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L'importanza della sieroelettroforesi nella diagnosi precoce dei cani affetti da Leishmaniosi: casistica clinica

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Academic year: 2021

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Indice

RIASSUNTO ... 5 Parte Generale ... 6 Capitolo 1: INTRODUZIONE ... 7 1.1 Classificazione... 8 1.2 Eziologia... 10 1.3 Ciclo biologico ... 12 1.4 Il Vettore... 14 1.5 Epidemiologia... 17

1.6 Patogenesi della Leishmaniosi Canina ... 18

Capitolo 2: SINTOMATOLOGIA ... 21

Capitolo 3: DIAGNOSI ... 28

3.1 Esami di laboratorio aspecifici... 30

3.1.1 Elettroforesi del siero e proteine totali ... 30

3.1.2 Esame emocromocitometrico... 36

3.1.3 Velocita di eritro-sedimentazione (VES) ... 37

3.1.4 Enzimi epatospecifici ... 37

3.1.5 Urea e creatinina... 37

3.1.6 Esame delle urine ... 38

3.2 Esami di laboratorio specifici... 40

3.2.1 Metodi Diretti ... 41 3.2.2 Metodi Indiretti... 47 Capitolo 4: TERAPIA ... 51 4.1 N-Metilglucamina antimoniato ... 55 4.1.1 Meccanismo d’azione... 55 4.1.2 Farmacocinetica ... 56

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4.1.4 Protocolli terapeutici ... 57 4.2 Miltefosina... 58 4.2.1 Meccanismo d’azione... 58 4.2.2 Farmacocinetica ... 59 4.2.3 Tossicità... 60 4.2.4 Protocolli terapeutici ... 61 4.3 Allopurinolo... 63 4.3.1 Meccanismo di azione... 63 4.3.2 Farmacocinetica ... 63 4.3.3 Tossicità... 64 4.3.4 Protocolli terapeutici ... 64 4.4 Aminosidina... 65 4.5 Amfotericina B... 66 4.6 Metronidazolo... 68 4.7 Pentamidina... 68 4.8 Immunomodulatori... 69 Capitolo 5: PROFILASSI ... 70 5.1 Profilassi sanitaria... 70 5.1.1 Ambiente ... 70 5.1.2 Insetto Vettore ... 71 5.2 Profilassi vaccinale... 72 Parte Speciale: ... 74

Capitolo 6: MATERIALI E METODI ... 75

6.1 Popolazione in studio... 75

6.2 Terapie Effettuate... 75

6.3 Diagnosi di positività dei soggetti... 77

6.3.1 IFAT ... 77

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6.4 Controlli effettuati... 79

6.5 Materiali utilizzati per i controlli... 80

6.5.1 Esame emocromocitometrico... 80

6.5.2 Elettroforesi delle sieroproteine... 80

6.5.3 Profilo biochimico ... 81

6.5.4 Esame delle urine ... 82

Capitolo 7: CASISTICA CLINICA ... 83

Capitolo 8: DISCUSSIONE DEI RISULTATI ... 132

8.1 Esame emocromocitometrico... 132

8.2 Profilo Biochimico... 135

8.3 Rapporto PU/CU... 136

8.4 Rapporto Albumina/Globuline... 137

8.5 Proteine Totali... 138

8.6 Esito esami parassitologici ... 139

8.7 Tabella riassuntiva... 140

Capitolo 9: CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI ... 141

Ringraziamenti ... 142

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RIASSUNTO

Parole chiave: Leishmaniosi, cane, sieroelettroforesi, diagnosi.

Per lo studio sono stati presi in considerazione 12 cani clinicamente sani, senza cioè segni oggettivi di malattia, ma con elettroforesi delle sieroproteine alterata e la cui diagnosi di Leishmaniosi è stata confermata in seguito da esami specifici di laboratorio. I 12 cani naturalmente infetti da Leishmania infantum, provenienti dalla sola provincia di Pisa, sono stati sottoposti a: EOG, EOP, esame emocromocitometrico, parametri della funzionalità renale, valutando l’urea e la creatinina, sieroelettroforesi, esame delle urine, IFAT e PCR su sangue e su tampone congiuntivale. Sono stati considerati idonei i cani con IFAT > 1:80, con nessun segno oggettivo di malattia e PCR positiva. Dei 12 soggetti, 8 hanno effettuato un trattamento con N-metilglucamina antimoniato 100 mg/Kg SID SC per 60 gg e 4 con miltefosina 2 mg/Kg SID PO per 28 gg. Ad entrambe le terapie è stato associato allopurinolo 20 mg/kg SID PO per 90 gg. I soggetti sono stati controllati dopo un mese e dopo tre mesi.

La maggior parte dei soggetti trattati non ha presentato ai due successivi controlli sintomi di malattia, mantenendo una buona qualità di vita e analisi di laboratorio ai limiti della norma.

Dall’esame dei risultati ottenuti risulta evidente che, la diagnosi precoce di tale patologia in soggetti apparentemente sani, associata ad una terapia tempestiva ed idonea, risulta la migliore soluzione proponibile nella pratica clinica.

SUMMARY

Key words: Leishmaniasis, dog, serum electrophoresis, diagnosis.

This research was performed on 12 dogs naturally infected by Leishmania infantum and without clinical signs. The serum electrophoresis of these dogs was altered and Leishmaniasis’ diagnosis was confirmed by specific tests. The 12 dogs were subjected to medical examination, hemochrome, parameters of renal function, urine test, serum electrophoresis, IFAT and PCR on blood and conjunctiva. Dogs with IFAT> 1:80, with no clinical signs and positive PCR were enrolled.

Eight subjects were treated with meglumine antimoniate100 mg/Kg SID SC for 60 days and four with miltefosine 2 mg/Kg SID OS for 28 days; both associated with allopurinol 20 mg/kg SID OS for 90 days. The dogs were checked after one and three months. Most of the dogs didn’t show any symptoms of the disease in the two checks.

From this study it emerges that Leishmaniasis’ early diagnosis, associated with a opportune therapy, is the best solution in the clinical practice.

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Capitolo 1: INTRODUZIONE

La leishmaniosi canina, un’infezione causata da protozoi parassiti appartenenti alla specie Leishmania infantum, ha un’ampia diffusione in tutta l’area Mediterranea.

Il cane ne rappresenta il serbatoio principale ed è coinvolto nella diffusione della leishmaniosi canina e della leishmaniosi viscerale umana.

In medicina umana, particolare importanza viene posta nel sottolineare la crescente casistica di infezione da Leishmania nell’uomo. Si tratta di una malattia che presenta sintomi polimorfi e non sempre caratteristici che rendono la diagnosi clinica estremamente difficoltosa.

Lo scopo della presente tesi è quello di sottolineare e dimostrare l’importanza di evidenziare tale patologia in forma occulta in soggetti apparentemente sani per chiarire quanto una malattia per la quale non sia ancora disponibile una profilassi efficace, una diagnosi precoce associata ad una terapia tempestiva e idonea risulta la migliore soluzione proponibile nella pratica clinica.

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1.1 Classificazione

La leishmaniosi è una malattia protozoaria a carattere zoonosico, ad andamento generalmente cronico, causata da organismi del genere Leishmania.

La Leishmania è un protozoo appartenente al Phylum Sarcomastigophora, Subphylum Mastigophora, Classe Zoomastigophorea, Ordine

Kinetoplastida, Sottordine Trypanosomatinae, Famiglia Trypanosomatidae.

Molte delle specie conosciute di Leishmania vengono differenziate sulla base della loro distribuzione geografica, della peculiarità d’organotropismo, dell’azione patogena nei confronti delle specie animali loro ospiti ed in virtù delle loro caratteristiche morfologiche, colturali, biochimiche ed immunologiche.

Attualmente è da ritenersi valida la seguente classificazione del Genere Leishmania, elaborata dall’OMS (1990) sulla base di studi inerenti la biologia del protozoo, le specie di flebotomi implicati nella trasmissione e, soprattutto, il corredo enzimatico del microrganismo in parola.

Genere: Leishmania:

Sottogenere: Leishmania:

Complex: Leishmania donovani:

Specie:

· Leishmania archibaldi; · L. chagasi

· L. donovani; · L. infantum;

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Complex: Leishmania tropica:

Specie: · L. killicki; · L.tropica;

Complex: Leishmania major:

· Specie: L. major

Complex: Leishmania aethiopica:

· Specie: L. aethiopica

Complex: Leishmania mexicana:

· Specie: · L. amazonensis; · L. ganhani; · L. mexicana · L. venezuelensis; Sottogenere: Viannia:

Complex: Leishmania braziliensis:

Specie:

· L. braziliensis; · L. peruviana;

Complex: Leishmania guyanensis;

Specie:

· L. guyanensis; · L panamensis;

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L’analisi immunoenzimatica ed elettroforetica ha permesso di stabilire che nel bacino del Mediterraneo, ed anche in Italia, il ceppo responsabile della leishmaniosi umana e canina è rappresentato dalla L. infantum, ed in particolare dalle varianti enzimatiche (zimodemi) Montpellier 1 (MON 1) e Montpellier 72 (MON 72) (Gaskin et al., 2002; De Freitas et al., 2006).

1.2 Eziologia

Le leishmanie sono microrganismi dimorfici: nei mammiferi infettati Leishmania si presenta sotto forma di amastigote, con corpicciolo rotondo, globoso od ovalare, immobile, delle dimensioni di 2-5 µm di lunghezza per 2-3 µm di larghezza, fornito di protoplasma granuloso omogeneo perifericamente delimitato da un plasmalemma tristratificato; di grosso nucleo sferico centrale od eccentrico; di cinetoplasto (kinetoplasto, DNA extranucleare) piriforme od a bastoncino, spesso situato alla periferia del corpo parassitario ed in posizione antinucleare (spesso perpendicolare al nucleo). È presente il rizoplasto, abbozzo di flagello costituito da due microtubuli assiali circondati da 9 paia di microtubuli periferici, che si diparte in prossimità del cinetoplasto da un corpo basale o blefaroplasto e si esaurisce, senza esteriorizzarsi, alla periferia della cellula protozoaria, circoscritto, nel suo breve percorso, da un manicotto citoplasmatico rivestito dal plasmalemma, che qui si invagina profondamente in modo da costituire attorno al rizoplasto stesso una tasca flagellare aperta verso l’esterno (Casarosa, 1985).

L’amastigote si insedia nel contesto delle cellule macrofagiche (cellule del sistema reticolo-istiocitario; monociti, ecc.) del mammifero ospite; più esattamente entro un vacuolo intracitoplasmatico circoscritto da una membrana fagosomiale che, fondendosi con i lisosomi, si trasforma in fagolisosoma; qui si sviluppa e si moltiplica per scissione binaria dando luogo a numerosi elementi simili.

Negli insetti vettori (flebotomi) Leishmania si sviluppa e si moltiplica dando luogo a forme flagellate dette promastigoti e paramastigoti.

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I promastigoti sono elementi dal corpo stretto e lungo fino a 20 µm, con protoplasma granuloso, nucleo grande centrale, cinetoplasto bastoncellare (ubicato in posizione antinucleare subterminale o terminale), blefaroplasto prossimo a questo, puntiforme; infine lungo e robusto flagello che si diparte dal blefaroplasto e presto si rende cranialmente libero emergendo dalla tasca flagellare con una porzione pressoché lunga quanto l’intero corpo.

I paramastigoti si differenziano dai promastigoti per essere muniti di cinetoplasto in genere ubicato non anteriormente ma allo stesso livello del nucleo, o poco posteriormente ad esso, e si possono reperire nella faringe, nel piloro e nell’ileo dei flebotomi infetti.

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1.3 Ciclo biologico

Il ciclo biologico di Leishmania si svolge attraverso l’alternarsi di un ospite vertebrato (mammifero) e un ospite invertebrato (insetto del genere

Phlebotomus).

Nel mammifero la moltiplicazione del parassita è relativamente semplice e consiste nell’iniziale introduzione delle forme infettanti del parassita (promastigoti metaciclici) a livello della cute attraverso un pasto di sangue del vettore; dopodichè questi vengono captati e fagocitati dai macrofagi (cellule del sistema immunitario) al cui interno si trasformano in amastigoti, che si moltiplicano e, lisando le cellule, si diffondono nel sague; rimangono in tale forma per tutta la fase del ciclo che si svolge nell’ospite vertebrato (Gossage et al., 2003; Verso et al., 2003).

Al contrario la parte del ciclo che si svolge nel vettore è più complessa: il vettore si infetta dal mammifero parassitato attraverso un pasto di sangue. I protozoi arrivano fino all’intestino del flebotomo, tornano all’originaria forma di promastigote ed eseguono vari cicli di moltiplicazione per scissione binaria, quindi migrano alla proboscide del vettore e qui, tramite un processo di metaciclogenesi, tornano alla forma di promastigoti metaciclici altamente infettanti. Questi sono pronti per essere inoculati nuovamente in un ospite vertebrato (Cunningham, 2002; Urquhart et al., 1998; Verso et al., 2003).

La durata del ciclo biologico del parassita nell’ospite invertebrato varia da un minimo da 4 a 20 giorni, in relazione alle condizioni climatiche esterne. La tipizzazione isoenzimatica ha permesso di stabilire che il parassita responsabile delle forme di leishmaniosi umana e canina in Italia è

Leishmania Infantum.

L. infantum è stata inoltre isolata da altri animali, quali la volpe (che

sviluppa anche una sintomatologia viscero-cutanea, simile a quella del cane) ed il ratto nero (Rattus rattus); non sembra comunque che l’occasionale presenza di tali animali nelle aree endemiche possa in qualche modo incidere consistentemente sulla diffusione urbana e suburbana della malattia.

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Recentemente è stata rilevata la presenza di anticorpi anti-Leishmania in gatti viventi in aree endemiche per la leishmaniosi canina; questo indica che anche il gatto entra nel ciclo di Leishmania, però con un ruolo epidemiologico ancora da definire (Favati et al., 2000).

Figura 1.3. ciclo biologico di Leishmania

A differenza del cane, l’uomo è molto più resistente all’infezione da L.

Infantum o alla sua manifestazione clinica. In genere, quindi, gli individui

colpiti da leishmaniosi viscerale sono bambini al di sotto di due anni di età (nei quali il sistema immunitario e ancora immaturo), soggetti immunodepressi (HIV positivi, organo-trapiantati) o che comunque presentano condizioni fisiopatologiche predisponenti.

Nel resto della popolazione sana l’avvenuto contatto uomo-parassita può essere valutato con l’uso di reazioni intradermiche specifiche, che rivelano in genere un’elevata percentuale di infezioni asintomatiche in aree di endemia. La loro frequenza aumenta con l’aumentare dell’età, cosicché, nei focolai più attivi oltre il 40% della popolazione adulta risulta positiva

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1.4 Il Vettore

I promastigoti di Leishmania vengono trasmessi agli ospiti definitivi da piccoli insetti ematofagi appartenenti ai generi Sergenomyia, Warileyia,

Brumptomyia, Lutzomyia e Phlebotomus. Solo questi ultimi sono i

responsabili della diffusione della malattia nelle zone endemiche del bacino del Mediterraneo (in particolare P. perniciosus, P. perfiliewi e P. major sono i vettori di Leishmania infantum in Italia), e vengono classificati nel phylum Arthropoda, classe Insecta, ordine Diptera, sottordine Nematocera, famiglia Phlebotominae.

Fra le circa 800 specie o sottospecie di flebotomi, 80 sono provate o sospettate di essere i vettori delle 22 specie di Leishmania che causano la malattia nell’uomo.

In alcuni focolai di leishmaniosi i vettori restano sconosciuti, per cui appare evidente che altre specie saranno aggiunte alla lista. (Killick-Kendrick et al., 2002).

Caratteristiche dei flebotomi

• Corpo di colore giallo-pallido o giallo-ruggine, piccolo, lungo circa 2-3 mm (fino ad un massimo di 5), coperto da lunghi e fitti peli; il torace e l’addome formano un angolo quasi retto (ciò che li rende riconoscibili anche ad occhio nudo)

• Testa allungata ed inserita sul collo in modo da formare un angolo di 45°

• Occhi composti, voluminosi, di colore scuro, situati ai lati della testa (appaiono rotondeggianti se visti di profilo e reniformi dorsalmente) • Palpi (appendici articolate in rapporto con l’apparato buccale aventi

funzione sensoriale) pelosi ricurvi • Proboscide corta e diretta in basso

• Antenne lunghe, pelose, costituite da 16 segmenti o articoli (alcuni di questi fungerebbero da organi di senso)

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Le femmine hanno strutture buccali atte a perforare la pelle: un labbro-epifaringe centralmente scanalato e denticolato alla sua estremità, un’ipofaringe che porta il dotto salivare, due mandibole con estremità seghettata, due mascelle a forma di lama (mandibole e mascelle sono preposte ad incidere la cute); il tutto contenuto entro il labbro inferiore (labium).

Il pasto di sangue delle femmine ematofaghe si compie generalmente durante le ore notturne, con picchi intorno alla mezzanotte ed un’ora prima del sorgere del sole; si parla anche di un picco immediatamente dopo il tramonto (Killick-Kendrick, 2002). Nel sito dove è avvenuta la puntura può manifestarsi una reazione cutanea locale, pruriginosa, con formazione di una piccola papula che può persistere per alcune settimane. Nell’uomo, conseguentemente alla puntura, si può verificare una reazione allergica, soprattutto in soggetti provenienti da zone non endemiche (fenomeno più o meno generalizzato con febbre e cefalea).

Il volo dei flebotomi è molto silenzioso e di breve durata ed estensione, sono disturbati dal vento e da temperature al di sotto della media estiva. La velocità durante il volo è di circa 1 metro al secondo (Killick-Kendrick et al., 1986).

Le misure preventive da adottare contro la puntura dell’insetto vettore sono intese non solo a prevenire la re-infezione di un soggetto infetto, ma soprattutto ad evitare che il cane leishmaniotico, anche se clinicamente guarito a seguito di terapia, continui ad essere serbatoio per i vettori di leishmaniosi, con lo scopo ultimo di ottenere un controllo della leishmaniosi mediante la prevenzione di “massa”.

È inoltre altamente raccomandabile che durante la stagione di trasmissione anche il cane sano che viva o si rechi in zone endemiche per leishmaniosi, venga sottoposto a misure preventive per la protezione “individuale”.

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Bisogna considerare che tali misure nei confronti del vettore italiano più competente (Phlebotomus perniciosus) non hanno dimostrato una protezione totale (84-96%) e pertanto si raccomandano controlli periodici da effettuare diversi mesi dopo la stagione di trasmissione.

La scelta del tipo di protezione (meccanica o chimica) sarà di volta in volta valutata da parte del veterinario dopo aver considerato: (i) la disponibilità da parte del proprietario, (ii) l’ambiente ove vive il cane, (iii) il modo di somministrazione (spray, spot-on, collare) e inizio protezione delle specialità medicinali con efficacia comprovata, (iv) la frequenza dei trattamenti in base all’inizio e alla durata dell’efficacia delle varie specialità medicinali (Maroli, 2010).

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1.5 Epidemiologia

La leishmaniosi canina in Europa è causata da Leishmania Infantum. È classificata come una zoonosi maggiore a causa della gravità della malattia nell’uomo, ma si tratta di una malattia molto grave anche nel cane e quindi di grande importanza nell’ambito veterinario. Se da un lato la leishmaniosi umana ha avuto una regressione, dall’altro invece la malattia canina persiste o addirittura si sta espandendo (Bourdeau, 2009).

La malattia canina è tipica delle regioni temperate e di quelle tropicali; in Italia è presente sui versanti tirrenico, adriatico e ionico e più precisamente nelle zone rurali e periurbane della costa tirrenica, nelle zone collinari ad ovest dell’Appennino, sulla costa dello Ionio e del basso Adriatico fino al Gargano (Verso et al., 2003). Focolai importanti si registrano in tutte le isole maggiori e minori (Pozio et al., 1985). Tuttavia la malattia non appare diffusa uniformemente sul territorio ma risulta diffusa a micro-focolai (a “macchia di leopardo”), in queste zone le infezioni sono ricorrenti nel tempo e con percentuali di cani infetti che possono superare anche il 30% di quelli presenti nell’area in esame (Favati et al., 2000).

Con il riscaldamento globale e la movimentazione dei cani a seguito dei loro proprietari durante la villeggiatura, stiamo assistendo alla comparsa di nuovi focolai di trasmissione, come è stato dimostrato nel Nord Italia (Marty, 2009). L’infezione si è estesa a località che fino a qualche anno fa erano considerate indenni, sia per l’introduzione di soggetti infettati in zone dov’era già presente il vettore, sia per l’adattamento dei flebotomi a nuovi habitat, anche a causa di cambiamenti climatici.

Focolai autoctoni sono stati identificati nel Veneto, nell’area a nord di Verona (Maroli et al., 1995); in Piemonte, nelle zone di Torino, Ivrea e Casale (Ferroglio et al., 2002).

In conclusione, le leishmaniosi sono sempre più una realtà dinamica governata da fattori climatici, ma anche da comportamenti umani. Globalizzazione e migrazione sono eventi recenti che possono incidere

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L’Italia si trova in una posizione particolare per quanto riguarda l’Europa: abbiamo un territorio endemico per leishmaniosi ma “soffriamo” anche di numerosi casi di importazione. La sfida va raccolta con una seria valutazione dei rischi e con contromisure per impedire l’entrata di nuovi parassiti. Ciò comporta da un lato una profonda conoscenza “dell’esistente” (popolazioni di Leishmania e di Phlebotomus endemiche, prevalenza di infezione negli ospiti principali); dall’altro, la necessità di ricerca a tutto campo per la creazione di mappe di rischio e lo sviluppo di nuovi metodi di prevenzione e controllo (Gradoni et al., 2010).

1.6 Patogenesi della Leishmaniosi Canina

La via naturale del contagio è rappresentata dall’inoculazione dei promastigoti metaciclici infettanti, da parte dei flebotomi parassitati, durante un pasto di sangue, nella cute (sito primario d’infezione) dei mammiferi ospiti. Il ruolo che il flebotomo svolge non si limita all’inoculazione meccanica (passiva) dei promastigoti, ma attivamente ne promuove l’iniziale penetrazione e la successiva propagazione. Le sostanze della saliva dell’insetto, iniettate insieme ai promastigoti, comprendono potenti vasodilatatori, inibitori della coagulazione del sangue e fattori immunomodulatori che facilitano Leishmania nell’instaurare l’infezione (Ribeiro, 1995).

Introdotte nell’organismo, le forme promastigote sono attaccate dai macrofagi nei quali, in un tempo piuttosto breve, passano a forme amastigote e si riproducono per scissione binaria fino ad infarcire tutta la cellula ospite provocandone la distruzione.

Il promastigote all’interno delle cellule fagocitarie riesce a sopravvivere perché inibisce la maturazione fagosomiale, grazie al principale glicoconiugato di superficie del parassita, il lipofosfoglicano (LPG), tramite diversi meccanismi inibitori, come la rottura dell’actina filamentosa

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(F-actin) perifagosomiale durante il processo di maturazione del fagosoma stesso.

Una delle citochine protettive (quando questo tipo di risposta cellulo-mediata è prevalente), l’IFN-γ, determinando l’up-regulation della produzione macrofagica di ossido nitrico, favorisce questa maturazione fagosomiale e quindi l’uccisione del parassita (Winberg et al., 2007).

Dal sito primario cutaneo d’infezione il parassita può essere disseminato attraverso la via ematica e linfatica, infettando i macrofagi di midollo osseo, linfonodi, fegato, milza, reni e tratto gastroenterico.

Il protozoo stimola l’attivazione delle difese immunitarie sia umorali (anticorpi) che cellulomediate.

L’esito dell’infezione è connesso al tipo di risposta immune che viene innescata. Dal punto di vista immunitario, i cani leishmaniotici vengono distinti in due grossi gruppi (distinzione peraltro non sempre rispondente alla realtà, almeno in maniera così schematica): soggetti a risposta tipo Th1 e soggetti a risposta Th2. I primi, sono quelli che hanno una buona protezione cellulo-mediata e riescono a tenere sotto controllo l’infezione e a non sviluppare la malattia; i soggetti appartenenti al secondo gruppo, invece, sono caratterizzati da una risposta immune di tipo umorale non protettiva, che quasi sempre esita in manifestazioni cliniche tipiche della patologia. La risposta protettiva di tipo Th1 è caratterizzata dalla produzione di IFN-γ, IL-2 e TNF-α. INF-γ e TNF-α attivano i macrofagi che, attraverso la produzione di ossido nitrico (NO), svolgono la loro azione di “killing” degli amastigoti intracellulari (Oliva, 2010).

L’attivazione preferenziale dei linfociti Th2 comporta due fondamentali conseguenze:

·La scarsa capacità di queste cellule ad attivare il processo di “killing” parassitario ad opera dei fagociti invasi;

·L’abnorme produzione di anticorpi diretti anche contro strutture proprie dell’organismo (fenomeni immunopatologici autoimmunitari), che sono alla base di gran parte degli eventi patologici che si realizzano nei soggetti

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Nei soggetti ammalati la continua sollecitazione delle cellule immunocompetenti, indotta dai parassiti posti al riparo nei fagociti, comporta uno squilibrio del sistema immunitario, con iperfunzione della risposta umorale (non protettiva), ed anomalie in quella cellulo-mediata: il tutto si traduce in uno stato immunopatologico caratterizzato essenzialmente da immunodepressione e dalla produzione di immunocomplessi (Ic) circolanti.

Le lesioni organiche e tissutali che più comunemente si riscontrano nella leishmaniosi del cane sono costituite, appunto, da vasculiti, poliartriti, ulcerazioni cutanee, uveiti, glomerulonefriti, ecc., tutte espressioni dello squilibrio immunologico che viene innescato dal parassita. La patologia da Ic non è pero causata dalla loro deposizione fisica nei distretti vascolari, bensì dall’attivazione del complemento e dal fenomeno infiammatorio che si innesca come conseguenza di questo processo.

Pochi studi sono stati condotti sul ruolo dei linfociti CD8+ nel meccanismo di resistenza alla leishmaniosi canina. Questi linfociti sono stati evidenziati nei cani asintomatici sperimentalmente infetti con L. infantum ma non nei soggetti sintomatici, suggerendo che la lisi diretta dei macrofagi infettati con L. infantum mediante i linfociti T citotossici rappresenta un meccanismo aggiuntivo nella resistenza alla leishmaniosi viscerale canina (Barbieri, 2006).

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Capitolo 2: SINTOMATOLOGIA

Risultano più colpiti i cani adulti (età più frequente 3-7 anni), prevalentemente di sesso maschile, razze da caccia, e cani che vivono in zone rurali (Bizzeti et al. 2007); il fatto che l’incidenza della patologia nei cani di piccola taglia sia molto bassa, probabilmente è proprio in relazione all’habitat strettamente domestico di questi animali (e conseguente minore possibilità di contatto con i flebotomi, soprattutto nelle ore notturne). Altresì modesta è l’incidenza nei cani anziani e questo fatto può ricondursi alla bassa longevità legata alla malattia stessa. Il decorso è generalmente subacuto o cronico; solo nel 4% dei casi, infatti, è possibile osservare una fase acuta con la comparsa di febbre.

Comunque i confini tra le varie manifestazioni cliniche sono sfumati, tanto che possono realizzarsi forme croniche che si acutizzano improvvisamente (i relativi sintomi risultano generalmente legati a patologie immunitarie secondarie all’infezione primaria).

Nella forma tipica cronica il quadro sintomatologico risulta abbastanza complesso ed oltremodo vario. Dopo il periodo d’incubazione l’infezione può decorrere, oltre che con diversi sintomi, anche in forma asintomatica, cioè in modo silente o quasi inapparente. Comunque bisogna tenere presente che non sempre ad un quadro clinico grave e conclamato corrisponde una parassitosi altrettanto grave, così come ad un quadro silente può corrispondere una grave parassitosi; si può già comprendere come la diagnosi clinica presenti sempre delle difficoltà.

Un cane infetto da Leishmania infantum, prima di manifestare i segni clinici di malattia, può permanere in uno stadio di infezione sub-latente che può essere facilmente diagnosticabile o essere al limite della rilevabilità (Oliva 2009).

La frequenza dei sintomi che si possono osservare in corso di leishmaniosi è riassunta nella seguente tabella, basata su uno studio retrospettivo

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Rilievi clinici % Linfoadenomegalia 48% Pallore delle mucose 14%

Splenomegalia 12,5% Perdita di peso 24,5% Dermatite furfuracea 26%

Ulcere interdigitali e nasali 22% – 0,5% Epistassi 5,5%

Segno degli occhiali 12% Alopecia diffusa 17,5% Noduli 4% Onicogrifosi 16% Artropatie 16,5% PU/PD 2,5% Diarrea 2,5%

Tabella 2.1.: Prevalenza relativa (%) dei differenti segni clinici della leishmaniosi nella regione Toscana

(Bizzeti et al., 2007).

L’anamnesi può riferire di un lento ma progressivo dimagrimento, di una lieve o marcata disoressia, accompagnata a lesioni cutanee per lo più di tipo furfuracea e polidipsia, queste ultime indicative di un coinvolgimento renale.

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Abbattimento generale

Lo stato di abbattimento va aumentando col passare dei giorni; gli animali, verso la fine della malattia, si presentano svogliati e spossati, rimangono coricati in preda a continua sonnolenza e, se sollecitati a muoversi, lo fanno con grande sforzo camminando con estrema difficoltà anche per il dolore arrecato dalle lesioni podali.



Dimagrimento progressivo

Si presenta associato a ipotonia e ipotrofia muscolare che contrasta con l’appetito in genere conservato o capriccioso (disoressia) e che scompare del tutto solo all’ultimo stadio; il dimagrimento si accentua gradualmente fino alla cachessia.



Ipertrofia linfonodale

Si manifesta fin dall’inizio della malattia e risulta marcata nel periodo delle lesioni cutanee; i linfonodi esplorabili alla palpazione si presentano ingrossati, duri, mobili e non dolenti. In soggetti con sintomatologia esclusiva a carico dei reni e senza lesioni cutanee, la linfoadenomegalia può mancare del tutto.



Manifestazioni a carico delle mucose

Le mucose si presentano generalmente anemiche ed il pallore aumenta con l’aggravarsi della malattia; in alcuni casi sono di colore rosso-mattone a causa della sofferenza epato-renale.

A livello della mucosa nasale,si possono formare delle erosioni ed ulcere sanguinanti che determinano epistassi (rinorragia). Essa di solito è monolaterale ed intermittente e può essere dovuta anche ad una grave forma di trombocitopenia o ad una vasculite da immunocomplessi.

In genere l’epistassi riconosce una patogenesi multifattoriale. Le alterazioni più frequentemente riscontrate nei cani che manifestano questo segno, rispetto a quelli che non lo manifestano, sono: ipergammaglobulinemia e conseguente aumento della viscosità sierica, diminuzione della risposta di

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Oltre alle emorragie, la rinite può esprimersi anche tramite lo scolo mucopurulento (Petanides et al., 2008).

Anche sulla mucosa orale, soprattutto sull’orlo gengivale e sulla commessura labiale, si possono rinvenire delle piccole ulcere.



Lesioni a carico della cute

La leishmaniosi è causa frequente di segni clinici cutanei nel cane, vengono infatti riportati nell’80-90% dei cani malati (Baneth et al., 2008).

Si tratta di problemi dermatologici polimorfici (Blavier et al., 2001), di conseguenza, in aree in cui la leishmaniosi canina è endemica, la malattia viene comunemente inclusa nelle diagnosi differenziali.

Le cause della variabilità morfologica delle lesioni cutanee nel cane non sono note ma si ipotizza che l’età, la razza e il patrimonio genetico del cane, così come la presenza di malattie concomitanti, infettive e non, il numero di parassiti e la virulenza del ceppo di Leishmania, possano, tra gli altri fattori, contribuire a determinare questa variabilità (Solano et al., 2009).

I problemi dermatologici clinici imputabili alla leishmaniosi canina, al pari di quanto accade nella leishmaniosi cutanea umana, potrebbero essere suddivisi in tipici, più frequenti e più “caratteristici”, e atipici, meno comuni e più sovrapponibili a quelli causati da altre malattie.

I quadri clinici cutanei tipici includono la dermatite desquamativa e quella ulcerativa, entrambe possono essere osservate contemporaneamente nello stesso paziente.

I quadri clinici atipici sono più facilmente attribuibili anche a cause diverse dalla leishmaniosi ed includono: dermatite nodulare, lesioni nasali simil-lupus cutaneo, alopecia multifocale, dermatite pustolosa, onicopatie, ipercheratosi naso-digitale (Fondati, 2010).



Lesioni oculari

La leishmaniosi canina si manifesta con relativa frequenza con sintomi che coinvolgono l’occhio ed i suoi annessi e numerevoli sono le componenti oftalmiche che possono essere interessate dalla malattia.

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Le pubblicazioni che riguardano l’incidenza di tale localizzazione riportano valori estremamente variabili compresi tra il 16% e l’80% circa.

I segni clinici oculari possono essere concomitanti alla sintomatologia sistemica oppure in alcuni soggetti rappresentare l’unica espressione della malattia in atto al momento della presentazione alla visita. Spesso le lesioni oculari si manifestano con più di un segno clinico associato e si presentano più frequentemente con localizzazione bilaterale anche se di gravità differente (Crotti, 2010).

La maggior parte dei soggetti con lesioni cutanee presenta anche una congiuntivite cronica o una congiuntivite nodulare con raccolta di essudato muco - purulento nel sacco congiuntivale. Le palpebre risultano più o meno ispessite ed edematose.

Nei casi gravi si possono notare anche fenomeni di cheratite (cheratite secca) con opacamento corneale. La cheratite o la cheratocongiuntivite secca si presenta in circa il 3% dei cani leishmaniotici (Naranjo et al., 2005).

Molto frequente è anche l’uveite anteriore di cui si conoscono due principali forme: una a carattere granulomatoso, si presenta con superficie iridea irregolare con piccoli granulomi da cui si isola il parassita; nell’altra, più comune e non granulomatosa, l’iride si presenta semplicemente edematosa con possibilità di formazione di sinechie posteriori e quindi di glaucoma da blocco pupillare. In quest’ultima forma l’esame istologico evidenzia generalmente un infiltrato linfo-plasmocitario, associato ad una vasculite sistemica necrotica, che fa propendere per una genesi immunitaria. Nei casi inveterati e particolarmente gravi si può arrivare al coinvolgimento di tutte le strutture oculari (panoftalmite), a causa dell’impossibilità da parte di specifici presidi terapeutici di raggiungere concentrazioni ottimali a livello di distretti oculari poco vascolarizzati. La persistenza in tali strutture di macrofagi ricchi di leishmanie potrebbe in questo modo costituire una riserva antigenica per possibili nuove reinfezioni. Rare, ma comunque segnalate, sono le lesioni retiniche, come emorragie puntiformi sul fondo, fino al distacco retinico e conseguente cecità.

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Diarrea

Tale sintomo, a differenza che nell’uomo, non è molto comune. È in genere imputabile ad una colite cronica o come conseguenza dell’uremia terminale (l’ultima fase dell’insufficienza renale cronica); si presenta acquosa, mista a sangue vivo e/o muco, ed è accompagnata da tenesmo e da aumento della frequenza delle defecazioni.

L’esame endoscopico mette in evidenza una estesa iperemia della mucosa del colon, su cui è possibile osservare anche piccole ulcere gementi sangue: la biopsia rivela un’infiltrazione linfo-plasmocitaria ed istiocitaria, nonché numerose forme di Leishmania.



Poliuria e/o polidipsia

Il rilievo di tali sintomi può essere indicativo di un danno renale che, talvolta, può essere l’unico segno clinico della malattia.

Gli animali colpiti mostrano una grave forma nefritica o nefrosica, derivante da una glomerulonefrite mesangioendoteliale proliferativa di tipo 1 o 2, oppure da nefriti tubulo-interstiziali, che si esprimono con edemi discrasici, versamenti cavitari, proteinuria ed innalzamento dei livelli sierici di urea e creatinina (Cortadellas et al., 2006).



Splenomegalia

Reperto incostante, apprezzabile soprattutto in soggetti magri; la milza ha consistenza duro-elastica e, come i linfonodi, non è dolente alla palpazione.



Epatomegalia

Difficilmente assume entità apprezzabili in quanto il fegato di solito non deborda dal margine costale; del resto gli esami ematici di funzionalità epatica solo in certi casi si rivelano alterati (aumento dell’attività sierica degli enzimi ALT ed AST).

La biopsia epatica, essenziale per confermare il coinvolgimento dell’organo, pone in evidenza una diffusa infiltrazione di macrofagi ricchi di amastigoti, associata a piccole aree di necrosi.

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Apparato muscolo-scheletrico

Il coinvolgimento dell’apparato muscolo-scheletrico (polimiositi ed artrosinoviti febbrili su base immunomediata) può determinare delle zoppie più o meno evidenti.

La palpazione delle diafisi delle ossa lunghe può evocare una certa dolorabilità. L’esame radiologico delle ossa lunghe si caratterizza per le estese lesioni periostali a carattere proliferativo e/o per le lesioni osteolitiche-osteomielitiche (De Souza et al., 2005) e, occasionalmente, per l’interessamento delle articolazioni e/o delle sinovie.

Dall’esame bioptico dell’osso e/o dal prelievo del liquido sinoviale si possono spesso isolare gli amastigoti; questo fa propendere per un’infezione diretta delle strutture interessate, anche se il rilievo di tali lesioni in concomitanza alla febbre ed all’uveite, fa pensare ad una patogenesi autoimmunitaria.



Sangue

Anemia: Segno clinico frequente che chiama in causa diversi meccanismi

patogenetici, fra cui risulta importante l’accentuata attività emocataretica da parte del SRE splenico sui globuli rossi opsonizzati da immunocomplessi. Solitamente l’anemia è normocromica normocitica, rigenerativa.

Trombocitopenia (piastrinopenia): spesso presente (anche se solitamente

le piastrine risultano comunque superiori a 40000/mm3) e può spiegare in parte l’epistassi (così come il possibile sanguinamento vaginale e le petecchie peniene), del resto dovuta anche alle ulcere sulla mucosa nasale ed a livello delle narici.

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Capitolo 3: DIAGNOSI

La diagnosi clinica della leishmaniosi viscerale canina è resa difficoltosa dal suo straordinario pleomorfismo e dalla similitudine con altre malattie (Ferrer, 1999). La leishmaniosi canina viene sospettata dal medico veterinario in presenza di rilievi anamnestici (dimagramento), fisici (dermatopatia furfuracea, linfoadenomegalia) e clinici (iperglobulinemia, ipoalbuminemia e proteinuria), ma non esistendo segni caratteristici o patognomonici, il clinico deve ricorrere ad esami specifici per diagnosticarla o escluderla. Gli esami specifici sono quelli più importanti, in quanto consentono di ottenere la diagnosi di leishmaniosi in maniera diretta; gli esami aspecifici hanno il ruolo di segnalare una qualche sofferenza d’organo o di apparato correlato con la leishmaniosi (Vitale, 2009).

Questi esami possono essere riconducibili a due grosse categorie: - Esami aspecifici: hanno l'utilita di segnalare al clinico segni di sofferenza

d'organo o di apparato che possa essere, direttamente o indirettamente, correlata con la leishmaniosi. Essi prevedono la determinazione di parametri ematologici ed ematochimici che consentono di completare il quando clinico-diagnostico, permettendo una valutazione delle condizioni generali del paziente in senso dinamico, ed un apprezzamento della risposta alla terapia.

- Esami specifici: consentono di diagnosticare la malattia in maniera diretta e comprendono esami parassitologici, che hanno lo scopo di evidenziare il parassita nella sua forma di amastigote in organi e tessuti degli animali ed in coltura; esami seriologici, che identificano gli anticorpi specifici nel siero del sangue dei soggetti in esame; esami di diagnostica molecolare che evidenziano porzioni del genoma del parassita.

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Si riportano in tabella la frequenza (in %) dei più frequenti riscontri di laboratorio in corso di leishmaniosi

Riscontri di laboratorio nei cani con leishmaniosi viscerale (%) (Noli, 1999)

PARAMETRO FREQUENZA (%)

Iperglobulinemia 70 – 100

Basso rapporto albumina/globuline 76

Ipoalbuminemia 68 – 94

Elevati livelli sierici di proteine totali (fino a 13 g/l) 63,3 – 91 Anemia normocitica, normocromica, iporigenerativa 21 – 94,2 Leucopenia (conteggio dei linfociti normale o basso) 22 Leucocitosi con spostamento a sinistra 8 – 24

Trombocitopenia 29,3 – 50

Iperazotemia e creatininemia 38 – 45

Aumento degli enzimi epatici 16 – 61

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3.1 Esami di laboratorio aspecifici

3.1.1 Elettroforesi del siero e proteine totali

L’elettroforesi è una metodica di laboratorio che sfrutta la proprietà delle proteine seriche e/o plasmatiche di migrare in un campo elettrico se depositate su un supporto solido o liquido. Più particolarmente, sfrutta la proprietà delle molecole proteiche di ionizzarsi in una soluzione a pH differente dal loro punto isoelettrico e di spostarsi nel campo elettrico verso l’anodo o il catodo, formando singole frazioni proteiche o bande a seconda della loro carica elettrica, forma, peso e dimensione delle singole molecole. Le singole frazioni proteiche fissate su un supporto solido vengono lette a un fotometro che ne disegna un grafico detto protidogramma (Ubaldi et al., 1982).

Le proteine del siero sono (Bizzeti, 1995):

Albumina (P.M. 66.300) trasporta proteine e vitamina A; diminuisce

nelle malattie epatiche e nelle sindromi nefrosiche; regola la

pressione oncotica, trasporta ac. grassi, ac. biliari, farmaci, istamina e oligoelementi

Glicoproteine (proteine coniugate con carboidrati) γglobuline,

α2macroglobulina, ceruloplasmina, aptoglobulina, sieromucoide. Aumentano nelle flogosi acute

Transferrina (P.M. 72.000-90.000) trasporta il ferro, ha attività

antibatterica e antivirale, aumenta nelle deficienze di ferro e nella gravidanza, diminuisce nelle malattie epatiche, infezioni acute e croniche attive

Aptoglobulina e Emopessina (P.M. 90.000 e 57.000) la prima si lega

all’Hgb libera e l’altra trasporta l’ematina (Hgb senza gruppo eme) al fegato. Diminuiscono nell’anemia emolitica e nell’eritropoiesi

inefficace. L’aptoglobulina aumenta in corso di traumi, tumori e processi infiammatori

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Ceruloplasmina (P.M. 124.000-134.000) trasporta il Rame e

mobilita il Ferro. Aumenta nelle fasi acute delle infezioni batteriche e virali e nelle parassitosi. Diminuisce nella malnutrizione, nel malassorbimento e nella nefrosi

Proteina C reattiva (P.M. 21.000) regla i processi infiammatori e le

difese attivando il complemento, promuovendo la fagocitosi, inibendo l’aggregazione piastrinica, stimolando i linfociti T. Aumenta nei processi infiammatori e nelle infezioni

Lipoproteine trasportano lipidi, gliceridi e colesterolo

Immunoglobuline (IgG, IgM, IgA, IgD, IgE) responsabili

dell’immunità umorale. Hanno catene pesanti e leggere unite da un ponte disolfuro

Tabella 3.1. Le proteine del siero (senza albumina)

α1globuline α2globuline β1globuline β2globuline

γ -globuline α1antichimotripsina α2macroglobulina transferrina fattore C3 IgG

α1antitripsina aptoglobulina emopessina (IgM) IgM

α1lipoproteina ceruloplasmina βlipoproteina (IgA) IgA

proteina C reattiva

pre-β-lipoproteina (IgE)

sieroamiloide A

orosomucoide

Fin dagli anni ‘80 l’Elettroforesi Siero Proteica (ESP) è stata proposta come parametro fondamentale sia per la diagnosi della leishmaniosi sia per la valutazione del miglioramento nei soggetti sottoposti a trattamento (Ceci et al., 1985) e, quindi, per la determinazione della sospensione della terapia (Bizzeti et al., 1989).

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Nell’approccio diagnostico alla leishmaniosi un importante strumento di indagine è rappresentato dalla misurazione quantitativa e qualitativa della protidemia: dosaggio della protidemia totale (PT), rapporto albumina/globulina (A/G) ed elettroforesi delle proteine seriche (protidogramma).

Nei cani malati la protidemia totale aumenta e ciò è legato essenzialmente ad una diminuzione dell’albumina e ad un aumento delle β e γ-globuline (talvolta anche delle α 2-globuline), con una conseguente variazione del rapporto A/G che risulta, quindi, inferiore alla norma (Reis et al., 2006).

L’ipoalbuminemia è conseguente alla nefropatia, all’enteropatia proteino-disperdente, ai processi flogistici ed alla diminuita sintesi epatica che accompagnano e spesso caratterizzano il corteo sintomatologico della leishmaniosi.

L’iper-β-globulinemia è legata alla migrazione in questa banda elettroforetica di alcune immunoglobuline (IgM, IgA), del fattore C3 del complemento, del fibrinogeno e della transferrina.

L’iper-γ-globulinemia che si sviluppa nel corso della malattia è il frutto dell’attivazione policlonale dei linfociti B, che producono quantità abnormi di immunoglobuline per lo più aspecifiche.

La fusione delle β e γ-globuline in un picco policlonale indica una produzione eterogenea di immunoglobuline aspecifiche.

Nei casi disprotidemici il rapporto A/G è sempre inferiore a 0,60. Tale disprotidemia è essenzialmente dovuta ad una diminuzione dell’albumina, ad un aumento delle β e γ - globuline e talvolta delle α2 - globuline.

In presenza di riacutizzazioni della malattia, o di forme acute di processi flogistici concomitanti, può essere presente un innalzamento delle

α-2-globuline, banda elettroforetica in cui migrano le cosiddette “proteine

della fase acuta della flogosi” (aptoglobulina, α-2-macroglobulina, ceruloplasmina). Un alto picco delle α2-globuline può anche conseguire ad un interessamento renale. Le α2-globuline sono indicative, se superano i due terzi dell’altezza dell’albumina, di una riacutizzazione della malattia o

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della presenza di un focolaio di necrosi; la persistenza di un alto picco durante il trattamento e/o la ricomparsa in periodo di remissione, è sempre indice di uno stato di guarigione instabile (Bizzeti, 1996).

Nel protidogramma di un cane affetto da leishmaniosi si osserva generalmente un tipico “picco beta-gamma”. L’importanza del protidogramma nel corso del procedimento clinico a proposito della malattia in discussione, riguarda particolarmente la possibilità di ottenere una diagnosi precoce (anche in assenza di sintomi oggettivi) e di poter emettere un giudizio prognostico più o meno favorevole tenendo presente che si ha una normalizzazione del tracciato elettroforetico dopo 25 – 45 giorni dalla guarigione clinica.

È importante monitorare il tracciato elettroforetico durante e dopo la terapia medica al fine di valutare lo stato della malattia, in quanto questo tipo di analisi ci può far valutare l’andamento della malattia stessa (Bizzeti, 1996).

Quando la rilevazione della protidemia indica un’ipoalbuminemia, soprattutto con PT superiori a 7 g/dl (od a 8), ed un aumento delle β e γ - globuline, si deve stabilire un forte sospetto di leishmaniosi (Bizzeti et al., 1989).

In molti casi le modificazioni elettroforetiche sono più precoci e meno persistenti delle reazioni sierologiche; esse permetterebbero perciò un trattamento meglio adattato allo stato evolutivo della malattia.

In conclusione il protidogramma risulta essere un mezzo utile in corso di leishmaniosi del cane per:

 la diagnosi: nei casi in cui la sintomatologia sia insolita, per cui il protidogramma assumerebbe l’importanza di segnale precoce ed evidente di allarme;

 la prognosi: per localizzare lo stadio evolutivo della malattia e svelare eventuali complicazioni;

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Fig. 3.1. Alcuni esempi di tracciati elettroforetici

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L’impiego del protidogramma in modo sistematico nell’evoluzione clinica dell’animale trattato, risulterebbe essere un mezzo per mantenere l’infezione ad un livello sufficientemente basso. Così si potrebbe evitare che l’animale, in attesa di una nuova ricaduta diventi una riserva potenziale di agente infettante e quindi un pericolo permanente per la comunità; è necessario pertanto considerare il protidogramma, nell’ambito della leishmaniosi del cane, un mezzo indispensabile di prevenzione e di controllo (Bizzeti, 1996).

In disaccordo con quanto appena scritto, si riporta un recente intervento di Paolo Bianciardi al Secondo Congresso Internazionale SCIVAC sulla Leishmaniosi canina (Pisa, 17 aprile 2010).

“Negli ultimi decenni la normalizzazione del quadro proteico elettroforetico e del rapporto A/G è stata indicata come un punto chiave per stabilire l’interruzione della terapia anti-Leishmania e per monitorarne l’efficacia (Ceci, 1985; Bizzeti, 1989).

Tuttavia esiste una grande variabilità nei valori delle frazioni proteiche elettroforetiche del cane. Inoltre, malattie infettive, non infettive e parassitosi possono influenzare la fluttuazione di tali frazioni proteiche. Alcuni Autori hanno evidenziato una diretta connessione tra titoli anticorpali e l’elettroforesi delle sieroproteine (Amusategui, 2003).

Altri Autori (Ginel et al., 1998; Solano-Gallego et al., 2001) hanno rilevato come non esista correlazione tra i titoli sierici alla diagnosi e la gravità dei segni clinici né esista una correlazione tra l’andamento dei titoli sierici e la remissione dei segni clinici, durante il trattamento ed il follow-up (Mancianti e Meiani, 1988).

Al contrario molti cani mostrano titoli anticorpali elevati anche diversi mesi dopo un efficace trattamento (Mateo et al., 2009).

La ragionevole conseguenza è che i titoli sierologici non hanno un valore prognostico. La valutazione della correlazione tra la normalizzazione nel tempo del rapporto A/G ed il miglioramento del quadro clinico non ha mostrato alcun rapporto statisticamente significativo.

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Sulla base dei dati ottenuti, il rapporto A/G non risulta né un parametro indicativo dell’efficacia del trattamento terapeutico né un valido strumento per la determinazione dell’interruzione della terapia. La valutazione dell’efficacia terapeutica del trattamento per Leishmania dovrà dunque tornare all’impiego di accurate valutazioni cliniche, ematobiochimiche e, visti i risultati delle recenti valutazioni tossicologiche degli antimoniali sui reni del cane, della funzionalità renale” (Bianciardi, 2010).

3.1.2 Esame emocromocitometrico

L’anemia è uno dei reperti clinici più frequenti nei soggetti affetti da leishmaniosi. Il più delle volte l’anemia è di tipo normocitico-normocromico e scarsamente rigenerativa (ipoplasia midollare). La patogenesi dell’anemia è piuttosto complessa e multifattoriale. I fenomeni immunomediati e/o autoimmuni sembrano giocare un ruolo di particolare rilievo, sebbene siano state avanzate nuove ipotesi patogenetiche.

In alcuni studi è stato chiamato in causa il possibile ruolo dei radicali liberi dell’ossigeno, che, prodotti in grandi quantita anche dai fagociti circolanti, provocherebbero alterazioni della membrana plasmatica degli eritrociti, favorendone la demolizione da parte del sistema reticolo-istocitario (Biswas et al., 1992).

Lo stato anemico può essere accompagnato da piastrinopenia, dovuta verosimilmente all’azione di auto-anticorpi anti-piastrine.

A differenza di quanto avviene nell’uomo, nel cane leishmaniotico non è presente leucopenia, bensì leucocitosi neutrofila per le infezioni secondarie cutanee, renali e di altri organi.

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3.1.3 Velocita di eritro-sedimentazione (VES)

Questo test è molto generico e si basa sulla misurazione del tempo che impiegano gli eritrociti nel sedimentare in un campione di sangue prelevato con anticoagulante. La VES, nei cani affetti da leishmaniosi, è in costante aumento a causa di vari fattori quali l’anemia, l’aumento delle γ-globuline e del fibrinogeno, la presenza di Ic e la riduzione della quota albuminica; tutti fattori che contribuiscono all’aggregazione e alla formazione di rouleaux dei globuli rossi, con dimensioni e peso superiore alle singole emazie, e per questo con velocità maggiore di precipitazione nel plasma.

3.1.4 Enzimi epatospecifici

Il coinvolgimento epatico negli animali affetti da leishmaniosi non riveste la stessa importanza di quello renale, sebbene, in alcuni casi, il fegato rappresenti comunque un organo bersaglio, in quanto provvisto di cellule del sistema reticolo-endoteliale. I danni parenchimali sono rappresentati dall’aumento nel circolo ematico degli enzimi transaminasi glutammico piruvica (ALT) e/o fosfatasi alcalina (ALP) che, dopo adeguata terapia, tendono a normalizzarsi.

3.1.5 Urea e creatinina

Uno degli organi maggiormente coinvolti in corso di leishmaniosi e talvolta anche l’unico, è senza dubbio il rene. Pertanto il dosaggio sierico dell’urea e della creatinina, insieme all’esame delle urine ed al protidogramma, può fornire utili informazioni sul grado di compromissione renale, oltre ad avere un indiscutibile valore prognostico.

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3.1.6 Esame delle urine

La principale alterazione che si evidenzia all’esame delle urine di cani leishmaniotici con lesioni renali è la proteinuria. I test semiquantitativi impiegati nelle ricerche di screening per rilevare la presenza di proteine nelle urine sono molto sensibili, ma sono influenzati dalla concentrazione e dal volume delle urine stesse. Per questo motivo è diventato routinario l’utilizzo del rapporto proteinuria/creatinuria (Urine P/C) per rilevare e quantificare i casi di proteinuria significativa nei campioni di urina. Il rapporto U P/C dei singoli campioni di urina prelevati casualmente, risulta correlato in modo eccellente con il contenuto proteico dei campioni di urine nell’arco di 24 ore da cani normali o colpiti da disfunzioni glomerulari (Grauer et al., 1985).

Sulla base dell’estrapolazione dei dati relativi alle proteine escrete dai cani sani e da studi in cui la valutazione del rapporto PU/CU è contemporanea alla biopsia e valutazione istologica del danno renale, sono stati stabiliti i seguenti criteri:

Rapporto PU/CU

< 0,5

normale

tra 0,5 e 1

dubbio

>1

patologico

La proteinuria è un segno precoce di glomerulopatia, potendosi rilevare prima dell’innalzamento dei valori della creatinina e dell’urea, esso è anche proporzionale al danno renale, associato o meno alle alterazioni dell’esame del sedimento urinario.

La tipizzazione delle proteinurie è effettuata mediante metodiche di frazionamento delle proteine con SDS-PAGE e SDS-AGE che consentono di differenziare le proteine in base al loro peso molecolare.

L’escrezione di proteine ad alto peso molecolare (60.000-70.000 d) è correlata ad un danno prevalentemente glomerulare, mentre il rilievo di

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proteine a basso peso molecolare è espressione di compromissione tubulare.

In corso di leishmaniosi canina, se il danno renale è grave, la proteinuria è di tipo misto (glomerulare e tubulare); se la compromissione renale è meno significativa, la proteinuria è di tipo selettivo (più frequentemente glomerulare).

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3.2 Esami di laboratorio specifici

La leishmaniosi canina è una malattia protozoaria, pertanto la relativa diagnosi eziologica deve essere intesa come la messa in evidenza del parassita e/o di parti di esso o di una risposta specifica da parte dell’ospite, in un soggetto con sintomatologia clinica riferibile (Mancianti, Ariti, 2010).

In zone dove la leishmaniosi ha un’ampia diffusione, spesso si ha la tendenza a diagnosticarla nel cane solo sulla base dei sintomi clinici, magari con qualche dato di laboratorio aspecifico. Ovviamente è fondamentale non fermarsi ad una valutazione del genere, ma procedere ad una diagnosi con metodo specifico; gli esami di laboratorio sono allora di fondamentale importanza al fine di emettere una corretta diagnosi, ma anche a fini prognostici e come monitoraggio durante la terapia (Vitale, 2009).

Gli esami specifici utili a diagnosticare la malattia in soggetti sospetti di essere affetti da leishmaniosi, possono essere, a loro volta, suddivisi in due categorie in base al tipo di indagine che viene effettuata. Nel caso in cui lo scopo sia quello di individuare e tipizzare il parassita si parla di

metodi diretti, che si differenziano dalle tecniche indirette finalizzate a

valutare la risposta immunitaria degli animali infetti. A questi si aggiungono altri test di più recente introduzione, come la diagnostica molecolare (PCR).

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3.2.1 Metodi Diretti

Esami parassitologici

Hanno lo scopo di mettere in evidenza il parassita (sotto forma di amastigote) in organi e tessuti animali o in coltura. L’identificazione diretta degli amastigoti all’interno del citoplasma dei macrofagi o liberi nel campione, viene eseguita su strisci ottenuti da ago-aspirato linfonodale (in genere linfonodi prescapolari e poplitei), midollare, epatico, splenico,

biopsia cutanea, e per impressione diretta o raschiamento di ulcere e granulomi (Gomes et al., 2006).

Gli strisci del materiale bioptico possono essere colorati con il May-Grunwald-Giemsa che permette un’agevole evidenziazione degli amastigoti, ma anche con altre tecniche quali la colorazione di Wright e la colorazione di Leishman.

La maggior parte degli Autori ritiene che vi sia una correlazione diretta tra la gravità del quadro clinico ed il numero di parassiti che si rinviene nello striscio.

Dalle stesse sedi utilizzate per i prelievi suddetti, possono essere effettuati prelievi per l’esame colturale che viene eseguito tramite la semina del campione su un substrato colturale adatto allo sviluppo delle Leishmanie, generalmente terreno di Tobie modificato da Evans, o inoculazione in animali da laboratorio (per lo più criceto) (Herwaldt, 1999). La crescita dei promastigoti avviene al massimo entro 30 giorni. Il rilievo di amastigoti nel sangue periferico, anche se possibile, è una evenienza molto rara sia nell'uomo che nel cane, ed interessa eventualmente fasi precoci d'infezione. La presenza di forme amastigote di Leishmania su strisci di materiale bioptico o la presenza di promastigoti all’esame colturale rappresentano la diagnosi di certezza di infezione dell’animale.

Questo esame andrebbe preso in considerazione per quei soggetti oligosintomatici con IFAT dubbia, come anche in seguito a terapia e negativizzazione dell’esame sierologico. L’esame parassitologico non è sempre risolutivo, essendo strettamente correlato al numero di protozoi

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presente nel campione. Quindi questo esame diagnostico pur essendo altamente specifico, è poco sensibile (Vitale, 2009).

I metodi immunoistochimici possono essere usati come mezzo supplementare per confermare la diagnosi basata su sezioni colorate con l’ematossilina eosina, in particolar modo in quegli organi che non hanno un’ alta carica parassitaria (Hofman et al., 2003).

Questi metodi sono invasivi, richiedono una lunga procedura di preparazione e danno risultati inappropriati per un’indagine epidemiologica.

Fig 3.2. Promastigoti

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Diagnostica molecolare

Tra le prove diagnostiche microbiologiche più recentemente messe a punto, quelle molecolari sono senza dubbio tra le più promettenti (Roura et al., 1999). Le sonde molecolari e la “polymerase chain reaction”(PCR) permettono l’identificazione di tratti genomici specifici di un determinato microrganismo.

Le tecniche molecolari risultano di particolare utilità come test di conferma per quei quadri che risultano dubbi (quadro istopatologico suggestivo in assenza di parassiti, sierologia negativa o con anticorpi a basso titolo) in animali sintomatici o per determinare la carica parassitaria (tecnica di real time- PCR). Esse possono essere usate anche allo scopo di valutare l’efficacia del trattamento farmacologico. Tali metodiche non sono in grado di discriminare la vitalità del parassita e non devono essere utilizzate da sole, considerando che spesso soggetti asintomatici sieronegativi viventi in zona endemica sono portatori di DNA di leishmania in assenza del parassita integro e vitale. Per un risultato attendibile mediante PCR è necessario utilizzare campioni provenienti da almeno 3 tipi di tessuti. I campioni ottenuti da tampone congiuntivale e da aspirato linfonodale consentono un’elevata sensibilità del test e possono essere ottenuti con manovre scarsamente invasive. Anche campioni di midollo osseo e di cute rendono il metodo estremamente sensibile (Mancianti, Ariti, 2010).

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La PCR qualitativa permette l’amplificazione logaritmica in vitro del DNA-target che identifica il microrganismo in esame, attraverso l’uso di “primer” specifici che legandosi a tratti del genoma, ne permettono la duplicazione e l’amplificazione.

La PCR qualitativa è stata testata con successo su diversi campioni biologici di cani, uomini ed anche volpi affetti da leishmaniosi (sangue, linfonodi, cute, midollo, urine, tamponi congiuntivali), mostrandosi altamente specifica ma non altrettanto sensibile (Gomes et al., 2006).

La PCR qualitativa manifesta una specificità, sensibilità ed affidabilità maggiore rispetto all’osservazione diretta (strisci e colture) ed alla sierologia, rendendola il metodo gold standard nella diagnosi dell’infezione da Leishmania sia negli uomini che nel cane (Gomes et al., 2006).

In genere la PCR qualitativa rileva, in maniera più attendibile e con maggiore precisione di altri metodi diagnostici, gli stadi precoci della malattia e, quindi, anche i casi transitori ed autolimitanti dei quei soggetti che in qualche modo risolvono l’infezione (Gradoni, 2002).

Oltre che come mezzo diagnostico, la PCR qualitativa può essere utilizzata anche per monitorare il decorso della malattia durante e dopo il trattamento antiparassitario, e per classificare le diverse specie di Leishmania, mediante l’utilizzo di primers specie-specifici (Roura, 2001).

A fronte di questi indubbi vantaggi, a tale tecnica sono associati dei limiti che devono, comunque, essere messi in evidenza, dal momento che essa non permette di distinguere un parassita “vivo” da uno “morto” e richiede un personale più che qualificato, al fine di evitare le contaminazioni crociate responsabili di risultati falsamente positivi (Moreira et al., 2004).

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La tecnica della PCR qualitativa, pur essendo molto specifica, non consente la quantificazione del DNA bersaglio di partenza, per cui può essere di limitata utilità quando si richiede un accurato monitoraggio dell’agente patogeno in questione.

Per superare queste limitazioni, recentemente sono state realizzate tecniche di PCR quantitativa (real-time PCR), che permettono la misurazione della carica di agenti patogeni in pazienti affetti da malattie infettive, il monitoraggio del trattamento e la discriminazione fra pazienti rispondenti e non rispondenti alla terapia (Colucci, 2000).

La real-time PCR permette il monitoraggio del prodotto di amplificazione ciclo per ciclo (in “tempo reale”); in questo modo è possibile determinare a quale ciclo il prodotto comincia ad amplificarsi in maniera esponenziale, il cosiddetto “ciclo soglia”.

Per inferenza, è possibile quantificare in termini relativi il DNA stampo presente all’inizio della reazione con precisione e riproducibilità (Gomes et al., 2006).

Da tale quantificazione deriva una stima della carica parassitaria relativa nei diversi campioni presi in esame.

La quantificazione assoluta viene ottenuta in riferimento ad uno standard interno amplificato simultaneamente al DNA campione, o ad uno standard esterno ricavato mediante amplificazione di diverse concentrazioni note di un campione di riferimento in reazioni parallele.

Per il monitoraggio della formazione del prodotto bersaglio durante l’amplificazione, esistono varie metodiche che prevedono l’uso di particolari sonde fluorescenti, come le tecnologie SYBR GreenR e TaqManR.

La fluorescenza che si genera durante la PCR per effetto delle diverse reazioni chimiche, basate sia sul legame di coloranti fluorescenti che si intercalano nella doppia elica di DNA, sia sull'ibridazione di sonde specifiche, viene quindi misurata in tempo reale da una telecamera CCD. Tutte le operazioni relative alle misurazioni avvengono sotto il controllo di un software gestito da un personal computer.

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I vantaggi della metodica di real-time PCR, rispetto alle tecniche di PCR standard, consistono nella rapidità della produzione dei risultati, nell’eliminazione delle manipolazioni post-amplificazione per la rilevazione degli amplificati (con riduzione dei tempi e dei rischi di contaminazione), e nell’aumento della sensibilità (Gomes et al., 2006).

È ipotizzabile, inoltre, che la quantificazione della carica residua parassitaria in corso di terapia possa essere usato come metodo di controllo dell’efficacia della stessa ed, eventualmente, di predizione delle recidive dopo la sospensione del trattamento, oltre che come strumento in supporto alla valutazione della necessità di effettuare un trattamento preventivo in soggetti infetti asintomatici, come suggerito da ricerche comparse in letteratura a proposito di patologie virali (Griscelli et al., 2001).

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