Sommario
LA PREVENZIONE INCENDI... 8
Introduzione ... 9
Capitolo 1. L’incendio ... 11
Classificazione degli incendi ... 12
1.1. La dinamica dell’incendio ... 14
1.2. Prodotti della combustione ... 16
1.3. Capitolo 2. Il Rischio Incendio ... 19
Determinazione del carico d’incendio ... 23
2.1. Capitolo 3. Sistemi di protezione passiva ... 25
Scelta dell’area ... 25 3.1. Compartimentazione antincendio... 26 3.2. Resistenza al fuoco ... 27 3.3. Reazione al fuoco dei materiali ... 28
3.4. Vie di esodo ... 32 3.5. 3.5.1. Tempo di evacuazione ... 34 3.5.2. Capacità di deflusso ... 35 3.5.3. Densità di affollamento ... 35
3.5.4. Affollamento massimo ipotizzabile ... 35
3.5.5. Larghezza delle vie d’uscita ... 35
3.5.6. Numero delle uscite ... 36
3.5.7. Lunghezza del percorso ... 36
3.5.8. Luogo calmo – spazio calmo sicuro ... 37
La ventilazione ... 38
3.6. Capitolo 4. Sistemi di protezione attiva ... 40
3
Gli estintori ... 40
4.1. 4.1.1. Numero minimo di estintori ... 43
4.1.2. Ubicazione ... 43
4.1.3. Sistemazione... 43
Sistemi di allarme incendi ... 44
4.2. Evacuatori di fumo e calore ... 46
4.3. 4.3.1. Barriere al fumo ... 46
4.3.2. Requisiti degli evacuatori ... 47
4.3.3. Azionamento degli evacuatori ... 47
Illuminazione di sicurezza ... 48
4.4. 4.4.1. Autonomia dell’impianto ... 49
Impianti fissi di spegnimento incendi ... 49
4.5. 4.5.1. Rete idrica antincendio ... 50
4.5.2. Impianto a idranti ... 51
4.5.3. Attacchi autopompa-serbatoio dei vigli del fuoco ... 55
4.5.4. Idranti antincendio ... 56
4.5.5. Naspi ... 56
4.5.6. Impianto sprinkler ... 57
4.5.7. Impianto a gas ... 60
4.5.8. Tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente ... 60
4.5.9. Impianto ad aerosol ... 61
IL CASO STUDIO ... 70
Capitolo 5. Il caso studio ... 71
Capitolo 6. Il Decreto Ministeriale 3 Agosto 2015... 73
4
Principali riferimenti normativi ... 79
7.1. Capitolo 8. Indicazioni generali d’inquadramento ... 80
Classificazione ... 80 8.1. Caratteristiche costruttive ... 80 8.2. 8.2.1. Scelta dell’area ... 80 8.2.2. Ubicazione ... 80 8.2.3. Accesso All’area ... 80 Comportamento al fuoco... 81 8.3. 8.3.1. Resistenza al fuoco delle strutture ... 81
8.3.2. Sezionamenti ... 81
Scale ... 82
8.4. 8.4.1. Ascensori e montacarichi ... 84
Misure di protezione e per l’evacuazione in caso di emergenza ... 84
8.5. 8.5.1. Capacità di deflusso ... 85
8.5.2. Affollamento ... 85
8.5.3. Sistema di via di uscita ... 86
8.5.4. larghezza delle vie di uscita ... 87
8.5.5. lunghezza delle vie di uscita ... 88
8.5.6. numero delle uscite ... 88
Spazi a rischio specifico ... 88
8.6. 8.6.1. Carico d’incendio deposito ... 88
8.6.2. Carico d’incendio biblioteca – sala lettura ... 90
Capitolo 9. Sistemi di protezione attiva contro gli incendi ... 92
Gli estintori ... 92
9.1. Segnaletica di sicurezza ... 94 9.2.
5
Capitolo 10. Impianto Estinguente Ad Aerosol ... 95
Descrizione Locale ... 95
10.1. Requisiti Di Progettazione ... 95
10.2. 10.2.1. Calcolo della concentrazione di progetto, della massa estinguente e del numero dei generatori... 97
Prescrizioni ... 98
10.3. Posizionamento Dei Generatori E Loro Fissaggio ... 98
10.4. 10.4.1. Attivazione generatori aerosol ... 98
10.4.2. Apparecchiature accessorie ... 99
Capitolo 11. Impianto Sprinkler ... 100
Descrizione generale impianto ... 100
11.1. Vasca di accumulo... 101 11.2. Gruppo di pompaggio ... 101 11.3. 11.3.1. Stazione di pompaggio ... 103 11.3.2. Segnalazioni ... 105 11.3.3. Apparecchi di misura ... 105 Reti di tubazioni ... 106 11.4. Erogatori sprinkler ... 108 11.5. 11.5.1. Portata di scarica ... 109 11.5.2. Posizionamento erogatori ... 109 11.5.3. Contrassegni di identificazione ... 111 Rete Sprinkler ... 112 11.6. Risultati di calcolo integrale ... 112
11.7. 11.7.1. Area favorita ... 113
6
Alimentazioni ... 114
11.8. 11.8.1. Prestazioni richieste alle alimentazioni ... 114
11.8.2. Verifica del punto di lavoro delle alimentazioni ... 115
Capitolo 12. Impianto Idranti ... 116
Descrizione Generale Impianto ... 116
12.1. Vasca di accumulo... 117 12.2. Gruppo di pompaggio ... 117 12.3. 12.3.1. Stazione di pompaggio ... 119 12.3.2. Segnalazioni ... 120 Apparecchi di misura ... 121 12.4. Reti di tubazioni ... 121 12.5. Idranti a muro ... 123 12.6. Rete ad idranti ... 124 12.7. Risultati di calcolo integrale ... 126
12.8. 12.8.1. Area favorita ... 126
12.8.2. Area Sfavorita ... 126
Alimentazioni ... 126
12.9. 12.9.1. Prestazioni richieste alle alimentazioni ... 127
12.9.2. Verifica del punto di lavoro delle alimentazioni ... 128
Conclusioni ... 129
Parte Terza ... 131
ALLEGATI DI CALCOLO ... 131
Allegati di calcolo al capitolo 11 ... 132
Elenco nodi area operativa favorita ... 132
7
Elenco tronchi e nodi area operativa favorita ... 151
Elenco tronchi e nodi area operativa sfavorita ... 195
Allegati di calcolo al capitolo 12 ... 241
Elenco nodi area operativa favorita ... 241
Elenco nodi area operativa sfavorita ... 242
Elenco tronchi e nodi area operativa favorita ... 243
Elenco tronchi e nodi area operativa sfavorita ... 246
BIBLIOGRAFIA ... 249
8
Parte Prima
Introduzione
La sicurezza è una condizione determinata dall’assenza di pericoli che possano minacciare l’integrità fisica, psichica e psicologica dell’uomo. Il termine deriva dal latino “sine cura”, senza preoccupazioni, e definisce la condizione he permette ad un soggetto di svolgere ogni sua attività senza preoccuparsi di rischi, in quanto assenti. Su questo tema la collettività è sempre più sensibile e chiede delle risposte alle istituzioni all’altezza di quella che viene ormai considerata una vera e propria emergenza.
In questo contesto si inserisce un approccio innovativo dell’ingegneria, l’ingegneria della sicurezza, che analizza il pericolo utilizzando gli strumenti tradizionali integrati dalle tecniche di analisi del rischio. Più in dettaglio, la “fire safety engineering”, ovvero l’ingegneria della sicurezza antincendio, è l’applicazione di questo approccio innovativo che ha lo scopo di proteggere le persone, le cose e l’ambiente dagli effetti dell’incendio. L’ingegneria della sicurezza antincendio identifica i rischi e le misure di prevenzione e protezione che permettono di prevenire, controllare ed estinguere un incendio.
L’incendio è una combustione non controllata che si sviluppa senza limitazioni di spazio e di tempo, dando luogo a calore, fumo e gas.
Dall’analisi statistica dei dati dell’ultimo decennio, è emerso che il problema incendi è largamente diffuso anche nei paesi industrializzati e provoca ingenti perdite sia umane che economiche. Pertanto, è stato opportuno evidenziare le diverse cause di un incendio al fine di individuare le protezioni più idonee ed efficaci per contenere tali danni.
Si definisce rischio incendio il prodotto tra la frequenza con cui esso si verifica e la magnitudo, ovvero l’entità dei danni provocati. La frequenza di accadimento e la magnitudo sono state suddivise in quattro livelli (in ordine crescente) che hanno
Introduzione
10
permesso di classificare i luoghi di lavoro a basso, medio ed elevato rischio incendio. L‘analisi del rischio di incendio viene condotta tenendo in considerazione numerosi fattori. E’ necessario valutare la presenza di sostanze pericolose, le caratteristiche architettoniche e costruttive dei luoghi con particolare attenzione alla resistenza al fuoco delle strutture e alla reazione al fuoco dei materiali impiegati. Di fondamentale importanza è la presenza di impianti tecnologici e di servizio (impianto elettrico e GPL) realizzati a regola d’arte e in conformità alle normative vigenti. Occorre tener conto, infine, della presenza di adeguate vie di fuga, di presidi antincendio e di una gestione corretta ed efficiente della sicurezza. Dall’analisi del rischio scaturisce la definizione di protezione attiva: l’insieme delle misure che richiedono l’azione di uomo o l’azionamento di un impianto finalizzato alla precoce rivelazione, segnalazione e spegnimento dell’incendio.
Fra le protezioni attive si annoverano gli impianti di rivelazione e segnalazione incendi, gli estintori, la rete idrica antincendio, gli impianti fissi di spegnimento automatico e gli evacuatori di fumo e calore.
Tutte le protezioni antincendio, sia passive che attive, devono essere mantenute in condizioni di perfetta efficienza e pertanto occorre definire un programma di manutenzione che prevede tutte le operazioni da effettuare e le relative scadenze al fine di garantirne nel tempo il corretto funzionamento.
Capitolo 1. L’incendio
L’incendio è una reazione chimica che avviene tra due sostanze: combustibile e comburente. La trasformazione di questi reagenti, produce gas, luce, calore e fumo. Un incendio può compiersi con o senza lo sviluppo di fiamme visibili.
I requisiti indispensabili per il verificarsi di una combustione, sono la contemporanea presenza di tre elementi che costituiscono il cosiddetto “Triangolo del Fuoco”:
• Combustibile
• Comburente (ossigeno presente nell’aria) • Sorgente di calore
Figura 1.1 Triangolo del fuoco
Quando uno dei tre elementi del triangolo del fuoco viene a mancare, la combustione non avviene o se già in corso, si estingue; per spegnere un incendio si può ricorrere a tre sistemi:
Capitolo 1 L’incendio
12
• Esaurimento, allontanamento o separazione del combustibile;
• Soffocamento, ovvero una riduzione percentuale del comburente al di sotto della soglia minima;
• Raffreddamento mediante sottrazione del calore al fine di ottenere una temperatura inferiore alla temperatura necessaria al sostentamento della combustione.
Il triangolo del fuoco è un utile strumento di insegnamento, ma non riesce a identificare il quarto elemento essenziale del fuoco: la reazione a catena che sostiene l’incendio. Ciò ha portato allo sviluppo del “Tetraedro del Fuoco”. Alcuni agenti estinguenti non rimuovono o riducono uno dei tre elementi necessari, ma piuttosto interferiscono con la loro combinazione chimica. Nella maggior parte degli incendi, non importa quale elemento viene rimosso, l’incendio non si innesca, o si spegne.
Figura 1.2 Tetraedro del fuoco
Vi sono alcuni incendi di sostanze chimiche dove conoscere solo il triangolo del fuoco non è sufficiente la combustione è una reazione chimica che per sopravvivere si nutre di calore. Con la maggior parte degli incendi, il vecchio modello di triangolo del fuoco funziona abbastanza bene, ma quando l’incendio coinvolge metalli (noti come una classe di incendio D, con la partecipazione di metalli come il litio, magnesio ecc.), diventa utile prendere in considerazione la chimica di combustione.
C
LASSIFICAZIONE DEGLI INCENDI1.1.
La classificazione dei fuochi è finalizzata all’individuazione della natura
caratteristica di un fuoco, caratteristica che facilita la scelta delle
sostanze estinguenti più idonee. Vengono distinti secondo le Norme
Capitolo 1 L’incendio
13
europee EN2 (con traduzione italiana UNI EN 2) ed EN 3 in cinque
classi, secondo lo stato fisico dei materiali combustibili, con
un’ulteriore categoria che tiene conto delle particolari caratteristiche
degli incendi di natura elettrica.
• Classe A: fuochi da materiali solidi, generalmente di natura
organica, la cui combustione avviene con formazione di braci.
Sono detti fuochi secchi;
• Classe B: fuochi di idrocarburi solidificati o di liquidi
infiammabili. Sono detti fuochi grassi;
• Classe C: fuochi di combustibili gassosi;
• Classe D: fuochi di metalli. Si prendono i considerazione i fuochi
di metalli leggeri ovvero di sostanze chimiche combustibili in
presenza di aria, reattive in presenza di acqua o schiume, quali
sodio, alluminio, fosforo, potassio e magnesio;
• Classe F: fuochi da oli e grassi vegetali o animali. La recente
norma EN 2 del 2005 ha portato da quattro a cinque le classi del
fuoco prese a riferimento per la qualificazione dei mezzi
estinguenti aggiungendo quest’ultima classe che prevede i fuochi
che interessano mezzi di cottura in apparecchi di cottura.
Peraltro, in base alle regole riguardanti provvedimenti normativi
comunitari, la norma EN 2 ha lo “status di norma nazionale
italiana”, il che comporta obblighi di adempimenti di osservanza.
Tabella 1.1 Tabella riassuntiva classificazione dei fuochi CLASSE
A
B
C
D
F fuochi da oli e grassi animali o vegetali Variabile a seconda del tipo di materiale coinvolto fuochi di materiali gassosi infiammabili
fuochi di sostanze chimiche spontaneamente combustibili o metalli
Aqua; Polveri polivalenti Acqua a getto frazionato; Schiuma; Polveri
polivalenti o CO2
Acqua a getto frazionato; Schiuma; Polveri polivalenti
Variabile a seconda del tipo di materiale coinvolto
TIPO DI COMBUSTIONE AGENTE STINGUENTE
fuochi di solidi, combustibili e infiammabili, generalmente di natura organica fuochi di materiali liquidi o solidi che possono
Capitolo 1 L’incendio
14
L
A DINAMICA DELL’
INCENDIO1.2.
Nell’evoluzione di un incendio si prende in considerazione l’andamento in funzione del tempo e della temperatura dei gas di combustione, detto curva di incendio.
Figura 1.3 Curva di incendio e fasi dell'incendio
Generalmente il fenomeno viene schematizzato nelle seguenti fasi:
I. Fase iniziale o di agnizione: si verifica quando uno o più oggetti combustibili vengono in contatto con una sorgente di calore. Il focolaio d’incendio interessa zone limitate e temperature molto differenti da punto a punto e che subiscono rapide e importanti oscillazioni. In questa fase è molto importante il ruolo delle misure di protezione attiva, poiché è maggiore la probabilità di spegnimento dell’incendio: la rilevazione automatica di fumi e calore e la trasmissione di allarme, la sorveglianza, la presenza di estintori ed idranti, la segnalazione delle vie d’uscita, gli evacuatori di fumo, gli impianti di spegnimento automatico, la compartimentazione, la presenza di materiali non facilmente infiammabili, a quantità di carico d’incendio presente, sono tutti fattori importanti per garantire i requisiti di sicurezza dell’edificio. Inoltre in questa fase, assume notevole importanza l’organizzazione della fase di emergenza, che
Capitolo 1 L’incendio
15
prevede la trasmissione dell’allarme, le operazioni di evacuazione e l’intervento dei Vigili del Fuoco.
II. Propagazione: in questa fase vengono coinvolti nella combustione altri oggetti combustibili presenti ne compartimento. La progressione dell’incendio dipende dalle caratteristiche di infiammabilità dei materiali ed è generalmente irregolare. Se la ventilazione è insufficiente, la quantità di ossigeno si riduce e la combustione viene rallentata. Spesso la rottura dei vetri, che, per vetri ordinari avviene intorno ai 100°C, determina un incremento della presenza di ossigeno e alimenta favorevolmente la combustione.
III. Flashover: se l’incendio non viene ostacolato da carenza di ossigeno e scarsa infiammabilità dei materiali coinvolti, si arriva al cosiddetto “flashover”, che rappresenta una fase di transizione in cui le fiamme, da uno stato di incendio localizzato, si propagano velocemente a tutto il volume del compartimento. L’attività di combustione, quindi, si trasforma da fenomeno superficiale a un processo che interessa tutto il volume disponibile. Questo stato può essere riconosciuto in corrispondenza di una temperatura dei gas dell’ordine di 600°C. esso, rappresenta uno stato irreversibile, al di là del quale vi è scarsa possibilità che l’incendio si spenga da solo, prima che il combustibile sia quasi del tutto consumato.
IV. Incendio generalizzato: a questo punto l’incendio è esteso a tutti i materiali combustibili presenti e inizia una fase di combustione costante. Le differenze di temperatura nello spazio circostante non sono elevate e la temperatura media dei gas di combustione rappresenta, con buona approssimazione, il fenomeno. In questa fase, in cui la temperatura può aumentare rapidamente al di sopra del valore di 500°C, assumono importanza l’efficienza della compartimentazione, della resistenza al fuoco degli elementi strutturali e la deformazione delle strutture in acciaio, mentre l’intervento dei Vigili del Fuoco può avvenire solo all’esterno.
V. Estinzione o raffreddamento: gli effetti dell’incendio diminuiscono a causa del consumo progressivo dei materiali combustibili. Questa fase inizia all’incirca quando il 70% dei materiali combustibili presenti sono bruciati. Con l’abbassamento della temperatura, la capacità portante dell’acciaio viene recuperata, mentre quella del calcestruzzo non può essere recuperata.
Capitolo 1 L’incendio
16
P
RODOTTI DELLA COMBUSTIONE1.3.
I prodotti della combustione sono essenzialmente la fiamma, il calore, i fumi e i gas di combustione.
Le fiamme sono costituite dall’emissione di luce conseguente alla combustione di gas sviluppatasi in un incendio. Alcuni materiali bruciano senza mostrare fiamme visibili: in questo caso la lunghezza d’onda dei fotoni emessi dai gas non è nel campo del visibile ma nell’infrarosso, o più raramente, nell’ultravioletto. Il colore della fiamma è un ottimo indicatore della composizione chimica di una sostanza. La tabella sottostante permette, in base al colore della fiamma, di stabilire la temperatura della fiamma:
Tabella 1.2 Temperatura in °C in funzione del colore della fiamma
Il calore è la causa principale della propagazione degli incendi. Realizza l’aumento della temperatura di tutti i materiali e i corpi esposti, provocandone il danneggiamento fino alla distruzione. La trasmissione del calore può avvenire tramite convezione, conduzione ed irraggiamento, nel caso dell’incendio, la trasmissione avviene in tutti e tre i modi. Il calore è dannoso per l’uomo potendo causare la disidratazione dei tessuti, difficoltà o blocco della respirazione e scottature. Una temperatura dell’aria di circa 150°C è da ritenere la massima sopportabile sulla pelle per brevissimo tempo, a condizione che l’aria sia sufficientemente secca. Tale valore si abbassa se l’aria è umida. Purtroppo negli incendi sono presenti notevoli quantità di vapore acqueo, per cui la massima temperatura da ritenere respirabile è di circa 60°C. l’irraggiamento genera ustioni sull’organismo umano che possono essere classificate a seconda della loro profondità in:
ROSSO SCURO 1500 GIALLO CHIARO BIANCO BIANCO ABBAGLIANTE 500 700 900 1100 1200 1300
COLORE DELLA FIAMMA TEMPERATURA DELLA FIAMMA °C
ROSSO NASCENTE
ROSSO CILIEGIA GIALLO SCURO
Capitolo 1 L’incendio
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• Ustioni di I grado: superficiali quindi facilmente guaribili;
• Ustioni di II grado: formazione di bolle e vescicole, risulta necessaria la consultazione medica;
• Ustioni di III grado: profonde, urgente ospedalizzazione.
Tabella 1.3 Effetti sull’uomo di un incendio
Tabella 1.4 Effetti sui materiali da costruzione
I gas di combustione sono i prodotti della combustione che rimangono allo stato gassoso anche quando raggiungono, raffreddandosi, la temperatura ambiente di riferimento di 15°C. I principali gas di combustione sono:
− Ossido di Carbonio − Anidride Carbonica − Idrogeno Solforato − Anidride Solforosa − Acido Cianidrico − Aldeide Acrilica − Fosgene − Ammoniaca
− Ossido e Perossido di Azoto − Acido Cloridrico
danni a persone con indumenti di protezione esposti per lungo tempo EFFETTI SULL'UOMO
1% di probabilità di sopravvivenza innesco incendi di materiale infiammabile
50% di probabilità di sopravvivenza
ustioni di II grado ustioni di I grado
limite di sicurezza per persone vestite esposte per lungo tempo ENERGIA IN KW/m2 40 26 19 5 2 1.8 1.4
danneggiamento dei serbatoi metallici 11.7
EFFETTI SUI MATERIALI DA COSTRUZIONE danni a strutture in calcestruzzo
danni a strutture in acciaio ignizione del legno entro un minuto
danneggiamento cavi elettrici ENERGIA IN KW/m2
60 40 33 12.6
Capitolo 1 L’incendio
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La produzione di tali gas dipende dal tipo di combustibile, dalla percentuale di ossigeno presente e dalla temperatura raggiunta nell’incendio.
Tabella 1.5 Colore del fumo in base al tipo di combustibile
L’aria contiene il 21% circa in volume di ossigeno, 78% da azoto e 1% da gas. La concentrazione di ossigeno, in modo particolare, si abbassa durante lo sviluppo di un incendio che corrisponde al volume di ossigeno consumato dal materiale che brucia. La diminuzione di ossigeno nell’aria provoca sull’uomo effetti fisiologici a seconda del grado di concentrazione raggiunto. Fra i componenti dei gas della combustione, il più pericoloso è l’ossido di carbonio, che si produce tanto di più quanto incompleta ed imperfetta è la combustione.
Tabella 1.6 Effetti sull’uomo al variare della concentrazione di ossigeno nell’aria
Viola Iodio
Marrone Olio da cucina
Marrone/nero Nafta, Diluente per vernici
Nero Benzina, Carbone, Catrame, Plastica, Cherosene, Olio lubrificante
COLORE DEL FUMO TIPO DI COMBUSTIBILE
Bianco Fosforo, Paglia
Giallo/Marrone Nitrocellulosa, Polvere da sparo, Zolfo, Acido nitrico, Acido solforico
Grigio/Marrone Carta, Legno, Stoffa
EFFETTI SULL'UOMO aumento del ritmo respiratorio, facile
assorbimento sostanze tossiche respirazione difficile, vertigini, rapido affaticamento, coordinamento muscolare difficile
collasso e coma
morte in pochi minuti (5 - 8 minuti) 17% 12% - 15% 8% - 10% < 6% CONCENTRAZIONE DI OSSIGENO NELL'ARIA
Capitolo 2. Il Rischio Incendio
La valutazione del rischio di incendio è un procedimento attraverso il quale, vengono definiti il livello di rischio, le azioni e le misure per minimizzarlo. In tale contesto, il Decreto Legislativo del 9 aprile 2008, n° 81 definisce il rischio incendio come “probabilità che sia raggiunto il livello potenziale di
rischio di accadimento di un incendio e che si verifichino conseguenze dell’incendio sulle persone presenti”. Quest’ultimo è definito, in modo
semplice ed accessibile, come il prodotto fra al probabilità o la frequenza di accadimento dell’evento (F) e le conseguenze dello stesso, detta magnitudo (M), secondo la nota formula semplificata:
R = F X M
La frequenza dell’evento viene individuata attraverso metodi statistici che tengono conto della quantità ed il tipo di materiale combustibile, della presenza e del possibile apporto di comburente, delle possibilità cause d’innesco (anche dolose) e della frequenza storica di incendi nel compartimento in esame o in compartimenti in generale, le conseguenze possono determinare:
• Danni alle persone;
• Danni alla struttura dell’edificio, agli arredi, alle attrezzature, alle macchine;
• Danni all’attività (fermo di produzione, danni d’immagine, ecc.); • Danni all’ambiente.
Capitolo 2 Il Rischio Incendio
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Risulta evidente che per limitare il rischio incendio è necessario intervenire sui fattori che lo determinano e quindi sia sulla frequenza che sulla limitazione delle conseguenze.
E’ possibile limitare la frequenza degli incendi attraverso una serie di provvedimenti, regole tecniche, interventi e scelte che sono indirizzate nel campo della prevenzione. Prevenire significa intervenire affinché l’incendio non raggiunga, in alcun modo, la fase di flash over dove l’incendio stesso non risulta più controllabile.
Tabella 2.1 Livelli della frequenza di accadimento
La limitazione della magnitudo, avviene attraverso l’uso di sistemi di protezione che vengono individuati in funzione del tipo di conseguenze che si vogliono evitare.
LIVELLO DESCRIZIONE
• Il rischio rilevato può verificarsi solo con eventi particolari e poco probabili
• Non sono noti episodi già verificatisi
• Il rischio rilevato può verificarsi solo con eventi particolari e poco probabili
• Non sono noti episodi già verificatisi
• Il rischio rilevato può verificarsi solo con eventi particolari e poco probabili
• Non sono noti episodi già verificatisi
• Il rischio rilevato può verificarsi solo con eventi particolari e poco probabili
• Non sono noti episodi già verificatisi MEDIO - BASSA MEDIO - ALTA ALTA 2 3 4 1 BASSA CARATTERISTICHE
Capitolo 2 Il Rischio Incendio
21
Tabella 2.2 Tabella degli interventi di protezione
Stabiliti i valori, vengono riportati nel grafico avente in ascissa la magnitudo e in ordinata la frequenza. Da tale grafico si ricavano i valori del rischio d’incendio presente per un determinato luogo.
Tabella 2.3 Schema per la valutazione numerica del rischio • • • • • • • • • • • • • Sistemi di evacuazione DANNI ALL'AMBIENTE DANNI ALLA STRUTTURA, AGLI ARREDI, ALLE ATTREZZATURE E ALLE MACCHINE
Protezione passiva
Protezione strutturale e compartimentazione cortine d'acqua e sipari
zone sicure
DANNI ALL'ATTIVITA' Separazione delle aree a rischio
Divisione delle diverse zone produttive Scelta di materiali idonei
TIPOLOGIA DI DANNO INTERVENTI DI PROTEZIONE
DANNI ALLE PERSONE
Vie di fuga Compartimentazione
Filtri di fumo segnali ed istruzioni Sistemi di estrazione fumi
4 1 T R A S C U R A B IL E 2 M O D E S T A 3 N O T E V O LE 4 IN G E N T E MAGNITUDO 16 3 MEDIO - ALTA 3 6 9 12 2 MEDIO - BASSA 2 4 6 8 FREQUENZA 4 ELEVATA 4 8 12 1 BASSISSIMA 1 2 3
Capitolo 2 Il Rischio Incendio
22
In base alla valutazione dei rischi effettuata è possibile classificare il livello del rischio d’incendio di un determinato luogo di lavoro, in una delle seguenti categorie:
• Luoghi di lavoro a rischio d’incendio basso: s’intendono a rischio basso d’incendio i luoghi di lavoro, o parte di essi, in cui sono presenti sostanze a basso tasso d’infiammabilità e le condizioni locali e di esercizio offrono scarse possibilità di sviluppo di principio d’incendio ed in cui, in caso d’incendio, la possibilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata. Si considerano a rischio basso, quei luoghi non classificabili a rischio medio o elevato, dove, in genere, risultano presenti materiali infiammabili in quantità limitata o sostanze scarsamente infiammabili e dove le condizioni di esercizio offrono limitate possibilità di un incendio e di un’eventuale propagazione. • Luoghi di lavoro a rischio d’incendio medio: si intendono a rischio
d’incendio medio i luoghi di lavoro, o parte di essi, in cui sono presenti sostanze infiammabili e/o condizioni locali e/o di esercizio che possono favorire lo sviluppo di incendi, ma nei quali, in caso di incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata. Sono riportati nell’allegato IX del D.M.10 marzo 1998, esempi di luoghi di lavoro a rischio di incendio medio. Si considerano ad esempio, le attività comprese nell’allegato I al d.p.r. 1 agosto 2011 con l’esclusione delle attività classificate a rischio incendio elevate, e i cantieri temporanei e mobili ove si conservano e si utilizzano sostanze infiammabili ovvero ove si fa uso di fiamme libere, esclusi quelli interamente all’aperto.
• Luoghi di lavoro a rischio d’incendio elevato: si intendono a rischio d’incendio elevato i luoghi di lavoro, o parte di essi, in cui, per presenza di sostanze altamente infiammabili e/o condizioni locali e/o di esercizio sussistono notevoli probabilità di sviluppo di incendi e nella fase iniziale sussistono forti probabilità di propagazione delle fiamme, ovvero non è possibile la classificazione come luogo a rischio d’incendio basso o medio. Si considerano luoghi a rischio elevato, quelli in cui sono utilizzati prodotti infiammabili, ovvero ove risultano depositate o manipolate sostanze e materiali altamente infiammabili in grandi quantità. E’ fondamentale ricordare che, secondo la normativa vigente, un luogo di lavoro può essere definito ad elevato rischio, anche per la sola presenza di un contenitore di liquido
Capitolo 2 Il Rischio Incendio
23
altamente infiammabile, laddove questo non sia correttamente conservato e non siano state poste in essere le dovute misure precauzionali finalizzate alla riduzione del rischio incendio.
D
ETERMINAZIONE DEL CARICO D’
INCENDIO2.1.
Il carico d’incendio è il potenziale termico di tutti i materiali combustibili esistenti in uno spazio. Per carico di incendio deve quindi intendersi il potenziale termico netto della totalità dei materiali combustibili contenuti in uno spazio, corretto in base ai parametri indicativi della partecipazione alla combustione dei singoli materiali. Il carico d’incendio è espresso in MJ (convenzionalmente 1 MJ è assunto pari a 0,054 kg di legna equivalente, secondo la circolare M.I. P414/2008 si assume più opportunamente 0,057 kg di legna equivalete).
Il D.M. 9 marzo 2007, determina secondo la seguente relazione il valore del carico specifico di progetto:
q f,d = δ q1 · δ q2 · δ n · q f MJ/m2
dove δ q1 è il fattore che tiene conto del rischio di incendio in relazione alla
dimensione del compartimento;
Tabella 2.4
dove δ q2 è il fattore che tiene conto del rischio incendio in relazione al tipo
di attività svolta nel compartimento;
Capitolo 2 Il Rischio Incendio
24
dove δ n è il fattore che tiene conto delle differenti misure di protezione;
Tabella 2.6
Il fattore di riduzione δ n è compreso tra 0,27 e 1 e viene determinato in funzione delle caratteristiche dell’edificio, relativamente all’accessibilità ai mezzi di soccorso, dei percorsi di esodo, degli impianti di protezione attiva presenti e della presenza di soccorritori della squadra aziendale.
q f è il valore nominale del carico d’incendio specifico da determinarsi
secondo la formula:
q f =
∑ ∙ ∙ ∙
dove
g i = massa dell’ i-esimo materiale combustibile (kg)
H i = potere calorifico inferiore dell’i-esimo materiale combustibile (MJ/M2)
m i = fattore di partecipazione alla combustione dell’ i-esimo materiale
combustibile pari a 0,80 per il legno e altri materiali di natura cellulosica e 1,00 per tutti gli altri materiali combustibili
ϕ i = fattore di limitazione della partecipazione alla combustione dell’i-esimo
materiale combustibile pari a 0 per i materiali contenuti in contenitori appositamente progettati per resistere al fuoco; 0,85 per i materiali contenuti in contenitori non combustibili e non progettati per resistere al fuoco; 1 in tutti gli altri casi
Capitolo 3. Sistemi di protezione passiva
S
CELTA DELL’
AREA3.1.
L’ubicazione è un elemento della protezione passiva da valutare attentamente in fase di progettazione.
L’area per la realizzazione di un’attività industriale o civile deve essere anche scelta in modo che la viabilità garantisca, ai fini della sicurezza, l’avvicinamento e la manovra dei mezzi di soccorso, la possibilità dello sfollamento di persone verso aree adiacenti e i parcheggio degli automezzi. Molto importante per edifici di una certa altezza, assicurare la possibilità di accostamento delle autoscale dei Vigili del Fuoco al fine di raggiungere, anche mediante percorsi interni, la zona in cui si è verificato il sinistro.
In particolare:
− La larghezza della strada o del varco per consentire l’accesso dei mezzi di soccorso non dovrà essere inferiore a 3.50 m;
− L’altezza libera (sottopassaggio o ingressi in cortili recintati) per consentire l’accesso dei mezzi di soccorso non dovrà essere inferiore ai 4 m;
− Lo spazio antistante l’attività per consentire la svolta dei mezzi di soccorso dovrà essere non inferiore i 13 m;
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
26
− La pendenza della strada o dello spazio adiacente l’attività non dovrà superare il 10%;
− La strada o lo spazio antistante l’attività dovrà avere resistenza al carico, almeno, per automezzi di peso complessivo non inferiore a 20 t di cui 8 t sull’asse anteriore e 12 su quello posteriore con passo di 4 m.
C
OMPARTIMENTAZIONE ANTINCENDIO3.2.
Le barriere antincendio realizzate mediante interposizione di elementi strutturali hanno la funzione di impedire la propagazione degli incendi sia lineare (barriere locali) che tridimensionale (barriere totali) all’interno di un edificio, nonché, in taluni casi, quella di consentire la riduzione delle distanze di sicurezza.
Si realizza in questo modo, una compartimentazione sia verticale che orizzontale, la cui ampiezza ed i cui requisiti di resistenza al fuoco sono determinati dalla normativa, ovvero sono proporzionali al carico d’incendio dell’area.
Affinché la compartimentazione sia efficiente è necessario che nelle strutture che costituiscono il comparto non vi siano soluzioni di continuità o, se create, abbiano le caratteristiche del comparto stesso.
Per i vani delle porte e per le aperture necessarie per il passaggio di impianti tecnici devono adottarsi soluzioni tali da non consentire la propagazione del fuoco e il passaggio dei prodotti della combustione.
Le porte, oltre che essere dotate di congegni di autochiusura, devono possedere le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco delle strutture del compartimento ed essere installate a regola d’arte.
I vani creati per il passaggio di impianti tecnici (impianti elettrici, di condizionamento d’aria, tubazioni e canalizzazioni) devono essere protetti tamponandoli con idonei materiali che, oltre la sigillatura, diano luogo ad una resistenza al fuoco non minore di quella delle strutture del comparto. Durante l’incendio, le strutture (solai, murature e travi) subiscono elevate temperature e, in presenza di vincoli, per effetto degli sforzi di trazione, raffreddandosi possono dar luogo a fessure. Onde evitare l’inconveniente e consentire la dilatazione termica dovuta all’incendio, è bene che un
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
27
comparto, rispetto al resto della costruzione, sia dotato di giunti di dilatazione dell’ordine di 20–25 mm di spessore riempiti di materiale refrattario e sigillati su entrambi i lati della struttura.
R
ESISTENZA AL FUOCO3.3.
La resistenza al fuoco delle strutture rappresenta una delle fondamentali strategie di protezione da perseguire per garantire un adeguato livello di sicurezza della costruzione in condizioni di incendio e riguarda:
• La capacità portante in caso di incendio, per una struttura, per una parte della struttura o per un elemento strutturale;
• La capacità di compartimentazione rispetto all’incendio per gli elementi separazione siano essi strutturali come muri e solai, sia non strutturali come porte e tramezzi.
In termini numerici la resistenza al fuoco rappresenta l’intervallo di tempo, espresso in minuti primi, di esposizione dell’elemento strutturale ad un incendio, durante il quale l’elemento costruttivo considerato conserva i requisiti di stabilità meccanica, di tenuta ai prodotti della combustione e di coibenza termica. La determinazione della resistenza al fuoco delle strutture si effettua generalmente mediante un metodo di calcolo globale che si basa su una relazione tra la durata presumibile dell’incendio e il carico d’incendio che caratterizza il compartimento in esame, facendo riferimento ad un incendio con una curva standard temperatura – tempo di regola piuttosto severa rispetto alle possibili condizioni reali.
I prodotti e gli elementi costruttivi sono classificati in base alle loro caratteristiche di resistenza al fuoco, secondo i simboli e le classi in conformità alle decisioni della Commissione dell’Unione europea 2000/367/CE del 3 maggio 2000, 2003/629/CE del 27 agosto 2003 e 2011/232/UE dell’ 11 aprile 2011.
Ai fini di uniformare il linguaggio ed uniforme applicazione delle norme emanate, viene definita la resistenza al fuoco come attitudine di un elemento da costruzione (componente o struttura) a conservare, secondo un programma termico prestabilito e per un tempo determinato, in tutto o in parte, la stabilità R, la tenuta E e l’isolamento I così definiti:
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
28
− Stabilità: attitudine di un elemento da costruzione a conservare la resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco (si adotta la curva tempo – temperatura ISO 834);
− Tenuta: attitudine di un elemento da costruzione a non lasciare passare né produrre, se sottoposto all’azione del fuoco su un lato, fiamme , vapori o gas caldi sul lato non esposto;
− Isolamento termico: attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite, la trasmissione del calore (gli eurocodici prevedono il raggiungimento sulla superficie esterna di una temperatura media di 140°C e massima di 180°C)
Pertanto si identifica:
− Con il simbolo REI un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità, la tenuta e l’isolamento;
− Con il simbolo RE un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità e la tenuta;
− Con il simbolo R un elemento costruttivo che deve conservare, per un tempo determinato, la stabilità.
Per gli elementi non portanti, il criterio R è automaticamente soddisfatto qualora siano soddisfatti i criteri E ed I.
Le norme fissano le seguenti classi di resistenza al fuoco (D.M.9 marzo 2007):
REI RE R 0 15 20 30 45 60 90 120 180 240
Il numero indica, in minuti primi, il tempo durante il quale l’elemento costruttivo deve conservare, se esposto a un incendio standard nel forno sperimentale, le caratteristiche richieste.
R
EAZIONE AL FUOCO DEI MATERIALI3.4.
La resistenza al fuoco ha lo scopo di fare resistere per un tempo predeterminato la struttura al cimento termico di un incendio senza crollare. Le norme permettono la determinazione della resistenza al fuoco della struttura in funzione del carico d’incendio secondo la qualità e la quantità del materiale combustibile presente nei locali interessati.
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
29
Realizzata la struttura con la resistenza al fuoco prevista, vengono usati materiali di arredamento e supporto come pannelli, tendaggi, tappezzeria murale, rivestimenti di pavimenti, soffitti, tappeti, mobili, ecc. Oltre che a dare luogo al carico di fuoco, questi materiali partecipano all’innesco e alla propagazione della fiamma per effetto del comportamento del materiale che, per la sua decomposizione, alimenta il fuoco a cui è esposto. Non permettere il raggiungimento del flash over (fase irreversibile dell’incendio) consente alla persona di mettersi in salvo o di essere soccorsa con maggiore facilità. Tutte le normative su scala mondiale hanno in comune le fasi relative ai metodi di analisi per la classifica del materiale, le procedure per il rilascio di certificazione e le prescrizioni per l’uso dei materiali.
In Italia, ai fini di uniformare il linguaggio, con il D.M. 30 novembre 1983, viene definita reazione al fuoco il grado di partecipazione di un materiale combustibile al fuoco al quale è sottoposto e, in relazione a ciò, i materiali sono stati assegnati alle classi 0 (materiali non combustibili),1,2,3,4,5 con l’aumentare della loro partecipazione alla combustione.
Ai fini della prevenzione incendi, con esclusione dei rischi derivanti dalla densità dei fumi e dalla tossicità dei gas sviluppati in caso d’incendio dei materiali, vengono stabilite norme, criteri e procedure per la classificazione di reazione al fuoco e l’omologazione dei materiali. La normativa base è il D.M. 26 giugno 1984 – “Classificazione di reazione al fuoco ed omologazione
dei materiali ai fini della prevenzione incendi.”
Il Ministero dell’Interno, con decreto del 3 settembre 2001, ha modificato e integrato il decreto del 26 giugno 1984 recependo le norme UNI riguardando i metodi di prova per la determinazione della classe di reazione al fuoco dei materiali.
Si tratta di una normativa orizzontale di prevenzione incendi, che contiene norme valide per tutte le attività indipendentemente dalla peculiarità dei rischi che le stesse attività presentano, a disposizione per l’emanazione di norme verticali, ossia di quelle norme di prevenzione incendi che riguardano le singole attività. Pertanto, in relazione alla specifica destinazione degli edifici e all’uso dei materiali, la classe di reazione al fuoco richiesta per l’impiego dei materiali stessi viene prescritta dalle norme particolari di prevenzione incendi che disciplinano le singole attività.
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
30 − Materiale
Componente (o i componenti variamente associati) che può (o possono) partecipare alla combustione in dipendenza della propria natura chimica e delle effettive condizioni di messa in opera per l’utilizzazione.
− Omologazione di un materiale ai fini della prevenzione incendi Procedura tecnico-amministrativa con la quale viene provato il prototipo di materiale, certificata la sua classe di reazione al fuoco ed emesso da parte del Ministero dell’ Interno il provvedimento di autorizzazione alla produzione del prototipo stesso prima dell’immissione del materiale sul mercato per l’utilizzazione nelle attività soggette alle norme di prevenzione incendi. L’omologazione può essere rinnovata, può avere l’estensione ed essere revocata.
− Produttore
Fabbricante del materiale, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o segno distintivo sul materiale, si presenti come produttore dello stesso. Si considera altresì produttore chi importa e/o commercializza un materiale di importazione. E’ allo stesso modo ritenuto produttore, quello estero avente sede legale nell’Unione europea ovvero in uno dei paesi contraenti l’accordo SEE. − Marchio di conformità
Indicazione permanente e indelebile apposta dal produttore sul materiale riportante i seguenti dati:
• Nome o altro segno distintivo del produttore • Anno di produzione
• Classe di reazione al fuoco • Estremi dell’omologazione − Dichiarazione di conformità
Dichiarazione del produttore con cui si attesta la conformità del materiale al prodotto omologato. Tale dichiarazione dovrà riportare tra l’altro gli estremi dell’omologazione.
− Campionatura testimone
Materiale opportunamente contrassegnato e depositato presso il laboratorio riconosciuto dal Ministero dell’Interno in quantità tale da permettere l’esecuzione delle prove necessarie per la loro classificazione. La campionatura testimone può essere eliminata dopo 5 anni dal rilascio della certificazione di prova.
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
31 Si noti che:
• L’omologazione ha lo scopo di tutelare il progettista e l’utente in quanto il produttore dovrà costruire il materiale in conformità al prototipo classificato garantendolo con dichiarazione nella quale sono riportati gli estremi dell’omologazione stessa;
• I materiali legalmente omologati in uno dei paesi della Comunità europea sulla base delle norme di reazione al fuoco armonizzate o di quelle straniere riconosciute equivalenti possono essere commercializzati in Italia;
• I materiali omologati vengono elencati periodicamente nella Gazzetta Ufficiale.
Il D.M. 10 marzo 2005 “Classi di reazione al fuoco per i prodotti da
costruzione da impiegare nelle opere per le quali è prescritto il requisito della sicurezza in caso di incendio”, ha stabilito le nuove classi di reazione al fuoco
per i prodotti da costruzione, in luogo delle classi italiane previste dal D.M. 26 giugno 1984 e successive modifiche e integrazioni, da impiegarsi nelle opere per le quali è prescritto il requisito della sicurezza in caso di incendio. Negli allegati A,B e C sono riportate le tabelle di classificazione.
Tali decreti danno luogo a rilevanti novità nel settore della reazione al fuoco di prodotti da costruzione per i quali vengono rilasciate omologazioni da parte del Ministero dell’Interno dipartimento VV.F.
I parametri che determinano le classi di reazione al fuoco dei materiali sono: − Tempo post-combustione – velocità di propagazione della
fiamma
Tempo, espresso in secondi, che trascorre dal momento in cui si allontana la fiamma pilota dalla provetta fino al momento in cui la fiamma si estingue;
− Tempo di post-incandescenza
Tempo, espresso in secondi, che trascorre dall’estinzione della fiamma sviluppata o, in assenza di questa, dall’allontanamento della fiamma pilota, fino alla completa scomparsa dell’incandescenza;
− Zona danneggiata
Estensione massima in lunghezza, espressa in millimetri, della parte di provetta che risulta combusta o fusa e che presenta degradazione delle caratteristiche meccaniche;
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
32 − Gocciolamento
Tendenza di un materiale a lasciare cadere gocce e/o parti distaccate durante e/o dopo l’azione della sorgente di calore.
V
IE DI ESODO3.5.
Nonostante il massimo impegno per prevenire l’insorgere di un incendio e la massima attenzione nell’adozione dei più moderni mezzi di rivelazione, segnalazione e spegnimento di un incendio, non si può escludere con certezza la possibilità che questo si estenda con produzione di calore, di fumi tale da mettere in pericolo la vita umana.
In considerazione di tutto ciò, il problema dell’esodo delle persone minacciate da un incendio è universalmente riconosciuto di fondamentale importanza, a tal punto da comportare soluzioni tecniche irrinunciabili. Vari sono i fattori che influenzano la soluzione dei problemi che si presentano, ma tutti i problemi hanno un fattore comune: il tempo di evacuazione, che tra l’altro, dipende dal tipo di fabbricato, dalla geometria delle vie di esodo e dal comportamento della persone.
Al verificarsi di un’emergenza, l’uomo istintivamente si allontana dal luogo de sinistro più rapidamente possibile cercando di raggiungere lo spazio a cielo libero o un luogo sicuro. La non esatta percezione del sinistro, l’ansia, la presenza di fumo e calore, il dubbio di individuare le vie di esodo, il movimento disordinato possono generare panico in una moltitudine di persone con relativa fuga disordinata e incontrollata. Occorre, perciò, che gli occupanti di un edificio conoscano il livello di rischio al quale sono esposti ed è necessario fornire loro la sicurezza sulle vie di sfollamento, l’informazione sulle vie da percorrere e sulla posizione delle vie di sicurezza. Al fine di risolvere il problema dell’evacuazione nei tempi consentiti con più ordine possibile, senza fenomeni di panico, essendo il comportamento dell’uomo non sempre prevedibile, l’evacuazione stessa va progettata e pianificata considerando i rischi possibili e prevedendo un sistema di vie d’esodo segnalate con sufficienti e idonee uscite di sicurezza alle quali si aggiungerà, in fase di gestione, un sistema di informazione.
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
33 − Primo stadio di evacuazione
Corrisponde al movimento delle persone da un punto del locale alle uscite del locale stesso. Il primo stadio rappresenta il unto critico e richiede tempi brevissimi di svolgimento onde evitare che la persona risenta, oltre il tempo consentito, dell’effetto del fumo e del calore di un incendio.
− Secondo stadio di evacuazione
Corrisponde al movimento delle persone dalle uscite del locale alle uscite esterne. Il secondo stadio consente tempi più lunghi per il suo svolgimento.
− Terzo stadio di evacuazione
Corrisponde al movimento delle persone dalle uscite esterne del compartimento con allontanamento dalle aree pericolose.
Le vie di esodo, per assolvere il loro compito, devono possedere alcuni requisiti:
• Avere strutture resistenti al fuoco;
• Essere protette da fumo e calore provocato dall’incendio; • Essere tenute sgombre;
• Essere segnalate;
• Consentire, nel minor tempo, o comunque entro i tempi previsti, il raggiungimento del luogo sicuro.
Inoltre nelle vie d’esodo non dovrà presentarsi alcun rischio e cioè: • Non dovranno usarsi rivestimenti di materiali combustibili; • Non dovranno passare tubazioni di gas;
• Non dovranno passare cavi elettrici, tranne quelli per l’illuminazione delle ve stesse;
• Non dovranno collocarsi quadri elettrici;
• Non dovranno avere comunicazioni con piani interrati senza sbocco poiché la persona disorientata non sarebbe in grado di uscirne.
Quindi, ai fini dello sfollamento di un edificio o di un locale bisogna valutare i seguenti elementi:
• La geometria delle vie di esodo (ubicazione, lunghezza, larghezza); • I sistemi di protezione delle vie di esodo (attivi e passivi);
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
34
• L’organizzazione per avere una rapida e ordinata evacuazione.
3.5.1.
Tempo di evacuazione
Fattore comune alla soluzione di tutti i problemi delle vie di esodo è il tempo di evacuazione, il quale, fra l’altro, è strettamente legato a quanto si verifica dall’inizio dell’incendio allo sviluppo dello stesso incendio (flash over). L’evacuazione deve avvenire prima che quest’ultimo si realizzi in quanto il tempo di evacuazione deve coincidere con l’intervallo di tempo che intercorre tra l’inizio dell’ignizione e l’istante dopo in cui le condizioni del locale diventano intollerabili per la presenza di fumo, calore e gas tossici prodotti dalla combustione.
Il General Service Administration, tenuto presente lo sforzo umano, stabilisce che gli occupanti di un edificio o locale:
• Sono in grado di raggiungere una zona sicura (spazio a cielo libero, scala a prova di fumo, compartimento, filtro a prova di fumo), per i percorsi in piano, entro un tempo di 90 secondi dall’allarme, 15 secondi dei quali possono essere persi dal disorientamento iniziale per la presenza di fumo o per aver preso una direzione sbagliata; • Sono in grado di raggiungere una zona sicura entro 5 minuti di
percorso verticale in discesa;
• Sono in grado di raggiungere una zona sicura entro 1 minuto di percorso verticale in salita.
La norma stabilisce che da ogni piano dell’edificio deve essere possibile usufruire di almeno due vie di esodo per raggiungere il luogo sicuro.
Secondo il National fire protection, il tempo di evacuazione è dato da: tev = ∙ +
dove
tev = tempo di evacuazione, in secondi P = numero di persone da evacuare
L = larghezza totale delle scale e uscite, in metri C = coefficiente di circolazione pari a 1,3 pers/m s
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
35
Lmax = larghezza in orizzontale dei percorsi di evacuazione
V = velocità di circolazione, in metri (0,6 m/s per percorso in piano, 0,45 m/s per percorso su scale)
3.5.2.
Capacità di deflusso
La normativa italiana, ai fini del dimensionamento delle vie d’esodo, tiene conto indirettamente del tempo di sfollamento fissando in maniera diversificata la capacità di deflusso delle uscite in funzione della quota del piano dal quale deve avvenire l’esodo.
Si definisce capacità di deflusso, il numero massimo di persone che, in un sistema di vie d’uscita, possano defluire attraverso un’uscita di un modulo.
3.5.3.
Densità di affollamento
I valori sono fissati dalle norme per tipo di attività in esame.
3.5.4.
Affollamento massimo ipotizzabile
Si determina dalla relazione:
A = DA · SL = numero persone dove
A = affollamento massimo ipotizzabile DA = densità di affollamento
SL = superficie lorda del locale o compartimento in esame
3.5.5.
Larghezza delle vie d’uscita
Si determina dalla relazione:
= numero moduli dove
A = affollamento massimo ipotizzabile Cd = capacità di deflusso
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
36
3.5.6.
Numero delle uscite
Le uscite non devono essere meno di due e in posizione ragionevolmente contrapposta. Le aperture delle porte di accesso alle scale o luogo sicuro e di uscita devono aprirsi verso l’esterno a semplice spinta.
3.5.7.
Lunghezza del percorso
La lunghezza del percorso è la distanza massima da qualsiasi punto del comparto o locale a un luogo sicuro oppure a spazio aperto. La lunghezza massima viene stabilita dalle norme e comunque dipende dalla velocità di evacuazione.
Lp = t ev amm · V ev dove
Lp = lunghezza percorso
t ev amm = tempo di evacuazione ammissibile (tempo di esposizione Massimo ammissibile di una persona in un’atmosfera con I prodotti nocivi della combustione)
V ev = velocità di evacuazione o di deflusso
Essendo riconosciuti da normativa internazionale (non calcolabile): t ev amm = 60 – 90 s
V ev = 0,45 m/s
si ottiene, tenendo in considerazione I 15 secondi persi per iniziale disorientamento o per aver imboccato una direzione sbagliata della via:
Lp = 0,45 m/s = 33,75 m
La norma fissa la distanza per raggiungere il luogo sicuro della struttura o lo spazio a cielo libero in 30 m (L ≤ 30 m). Se la via è protetta con impianto a pioggia, la distanza può raggiungere i 40 m.
In alcune attività, tenuto conto del progresso tecnologico, la lunghezza delle vie d’uscita varia a seconda degli impianti previsti per la sicurezza. Un esempio si evince dal D.M. 01 febbraio 1986 che regola la lunghezza delle vie d’uscita nelle autorimesse, con la possibilità, per le uscire sulla strada
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
37
pubblica o luogo sicuro, di essere ubicate in modo da essere raggiungibili con percorsi inferiori a 40 m o 50 m se l’autorimessa è protetta da impianto di spegnimento automatico.
3.5.8.
Luogo calmo – spazio calmo sicuro
Un luogo sicuro è uno spazio ove non esiste pericolo per gli occupanti che vi stazionano o transitano in caso di incendio, idoneo a contenere gli occupanti. Debbono essere di adeguate dimensioni e di facile accessibilità alla strada pubblica oppure qualsiasi ambiente che consente alle persone di porsi in salvo con sicurezza (scale a prova di fumo interne, scale a prova di fumo esterne). Fra i luoghi sicuri può farsi rientrare il filtro a prova di fumo (consente il passaggio tra un compartimento ed un altro), i quali possono essere utilizzati, quando hanno una certa dimensione e capacità di contenere persone, come luoghi sicuri temporanei. Il filtro a prova di fumo viene definito come un vano delimitato da strutture REI predeterminato, non inferiore a 60, dotato di una o più porte, aventi a loro volta REI non inferiore a 60, munite di congegni di autochiusura, con camino di ventilazione di sezione adeguata, non inferiore a 0,36 m2, sfociante al di sopra della copertura dell’edificio. Può trattarsi altresì di un vano con le stesse caratteristiche di resistenza al fuoco e mantenuto in sovrappressione ad almeno 30 mbar, anche in condizioni di emergenza, oppure di un vano areato direttamente dall’esterno con aperture libere di superficie non inferiore a 1 m2 con esclusione di condotti.
Nei percorsi protetti, nei pressi dei luoghi sicuri e nei luoghi sicuri, devono essere previsti spazi calmi (luoghi sicuri temporanei contigui e comunicanti con vie di esodo verticali) per la sosta e l’attesa dei soccorritori da parte di persone che hanno ridotte capacità motorie.
La larghezza netta del filtro dovrebbe essere uguale a quella della scala (1,20 m) in quanto una sua variazione turberebbe un ordinato deflusso di emergenza. Per determinare la lunghezza del filtro si deve tener conto che la sua funzione è quella di evitare la propagazione di fumi e gas caldi-tossici dal luogo in cui si è verificato l’incendio al luogo sicuro. Va precisato che nel caso di esodo di una fila continua di persone, le porte del filtro resterebbero contemporaneamente aperte annullando quasi l’effetto del filtro stesso. In caso di fuga da un locale con incendio o altro sinistro, è necessario garantire la sicurezza di persone disabili onde evitare intralcio al
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
38
movimento. Si crea dunque, uno spazio di sosta o spazio calmo in modo che le persone con ridotta capacità motoria vi sostino in attesa dell’arrivo dei soccorritori.
L
A VENTILAZIONE3.6.
Ogni compartimento destinato alla vendita o al deposito deve essere dotto di un sistema di aerazione naturale, idoneo a consentire un efficace ricambio dell’aria ambiente, nonché lo smaltimento del calore e dei fumi di un eventuale incendio.
Le superfici di aerazione dovranno essere distribuite in maniera il più possibile uniforme lungo il perimetro della struttura e, ove possibile, ricavate su pareti contrapposte. Le aperture di ventilazione, ubicate in alto, devono essere ricavate nei soffitti e/o nelle pareti perimetrali, ovvero realizzate tramite canalizzazioni verticali, sfocianti al di sopra della copertura dell’edificio e costruite con materiali di resistenza al fuoco adeguata. Le aperture a soffitto debbono essere coperte con materiali a bassa temperatura di fusione e di classe di reazione al fuoco non superiore a 1; quelle perimetrali possono essere provviste di serramenti vetrati. Per i locali interrati la ventilazione può avvenire tramite intercapedini e/o camini, il sistema di ventilazione deve essere indipendente per ciascun compartimento, anche mediante l’uso di canalizzazioni tipo shunt.
Le aperture di aerazione naturale devono presentare superficie complessiva non inferiore ai seguenti valori:
− 1/40 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia non superiore a 5 kg/mq;
− 1/30 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia superiore a 5 kg/mq e fino a 30 kg/mq;
− 1/25 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia superiore a 30 kg/mq e fino a 50 kg/mq;
− 1/25 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia superiore a 50 kg/mq.
Le suddette superfici possono essere ridotte ai valori sotto riportati se almeno il 50% della superficie delle aperture è realizzata ad altezza superiore a 2 m dal piano di calpestio:
Capitolo 3 Sistemi di protezione passiva
39
− 1/50 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia non superiore a 5 kg/mq;
− 1/40 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia superiore a 5 kg/mq e fino a 30 kg/mq;
− 1/40 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia superiore a 30 kg/mq e fino a 50 kg/mq;
− 1/30 della superficie in pianta del compartimento, qualora il carico d’incendio sia superiore a 50 kg/mq.
Nell’impossibilità accertata di non poter dotare ogni singolo compartimento di sistemi di aerazione naturale, si può fare ricorso ad idonei impianti di estrazione dei fumi caldi di un eventuale incendio. I fumi estratti (tramite aspiratori tipo ceramico) devono essere scaricati in ambiente esterno attraverso camini realizzati secondo le modalità previste dal D.P.R. n° 1391/170. L’impianto deve essere dotato di comando manuale e automatico asservito all’impianto di rivelazione incendi o all’attivazione di impianto di spegnimento automatico.
La progettazione deve assicurare la continuità di funzionamento in caso di incendio per un tempo almeno equivalente alla classe del compartimento, con un minimo, in ogni caso, di 60 minuti, mediante alimentazione anche da fonte alternativa. Le portate di smaltimento dei fumi debbono, comunque, rimanere assicurate per almeno il 5% dai sistemi naturali e garantire almeno due ricambi orari del volume del compartimento.
Capitolo 4. Sistemi di protezione attiva
La protezione attiva è l’insieme delle misure di protezione che richiedono l’azione di un uomo o l’azionamento di un impianto finalizzato alla precoce rivelazione, segnalazione e all’azione di spegnimento dell’incendio. Questi sono sistemi che operano prevalentemente riducendo la magnitudo.
Tutti gli incendi, se affrontati efficacemente al loro insorgere e comunque prima del flash over, possono facilmente essere domati. Rivestono quindi una rilevante i mezzi che consentono di raggiungere talee scopo entro tempi brevi dall’insorgere dell’incendio e in ogni caso prima le fiamme abbino modo di coinvolgere i materiai circostanti il focolaio.
G
LI ESTINTORI4.1.
Un estintore è una protezione attiva di controllo o spegnimento degli incendi contenente un agente estinguente che può essere proiettato su un fuoco grazie alla pressione interna. Costituiscono, nella maggior parte dei casi, il primo mezzo di intervento per spegnere i principi di incendio.
Gli estintori portatili rispondono egregiamente per un principio d’incendio e sono costituiti da un recipiente contenente la sostanza estinguente che può essere lanciata contro le fiamme tramite l’intervento di un propellente, necessario anche per consentire all’operatore di poter agire a ragionevole distanza dalle fiamme. Sono concepiti per essere portati e utilizzati a mano (hanno una massa minore o uguale a 20 kg).
L’omologazione riguarda l’apparecchiatura, il contenitore e le caratteristiche dell’agente estinguente contenuto.
Capitolo 4 Sistemi di protezione attiva
41
L’estintore deve essere manutenuto efficiente e controllato almeno una volta ogni sei mesi da personale qualificato e sottoposto a collaudo secondo norme vigenti.
Gli estintori portatili, sulla base dell’agente estinguente contenuto, si dividono in:
Estintori ad acqua o idrici
E’ costituito da un recipiente cilindrico che contiene acqua per circa 4/5 del suo volume. L’acqua per mezzo di un ugello viene proiettata sotto pressione sull’incendio. La pressione di lancio può essere generata meccanicamente per mezzo di una bombola d’aria o di anidride carbonica compressa oppure per mezzo di una reazione chimica che sviluppa anidride carbonica. In quest’ultimo caso l’acqua ha in soluzione bicarbonato di sodio e, al momento del bisogno, viene mescolata con una determinata quantità di acido solforico mediante il rovesciamento di una bottiglia o la rottura di una fiala di vetro che lo contiene. L’anidride carbonica che si produce abbondantemente, in parte si mantiene in soluzione nell’acqua e in parte si raccoglie nello spazio libero del recipiente esercitando pressione sulla superficie del liquido obbligandolo ad uscire velocemente dallo spruzzatore. Si tratta, tuttavia, di un tipo di estintore quasi del tutto in disuso.
Estintori a schiuma chimica e schiuma meccanica
L’estintore a schiuma chimica è forzata da due recipienti: in uno è contenuta una soluzione basica mentre nell’altro una soluzione acida. La reazione chimica dà luogo alla formazione di schiuma con sviluppo di anidride carbonica. Questa, oltre a concorrere alla formazione di schiuma, serva a fare uscire con pressione la schiuma dal recipiente.
Negli estintori a schiuma meccanica, con analogo principio di funzionamento, l’anidride carbonica o l’aria in pressione viene immessa da una bomboletta posta a bordo dell’estintore agendo sulla valvola tramite un volantino. Sono tipi di estintori ormai obsoleti.
Estintori a polvere
L’estintore a polvere è costituito da un involucro cilindrico contenente prodotti ridotti in polvere con un estremo grado di impalpabilità. La polvere (bicarbonato di sodio, bicarbonato di potassio e cloruro di potassio),