• Non ci sono risultati.

Mio carissim o amico,

Seguendo a ric e rc a re , come ti p ro m isi, le c a rte del mio povero A lfo n so , mi sono avvenuto in altri suoi bozzetti poetici. Alcuni sono interi, m a non sottoposti ancora a quel lavoro di lima di cui era p a­ zientissimo, e che egli sapeva congiungere così bene con la sp ontaneità della ispirazione; altri sono fram m enti, spesso continuati in prosa. Tutti poi, senza distinzione, sono lo specchio sincero e fedele del suo c a ­ ra tte re e della sua v ita intima. In essi t’im batti in accenti che gli usci­ vano dal cuore im prontati dell’ interna stampa, e talvolta vi trovi espres­ si con m aggiore effusione que’ m edesimi sentim enti che in altri suoi carm i sono efficacem ente condensati in una frase, in una parola sola.

Alfonso, come s a i, ritrae v a nelle sue poesie egualm ente i miti e i forti c a ra tte ri, le gentili e le gagliarde passioni; m a studiosissim o com’ era di D ante, senti vasi più inclinato verso il cantore di B eatrice, di F ran c esca da Rimini e di P iccarda, che verso il poeta di F arin ata, di Capaneo e del Conte Ugolino. U na c e rta m ite dolcezza era la nota predom inante nel suo cuore e nelle sue poesie. Leggi il principio di questo carm e in lode di una pietosa e gentile fanciulla:

E ra gentile, era p ieto sa: i primi Rai del m attin pe’ colorati vetri

1 II Rodino prom osse u n ’ adunanza p e r discu tere delle Opere Pie, di cui s ’ in­ tendeva m agistralm ente. Fu eletto a presederla, e difese a viso ap erto le sue gene­

ro se proposte, che infine trionfarono. T ornato a casa, si sentì male, infermò, e dopo breve m alattia spirò il 17 di Gennaio. Ebbe splendide onoranze funebri a spese del Municipio di Napoli, e ogni ordine di cittadini g areggiò nel rendere 1’ estrem o tri­ buto di com pianto e d’ onore al benem erito uomo.

L a sua fronte irraggiavano sul libro China de le preghiere innanzi a Dio N e la ch iesetta del v illa g g io , e il sole M orente le m andava il suo saluto Estrem o a piè d’ u n ’ ara. E ra devota Ad im m atura m orte: av e a nel volto L a tristezza d’ un’ anim a che soffre Di nostalgia celeste: la soave M estizia de la se ra e de 1’ autunno Avea negli occhi: in quel vergineo core L ’ unico affetto che sap e a di terra, E ra 1’ am or de’ fiori; e col profumo Dolce come la voce che su su rra Soavem ente : Io f amo, all’ am or suo Rispondevano i fiori: a lei la rosa

Sorridendo diceva: Iddio ti diede I l mio molle incarnato: il bianco giglio Con arcano linguaggio a lei p arlav a: De la tua verginale anim a vedi In me la vaga i m a g i n e ...

M aria (questo era il nom e della fanciulla) si rese suora della ca­ rità, e le fu affidata la cura di un bimbo am m alato. Le piccole b rac­ cia protese fuor della cu lla, il dolore calm ato un momento con un ra c ­ contino , l’ insonnia ed il suono dell’ orologio che conta le ore lentis­ simamente, il rid estarsi del fanciullo pieno di sp av e n to , i piedi nudi su’ freddi m attoni, i baci im pressi sulle tracce delle lagrim e ec. ec. : ecco le cu re, ecco i sagrifizi che durò per ben cinque anni. B ellezza, gioventù furono per lei fiori inariditi lungi dal sole. Sempre in quella stanzetta dell’infermo, non si dipartiva mai dal capezzale del suo bimbo. Quando nelle belle sere di prim avera ella apriva alla brezza profum ata di maggio la fin e stra , e lasciava errare i suoi sguardi nell’ orizzonte che le si dispiegava innanzi, il to ssire del fanciullo ben presto la ri­ chiamava alla chiusa prigione.

Una notte era intorno un silenzio profondo: si udiva solo il mo­ notono suono dell’ orologio. Il fanciullo era calmo, immobile, muto. — Sono quetati, gli disse M aria , i tuoi dolori? — A scolta: è una m usica soavissima che mi rapisce e m’ha legato i sensi. Senti questi suoni a r­ moniosi? vengono dall’ alto! Così dicendo, il fanciullo solleva la sua debole m a n in a , e inalza gli occhi rapiti in quell’ estasi. P o i , volendo meglio godere di quella dolce e suprem a illusione, si pone ad ascol­ tare ; e, sorto di nuovo cogli occhi scintillanti: In mezzo a tanti suoni, egli dice, io ben distinguo la voce della m adre mia che mi chiam a.

Poco dopo, quella donna affettuosa l’ intese dare un grido di gioia; piegò la testa su la cu lla, e l’ estrem o respiro del bimbo passò sulla bocca di lei.

M a trascorso non guari te m p o , le cure che M aria prodigava ag l’ infelici e particolarm ente agl’ infermi, e i dolori da cui era tra v a ­ gliata, logorarono a poco a poco le sue fo rz e , e affrettarono la su a fine.

U na croce di legno, un vecchio drappo O rnavano la b a ra ove giacevi,

E solo la cam pana de la pieve Al villaggio dicea che s’ era spento Il più bel fiore di b e ltà ; m a quando T ’ hanno portata a l’ ultim a dim ora, E ra un’ alba d’ aprii : era la via O m breggiata dagli alberi, sul capo T utti gli augei c a n ta v an o , di fiori C adevan nembi su la b a r a ; stille Di rugiad a piovean, come di pianto.

N elle poesie di Alfonso non ci era niente che rico rd asse la scuola 0 le sue opinioni letterarie: non ci era niente di fattizio e di conven­ zionale: tutto era schietta ispirazione. A quelli che lo richiedevano continuam ente di versi, soleva dire: Io scrivo quando sento il bisogno di scrivere: nè corro affannosamente dietro alla musa che / u g g e , ma aspetto eh’ ella m i venga a cercare. I grandi avvenim enti, i grandi in­ fo rtu n i n a z io n a li, i trionfi della religione e della c iv iltà , le glorie scientifiche e le tte ra rie , le gioie e i lutti d om estici, aveano un’ eco poetica nella sua anim a ; e in certi momenti di profonda commozione, 1 sentim enti dell’ a rte non li p ro v a v a, li pativa. Sensibile alle più oc­ culte voci di n atu ra, sensibile alle squisitezze dell’ a rte e a ogni soave profumo di virtù e di affetto, provato assa i per tem po alla scuola del dolore, possedeva ricchi tesori di pietà, di am ori e di entusiasm i, che riversav a nelle sue c a r te , perchè tutto ciò che egli sen tiv a, era im­ possibile che tenesse chiuso e nascosto nel suo animo. E ra questo 1’ effetto della sua indole sch ietta ed ap erta che lo spingeva ad espan­ dersi con quella ingenuità quasi infantile eh’ è propria di tu tti coloro che hanno ricevuto il dono della p o esia, ed è , per dir c o sì, la grazia de’ severi intelletti. Insom m a, egli era poeta verista e realista nel senso proprio della p aro la , perchè nelle sue poesie ritrae v a ciò che la sua fantasia veramente e realmente v e d e v a , e il suo cuore veramente e real­ mente sentiva.

Ne allego in prova un fram m ento di poesia in m orte del celebre Littrè.

Benché fosse tanto avverso al m oderno Positivismo ( intendiamoci bene, Alfonso avversava il positivismo come sistem a filosofico che rin ­ nega tutto ciò che non si vede e non si tocca, m a pregiava quel m e­ todo d’ indagini e di ricerche, a cui la scienza m oderna deve i suoi pro g ressi); nondimeno egli sentiva una grande am m irazione pel cele­ bre filologo fran cese, il Littrè, autore del dizionario storico della lin­ gua francese; e soleva dire che non si dovesse confondere il L ittr è , osservatore paziente, acu to , austero con coloro che non sopprimono Iddio, non spopolano il cielo , non rinnegano l’ anim a, se non per scio­ gliere il freno a ’più bassi istinti e alle più rotte passioni. Il L ittrè (eg li aggiungev a) non avrebbe mai preferito, per ispirito di s e tta , ciò che abbassa la intelligenza a ciò che la sublim a, ciò che contrista gli sp i­ riti eletti a ciò che li nobilita. E quando seppe la m orte di questo ele­ vato intelletto, se ne accorò a ss a i, e si compiacque quando sentì che nelle ore estrem e della vita a lui non m ancarono, per opera della pia e diletta fig liu o la, i conforti suprem i della religione. E ad esprim ere questi suoi sen tim en ti, gettò sulla c a rta i pochi versi che qui riporto :

...Invan drizzavi

Di tua m ente 1’ acum e, invan chiedevi A bbracciar 1’ universo in tuo pensiero : A’ tuoi sguardi il creato era un arcano ; Chè dal mondo invisibile ogni luce Viene al visibil mondo, e l’ infinito Del finito le tenebre rischiara.

Ma al fianco tuo sull’ orlo del sepolcro tu avesti una guida am o­ ro s a : era la tu a pia e diletta figliuola:

E lla p re g av a, e quella su a p regh iera E ra un sospiro, e sopra la tua mente Im plorava il trionfo de 1’ am ore ; Dio l’ udì : su la gelida agghiacciata T ua scienza spirò soave e mite Un alito d’ am ore e di speranza, ... ed al pensier la fede Nuovi cieli ti aperse. . . . . . ...E d in que’ puri azzurri Ch’ ella t’ avea dischiuso a la pupilla, Si disciolser le nubi onde attristata F u la tua v ita , e il tuo tram onto parve U na splendida aurora, e il vivo raggio Del tuo sublime ingegno asc ese lieto A la sua fonte, e si congiunse a Dio.

In un altro fram m ento r i t r a e ì ’ im pressione ch’ ebbe da un quadro del C iviletti, che rappresenta Cristo nell’ orto di Getsemani. Gesù è

32

! C*

in p ie d i, e si sorregge appena ad un tronco vecchio e nodoso di u- livo, dal quale vien fuori un ram oscello nuovo, e vi si sostiene colla mano destra. V este una ruvida tunica che gli scende tra sc u ra ta dal collo e la testa porta un panno bellam ente piegato. È triste , pensoso, commosso, e nel tempo stesso rasseg n ato . Sul suo volto si legge un am ore infinito, uno sconforto immenso, una rassegnazione nobilissima. Ecco il fram m ento:

Quando una nuova invereconda m usa, A la terren a V enere devota,

Inebbria i sensi ; tu l’ im m ensa ang oscia, L’ arcan a lotta che nel cor sostiene Un m artire d’ am or, dipingi; e , quando Al semitico nume e a’ suoi m isteri, Consolatori d’ ogni umano affanno , Addio dice il poeta...

... tu caldo

Di quell’ am or, di quella fiamma istessa Che il Beato da Fiesole accendea, Ne 1’ orto di Getsemani t’ addaci.

Ove 1’ a ria più im bruna e più larg a om bra Spandon gli ulivi; ove gli enormi m assi,

Il fragor del torrente, il triste grido De’ vaganti pel ciel notturni augelli, L a luna da le nuvole velata, Che piove appena da’ conserti ram i Un sottil ra g g io ; dove tutto spira Una cupa m estizia, ivi s’ inselva Solingo il R edentore. E ccolo: è in piedi, E si sorregge appena ad un nodoso Vecchio tronco d’ ulivo onde vien fuora Un nuovo ramoscello. In quello sguardo M elanconico e dolce al ciel riv o lto , In quella fronte sì pensosa e m esta È un intimo sconforto, una serena Calm a celeste, un infinito amore. M artire de 1’ am ore, Ei tutte in petto De le cose le lagrim e e de’ cuori Tutte le angosce ac co g lie...

Non posso infine chiudere questa lettera senza rip o rtare il principio del Carm e che pubblicasti, non h a molto, in questo giornale, 1 ' Elena di Omero e la Maddalena del Vangelo. E s s o , se ti rico rd i, era m onco,

perchè gli m ancava la prima p arte che riguardava Elena. O ra eccola qui: la trascrivo come l’ho tro v a ta , non ancora lim ata e co rretta:

U na donna colpevole eh’ espia

L a sua vita nel pianto, e da’ lavacri Del duolo esce più bella e rinnovata Di virgineo candor: questa sublime Im agine splendea nel tuo pensiero, 0 Meonio cantor. Ma quanto lungi Da lo splendor del vagheggiato esempio l£ 1’ adultera argiva ? Eccola avvolta

In bianco velo, e di segrete stille R orida il ciglio, de le porte scee

Giunge a la to rre ; ed, a vederla, i gravi Vecchi rapiti, con som m essa voce L ’ uno all’ altro si dicono : A V aspetto

Veracemente è Dea! M a dove è quella Luce intellettual piena d’ am ore? ' Dove il balen de l’ anim a diffuso Sul giovanil sem biante? ov’ è quel puro R aggio di ciel che ci sublima. Immenso È il dolor che la preme. Eccola sola

N e la su a stan za : con industre cura T esse un velo e con 1’ ago vi dipinge Le fatiche che molte a su a cagione Soffron Greci e Trojani, e la segreta Intim a lotta del suo cuore; e spesso Interrom pe il lavoro, e un flebil grido Gli prorom pe dal petto: A him è! qual fato A queste rive m i s o s p i n s e ? ...

...Oh quante volte Su 1' alta torre trepidando il viso Si covrì con le m ani, onde le sorti Non veder de la pugna! e chi potria Dir lo strazio crudele e le affannose Dubbiezze di quel cuore ad ogni nuova Che dal campo venia? M a dove il pianto, Dov’ è il dolor che 1’ anime rinnova E rim arita a Dio?

Quando la pura A ura spirò del Verbo, e a nuova luce Le m enti aperse e a nuovi affetti i cuori, A ttonita la terra il tuo concetto

Ne la donna di M agdalo, in M aria D a le morbide trecce. E ra costei ec. ec. 1

Povero Alfonso! Quando scrivevi queste linee, tu eri pieno di vita, di salute, di vigore. Tutto ti sorrideva, la poesia, 1’ avvenire, il successo , 1’ am ore de’ tuoi, la speranza. E tutto questo oggi è infranto, fulminato, annientato. L ’ eco della tua poesia che ci h a tan te volte rapiti, ci ha ta n te volte commossi e fatto v ersar tan te lagrim e, risuona anco ra nei nostri orecchi e ne’ nostri anim i; m a le labbra che l’ hanno m orm orata, e le dita che l’ hanno scritta, sono p red a della m orte! Ahi! se la fede in una vita im m ortale non ci so rreg gesse e non lenisse le nostre a- m a re z z e , da quanti cuori non uscirebbe quel grido sconsolato del L eopardi!

Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre Di strap p a r da le braccia

A 1’ amico 1’ am ico, Al fratello il fratello?

... e , l’ uno estinto, L ’ altro in vita serb ar? come potesti F a r necessario in noi

Tanto d o lo r, che sopravviva am ando Al m ortale il m o r t a i ? ...

Perdonam i, ti prego, mio carissim o amico, questo sfogo di dolore, e credimi

Tuo a ff.m o

Fr a n c e s c o Li n g u i t i.

Al eh. P rofessore Cav. Gi u s e p p e Ol i v i e r i.