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Il Nuovo Istitutore : periodico d’istruzione e di educazione. A.14(1882)

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I L

NUOVO ISTITUTORE

5>@iai)(DIDI)83)

d’ Istruzione e di educazione.

Anno Q uattordicesim o.

SALERNO

T IPO G R A FIA NAZIONALE

(5)

.MQ&sùisbQ ifc a enoisintel %

o m a j A z

(6)
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(8)

A n n o

XIV.

S a l e r n o ,

15 Gennaio 1882.

N.11, 2 e 3.

GIORNALE D’ ISTRUZIONE E D’ EDUCAZIONE

PREMIATO CON MEDAGLIA D ’ ARGENTO

AL V II CONGRESSO PEDAGOGICO.

Il giornale si pubblica tre volte al m ese. Le associazioni si fanno a prezzi an tici­ pati m ediante caglia postale spedito al D irettore. La lettere ed i pieghi non francati si respingono: nè si restituiscono m anoscritti — P re z z o : L. 5; sei mesi L. 3; un num ero separato di otto pagine, Cent. 30; doppio Cent. 50.

Giornali, libri ed opuscoli in d o n o , s’ indirizzino — A lla D irezione del Nuovo Is ti­ tutore, Salerno.

SO M M A RIO — Voti ed a u g u rii pel capo d ’anno — Uno scritto d i V. F o rn a ri— Versi

inediti di A . L ingaiti — Canzone p er onom astico d i gentil S ig n o ra — Una lettera e un regalo del cac. A r ila — R ingraziam ento del D irettore — Michele F errucci — G iudizii della stam pa — A n n u n zi — Cronaca — Carteggio.

A l LETTORI.

Se ve li facessi in v e rs i....? È tan t’anni che ve li do

in p ro s a , miei riv eriti lettori : pigliateli ora in poesia i

miei schietti e cordiali augurii. Chi sa che con tutto il vento

che tira da certe assiderate regioni di tram ontana, e che

aggranchisce le mani e agghiaccia i cuori, chi sa, dico io,

. . . Che ’1 vero condito in molli versi

I più schivi allettando non persuada ?

Se il mondo più non corre dove versa

Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,

ma galoppa a ro tta di collo dietro al metallo onnipossente,

e le poesie, vere e positive, ama di farle in cantina e in

a ltri ameni P arn asi; pure c’ è ancora della gente che fa

all’ amore colle P ierie muse, e si commove a qualcosa che

non si palpa con le m ani, nè fa ballare gli occhi. V era­

mente di positivo c’ è pur la sua parte qua dentro a’ versi

che vi regalo : « se vi dicessi che con i miei classici ideali

io ne godevo e gongolavo, Voi, certo, non me ne chiede­

(9)

reste le prove! Sta a V o i, dunque, miei riv e riti le tto ri,

d’ innam orarm i della nova scola: fate positivamente ciò che

vi si condisce in molli versi, e il cielo ci ajuti a sbarcarceli

alla meglio questo e gli anni da venire — Ma ecco qui il

P o eta: zitti: battiam ogli in ultimo le m ani, non foss’ altro,

è sì discreto!

I l

Nuovo

I s t i t u t o r e .

I l C a p o d ’ a n n o d e l

1882.

Buon Capo d’ anno ! A tu tti gli abbonati

Un migliaio di auguri e di saluti!

Una filza di lunghi anni beati,

Croci, ricchezze, onor, gloria e starnuti!

Quelli che meco i conti hanno saldati,

Sempre a così saldarli Iddio li aiuti;

Gli altri che.... se ne son dim enticati,

Iddio tocchi i lor cuori, e li tram uti!

Io Nuovo Istitutor non son più nuovo,

L’ anno decimoterzo oggi ho com pito,

E eh’ a ltri mi trascu ri io non approvo !

E guai!... Ma basta. Proprio non mi piace

Oggi g uastar la festa ed il convito;

Ne parlerem o poi; facciam la pace!

Ed a chi digerito

Ancor non h a del tutto il capitone.

Gli dico dunque: buona digestione!

Ed in conclusione,

Affinchè a l’ universo sia dimostro

Ch’ io son di vera tenerezza un m ostro,

Piangendo a caldo inchiostro

Tutti vi abbraccio con sincero am ore.

Servo devoto!

I l

Nuovo

I s t i t u t o r e .

Per copia conforme

(10)

LE PAROLE DI M. GIUNIO BRUTO

IN SUL MORIRE.

Siamo lietissimi di poter cominciare il nuovo anno ab­

bellendo il nostro giornale di uno scritto del comm. V. F o r-

nari. F a parte del III. libro inedito della vita di G. C., e

Iddio conceda all’ illustre A. di poter presto condurre a fine

sì nobilissimo e grandioso lavoro.

R ipensando a quest’ alacrità novella che apparisce nel m ondo, e a questa rinascente fiducia nella v erità e nella v irtù , corre la m ente a Marco Giunio Bruto, il quale con la disperazione nel cuore, in quel secolo stesso, era fuggito dal mondo, esclam ando : Virtù, non sei che un nome. Sopra le fam ose parole si è esercitato l’ ingegno di molti, e tra gli a ltri, due italiani nell’ età n o s tra , Gino Capponi e Giacomo Leopardi ; nè se n’ è tratto fuori tutto il sentim ento che vi

è

chiuso. N egando M arco Giunio, che ci fosse virtù nel m ondo, negò che ci fosse anco v erità ; perciocché al nome di virtù non rispondeva una cosa. P arole senza verità, e virtù che non erano se non parole, ecco quello che, nell’ estrem o della su a vita, il genero e nipote di Catone, uno spirito austero, pretore e guerriero, politico e filosofo de’ più veg­ genti che allora fossero nel m ondo, vide e giudicò del tempo e della società in cui viveva. Ad un rom ano virtù era 1’ am ore della patria, o della lib e rtà , che sonava lo stesso : la virtù per eccellenza, che le compendiava tutte, ed era ed è g eneratrice di società e civiltà. A suo giudizio era dunque spento il generoso am ore che aveva fatto n ascere quella società im m ensa e quell’ am m irabile civiltà latina. E se ivi spento, altrove o era spento da più lungo tem po, o non ci era stato mai. Poniam o che que’ Germ ani che poi Tacito descrisse, fossero men corrotti, non avevano però la virtù che Bruto c e rc a v a , e non form a­ vano società civile. Ed il medesimo si dica di quelli allo ra ignoti sciam i di genti che vivevano fuori la cerchia della rom ana potenza. E ra giusto anche di loro, era giusto di tutti in quell’ età il giudizio di Bruto. Se 10 scrivessi un poema, m etterei costui nel luogo di Minos a giudicare 11 regno de’ morti. Mi suonano le sue parole come fossero la sentenza di m orte dell’ età sua, di tu tta 1’ antichità. Non em anava la condanna da lui, m a egli la pronunziò, sentendola nella sua coscienza. L a m orte Bruto la sentì nell’ anim a su a , quando la preoccupò, uccidendosi. Ed eccetto i disgraziati in cui una m alattia abbia ucciso la ra g io n e , quelli, io cred o , che sentono la m orte nell’ an im a, quelli si fanno suicidi: laonde vediamo che questo delitto abbonda ne’ tem pi e n e’ paesi in cui scemano le speranze di un’ a ltra vita.

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Non solam ente giudice, ma anche istorico dell’ età sua fu cotesto B ruto : non istorico che n arri in un libro, m a che descrive con la sua v ita 1’ età e la società a cui appartiene. Con la fine che diè poi alla sua v ita , si può in un certo senso dire che esso fu anche profeta di quell’ e tà : perciocché essa morì suicida, o di fe rro , come in lui e in Seneca e T ra se a e qualche altro di tem pera più forte ed orgogliosa, o di lussurie e di crapula. Quando nel nostro libro studiam m o il corso dell’ antica istoria, ci venne innanzi la g ran figura di Giulio C esare a seg n alare il fastigio ultimo della gran dezza a cui l’ uomo si potè in al­ zare ; e nell’ om bra di Augusto, il fastigio, non della felicità, sì della fortuna. Ma quello è lo splendore, la faccia di quella s o c ie tà ; il cui più intimo esse re, l’ indole, la coscienza, se posso così c h iam a rla, si specchia in Bruto. Quest’ uomo che am a la p atria, la scienza, la g iu ­ stizia, e non h a il cuore m alvagio, e nondim eno si trasc in a a farsi omicida, quasi parricida, e finisce suicida, quest’ uomo com pendia tu tta la vecchia um anità, il lungo errore, l’ intern a lotta del bene col m ale che la tra v a g lia v a , l’ im potenza finale del b e n e , il final trionfo del m ale. Le sue ultime parole contengono in fondo un s o s p iro , un so ­ spiro angoscioso verso la verità e la virtù ; sì che sono come 1’ ul­ timo fiato di quell’ aspirazione concreata con l’ uomo, della quale ab ­ biam o visto tante pruove, e d alla quale era provenuto quanto di onesto e bello avevano prodotti i secoli passati. Quel sospiro il suicidio lo soffocò in B ruto, e lo avrebbe sim ilmente soffocato col tempo in tutto il gen ere umano.

Ma prim a che il secolo finisse, dico il secolo di B ru to , il risorto spirò il suo potente soffio nella società de’ centoventi, e p er mezzo di lei nella moltitudine che le si radunò attorno...

V. Fo r n a r i.

DAI MANOSCRITTI DI A. LINGUITI.

Mio carissim o am ico,

F rug ando ne’ m anoscritti del mio caro e sventurato Alfonso, m ’ è accaduto di trovare parecchi abbozzi di poesie e di prose inedite o pubblicate soltanto in pochi esem plari. E ssi, come vedrai, sono infor­ m ati a que’ gentili affetti onde era sem pre accesa quell’anim a nobilis­ sim a, e qua e là rivelano una soave m estizia, che derivava dal triste p re sag io della sua prossim a fine.

(12)

ho detto fra me, leggendo quelle carte con 1’ animo tu tto ra esulcerato e con le lagrim e sugli occhi, e mi è venuto il pensiero di m andartene alcuni fram m enti, sem brandom i che non debbano riuscire inutili a compiere il ritratto che con animo pietoso e con singolare m aestria ti piacque delineare dell’ illustre e caro estinto.

Vedi, con quanta forza ed efficacia è esp ressa ne’ versi che seguono, l’ arm onia ch’ era nella sua m ente e nel suo anim o, dell’ am or patrio e del sentim ento religioso:

A noi sa c ra è l’ Italia, a noi son sacre Le sue sventure e le sue glorie. Sieda Silenzio eterno sovra il nostro labbro, Se dell’ Italia più non p arla : oscura N otte discenda su le nostre m enti, Se m ai l’ Italia dal pensier ci cada. Ma non men sac ra è a noi quell’ am orosa F ed e soave che del suo sorriso

L ’ alba infiorò de’ nostri anni più belli, Che a ’ primi affetti i cuori, a’ primi voli Le nostre menti ap ri: vogliam posare N el suo grembo materno, addormentarci A ll' ombra de’ cipressi ove la croce Benedetta protegge i queti sonni De' nostri p a d ri...

Ma ciò che efficacemente ti commuove a leggere quelle carte, è il pre­ sentimento della su a prossim a fine che ricorre spesso n e’ suoi più recenti m anoscritti.

« Q uanta differenza ( dice in un luogo ) tra Omero e Sofocle per quello che rigu arda la vita futura! A chille, presso O m ero, anzi che esser re de’ defunti, vorrebbe vivo servir per m ercede come bifolco; al contrario A ntigone, presso Sofocle, preferisce alla vita di quaggiù quella che si vive nell’Ade fra’ cari perd u ti, e vuol piuttosto piacere a’ defunti che a ’ vivi :

...Compiuto il sacro Pietoso uffizio, io giacerò col caro F ratello, a lui ca ra pur io. P iù tempo A g li estinti piacer deggio, che a' vivi, Chè laggiù starò sempre...

« Q uanta m estizia ( dice altrove ) in quelle parole di Achille ad Ulisse !

N on consolarmi della morte, a Ulisse R eplicava il P e l i d e ! ...

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era negli anni estrem i della vita, e col pensiero rifuggiva dal sepolcro non infiorato da alcuna sp eran za: forse asp irav a ad una dottrina con­ so latrice , nè poteva app ag arsi di un mito che non corrispondeva ai •voti segreti del suo cuore. E veram ente questa tendenza a dottrine più consolanti s’ incontra spesso in Omero, e particolarm ente in quel luogo:

...Quale delle foglie,

T ale è la stirpe degli um ani. Il vento B rum ai le sparge a te rra , e le ricrea L a germ ogliante selva a prim avera. »

E questo presen tim en to , secondo che si va più innanzi, diviene più chiaro e meglio determ inato. In una delle ultime pagine del m anoscritto trovo il seguente luogo di Lucano, tradotto dal C assi, copiato da A l­ fonso con mano m al ferm a e in certa, pochi giorni innanzi di m orire:

...E rano due fratelli Ambo nati ad un ventre, ambo nel fiore Degli anni, ed ambo sì tra lor sim ili,

Che spesso mal distinti anche dall’ occhio Degli stessi parenti, a questi un dolce F aceano inganno. Ma se tan ta in loro Avea posto eguaglianza la natura,

Or qui il destin disuguagliolli. . . .

... E forse 1’ uno Iddio Campò da m orte e nel suo caro aspetto, P er lor conforto, a ’ miseri parenti Offria pur quello del fratello estinto.

Con questo luogo della F a rsa g lia di Lucano consuonano i versi ori­ ginali che trovo più appresso, tolti da una sua poesia intitolata V Am or Fraterno :

...Un solo istante N a sc er li vide: una m edesm a culla Li raccolse bam bini: insiem le prime P reci infantili appresero da’ labbri Dell’ intègra lor m adre... Baldi e fidenti insieme il lim itare Salir di giovinezza. Un’ arm onia, Un concento d ’ affetti e di pensieri F e’ di due cuori un cuore ; e pur la morte P e r sem pre li p arti...

Quanto lo confortavano la fede nelle immortali prom esse della R e­ ligione e la speranza della vita futura, altrettanto gli faceva orrore la m orte senza le suprem e consolazioni religiose e il funebre cortèo senza i riti cristiani e senza il segno del nostro riscatto.

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Leggi questo brano: quanto sconforto! quanta m estizia v’ è im pressa! Ecco una b a ra : il segno del riscatto

Non la precede: da le sacre torri N on gemono le squille: è muto intorno L ’ inno sublime del dolor che spera, Nò di faci e leviti un ordin lungo A ttrav e rsa la via; sol pochi, chiusi In un triste pensier, silenziosi

Dietro un’ insegna di gram aglie avvolta Seguon 1’ estinto a 1’ ultim a dim ora, Che non fia benedetta, ove nessuno A p regare verrà. E pur la fede Che non gli consolò 1' ore suprem e, Gli fu stillata co’ m aterni baci N el cor profondo...

Che Alfonso abbia avuto il dono della commozione e delle lagrim e; che abbia saputo ritrarre egualm ente i teneri e delicati affetti e le forti e gagliarde passioni; che abbia av u to , insom m a, quel non so che di umano e di affettuoso che è il ca rattere intimo delle anime elette, lo provano tutte le sue poesie. Ma in nessuna a me sem bra che si riveli tanto questa singolare facoltà eh’ egli aveva di com m uovere, quanio nel carm e eh’ egli, giovanetto ancora, scrisse nel 1848 dopo la funesta catastrofe del 15 m ag g io , e di cui mi piace riportare de’ fram menti :

0 giorno infam e, atro c e, orribil giorno, P e rc h è , quando la mente inebbriata S’ abbandona a’ suoi sogni, e crede e spera, Ritorni a funestarm i, e con am are

Rimembranze disperdi ad una ad una Ogni soave illusion del core?

Ahimè risuona ancor su’ nostri labbri L a parola d’ am or: Siamo fratelli, E del bacio fraterno ancor son calde Le nostre fronti, e cittadina strag e F u nesta le tue vie, bella P artenope, Italo paradiso... U n’ ira fratricida, un’ ira cieca

Senza fine im perversa, e non la frena Ragion di sesso nè d’ e tà , nè il caro F ior di bellezza o d’ innocenza il riso Dalle imminenti

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Form idabili torri, ultimo asilo Al terro r de’ tiranni, orribilm ente Sull’ inerm e città piovon la strag e Cento bronzi omicidi. U na b ria c a Avida g en te per le vie trasco rre, I tetti arde, trucida, e a la feroce Ira aggiunge l’ insulto. Un ululato, U na voce di pianto intorno suona: È R achele che piange i figli suoi Che vide im pallidir, da fratricida Em pia spada trafitti. Il suo cordoglio

È come un m ar che non h a sponde, im m enso, E non trova conforto...

M a chi sei tu che fra le g rid a e i lai Di chi muor, di chi langue, ove d’ atroce M ischia appaiono i segni, ove più gli occhi E ’l cor funesta la fratern a strag e ,

Sola t’ aggiri?

— Una son io che piango : Ultimo avanzo di p ro sc ritta stirpe, A consolar la mia vita d eserta Mi rim ase un fra te llo , un giovinetto Pallido e bello : in su la fronte im pressa Avea 1’ orm a del genio e il segno arcano D’ un arcano dolor, quasi presagio D’ una m orte im m atura, o come il mesto D’ un esule pensier che agli am orosi M aterni am plessi anela. Iddio gl’ infuse In secolo codardo il senso altero Delle cose sublimi e l’ inquieto Amor di libertade: Iddio gli diede

T ra sv o la r da la te rra a più sereni Cieli, nel regno delle eterne idee, Degl’ increati archetipi, là dove Di bellezza, di lu c e .e d’ arm onia Lo spirito s’ inebbria. Oh come m esto R isonava il suo verso, allor che sceso Da quel mondo fantastico volgea Al tristo ver lo sguardo!. . . . A le sue mani Ieri affidai la tricolor bandiera

(16)

Da me trapunta con leggiadri fregi Del nome dell’ Italia, e al sen gli cinsi Di m ia mano una spada, e, va, gli dissi: Venezia aspetta fra le sue lagune Degl’ itali fratelli il suo riscatto; Va, combatti e trionfa: io ne la pace De’ solitari chiostri in fra gli alterni Inni devoti pregherò quel Dio

Che tanto ai prodi M accabei trasfuse A rdir ne’ petti ch e pel patrio suolo Spregiàr la v ita; oh povero fratello! Me 1’ han rapito infami sgherri e chiuso Entro squallida torre, onde, mi han detto, Escon lam enti di chi muor. M ostrarmi A’ carnefici io vo’ ; di mie querele A ssorderò le carceri, d’ un Dio Loro favellerò, di quel tremendo Vindice degli oppressi, i lor ginocchi Non lascerò, fin eh ’ io non abbia a miti Sensi piegato i duri petti, e sciolti N on cadano i suoi ceppi ... M a fra le mille immagini d’ orrore

Sovr’ una il mio pensier s’ a rre sta e freme : 0 L a V ista, o L a V ista, o m iserando 1 Esem pio di sc ia g u ra , io ti contemplo F ra le braccia paterne insanguinato Spirar gli estrem i aneliti, schernito Dagl’ infami sicari. Al padre tuo Nel dolore im pietrito una parola D rizzar vorresti ; m a te n ta ta invano Spira nel sangue, e de le labbra invece

P a rla un tuo s g u a rd o , oh 1’ eloquente sguardo ! E sso è 1’ estremo, 1’ amoroso addio

A la p atria d ile tta , a’ tuoi più cari : È il doloroso gemito d’ un cuore Che tanti rosei sogni in un momento Vede intorno sorridere, e v anire; È la speranza che non sem pre inulto S arà quel sangue che a torrenti è sparso. 0 povero L a V ista! e che ti valse

1 V ittim a illustre di quel giorno infausto fu Luigi La V ista, giovine di p rontis­ simo ingegno, ornato di squisite le tte r e , d’ indole affettuosa e generosissim a.

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L ’ usbergo d’ innocenza, e la veloce A la de l’ intelletto, e la parola Che da le lab bra tue limpida uscia R ivelatrice di sublimi affetti,

Se ardisti am ar la p atria? oh non sapevi Qual fra noi sia delitto il patrio am ore! Quasi presago de la tua sventura, M estam ente pensoso invan lusinga Ti fea la gloria, la speranza e quante V aghe apparenze h a il sogno de la v ita: Oh quante volte, m entre fiori e lagrim e Su le tombe de’ m artiri spargevi, 1

Ti disse arcan a voce, un più crudele Nuovo m artirio coronato avrebbe L a tua vita di pianto...

Bastino per ora questi frammenti. Io continuerò a rau n are le f rondi sparte per intrecciarne una ghirlanda al caro estinto: seguirò a r a c ­ cogliere da’ suoi m anoscritti tutte quelle cose che saranno acconce a colorire i lineamenti della sua immagine e a meglio determ inare il carattere della sua poesia.

Io so bene che certi nuovi apostoli diranno che questa non è la poesia dell’ av v e n ire, non è la poesia che ci vuole a ’ tempi nostri. E Alfonso la conosceva questa moderna Po r n o g r a f i a ; questa recente

Bo h è m e; m a egli si ostinava a crederla una cosa vecchia, vecchissima

quanto A dam o, anzi preadamitica; o, per dir m eglio, vedeva in essa la morte di ogni poesia, e però 1’ aborriva. Non c’ è che dire: non tutti si compiacciono del pantano o della cloaca; non tutti i polmoni sono così gagliardi da respirarne impunemente i miasmi. E g li, invece, in­ vocava e affrettava co’ voti il ritorno della poesia di Omero, di Dante, del Foscolo, del M anzoni; di quella poesia eh’ è di tutti i tempi e eh’ è fiorente di perenne giovinezza. « R ito rn a, o M usa (c o sì egli dice in uno de’ suoi m anoscritti) ritorna alle altezze serene, ov’ è il tuo reg n o ; ritorna a quella poesia che h a tante volte elevato le nostre anime e disacerbato le nostre tristezze. Rimani, o poeta, sulle cime ov’ è la tua p atria diletta, ove si resp ira l’ aere fortificante de’ grandi pensieri e dei grandi affetti. Rimani lassù, non per divenire indifferente ai nostri do­ lori, impassibile a’ pericoli che ci prem ono, alle bestem m ie che c’ in­ sultano, alle follie che ci m inacciano, ai delitti che ci spaventano, m a per placare gli odii, per saldare le ferite de’ cuori, per opporre alle

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nostre grida d i furore e di cord o g lio , le voci soavi della speranza e dell’ amore. »

Ma lasciando nella buona pace i pornografi e i loro am m irato ri, io son contento di far cosa g ra ta a te e a ’lettori del tuo giornale, ra c c o ­ gliendo questi minuzzoli delle poesie e delle prose del nostro Alfonso. E questo a me basta. Addio.

I l tuo aff.tno Fr a n c e s c o Li n g o t t i.

AI Ch. Professore Cav. Giuseppe Olivieri

A l l a n o b i l e s i g n o r a

§ O H T E S S A § U C 1 A | |

p

ALLETTI ^A L L E A M I

NEL SUO ONOMASTICO X III DICEMBRE MDCCCLXXXI.

Benché del sole il raggio

Scarso risplenda, e la campestre scena,

Che abbella il tuo soggiorno,

Discolorata già si spogli il verde,

Pur di luce serena

Oggi, o donna, per te s’ allieta il giorno.

Oggi dal labbro pio,

In più fervido zelo,

Accesa la tua prece ergesi al cielo.

E in un con la tua prece ergonsi i voti

Di molte alme a te g ra te ,

Che dagl’ insulti della sorta ria

Trovan ristoro in te; vedove spose,

Orfane abbandonate,

A cui per dura povertà nel viso

E ra già spento il riso ,

E illanguidian di gioventù le rose.

Al trono dell’Eterno

Giunge, e non giunge invano

De’ miseri la voce, o dolci suoni

Benedicendo a quei che lor la mano

Stende pietoso, o ira ta imprechi al folle,

Che li calpesta, e sovra lor s’ estolle.

Sotto il povero tetto

(19)

Il tuo nobile ostello, oggi risuona,

0 D onna, il nome tuo, quel nome santo,

Che a te diede l’ invitta

V ergine, onor di Siracusa e vanto;

E lo ripete con devoto affetto

La m adre ai figli cari,

Allor che, tua m ercè, di più vivande

E più gradite li risto ra a m ensa,

0

generosa, a cui, se grande il censo

Iddio la rg ì, non meno il cor diè grande.

Così di carità la fiamma p u ra ,

Quando s’ avviva in anim a gentile,

Trascende ogni confin, che da natura

E da fortuna al vivere civile

Fu per fatai necessità segnato.

Questo vivido ardor discioglie il gelo

Di quell’ odio tenace, onde il mendico

Volgesi in atto ed in p a rla r nemico

A chi sortì dal cielo

Splendida copia di ricchezze. È santo

Questo vivido a rd o r, così s’ adempie

Il voler di quel P ad re, a cui somiglia

Solo chi nutre in petto

Placidi sensi, sol colui che imprese

Magnanime d’ amore

A se stesso, ad altrui sempre consiglia,

E con immenso affetto

Tutta abbraccia l’umana ampia famiglia.

T a lo r, donna gen til, se 1’ a tra vista

Dei m ali, ond’ è percossa

Tanta parte quaggiù d’ alme innocenti,

Il cor t ’ ange e contrista;

E una pietosa lagrim a ti vela

I neri occhi lucenti,

Torni soave e caro

A serenarti il ciglio

II pensier che tu sei nei giorni foschi

Di questo duro esiglio

Ai miseri benigno a s tr o , che ogni om bra

Di tristezza disgombra.

E allor che a te lontana in altro lido

Più tepido aere inonda

Soavemente il seno,

Pensa che qui sovra la m anca sponda

Dell’ Esio ameno la tua selva am ata

Desia per te di riv estir sue foglie;

(20)

Pensa che senza te vedovo e solo

11 tuo leggiadro ostello,

Che sì altèra tra il verde erge la fronte,

Te, sua donna, ai cam pestri ozi richiam a,

E che su questo suolo

Più che altri ti sospira il poverello.

Ho letto e riletto il vostro libro la Sapienza antica, e

non so dire se m eritiate m aggior lode o per la forma o per

il suo contenuto. Quanto alla prima, già voi non siete no­

vellino nell’ arte dello scriv ere, e i vostri libri hanno il

pregio e il sapore della vera italianità: e non è poco in

questi tempi che con la comoda teorica della così detta

evoluzione si parla e si scrive una lingua, che ci si vuole ga­

bellare per italiana, ma solamente i gonzi per tale la posson

bere. Altri vi ha mosso accusa che voi « indulgete alle la­

scivie del parlar Toscano; » ma non gli date re tta , anzi di

ciò tenetevene come di un punto di m e rito , perchè vuol

dire che sapete con giudizio attingere alla fonte viva, pe­

renne e naturale della lin g u a , lasciando da parte gli a r­

caismi ovvero i paroioni e il fraseggiar convenzionale, ov­

vero il prodotto della sullodata evoluzione; e , occorrendo,

ridete anche di simili sentenze, come io rido saporitam ente

degli anfanamenti di chi vuol p a rla r di lingua, e ancor non

sa distinguere il passato prossimo dal passato rimoto del-

l’ indicativo. Le son di quelle cose che pajon case, per dirla

a mo’ del Macchiavelli. Ma, torniam o a Cam, come diceva

quel p red icato re, cioè al vostro libro ; e dico che quanto al

contenuto, Voi galantuomo da ventiquattro carati, non po^

tevate scegliere un argomento m igliore, che fosse il casis-

simo a lavorarci su. Imperocché ora com’ ora i principii

Al e s s a n d r o Ch i a p p e t t i.

A l eh. Signore

| l PROF. CAV. s§. § L iV iE R I

Firenze, 2 2 dicembre 1881.

(21)

della morale e pubblica e privata pur troppo sono un po­

chino oscurati nell’ animo della gente, e Voi avete fatto

bene a rivolgervi a ’ giovani, alla cui istruzione si b a d a , è

v ero , ma non alla buona educazione, e, raccontando breve­

mente la vita degli antichi Savj, a porre sotto i loro occhi,

e alla meditazione della loro mente le sentenze e i dettati

m orali dell’ antico sapere: le quali e i quali fondati su que­

gli eterni principii che furono e sono la norm a dell’ um ana

coscienza, non m utano, come il figurino delle mode, o per

volger di secoli, o per cambiare delle condizioni sociali, ma

restano perenne regola al buono e retto vivere. P er con­

chiudere io dico, che voi avete presentato a ’ giovani un bello

e buon lib ro , come ra ri se ne vedono. Ve ne sono grati?

Lo spero per onor di loro.

Intanto a ’ componimenti che poneste in fine del libro

vogliate aggiungere questi tre sonetti, che mi sembrano ap­

propriati all’ argom ento : li trovai 1’ altro giorno sfogliando

il Cod. Laurent. SS. Annun. di n." 122 a c. 122 v., 235, e 237

v. Il primo dà utili avvertim enti, e c’insegna a non m etter

bocca in tutte le cose, e di non p arlare a vànvera : gli al­

tri sono due favoline con la loro brava m orale in fondo;

una delle quali è quella notissim a della cicala e della for­

mica. Sono roba del secolo X IV , o del principio del seguente

secolo, quindi di bel dettato, ma n’ è ignoto l’autore. Ac­

cettateli graziosam ente, e vogliate bene

al vostro aff.mo amico

C.

A r l ì a .

I.

È bella cosa all’ uom poco p a rla re , E stare ad asco ltar quel eh’ altri dice ; Del suo p arlar conoscer la radice, E poi risponder bene, se gli pare : Colui che lo fa rà , non può fa lla re ,

P igli la via del mezzo a lla pendice; Chè tal ti dice: D è , come ben dice! C hed egli il fa per volerti provare. B attesi il gallo prim a ched e’ c a n ti,

Così dovre’ ognun ten er que’ m o d i, E t asco ltar pria che se millanti. Udire et ascoltare e di sta r sodo;

De’ fatti altrui darsi pochi v a n ti, Che spesse volte se n’ è rotto il nodo.

(22)

Colui è degno di lodo

Che sa con ogni gente m antenere ; 1 Sempre di’ ben d’ ognuno a tuo podere. 1

II.

Andando la formica alla ventura Arrivò ’n un teschio di ca v allo , Il qual li parve senza verun fallo Un palagio reai con belle m ura. E com’ più cercava entro suo m is u ra ,

Li parea più chiar che lo cristallo ;

Dice tondo ella : « questo è più bello s ta llo , 3 Ch’ al mondo m ai vedesse criatura. »

E quando ella si fu molto a g g ira ta , Di m angiare li venne g ran disio, E non trovando c h e , 4 si fu turbata. Ond’ ella disse ancor : « È meglio eh’ io

Mi torni al buco ov’ io mi sono u s a ta , Che m orir q u i, e gir mi vo’ con Dio. »

Così vi vo’ dir io ;

La stanza è bella avendoci vivanda, Ma qui non h a chi non cierca o manda.

III.

M ancando alla cicala che m angiare

Di v e rn o , chiese grano a in prestanza (sic) Alla form ica, che n ’ avea abbondanza, E t ella disse: « Io non te ne vo dare. Chè tu intendevi sem pre mai a cantare

P e r gli àlbori, menando il culo a d an z a, Nel caldo tempo quando egli è usanza P er potersi nel freddo notricare. Non facciam cosi noi, m a più fiate,

Portiam bene carica la sp alla, E son di noi molte scapitate ; Vatti con dio; chè il pensiero ti falla:

1 Che sa ecc. cioè Che se la d ice, Che sa tenersi amico ecc. 2 P odere; antiquato per P otere.

3 Stallo c io è , S ta n z a , da Stare.

* Che cioè Che cosa, e sarebbe il latino q uid: qui usatissim o m odo, onde per es. Non ha che m a n g ia re, e cuoi fa r e il fru stin o — A ogni m inim o che Gino p i­

(23)

Avestine serbato nella sta te :

Io il vo per m e, se sai b a lla r, sì balla A così fatta challa;

Quando hai buon tempo mi dai del la l a , Or mi lusinghi perchè il caldo cala. »

R i s p o s t a a l l a p r e c e d e n t e.

Pregiatissimo amico.

Voi m’ avete messo in un imbrogliaccio! Dir così alla

libera che vi piace la mia Sapienza, lodarmela con quella

fiorita gentilezza e cortesia, che farebbe peccare perfino

un s a n to , ed obbligarmi a sentirle proprio sul mostaccio ;

scusatem i, questo è m ettere il prossimo nel pericolo di dare

uno sdrucciolone sulla via della modestia. Almeno gli altri

me l’ han detto o zitto zitto in un orecchio, o lontan lon­

tano più di miglia m illanta, per dire come dicevano i nonni.

Ma voi, nossignore! tu hai da cantare e da p o rtar la croce :

così m’avete voi detto e comandato. Santa pazienza! P eral­

tro se non era pel regalino del capo d’ a n n o , vo’ dire pei

sonettucci co’ quali m’ accompagnate il dulce pon du s, sa­

pete, io sarei stato tomo da buttar a te rra la soma e farvi

una sgarbatezza. C h è, credete forse che negli anni della

discrezione non ci abbia posto piede? che non intenda che

sapere e gentilezza sono una cosa? Non già che non mi

piaccia la carne della lodola, ma m eritarla vorrei ! Del re ­

sto (n è voi l’ ignorate) su quel libro ci ho lavorato di buzzo

buono , parecchie notti vegliando ci ho spese a tto rn o , e

le m aggiori cure ad o p erate, perchè i giovani e le scuole

potessero cavarne un po’ di bene. Son contento che non sia

spiaciuto a voi e a ’ vostri p a ri, che non siete mica degli

strulli o degli ultimi della pezza; e sono pur contento che

nelle scuole, dove gentilmente gli han fatto grazia d’ entrare,

quel librettuccio non sia dispiaciuto nè ai m aestri nè agli

scolari. N’ ho qui una m anatella di letterine garbate e pro­

fum ate, che mi fanno benedire le mie povere fatiche, e

pigliarne lieti augurii e dolci speranze.

Facciamo a intenderci pel verso. 0 nessuna o poca lode

è del seme, sì bene è merito del fertile terreno e del solerte

agricoltore, quand’ esso seme germ oglia rigoglioso e copioso

(24)

fruttifica. Ond’ è che ogni gloria tornerà a’ m aestri e a ’ gio­

vani, se que’ pochi g erm i, diligentemente e amorosamente

raccolti da me, si svolgano e producano buoni frutti di civile

e soda educazione : la quale dovrebbe stare in cima d’ ogni

pensiero ed esser segno d’ ogni affetto. Ma su ciò non è

mestieri ch’ io vi tenga a bada, avverandosi uno di quei

casi di consenso universale, che sono tanto rari. In Europa

non credo che ne troverem m o due, che dissentissero sulla

importanza e sulla necessità della buona educazione : in

Affrica forse sì, quantunque anche là que’ bravi e valorosi

Apostoli Transalpini si siano assunto la missione (ci calza

a pennello ? ) o il mandato di persuaderne i Krumiri. E che

sistemi efficaci ed educativi! I pugnali, le bombe, i cannoni

et similia sono arnesi della pedagogia novissima ed argo­

menti, che la fanno ben sentire addentro l’im portanza della

buona educazione. Non s’ è per nulla il cervello del mondo!!

Buffoni ! ( m òrditi lingua. )

Ma, non pago d’avermi lodato, Voi, che vi fareste frate

per la lingua toscana, mi difendete anche, e con cert’ aria

brusca, dalla taccia di lascivie fiorentine, che nel mio libro,

alluciando, pretende di averci scorte il critico della Nuova

Antologia 1. No, caro Arlìa, non c’ è nè da im perm alire nè

da arrugginire. Veramente, dopo tanto borbottìo, quasi quasi

la darei vinta al Manzoni, che disse tutta la gran ricchezza

d 'Ita lia nel fatto della lingua non consistere in a ltro , se

non in

c i n q u e s e c o l i d i s t e r i l i d i s p u t e .

Un povero galan­

tuomo non sa più che pesci pigliare, nè in qual parete battere

il capo. Vocian certuni di qua: — Che Toscana d’ Egitto! —

e cert’ altri gridali di là : — Benedetta Toscana ! perchè tut-

t ’ Italia non ti somiglia? — A questi eccessi io non ci sono;

ma senza rannicchiare la nazione in una provincia o in un

comune, mi pare che la lingua, come la gloria di Dio, per

l’ Italia penetri, e risplenda in una parte p iù e meno altrove.

Lascivie, sozzure, becerume, ce n ’ è da per tutto, più o meno

da stom acarne e da arricciare il naso; ma che lungo l’Arno

la lingua italiana non suoni meglio e più pura, argen tin a,

leggiadra, e che fra quelle dolci convalli popolate di case e

d’oliveti non s’ oda più il carme, che allegrò Vira al Ghibellin

fuggiasco, nè più sospiri la canzon del Petrarca; è quistion

d’ orecchi e di g u sti, sui quali non c’ è da sputare. Il caso

è che non mai, come in questo libro, mi son tenuto all’ ita­

liano, intendevole da Susa a Capo Passaro e da Porto Torres

alla Pontebba, scacciando, come b ru tta tentazione, ogni forma

e parola che non fosse facile e di patrimonio comune. So

(25)

ben io quando convngone le vesti di gala e quando quelle

di casa ; le une e le altre però sempre di stoffa corrente e

paesane d’ industria e di m anifattura. In Mercato Vecchio o

ne’ Camaldoli o fra le Crezie o le Ciane non mi ricorda mai

d’ aver bazzicato ; e se al cortese critico è paruto eh’ io

indulga alle lascivie del parlar toscano, forse sarà stato il

ricordo d’ altre mie coserelle, dove il linguaggio casalingo,

brioso, vivo, non mai im brattato di lascivie, mi pareva non

ci dovesse fare mal gioco. Ad ogni modo io gli sento g ra ­

titudine del cortese giudizio, come l’ho e la sento per voi

e per gli altri miei benevoli giudici, alcuni de’ quali persone

proprio letteratissim e, di g ran m erito, scrittori non mica

di spolvero ma di cartello, e dottrinati di molto. Non mi re ­

puterei degno nemmeno di lu stra r loro le scarpe: cotanta

onorata nominanza di lor suona, per danteggiare in fine.

Accettate ora una cordialissim a stretta di mano e i lieti

augurii pel nuovo anno dal

vostro aff.mo amico

G . O l i v i e r i .

Salerno, a ’ 26 di Dicembre del 1881.

M I C H E L E F E R R U O O

E ro sul punto d’ au g u rare il buon capo d’ anno a quel cuor d’ oro del mio illustre amico, quando dalla desolata fam iglia mi viene il fu­ nesto annunzio, che più non vive la consolazion della c a s a , il lustro e decoro d ell’ U niversità pisana. P u r troppo aveva ragion di can tare il Leopardi : Nascemmo al pianto ! chè non erano an co ra ben rasciu tti i m ie’ occhi nè il cuore sgom bro d’ affanni, e nuovo lutto, nuove am a­ rezze e sospiri — M a quante tenebre, che fìtto buio là in quella ca setta accosto al L u n g a rn o , dove splendeva sì chiaro lume di bontà e di dottrina, e un’ au ra spirava soave di p a c e , di conforto, di speranze? Sempre in mezzo a’ suoi libri, coll’ am abil sorriso sul volto, le dolci e affettuose parole sulle labbra, le m aniere gentili, l’ animo aperto, leale, innam orato del bello, del b en e , della R eligione, d’ Ita lia , quel nobil sem biante del F errucci t’inspirava am ore, ti raccen dev a la fede nella virtù, ti rim enava a m ente tanti e sì varii casi, de’ quali e ra stato g ran parte, e dal suo aspetto sereno parev a come raggio di luna diffondersi una luce m odesta e tranquilla, che consolava la vista e il petto. Viveva co’ buoni an tich i, immerso n e’ prediletti studii del latin o , tra le care m em orie di sospirati visi e 1’ affetto dolcissimo de’ suoi e dei giovani, educati dalla sua fiorita e sapiente parola al culto verace d’ ogni alta e g enerosa idea. Sulle am ene sponde del lago di G inevra si può dir eh’ erri ancora il suono delle sue eloquenti lezioni e che si oda il dolce coro di lodi, inneggianti all’ illustre Professore, che inebbriava gli animi

(26)

d’incognite e classiche bellezze, e degnam ente onorava la P a tria in terra stran iera J.

E la P atria E ’ onorò non solo con la voce da famose e illustri cattedre, con dotti e im portanti lavori, m a anche con la spad a a Curta- tone e a M o n tan ara, capitàno dell’ anim osa schiera de’ giovani studenti dell’ U niversità di Pisa. Dopo il 48, cessato lo strepito delle a r m i, to r­ nò di nuovo agli studii, cercando all’ animo abbattuto per le m iserie de’ tempi un sollievo nelle severe meditazioni del glorioso passato d’ Italia e nelle dilette cure della scuola. In quest’ opera educatrice e civile ebbe valorosa e degnissim a com pagna la consorte C aterina, donna m eritam ente celebrata per vigor d’ eletto ingegno, per sapienza di dot­ trine pedagogiche esposte con arte ra ra in ottimi libri, e non meno chiara per m eriti letterarii che p er pudiche virtù dom estiche e per altezza di generoso sentire. Che riposato viver’ era il lo r o , quando vedevano crescer per la casa un angiol di figlia, la R o sa , c h e , qual tersissim o specchio, tutte in sè ritraev a le ra re virtù dei ben avventurati genitori? Laonde parve un deserto la te rra e im pallidire il Sole allo improvviso sp arir di tanto raggio di bellezza e di b o n tà; e molti illustri letterati lagrim arono sul m iserevole caso. C orreva il 1857 ; ero giova­ nissimo ; peraltro ben ricordo il lutto e 1’ unanim e compianto delle anim e gentili. Ma chi può im m aginare lo strazio e la desolazione dei poveri genitori? chi descrivere lo squallor della casa e i gem iti onde risonava di continuo ? Pure, dato sfogo al pianto, seppero nella cristian a rassegnazione trovare un balsam o soave a’ loro affanni, e a mano a mano ripresero l’opera degli studii e della civile e soda educazione. N el­ la quale il prof. F errucci continuò indefesso fino all’estrem o di sua v i t a 2. insegnando lettere latine e archeologia nella R. U niversità di Pisa.

Sebbene orm ai in là con gli anni ( era nato a Lugo il 29 di set­ tem bre del 1801), pure giovane serbava l’anim o, la m ente, il cuore; e gli affetti li sentiva vigorosi e pronti, la fede ferm a e sicu ra, le spe­ ranze verdi e ardite. A toccargli delle bellezze di Virgilio o a ricord ar­ gli lo S ch iassi, il M ezzofanti, 1’ Orioli, stati suoi m aestri v e n e ra ti, gli si illum inava d’ insolita luce il volto , e la parola fiuivagli dal la b b ro , piena d’ am ore, di v ita , di freschezza giovanile. Nè odii, nè i r e , nè invidie, nè livori penetravano m ai nel suo animo: era fatto p er am a re , e am ava potentem ente i classici, il bello, l’ Italia, la Religione, la fa­ m iglia, gli am ici, i giovani; per tutti avendo un dolce so rriso , una parola gentile, un am orevol consiglio. E ra uno di quegli uomini, di cui si va ogni giorno assottigliando 1’ eletta schiera in Italia , i quali con 1’ altezza dell’ ingegno, con la nobiltà del ca rattere , con l’ integrità della vita operosa si resero benem eriti degli studii e della P a tria , e hanno diritto alla riconoscenza e alla gratitudine comune. I giovani, a’ quali l’ illustre e compianto professore lascia monumenti di sapienza in lodati lavori, sappiano tra rn e condegno frutto, e ne onorino la mem oria, imi­ tando 1’ esempio di sua vita gloriosa. E il ricordo delle sue ra re virtù, 1' unanime com pianto, la cristiana rassegnazione valgano a lenire lo acerbo dolore de’ suoi, specie della dilettissim a consorte , la C aterina F ranceschi ne’ F errucci, vedova di sì caro e illustre uomo. Non è solo lassù, m a negli am plessi tenerissim i della R o sa, che ansiosam ente lo a sp e tta v a , pregano insieme pace al cuore angosciato della m adre e

1 II F e rru c c i, vinto dalle gentili istanze del B oucheron e del conte Camillo di

Cavour, suoi am ici, accettò la catted ra di le tte ra tu ra latina neH’Accadem ia di Gine­ vra, dove insegnò con m olto plauso dal 1836 al 1844. Fu anche uno dei dodici fon­ datori della Società d i S toria e d 'A rc h e o lo g ia , istituzione an co ra fiorente e bene­ m erita degli studii.

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della consorte, ta n t’ anni sta ta indivisa com pagna di gioie, d’ allegrezze, di dolori. Il cielo, altre volte pietoso e largo a Lei d’ineffabili con sola­ zioni , la so rregga anche ora in sì grave sventura , e lungam ente la conservi all’ am ore ed amm irazione de’ buoni e all’ onor degli studii e d’ Italia.

Salerno, 3 0 Dicembre 8 1 . G. Ol i v i e r i.

m asu t

m l m s t a m p a

SUL LIBRO EDUCATIVO DEL PROF. OLIVIERI.

Gi u s e p p e Ol i v i e r i— L a Sa p i e n z aa n t i c a — Salerno 1882 — Unico deposito

presso la Tip. N azionale — Prezzo L. 2,00.

Da’ giornali la Luce di Salerno e 1’ Educatore di Milano.

Già discorrem m o del nuovo libro del eh. prof. Olivieri. O ra abbiamo letto con piacere nei giornali di Napoli, di Milano, di Torino, di F irenze e perfino di G erm ania le lodi di quest’ im portante opera e d u c a tiv a , accolta con tanto plauso e favore dalla stam pa im parziale e dai lette­ ra ti ; e ce ne congratuliam o vivam ente coll’ egregio autore. Intanto per av valo rar le nostre parole pubblichiamo 1’ articolo che n’ ha scritto una delle migliori penne to s c a n e , il eh. A. B arto lin i, autore di molti libri m eritam ente celebrati.

Mi gode v eram ente l’ animo quando fra la m oltitudine degli educatori e de’ m ae­ stri m ’ avvengo in q u a lc u n o , che offre lum inose prove di m eritare a buon d ritto il nobile e santo ufficio di educatore e d ’ institutore. S arebbe indiscreta pretensione (lo confesso qui sulle prime) il volere che ogni professore palesasse la sua attitudine e valentìa m ediante opere date alla pubblica luce. Mi ricordo bene della risp o sta , d e tta ta più che altro da dispetto, rivolta dal D onatello al Brunellesco, che avea giu­ dicato troppo severam ente un Cristo intagliato dall’ amico : « Piglia un legno — si racco n ta che gli dicesse — e fanne un tu » : e so benissim o che taluno può d are utili consigli e insegnam enti per com piere opere pregevoli, senza eh’ egli sia in g rad o di fare a ltre tta n to . B asterebbe che i professori potessero afferm ar con O razio : fu n g a r

eice eotis, a cutum — R eddere quae calet fe r r u m exsors ipsa secandi. M a quando

incontro un educatore e un m a e s tro , che della b o n tà , convenienza ed efficacia dei suoi insegnam enti abbia offerto m ediante opere avute in pregio da giudici com pe­ tenti sicuro e lum inoso arg o m en to , a llo ra , ripeto, mi gode veram ente l’ anim o, e chiam o avv en tu rati quei giovani, alla cui educazione e istruzione è rivolto l’ anim o del valente m aestro.

Anche p rim a d’ o ra sapevasi c h i fosse e quanto valesse il cav. Giuseppe Olivieri, professore a Salerno. M a chi per avventura non conoscesse il D irettore del Nuovo

Istitu to re , l’ au to re dell’ Elogio fu n e b re d i Vittorio E m anuele ec. ec. leg g a il suo

(28)

e dedicato a quel valentuomo (basterebbe tal dedicatoria a far arg o m en tare il prezzo dell’ opera) che è V ito Fornari.

Viviamo in tem pi ( bisogna pur c o n fe ssa rlo , dacché il dissim ulare sarebbe non che inutile m a dannoso) a cui potrebbero convenire in g ran p a rte le severe p arole che D ante rispetto a Firenze pone in bocca a Cacciaguida nel 15.° del P arad iso ; tem pi il cui ten o r di vita può riepilogarsi con queste parole ; prim a di tu tto il gua­ dagno, i godim enti m ateriali, il beato e splendido vivere, e p o i, (se p u r c’ entrano ! ) religione, costum i, p a tria : sicché con ragione fu il secol nostro qualificato dal Giusti per secolo m ercante. Infatti i generosi e nobili sentim enti sono sem pre subordinati al tornaconto, ed è tenuto per debole e anche p e r folle colui, che obbedisce alla voce del cuore a scapito della borsa. Io stim o perciò che faccia im presa santa chi si propone di rid estare nel cuor dei giovani quei forti e nobili sentim enti, che vi rim a- nean soffocati dalla bram a sm aniosa di sodisfare più largam ente, più squisitam ente, più sfoggiatam ente che si può ai m ateriali bisogni. E questo nobile intendim ento, questa opera sa n ta si propose il nostro prof. Olivieri colla pubblicazione del suo libro.

A lui venne opportunam ente in pensiero di raccogliere dai poeti gnomici quei detti sentenziosi, che pur potrebbero anche oggi, ove altri vi si conform asse, to rn a r profittevoli non che alla cosa pubblica, m a an co ra ai costum i e alla educazione della nostra gioventù. Dei poeti gnomici egli infatti p arla così: « apparvero nel secolo VI av. C. ad un tem po stesso, e per loro la poesia elegiaca divenne m aestra di civiltà, consigliera di lodati costumi, inspiratrice di virtù morali, religiose e civili, banditrice di severi precetti, d’ auree sentenze di soda e forte educazione ». 11 valente professore vi fa da prim a con brevi m a opportuni cenni biografici l’ isto ria dei p o e ti, di cui vuole esp o rre le sentenze, e dipoi, cominciando da Solone e venendo giù a Teognide di M egara, a Focilide, a P ita g o ra , fino agli ultimi poeti g n o m ici, ne pone in bella m o stra le massim e, i precetti, le auree sentenze. P a rla quindi delle relazioni fra ’ poeti gnomici e i sette sapienti ; e finalm ente, con ispontanea ed erudita conchiusione, term ina questo suo libro, che in ogni scuola italiana dovrebbe pur leggersi e com­ m entarsi.

Il chiaro autore non solo si palesa versato nella greca erudizione, m a oltre a ciò si dà a conoscere per affettuoso , sapiente e sanissim o educatore e institutore. E Dio volesse che molti e m olti, i quali esercitano il medesim o ufficio, fossero a lui pari nella sapienza, nella bontà dell’ educazione che si studia di com partire, e nella sanità delle dottrine. Il libro poi dell’ Olivieri (egli è pure diligente filologo) è scritto con tal p u rità di lingua ed eleganza di modi (pregio sì ra ro fra la tu rm a dei m oderni scrivacchianti) che i gio v an i, oltre le belle e opportune se n ten ze, possono ap p ren ­ dervi il modo di u sa r bene questa tan to bella, già tan to p reg iata, ed ora sì vilipesa e stra p a z z a ta n o stra favella.

Nel proferire questo mio povero, incom piuto e inadeguato giudizio intorno al- P opera del prof. Olivieri ho p rocurato di non ricordarm i quanto egli mi sia caro e pregiato amico. M a se pur taluno dubitasse che 1* am icizia abbia fatto velo al mio intelletto : R icrediti — io gli direi — e sgom bra p u re ogni dubbio. Eccoti un argom ento ineluttabile del pregio, in cui debb’ esser ten u ta l’opera del mio am ico; eli’ è dedi­ c a ta (e accolta, io so, di buon grado) a quel valentuomo che è V ito Fornari.

An t o n i o Ba r t o l i n i.

D alla Scu o la ita lia n a di Torino a. I l i , n.° 4.

Las a p i e n z a a n t i c a. — Sotto questo titolo, l’ egregio prof. Giuseppe Olivieri scrisse un libro d’ educazione pei giovani. — M odesto com ’ è, il chiaro autore chiam a il suo prezioso volum etto, di 247 pagine, un librettuccio , m entre è un lavoro d’intrinseca efficacia, di sapienti e generosi c o n c e tti, capaci di destare nell’ animo dei giovani quelle nobili aspirazioni, che sono l’ im pulso educativo alle grandi opere, l’essenza

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m orale della scuola civile e progressiva. — Il prof. Olivieri m ise insiem e una Rac­

colta di sentenze che certam ente conferiscono all’ educazione. — Lo scopo del suo

libro è accennato da lui stesso quando scrive : Ho coluto m a n d a rli (intende dei gio­ vani) a scuola dagli a n tich i savi e questi proporre loro a m a e stri; a' giovani ho

voluto presen ta re precetti ed e sem p i, parole e f a t t i , p en sieri ed opere, e m a estri insigni p e r sapere e p e r virtù. — Pochi libri, come questo dell’ Olivieri, sono sc ritti

con uno stile terso e copioso : insom m a, è un tesoro di lingua dalla p rim a rig a sino a ll’ ultim a. Noi vorrem m o vederlo nelle m ani di tu tti gli studenti, e più an c o ra imi­ ta ti gli esem pi. — Le n o stre sincere felicitazioni all' egregio autore.

D alla N uova A nt., fase. X X IV , 15 Die. 1881.

« R accogliere le m assim e m orali ed educative de' poeti gnomici greci, prem ettere de’ cenni più o meno brevi sulla vita d ’ essi poeti e filosofi m orali, ric e rc a r la bontà e saviezza dei loro sistem i pedagogici, ricordare insom m a il senno antico e tra rn e profitto p er la soda educazione de’ n o stri gio v an i, » tale è l’ intendim ento con cui il prof. Olivieri h a com pilato questo volum etto che raccom andiam o alle scuole. E gli ha saputo congiungere un uso m oderato della critica sto ric a , tra e n d o la da buoni libri moderni, colla spigliatezza del metodo e coll’ am enità dello stile. Dopo u n ’ introdu­ zione su’ poeti gnomici in g en erale, discorre in a ltre tta n ti capitoli di Solone, Teo- gnide, Focilide, P itag o ra, Stesicoro e Senofane, e negli ultim i due illu s tra più p a r­ ticolarm ente ciò che ai sette S apienti si riferisce, m ostrando 1’ efficacia ch’ ebbero sulla Grecia, e quella che an c’ oggi possono avere nel form are 1’ anim o della gioventù. T erm ina il libro con un’ appendice d ’ alcune poesie di vari autori, inedite o rare, tu tte intessute di proverbi. Quanto alla form a dello s c riv e re , il libro, come tu tte le cose dell’ Olivieri, indulge forse un po’ troppo alle lascivie del p a rla r toscano, m a riesce piacevole e trattien e nella lettura, il che non è poco.

D al Fanfani di F iren ze, a. I . n.° 22.

Un libro che p o rta in fronte la dedica al Comm. V ito F o rn a r i, non abb iso g n a di lodi p er essere apprezzato e letto. Ci lim itiam o soltanto a darne un breve cenno perchè i lettori del n ostro giornale conoscano che non siam o gli ultim i a far sen­ tire la voce in ciò che concerne 1’ educazione del popolo e della gioventù.

Il Chiariss. Cav. O livieri, noto p e r le sue ta n te produzioni le tte r a r ie , h a d a t o alla luce un lavoro che non va certam ente secondo agli a ltri p reced en ti, dappoiché con qnesto arricchisce la m ente della gioventù con savie sentenze rilevate d a ’ clas­ sici g re c i, e in strad a il popolo con belli esem pi e pregevoli racco n ti di poeti gno­ mici greci, quali invano si cercano nella m oderna letteratu ra. Solone, Teognide, P i­ ta g o ra , Stesicoro e Senofane sono i principali autori citati nel libro. Egli ne descrive con concise sì, m a a p p ro p riate parole le qu alità e le virtù , dipingendoli ag li occhi del letto re piuttosto divinità che m ortali. Con paziente e assiduo studio sugli g n o ­ mici g reci ha tra tto fuori da essi un’ infinità di sentenze com m entandole in guisa che anche le più a stru se e le più difficoltose riescono facili ad intendersi anche al meno esperto letterato .

Le notizie e le com parazioni dei soggetti del libro dell’ Olivieri sono così bene stese e così m aravigliosam ente descritte che non possiam o fare a meno di rip ro ­ durne un brano per saggio ai lettori del nostro giornale. P arlan d o di Solone dice che fece -una legge colla quale volle che ogni cittadino conoscesse un m e s tie re , perchè « il lavoro è disciplina dell’a n im a , è fonte d ’ onesti p iace ri, fondam ento di p ro sp erità e grandezza degli s ta ti, esercizio nobile e dignitoso di liberi cittadini. L’ uomo si solleva e nobilita nel vedere le cieche forze della n a tu ra diventare umili ancelle dei suoi voleri. L a folgore gli lam bisce le p ia n te , o v o la , nunzia del pen­

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siero, su’tesi fili ; Mosè dall’ anim ato m arm o sorge m aestoso e sfolgorante di gloria ; le Alpi m ute e sgom ente all’ audacia dei nuovi T itani aprono i duri fianchi e attonite odono lo strepito del vapore ; il Ghiberti rapisce dal cielo le po rte del paradiso e ne chiude il suo bel S. Giovanni ; D ante crea la D ivina Commedia ; il Colombo a b ­ batte i paventati pilastri d ’ Èrcole e scopre l’ A m erica; il Galilei vede ro tarsi infi­ niti mondi e il sole irrad ia rli im m oto; insom m a dovunque è prodigio d’ arte, è lam po d’ingegno, è orm a di civiltà; ivi trionfa il lavoro, signoreggia la vita, si p are l’ a t­ tività um ana. » Le quali cose dette in altri term ini o non produrrebbero verun ef­ fetto nella m ente del letto re o non si intenderebbe cosa uno approdasse a dire. È tale insom m a l’ andam ento del libro da restarn e pienam ente soddisfatto il giovane e l’ ad u lto , il letterato e l’ idiota. Egli ha reso indubitatam ente alle lettere un v a n ­ taggio grandissim o ed ha saputo perfettam ente ra g g iu n g ere lo scopo che si era p re ­ fisso nell’ opera s u a , quale era di raccogliere le m assim e m orali ed educative dei poeti gnom ici, prem ettere brevi cenni sulla vita d’ essi poeti e filosofi m o ra li, r i ­ cercar la bontà e saviezza dei loro sistem i pedagogici, rico rd are insom m a il senno antico e tra rn e profitto p er la soda educazione dei nostri giovani.

A N N U N Z I .

Contro ai veristi filosofi, politici e poeti — Ragionamento di Francesco A cri seguito dal volgarizzamento del Convito di Platone, che è come riprova — Firenze, Celimi, 1882 — L. 2,50.

Due parti ha questo nuovo libro, che giunge in buon punto e sparge molta luce su di una m ateria alquanto scura. La prim a è un ra g io n a­ mento sul verismo, e l’ a ltra è la disputa di Platone sull’ amore, re c a ta in italiano. La traduzione è un incanto, cosa veram ente ghiotta e bel­ lissima. Credo che a leggere il Convito nel testo greco non si provi egual gusto e diletto; poiché quella lingua bisognerebbe saperla come la sa il prof. Acri, aver la sua acutezza di m ente per intender le s o ­ cratiche dottrine, e come lui posseder 1’ arte e 1’ uso della lingua i t a ­ liana per tra sp o rta r pari pari le bellezze greche nell’ idioma nostro. Il ragionam ento poi è la più acuta, sottile e larg a disam ina del verismo, condotta con quel g a rb o , con quella finezza di critica e d’ a r te , che meglio si am m ira che si possa dire con brevità di parole. Spero di poterne re g alare un qualche saggio a ’ lettori, e d’ invogliarli così alla lettura dell’ intero libro, che non isgom enta per la grossezza della mole o per l’ aridezza delle speculazioni, m a alletta con la leggiadria del- 1’ arte e con la dirittura de’ ragionam enti.

Thomae Vallaurii de A rte critica, acroasis ec. ec. Augustae T aurino- rum, 1881.

Che sia più da lodare o la giustezza delle osservazioni e de’ r a ­ gionam enti o la eleganza e freschezza del d ettato , non so davv ero ; ma 1’ una cosa e 1’ a ltra mi rendono carissim o questo dono del V ai- lauri, che Dio prosperi e colmi d’ ogni bene. Il qual dono m’ è anche più caro, perchè quel principe dei latinisti m oderni fa bella e o norata menzione del mio libro La Sapienza antica. H aud equidem tali me di­

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C r o n a c a < W

F esta sc o la stic a — Il giorno 22 dello scorso dicem bre nella B adia di C ava de’ Tirreni si faceva la prem iazione degli alun ni, i quali per profitto, diligenza e condotta si segnalarono in quell’ istitu to , diretto da’ monaci benedettini. A lla fe sta intervennero il R. P rovvedi­ tore agli studii della Provincia, il signor P reside del nostro R. Liceo e vari invitati. M ancava il Prefetto della Provincia, impedito da g ravi affari di ufficio.

L a festa cominciò con un coro di giovanetti che cantarono un inno scolastico composto dal signor S p era , Prof, d’ italiano in quel Liceo. Il D irettore del convitto laicale D. M auro Schiani lesse poche parole, m a ben dette, a m ostrare la n ecessità che istruzione ed edu­ cazione hanno d a essere congiunte nel cittadino utile alla fam iglia ed alla P atria. L a relazione dell’ anno passato e de’ provvedim enti presi in conform ità degli ultimi program m i governativi fu letta dal P re ­ fetto degli studi D. B enedetto Bonazzi. N ella quale relazione ci piace di notare ciò che è detto rispetto al num ero degli alunni, co nsidere­ volmente aum entato quest’ anno in confronto all’ anno p assato , perchè questo m ostra la fiducia, che que’ m onaci hanno saputo ispirare nel- 1’ animo di tante fam iglie, desiderose di istruire ed educare i propri figli. L etta la relazione si prem iarono gli alunni: nè m ancarono scelti pezzi di m usica, con m olta precisione e sentim ento eseguiti sul pia­ noforte da un alunno.

Con dispiacere notam mo la sca rsità del pubblico. P erchè non farlo partecipare alla gioia di tanti giovani, che su ’ campi della lotta tra ’l bene ed il m ale , tra la istruzione e l’ ignoranza , m ostrandosi valorosi campioni di civiltà e di p ro g re s s o , han cominciato la prova delle loro forze colla vittoria? Speriam o dunque che nell’ avvenire la festa della B adia di C ava sia preceduta da m aggiore pubblicità.

S u ssid i! a’ m a e str i — Sono giunti alla perfine i m andati di p a ­ gam ento pel sussidio a ’ m aestri. L a som m a è m eschina, undici m ila lire; e ben pochi ne godranno. P eraltro c’ è da sp erar m eglio in questo nuovo anno.

C ronaca a n n u a le — Si è pubblicata la C ronaca anuuale del n o ­ stro Liceo. Contiene fra le altre cose una im portante disertazione del- P egregio prof. C hiriatti sulla realtà delle cose e della vita umana nel Leopardi. Ce ne occuperemo in uno dei prossim i num eri.

CARTEGGIO LACONICO.

Dai signori — D. S ta n z io n a , V. J u lia , V. D ’A u r ia , A . Cafaro , S. M acinante ,

P. Napoli, G. C esareo, F. C u rd o -R u b ertin o , M. B a s s i, B. Oricchio , R. Caldiero ,

V. Botta, G. B. Forgiati — ricevuto il prezzo d’ associazione.

P rof. Gi u s e p p e Ol i v i e r i, D irettore.

(32)

A n n o

XIV.

S a l e r n o ,

10 Febbraio 1882.

N . ( 4 ,

5 e 6.

IL l i t i I I T I I I

GIORNALE D’ ISTRUZIONE E D’ EDUCAZIONE

PREMIATO CON MEDAGLIA D’ ARGENTO

AL VII CONGRESSO PEDAGOGICO.

Il giornale si pubblica tre volte al mese. Le associazioni si fanno a prezzi antici­ p ati m ediante vaglia postale spedito al D irettore. Le lettere ed i pieghi non francati si respingono: nè si restituiscono m anoscritti — P re z z o : L. 5; sei mesi L. 3; un num ero separato di otto pagine, Cent. 30; doppio Cent. 50.

Giornali, libri ed opuscoli in d o n o , s ’ indirizzino — A lla D irezione del Nuovo Isti­ tutore, Salerno.

SOMMARIO — Leopoldo R odino — D ai m anoscritti del P ro f. A L in g a iti— Un carm e

inedito — B o zzetti e d u c a tiv i— I poeti veristi — Le dottrine del L eopardi — Due opuscoli — Cronaca — Carteggio.

LEOPOLDO RODINO.

Dio, come passano con rapida vicenda gli amici del

Nuovo Istitutore! Non avevo deposto ancora la penna, che

mi conviene continuare nel doloroso uffizio e pianger la

m orte di un altro caro ed illustre uomo. Quanto non eri tu

degno, Poldo mio, d’ affetto, di stima, di onore, per le ra re

virtù che t ’ abbellivan l’anim o, per gli onorati servigi resi

a’ giovani e agli studii, per le sante opere di carità e di

beneficenza civile? Napoli te l’ ha detto in pianto come ti

am av a, come ti pregiava, come am m irava e benediceva i

tuoi nobili e generosi sforzi. E ri tu il savio m aestro e l’af­

fettuoso educatore della gioventù, il prediletto discepolo e

compagno dell’ illustre Basilio Puoti, dal quale avevi eredi

tato il santo apostolato della scuola: eri il forbito ed elegante

scritto re, l’ indefesso prom otore di civili e benefiche i s t i ­

tuzioni, il conforto e la consolazione de’ poveri ciechi, degli

orfani, de’ diseredati della fortuna. Non istavi mai indarno:

giravi continuo am m aestrando ed educando con nobile a r­

dore, con sapiente m agistero, con efficace parola, tenendo

alta la bandiera dell’ insegnamento privato, che serba glo­

riosi ricordi e nobili tradizioni: in ogni im presa generosa

eri tu , Poldo m io; ed ora sei m orto? Come passan rapidi

gli amici miei!

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