali che coinvolgevano solo le mutue distanze dei tre copri come variabili. Tale problema era del settimo ordine. L'analisi di Lagrange consentiva, a dierenza di quella eetttuata utilizzando gli integrali primi (per ridurre l'ordine del sistema), di risolvere analiticamente il problema a patto di mantenere costante il rapporto tra le distanze dei tre corpi (per quest'ultima ragione la soluzione di Lagrange è anche nota come soluzione triangolare equilatera). La dimostrazione venne poi riprodotta da Laplace (Mècanique Cèleste, Vol. V, pag. 310). E' necessario inoltre citare altri eminenti matematici che ampliarono il risultato di Lagrange:

- Jacobi nel 1843, senza conoscere i risultati di Lagrange arrivè ad una riduzione del problema dei tre corpi al settimo ordine (Crelle's Jour-nal, pag. 115 );

- Radau (Bulletin Astronomique, Vol. I, pag. 113);

- Lindstedt (Annales de l'Encole Normale, III serie, Vol. I, pag. 85); - Allegret nel 1875 (Juornal de Mathèmatiques, pag. 227);

- Bour (Journal de l'Encole Polytechnique, Vol. XXXVI); - Mathieu nel 1876 (Journal de Mathèmatiques, pag. 345).

E' stata inoltre proposta una generalizzazione del risultato di Lagrange ad un numero arbitrario di corpi quando le distanze relative tra essi riman-gono costanti nel tempo (cit. Lehmann-Filhes in Astromische Nachrichten, Vol. CXXVII, pag. 137; F.R. Moulton in The Trasactions Bulletin of the American Mathematical Society, Vol. I, pag. 17; W.R. Longley in Bul-letin of American Mathematical Society, Vol. XIII, pag. 324). Nessun altra soluzione periodica venne trovata al problema dei tre corpi no al 1878, quando l'astronomo Hill cercè di spiegare il moto della Luna (Lunar Theory in The American Journal of Mathematics, Vol. I). La soluzione trovata da

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formalmente, non risulta essere periodica poichè nella sua trattazione Hill non considerè completamente la perturbazione introdotta dal Sole. Un al-tro importante contributo di Poincaré (Bulletin Asal-tronomique?, Vol. I) fu quello di dimostrare come, quando due delle tre masse sono innitesime, es-iste un numero innito di condizioni iniziali per le quali il moto risulta essere periodico. Tale risultato venne poi rielaborato e presentato alla corte del Re Oscar di Svezia e garantirà al matematico un cospicuo premio in denaro (è possibile trovarne una trattazione completa in Acta Mathematica, Vol. XIII). Citando testualmente le parole di Forest Ray Moulton:

The methods employed by Poincarè are incomparably more profound and powerful than any previously used in Celestial Mechanics... The work of

Poincarè was (...) published in three volumes entitled: Les Mèthodes Nouvelles de la Mècanique Cèlesteis given in sucient detail to make so

profound a work as easily read as possible. In (An introduction to Celestial Mechanics di F.R. Moulton, II edition, p. 320).

Alcuni risultati importanti sulla base dei lavori di Poincarè vennero pub-blicati dallo stesso F.R. Moulton assieme ad alcuni dei suoi studenti:

- D. Buchanan; - T. Buck; - F. L. Grin; - W. R. Longley; - W. D. MacMillian.

I risultati più interessanti vennero pubblicati con il titolo Periodic Or-bits in Pubblication 161 (Carnegie Institution di Washington). Diver-samente da come credono alcuni, lo stesso Newton dopo aver studiato il problema dei due corpi dovette arontare per primo le dicoltà del prob-lema dei tre corpi. E' infatti nel libro I, sezione XI dei Principia, che il leggendario astronomo aronta il problema applicandolo, tramite uno studio perturbativo, all'analisi del perigeo della Luna. Il matematico e sico Airy disse di tale capitolo: ...the most valuable chapter that was ever written on physical science. Quello che però non tutti sanno è che in alcuni mano-scritti non pubblicati (Portsmouth Collection, ritrovati nel 1872), Newton descrive il moto del perigeo Lunare con una precisione al second'ordine a dimostrazione della sua genialità e a prova del suo interesse e studio anche del problema dei tre corpi. Il moto del perigeo Lunare fu calcolato dagli astronomi, ignari dei risultati ottenuti da Newton, solo nel 1749 grazie al sico Clairaut che dimostrò come, sostituendo la forza Gravitazionale con

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riprodurre i dati osservativi. Nel 1899 Sir. George Darwin scrisse un impor-tante memoria riguardo le orbite periodiche (Acta Mathematica, Vol. XXI) ed assunse in tale trattazione che solo una delle tre masse fosse innitesima e che il rapporto di massa tra i due corpi massivi fosse 1:10 e che le loro orbite fossero circolari. Ad oggi, un numero elevato di orbite periodiche, facenti parte di diverse famiglie, sono state trovate numericamente e la loro stabilità  a indagata da metodi ideati da Hill e Lagrange e che vengono citati brevemente nel capitolo.

2.3 Problema di Hill

Il metodo che viene utilizzato ora risulta essere dierente rispetto quello utilizzato per la prima volta da Lagrange (Prize Memoir nel 1772).

Tale metodo però ha il vantaggio di poter essere esteso ad un numero qualsiasi di particelle. Lo svantaggio è che non è possibile, a dierenza del metodo utilizzato da Lagrange, ridurre il problema alle quadrature e cioè renderlo integrabile (rst order problem). Si ridenisceno le costanti d'integrazione come segue:

• G = 1; • Mtot=1;

• ρ : distanza tra i due primari = 1; • µ : massa ridotta ≤ 1/2 ;

• n2: velocità orbitale Kepleriana elevata al quadrato = 1.

Poiché questo è un problema a due corpi è possibile denire un piano in cui avviene il moto del sistema binario formato dai due oggetti puntiformi di massa M1 = 1 − µ e M2 = µ. Su tale piano si denisceno ora le coordinate

dei due corpi rispetto un origine e le distanze degli stessi.

La dierenza sostanziale tra il problema di Hill ed il problema dei tre corpi ristretto è che, nel primo, la massa del secondo corpo primario non è trascurabile ma solo molto minore rispetto la massa dell'altro corpo primario, mentre il terzo corpo ha masssa innitesima. Nel secondo problema solo la massa di uno dei due corpi primari e diversa da zero, le altre due masse invece sono trascurabili (Henon and Petit [1986]).

L'interazione gravitazionale tra due oggetti massivi è un problema con una soluzione analitica ben denita. Nel tempo sono stati proposti vari metodi di risoluzione per il suddetto problema e sempre è stato possibile trovarne una soluzione esprimibile attraverso funzioni elementari. Inoltre la trattazione di questo problema come prima approssimazione al problema generale degli n-corpi, come visto nella sezione precedente, consente di

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com-planetaria anche supponendo che l'interazione abbia luogo, appunto, solo attraverso interazioni binarie (Two Body Problem Approximation).

Il problema precedente è applicabile solo in alcuni casi particolari e, in seguito, viene proposto un parametro fondamentale RH (Raggio di Hill), che

consente di discernere quando tale approssimazione risulti essere corretta e quando, invece, ne siano necessarie delle altre. Quando infatti la distanza or-biale di una particella è maggiore di tale parametro, il campo gravitazionale che descrive il moto della stessa non può più essere approssimato tramite un 2BP (Two Body Problem). In questo caso, l'aggiunta di un terzo corpo rende l'integrazione del problema impossibile6 Esistono perè alcune

sempli-cazioni al precedente problema, una di queste è denita problema dei tre corpi generalizzato (o G3BP), che puè essere utilizzato dando buoni risultati in molti campi dell'astrosica no alla sica dei plasmi.

E' possibile introdurre tale approssimazione denendo il seguente prob-lema: si considerino due particelle puntiformi massive in orbia cirolcare attorno ad un baricentro comune ed una terza particella non massiva con moto inizialmente circolare che puè interagire con le particelle massive (pri-marie) ma che non ne modica il moto. Si supponga inne che una delle due particelle massive (primaria) abbia una massa molto minore rispetto quella dell'altra particella ma comunque diversa da zero. Studiare l'orbita della particella priva di massa.

Si inizi con lo scrivere le equazioni del moto della particella di prova: ¨ − →r = −∇Φ − 2(Ω × ˙−→r ) − Ω × (Ω × −r ), (2.1) Φ = −GM∗ r∗ −GMp rp . (2.2)

L'approssimazione di massa trascurabile per una delle tre particelle (par-ticella di prova) è evidente nella scrittura del potenziale in cui sono presenti solo i termini dovuti ai due corpi primari (in questo caso la stella di massa M∗ ed il pianeta di massa Mp). Inoltre il potenziale per i due oggetti è stato

scritto supponendo che essi abbiano simmetria sferica e dunque che non sia presente una rotazione degli stessi attorno a qualuque retta o piano passante per l'origine del sistema. Tale S.d.R. è costruito in modo tale che il piano x-y coindida con il piano del moto dei due corpi primari.

Si osserva come il problema precedente sia stato descritto in un S.d.R. coorotante con velocità angolare ˙ω uguale alla velocità orbitale kepleriana del primario meno massivo (−→Ωp(r) ) (che è da ora in avanti denito come

6Si faccia notare come esista una soluzione esprimibile tramite uno sviluppo in serie

per il problema dei tre corpi. Tale sviluppo in serie è non solo convergente ma permette di risolvere il problema in modo che la soluzione sia analitica e a carattere globale ( Sundman Mèmoire sur le problème des trois corps, 1912). E' possible dimsotrare che anche per il

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secondario) rispetto il baricentro del sistema stesso. Bisogna dunque scom-porre il vettore accellerazione del sistema nelle due componenti: tangenziale e perpendicolare al moto.

Si scrive ora l'equazione in componenti: ¨ x − 2ω ˙y − Ω2x = − " M∗(x − x∗) r3 ∗ +Mp(x − xp) r3 p # ; (2.3) ¨ y + 2ω ˙x − Ω2y = − " M∗ r3 ∗ +Mp r3 p # y; (2.4) ¨ z = − " M∗ r3 ∗ + Mp r3 p # z. (2.5)

L'approssimazione che il primario abbia una massa molto maggiore del secondario permette di spostare la posizione di quest'ultimo lungo l'asse x no a farla coincidere con l'origine degli assi e permette di far coincidere la posizione del baricentro del sistema con la posizione del corpo primario.

In forumle si ha che Mp  M∗≡ 1 dunque:

• |x∗|  |xp|,

• Ω2= M∗

x3 ∗.

Dunque le precedenti approssimazioni permettono di riscrivere le equazioni come: r∗ = p (1 + x)2+ y2 ∼=1 + 2x ' 1 + x (2.6) cossichè: r−3 ∼= 1 − 3x (2.7) ¨ x ∼= − Ω2 " (1 + x)(1 − 3x) + xMp (x2+ y2)3/2 − 1 − x # ∼ =2Ω ˙y + Ω2 " 3 − Mp (x2+ y2)3/2 # x (2.8) ¨ y ∼= −2Ω ˙x + Ω2 " 3x − Mp (x2+ y2)3/2 # y. (2.9)

Per semplicare ulteriormente le equazioni è possibile introdurre il parametro 4 = (x2+ y2)1/2. Poichè si è interessati al moto della particella di prova

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• 4, |x|, |y| ∼ Mp1/3  1,

• Mp

43  |x|.

Quello che si ottiene inserendo le approssimazioni precedenti nelle equazioni (2.8) e (2.9) è: ¨ x − 2Ω ˙y = " 3Ω2−Mp 43 # x (2.10) ¨ y + 2Ω ˙x = − " Mp 43 # y. (2.11)

Si osserva come l'assenza della coordianta z sia dovuta alle peculiarità del problema dei due corpi. Tale problema infatti risulta avere un piano fon-damentale in cui avviene il moto (Piano Invariante di Laplace). In questa trattazione si è supposto, per costruzione, che tale piano coincide con il pi-ano x-y e che anche la particella di prova sia vincolata allo stesso pipi-ano. Si osserva inoltre la struttura dell'equazione precedente:

• il membro di sinistra rappresenta il moto epiciclico della particella di prova;

• il membro di destra rappresenta le forze conservative aganti sulla par-ticella stessa.

In questo paragrafo l'equazione precedente viene inoltre riscritta anchè risulti adimensionale e priva di parametri sici. Per fare ciè si esprimono inizialmente le lunghezze in unità del raggio di Hill (es.: xh ≡ x/RH). Si

prosegue poi con l'utilizzo di una coordinata temporale adimensionale: τ = Ωt = 2πt/T . Dove T è il periodo orbitale del corpo secondario. Ora, poichè:

dx dt = dτ n , (2.12) dx = RHdxh, (2.13) allora: dx dt = ΩRH dxh dτ , (2.14) d2x dt2 = ΩRH d2xh dτ2 . (2.15)

Allora, in denitiva l'eq. (2.10) e (2.11) diventa: d2xh − 2dyh = 3 " 1 − 1 # xh, (2.16)

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d2y h dt2 + 2 dxh dt = 3 43 h yh. (2.17)

Con l'usuale notazione tale sistema puè essere riscritto nel modo seguente: ¨ x − 2 ˙y = 3 " 1 − 1 43 # x, (2.18) ¨ y − 2 ˙x = − 3 43y. (2.19)

Tale problema è chiamato problema di Hill e le equazioni precedenti sono denite equazioni di Hill. Si esamina ora l'equazione di Hill più nel dettaglio per ricavare la sopracitata condizione di applicabilità del problema dei due corpi. Annullando infatti il membro di destra dell'equazione (2.18) si ottiene un valore del raggio ben denito:

RH = a

Mp

3M∗

!1/3

. (2.20)

Tale parametro, che ha le dimensioni di una distanza è denito raggio di Hill. Un secondo metodo meno formale rispetto il precedente per ricavare questo parametro è quello di uguagliare il quadrato della velocità orbitale kepleriana del secondario attorno al primario con quella della particella di prova attorno al secondario. Si ottengono le stesse dipendenze della relazione precedente: Ω2p(r) = ω2test (2.21) cioè: GM∗ a3 = GMp r3 . (2.22)

Si osserva come imporre l'uguaglianza precedente, dimensionalmente, é come imporre un'uguaglianza tra due forze gravitazionali: quella esercitata dal primario alla distanza a (semiasse maggiore dell'orbita del secondario attorno al primario) e quella esercitata dal secondario sulla particella di prova posta a distanza r del secondario stesso. Contiunando, si ottiene un valore molto simile rispetto quello trovato in precedenza:

rH = a

Mp

M∗

!1/3

. (2.23)

Quello che si ottiene é dunque un parametro, rH appunto, che ben

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par-l'approssimazione di un problema a due corpi: secondario e particella di prova; mentre al di fuori di essa si deve tener conto dell'inuenza gravi-tazionale anche dell'oggetto primario. Con tale parametro é inoltre possibile ricavare la velocità orbitale kepleriana che avrebbe la particella di prova posta alla distanza rH:

vH =

GMp

rH

!1/2

. (2.24)

Tale velocità orbitale é denita velocità di Hill. Tramite questo valore é possibile studiare il comportamento generale di un insieme di particelle di prova che interagiscono con il secondario e dunque ricavarne le orbite. L'approssimazione da tener presente é che l'interazione gravitazionale tra le particelle di prova é trascurabile e dunque il problema si riduce da un problema agli n-corpi ad n problemi circolari planari dei tre corpi ristretto (N-RPC3BP: n-circular planar restricted three body problem) permettendo notevoli semplicazioni numeriche ed analitiche. Si fa inoltre notare come tale semplicazione comporta la non interazione tra le n particelle. Il codice utilizzato in questo elaborato tiene conto di questa semplicazione e quindi tutti i risultati ottenuti devono esser riguardati tendendola ben presente. Questa approssimazione è giusticata nel capitolo sei in cui vengono citati altri lavori che studiano la migrazione planetaria sia per un disco di plan-etesimi non autogravitante che per un disco autogravitante. Si ricorda però come l'autogravità di un disco di planetesimi sia poco rilevante (in termini della massa totale: circa 40M⊕), rispetto quella dovuta alla stella centrale

(M ). Inoltre al tempo in cui vengono condotte le simulazioni numeriche il

disco di gas (che detiene gran parte della massa totale del disco protoplane-tario) è stato completamente diuso o accresciuto sul pianeta e/o sulla stella centrale.

Vengono ora comparati il valore della dispersione di velocità delle par-ticelle (σ) con la velocità descritta nell'equazione (2.24). Si ottengono due diversi regimi:

• σ > vH: la sica delle collisioni, dell'accrescimento e delle

pertur-bazioni é ben descrivibile attraverso un problema dei due corpi disper-sion dominated encounters;

• σ < vH: in questo caso bisogna invece considerare anche le pertur-bazioni sul moto delle particelle di prova indotte dal corpo primario shear dominated encounters.

E' importante osservare come questi due regimi nulla hanno a che fare con lo shear ed il dispersion dominated regimes che descrivono invece la distribuzione di eccentricità e quindi di velocità di un disco di planetesimi. Un risultato importante, che per ora può essere preso come un teorema, é il

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Teorema 2.1.

La stabilità di un sistema dei tre corpi in cui nessun corpo è soggetto a risonanze non dipende dalla conoscenza delle orbite degli stessi.

E' importante osservare come l'applicazione di tale criterio di stabilità, se applicato al RPC3BP, dia un risultato analitico. Il risultato é dovuto ad Hill (Lunar Theory in The American Journal of Mathematics Vol. I) ed é stato successivamente rielaborato da Jacobi (Comptes Rendus de lÀcadèmie del Sciences de Paris, Vol.III, pag. 59) e da Darwin (Memoir on Periodi Orbits in Acta Mathematica Vol. XXI, pag. 102).

Si prende in considerazione l'equazione (2.1) e (2.2), in tale equazione il potenziale totale (gura 2.1) dovuto alla forza gravitazionale e alla forza centrifuga (il S.d.R. è coorotante con il pianeta e dunque non inerziale) è scrivibile come: U (x, y, z) = 1 2Ω 2(x2+ y2+ z2) +GM∗ r∗ +GMp rp (2.25)

Riscrivendo, per componenti, l'equazione della forza con questa nuova defnizione di potenziale si ottiene il seguente sistema:

¨ x − 2Ω = ∂U ∂x; (2.26) ¨ y + 2Ω = ∂U ∂y; (2.27) ¨ z = ∂U ∂z. (2.28)

Moltiplicando per ˙x, ˙y e ˙z e sommando per componenti: ˙ x¨x + ˙x¨x + ˙x¨x = ˙x∂U ∂x + ˙y ∂U ∂x + ˙z ∂U ∂x, (2.29)

che puè anche essere riscritta come: 1 2 d dt( ˙x 2+ ˙y2+ ˙z2) = dU dt , (2.30)

questo é un sistema immediatamente integrabile:

( ˙x2+ ˙y2+ ˙z2) = 2U − CJ, (2.31) − → CJ = 2 − → U − −→v2. (2.32) Dove la costante d'integrazione CJ é comunemente chiamata costante di

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Fig. 2.1: Potenziale del problema dei tre corpi ristretto. Il graco è stato ottenuto tramite l'equazione (2.25) e sono stati inseriti anche i 5 punti la-grangiani Li con i = 1, ..., 5, unici punti di equilibrio (stabile o instabile)

del problema dei tre corpi. Si può riguardare a tale supercie come ad una barriera di energia potenziale a cui sono soggette le particelle di prova. Quest'ultima denizione è utile più avanti in questo capitolo.

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Tale costante rappresenta quello che viene chiamato un integrale primo del moto, un parametro che non varia nel tempo e che descrive in modo uni-voco ad ogni istante il sistema che si sta prendendo in considerazione. CJ

dipende sia dalla coordinate della particella che dalla velocità della stessa e permette di ssare dei vincoli sul moto della particella di prova. Data infatti una condizione inziale di velocità −→v (0) e posizione −→x (0) é sempre possibile calcolare l'evoluzione temporale della dierenza tra energia cinet-ica (T) e potenziale gravitazionale (U). Poiché come visto nella (2.32) tale dierenza altro non è che l'integrale di Jacobi, è possibile, per ogni parti-cella, calcolare tale valore una sola volta. Esso rimane invariato nel tempo. Una nota approssimazione di tale criterio che si utilizza per identicare, ad esempio, dierenti comete e che viene chiamato criterio di Tisserand (1889). Imponendo ora che −→v (0) = 0 si ottiene che −→CJ = 2

− →

U che risulta il valore massimo della costante di Jacobi. Le superci che si vanno a denire pren-dono il nome di superci a velocità nulla (gura 2.2) e il loro studio consente di vincolare il moto della particella in certe zone dello spazio delle coordi-nate per un problema dei tre corpi anche se non si ha la conoscenza precisa della loro posizione. Quindi è possibile, sapendo la posizione della particella trovare un valore numerico per la costante di Jacobi, sezionare la superce tridimensionale di Jacobi e ricavare un piano in cui esistono zone concesse al moto e zone non concesse. Per comprendere tutto ciò si osserva il graco in gura 2.3 che rappresenta la proiezione lungo l'asse y della gura (2.1) presentata precedentemente. In questo caso la costante di Jacobi dipende solo da una coordinata, sono inoltre presenti i tre punti lagrangiani L1, L2

ed L3 che risiedono sull'asse y = 0 (piano di proiezione). In questo caso,

s-sato un valore della coordianta x ho una retta ricavata inserendo tale valore all'interno del integrale di Jacobi. La particella è costretta a viaggiare su di una retta all'interno di uno o dell'altro lobo. La particella non è infatti in grado di superare la barriera di potenziale (per esempio quella tra i due corpi primari) e quindi rimane vincolata all'interno della buca di potenziale di una delle due masse.

In gura (2.4) è rappresentato quanto appena detto ma in termini delle due coordinate spaziali: è presentata la supercie di Jacobi, sezionata dal piano denito da una certa condizione iniziale di posizione (e velocità) di una particella.

In gura (2.5) è presentato invece la traiettoria di una particella. come si può osservare l'orbita rimane sempre all'interno di tale supercie che rap-presenta, a tutti gli eetti, una barriera di potenziale (o vincolo energetico) per la particella di prova.

Sapere dunque il valore di −→CJ per un orbita permette di conoscere le

regioni in cui il moto è concesso e, ancora, saperendo −→U é possibile ricavare la supercie tridimensionale di Jacobi in ogni punto dello spazio. Si

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com-Fig. 2.2: Proiezione di varie superci equipotenziali per il potenziale del problema dei tre corpi. Poiché nel limite di velocità molto basse, la costante di Jacobi è ricavabile dal potenziale a meno di un fattore costante, studiando le superci equipotenziali si ottengono le superci di Jacobi.

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Fig. 2.3: Proiezione monodimensionale nello spazio delle coordinate della supercie di Jacobi. Il valore della supercie di Jacopi in questo caso dipende solo dalla coordinata x (e dal valore della massa ridotta a) che, misurata ad un tempo qualsiasi (x(t0) = x0), permette di ricavare un valore numerico

(negativo) dall'equqazione per la supercie di Jacobi. Nel caso specico tale valore è uguale a −5.0. E' sul piano formato dall'intersezione tra tale valore costante e la supercie di Jacobi avviene il moto della particella di prova. La retta costante (J(x0, a) = −5.0) intercetta la supercie di Jacobi e dalla loro

intersezione si ottengono le zone concesse al moto. In questa congurazione il basso valore della costante di Jacobi non consente alla particella di passare da un lobo ad un altro del sistema.

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Fig. 2.4: Proiezione bidimensionale nello spazio delle coordinate della su-percie di Jacobi. Come nel caso precedente ma ora è stata aggiunta anche la dipendenza dalla coordinata y: J = J(x, y, a). L'intersezione con un valore costante (CJ = −3.0, piano viola) determina le zone concesse e proibite al

moto.

Fig. 2.5: Orbita di una particella di prova. La particella di prova è all'interno della zona concessa al moto dalla condizione di Jacobi. Il vincolo energetico è rispettato.

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particella possiede, essa è vincolata all'interno di alcune zone ben denite che dipendono da un unico parametro indipendente dal tempo (CJ).

Il risultato precedente permette di ridenire il teorema (1.1) nel seguente modo:

Teorema 2.2 (Stabilità di Hill).

`Una particella non può mai attraversare una supercie a velocità nulla (gura 2.6). Le regioni in cui una particella può muoversi sono le uniche in cui la (−→v (0) > 0).

Proof. Si supponga che una particella ad un certo istante t abbia una veloc-ità non nulla e che possa passare attraverso una supercie a velocveloc-ità nulla. A tale istante t dunque, la dierenza tra energia cinetica (T) ed energia potenziale (U) sarebbe diversa da quella calcolata utilizzando il valore CJ

che, per denizione, è un integrale primo eq. (2.32) e che quindi deve ri-manere costante. La particella deve arrivare alla supercie di velocità nulla con velocità uguale a zero.

Fig. 2.6: Due esempi di moto per particelle con condizioni iniziali dierenti. Le orbite delle due particelle di prova sono vincolate all'interno delle superci a velocità nulla. Sono presentati due dierenti valori della costante di Jacobi e, conseguentemente, della posizione iniziale per le due particelle. E' possibile notare come tali orbite ricoprano densamente tutto lo spazio loro concesso in base al loro vincolo energetico. Quest'ultima osservazione è molto importante alla ne di comprendere i fenomeni caotici all'interno del problema dei tre corpi.

Si osserva come tale teorema garantisce un criterio di stabilità necessaria per un orbita (gura 2.6 e 2.7).

E' interessante inoltre notare come il valore precedente per l'integrale di Jacobi è stato scritto in un sistema di riferimento corotante. Si vuole ora procedere con la scritura di tale costante in un S.d.R. inerziale. E' in-teressante notare come viene riscritta tale costante e come, sicamente, sia

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Fig. 2.7: Sezione tra il piano costante di Jacobi e la supercie di Jacobi generica. Sono indicati i punti lagrangiani (in verde), la poszione delle due masse M1 ed M2 (in giallo), la zona concessa al moto la posizione della

condizione iniziale per la particella di prova x0, y0 e l'orbita della particella

(40)

di capire come, in un disco di planetesimi, esistano zone prive di particelle. Tale strumento di analisi viene qui solo presentato e è ampliato ed approfon-dito nel seguito di questa tesi. In pratica ciò che bisogna fare è sostituire il valore della velocità −→v della particella con quello della−→V (velocità misurata nel S.d.R. inerziale). Si ricorda innanzitutto come la velocità di un corpo nel S.d.R. inerziale è correllata con quella nel S.d.R. rotante dalla seguente identità vettoriale: V = −→v + −→ω × −→r . (2.33) Quindi: − →v2 =−→V2− 2→−V · (−ω × −r ) + |−ω × −r |2 . (2.34)

si riscriva poi −→ω × −→r come: − →ω × −r = 0ˆx yˆ zˆ 0 0 n x y z = −ny ˆx + nxˆy, e |−→ω × −→r |2 come: |−→ω × −→r |2= −→ω ·−→h . (2.35) Il termine n ≡ velocità angolare della particella. utilizzando poi la seguente identià vettoriale:

− →

A · (−→B ×−→C ) =→−B · (−→C ×−→A ) (2.36) é possibile riscrivere il secondo termine dell'equazione (3.33) come segue:

− → V · (−→ω × −→r ) = −→ω · (−→r ×−→V ) (2.37) = −→ω · −→r × d− →r dt ! (2.38) = −→ω ·−→h . (2.39) Dove si é fatto uso del termine−→h per descrivere il momento angolare rispetto il sistema inerziale. Quindi in denitiva é possibile riscrivere l'equazione (3.34) come segue:

v2=−→V2− 2−ω ·−→h + −ω ·−→h , (2.40)

che, inserita nella denizione di integrale di Jacobi da: CJ = 1 V2− n2 µ1 +µ2 ! − −→ω ·−→h . (2.41)

(41)

E' inne possibile esprimere in termini dell'energia totale E del sistema il valore CJ (in questo modo si capisce come tale valore rappresenti un vincolo

energetico al moto della particella). Si moltiplica tale costante per a2 (con

a semiasse maggiore dell'orbita della particella) anché risulti essere un termine adimensionale. Si ricorda come:

a2n2µi= a2G(m1+ m2)mi a3(m 1+ m2) = Gmi a . (2.42)

Dove µi ed mi sono, rispettivamente, la massa ridotta e la massa sica della

particella di prova i-esima. E' possibile riscrivere inne l'integrale di Jacobi come: C0J = CJa2= 1 2V 02 Gm1 r1 +Gm2 r2 ! − mh0z= E0− nh0z. (2.43) I termini con l'apice sono stati ricavati tenendo presente che il nuovo valore di C0 J é adimensionale e quindi: • V a = V0; • −→h a2=−→h0; • −→ω ·−→h = nh0z; • E0= 1 2V 02 Gm1 r1 + Gm2 r2 ! . Dunque, in forma compatta:

CJ = E0− nh0z. (2.44)

Il valore della costante di Jacobi ricavato in (2.24) é un integrale primo del moto nel S.d.R. inerziale ed é conservato. In altri termini una particella può modicare sia il valore dell'energia totale che del suo momento angolare, interagendo con altri corpi, ma la dierenza tra i due deve rimanere costante nel tempo. E' questa la barriera energia-momento angolare che é stata citata precedentemente e che permette di capire in dettaglio i risultati dell'analisi lineare sulla stabilità che vengono proposti nel seguito.

2.3.1 La costante di Jacobi come misura della precisione di un algoritmo

Per realizzare le varie orbite presentate precedentemente, è stato scelto di in-tegrare il problema dei tre corpi ristretto con il software MAT HEMAT ICA R

(42)

Fig. 2.8: Immagine che racchiude ciò che è stato detto n'ora. La su-percie di Jacobi, il piano costante di jacobi e la triettoria della particella. M AT HEM AT ICA R ore delle librerie grache di notevole interesse per la realizzazione di graci molto suggestivi come quello qui presentato.

(43)

Una così vasta scelta di algoritmi e strutture per l'integrazione di un sistema di equazioni alle derivate ordinarie comporta però una dicoltà sostanziale: la scelta dell'algoritmo. Sono infatti stati scelti sei algoritmi già implementati nel software a cui è stato aggiunto un settimo algoritmo denito dall'utente.

Nella tabella 1 è stato riportato il tempo necessario (ssata una con-dizione iniziale ed una precisione numerica) per i sette algoritmi utilizzati. Ciò è stato possibile attraverso il comando //T iming.

Method MaxSteps Working Precision Timing [sec.]

Adams 50.000 32 11.466 ExpMod MidPoint 50.000 32 2.839 ExtrLinImpEuler 50.000 Automatic 12.995 StinessSwitching 50.000 Automatic 1.409 StiSwitch+RK4th 50.000 Automatic 0.94 ExpRK9th 50.000 32 1.58 AdamsBM4th 50.000 32 13.244

Table 2.1: I sei algoritmi numerici analizzati. Se si eettua la scelta solo in base alla velocità con cui l'algoritmo integra il problema, si commette un errore in quanto ciò non tiene minimamente conto della precisione dello stesso. Si va infatti a prediligere il costo computazionale dell'algoritmo ma non la sua precisione.

Per studiare la precisione di ogni algoritmo è stato necessario utilizzare la costante di Jacobi. Essa come detto è un integrale primo del moto e, per denizione, si deve conservare nel tempo. Si calcola quindi la dierenza tra il valore iniziale di tale costante (ottenunto inserendovi le condizioni di velocità e posizione iniziali) e quello ottenuto ad ogni step temporale d'integrazione:

∆CJ = CJ(t) − CJ(0)

!

/CJ(0),

CJ(0) = 2U (x0, y0, a) − ˙x(t0)2− ˙y(t0)2.

(2.45) Più la dierenza tra tali valori è piccola maggiore è la precisione con cui l'algoritmo conserva l'energia. Maggiore è la precisione con cui si conserva l'energia, maggiore è la fedeltà con cui viene riprodotta un orbita (rispetto al vincolo dovuto a CJ). I sistemi Hamiltoniani sono infatti sistemi

simplet-tici, nel senso che non modicano, durante l'evoluzione temporale, il volume dello spazio delle fasi. Maggiore è l'accuratezza dell'algoritmo maggiore è la conservazione (numerica) di tale volume. Di seguito è riportata la sintassi che è stata utilizzata per ricavare tale valore.

(44)

int tfin=100;

for(i=0;i=tfin;i++){ C(i)=(C(i)-C(0))/C(i) }

endfor

E' inne riportata, nella tabella 2 il valore massimo che assume questo parametro.

Method Picco Massimo

Adams 6 × 10−9

ExpModMidPoint diverge per t > 12tdin

ExtrLinImpEuler 0.015 StinessSwitching 0.02 StiSwitch+RK4th 0.002

ExpRK9th 6 × 10−7

AdamsBM4th 6 × 10−8

Table 2.2: Valore di ∆Cmax.

J per ogni algoritmo. Per ogni algoritmo è stato

calcolato il ∆CJ ed è stato inserito nella tabella il discostamento massimo

ottenuto durante l'integrazione dell'orbita. L'algoritmo di Adams ha una precisione maggiore rispetto gli altri.

Come visto nella tabella 2.2 l'algoritmo di Adams ha una precisione molto elevata ed è stato dunque scelto per l'integrazione del problema dei tre corpi ristretto. Anche l'algoritmo di Adams Bashfort Moulton del quart'ordine (ADM4th) ha una precisione elevata. La dierenza è che il metodo di Adams utilizza un ordine di integrazione che è ssato di default dal soft-ware. L'algoritmo di ABM4th è stato realizzato dall'utente e, fermandosi ad un ordine relativamente basso, presenta una buona seppur minore precisione rispetto il metodo di Adams (gura 2.9).

2.4 Feeding Zone

Un metodo certamente più rigoroso per ricavare un criterio di stabilità é il seguente.

Si denisce con:

• aout: la distanza dell'orbita circolare della particella di prova, • ain: la distanza dell'orbita circolare del secondario (pianeta), • ∆ = aout

(45)

(a) Orbita nello spazio delle cong-urazioni utilizzando l'algoritmo di Adams.

(b) Andamendo di ∆CJ per l'algoritmo di

Adams.

(c) Orbita nello spazio delle cong-urazioni utilizzando l'algoritmo di Runge-Kutta al nono ordine.

(d) Andamendo di ∆CJ per l'algoritmo di

Runge-Kutta al nono ordine.

(e) Orbita nello spazio delle cong-urazioni utilizzando un algoritmo di tipo Stifness.

(f) Andamendo di ∆CJper l'algoritmo di tipo

Stifness

Fig. 2.9: Tre dierenti algoritmi ognuno con una precisione dierente. L'orbita scelta è la stessa e, come si vede la precesione dell'algoritmo è dif-ferente nei tre casi. Anche se non si riesce a notare la dierenza da un punto di vista della traiettoria per i tre casi: (a), (c) ed (e). La dierenza è invece evidente quando si osserva l'andamento di ∆CJ (pannelli (b) (d) ed (f)).

Nel caso dell'algoritmo di Adams questo valore è marcatamente più piccolo rispetto agli altri casi. Ciò consente di asserire che è quest'ultimo algoritmo a preservare meglio la struttura delle orbite senza introdurre errori numerici

(46)

• qin = MMp: rapporto tra le masse del secondario (Mp) e del corpo

primario (M∗).

Riscrivendo con questo nuovo formalismo la condizione (2.32) si ottiene: ∆ > 2.4qin1/3. (2.46) Il valore di tale parametro, confermato anche dalle nostre simulazioni nu-meriche, descrive la cosidetta feeding zone o zona d'inuenza (Donnison and Williams [1983]; G. B. Valsechhi [1983]). Poiché dimensonalmente [∆] = [rH]

é come dire che un pianeta perturba fortemente una particella di prova se essa si trova ad una certa distanza che è dell'ordine di qualche raggio di Hill. Il termine fortemente é stato messo in risalto poichè la forza grav-itazionale é, come noto, una forza a lungo range e quindi tutto il disco risente dell'inuenza del pianeta ma nella zona delimitata dall'equazione (2.46) l'interazione con il pianeta è così forte da generare delle modiche sostanziali ai parametri orbitali dei planetesimi (o particelle di prova) quali l'eccentricità e l'inclinazione, tanto da scatterare i planetesimi su orbite non più circolari od ellittiche. In prima approssimazione l'estensione di tale zona è denita come gap. Si fa però n da subito notare come ciò non sia del tutto vero in quanto esistono due dierenti processi sici che concorrono alla creazione di questo gap. Il primo non consente il moto a causa di vincoli energetici (la barriera di potenziale), mentre il secondo, genera traiettorie così instabili che dopo un tempo relativamente piccolo esse divergono e si ha un completo svuotamento della zona interessata da questo fenomeno. E' possibile estendere tale trattazione al caso in cui la particella di prova ab-bia una massa non trascurabile e che dunque, anch'essa abab-bia un inuenza gravitazionale sugli altri due corpi. Si generalizzano i parametri precedenti come segue:

• qin= M

(1) p

M∗ : rapporto tra le masse del secondario (M

(1) p ) e del primario (M∗), • qin= M (2) p

M∗ : rapporto tra le masse del secondario (M

(2)

p ) e del primario

(M∗).

In particolare é posibile identicare con M(2)

p il planetesimo mentre con

Mp(1) il pianeta. In questo caso si ottiene un valore di stabilità alla Hill

generalizzato (Gladman [1993]; Marchal and Bozis [1990]; Donnison [2010]): ∆ > 2 × 31/6(qout+ qin)1/3+ [2 × 31/3(qout+ qin)2/3− ...] +O(q). (2.47)

Figura

Fig. 1.1: Istogramma numero di pianeti - massa. E' osservabile come il picco di questo istogramma sia posizionato in corrispondenza di pianeti di grande masse (&gt; 0.5 M J ).
Fig. 2.2: Proiezione di varie superci equipotenziali per il potenziale del problema dei tre corpi
Fig. 2.3: Proiezione monodimensionale nello spazio delle coordinate della supercie di Jacobi
Fig. 2.6: Due esempi di moto per particelle con condizioni iniziali dierenti. Le orbite delle due particelle di prova sono vincolate all'interno delle superci a velocità nulla
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