• Non ci sono risultati.

Pa r m e i n e d i t o d i ^ l f o n s o ] ^i n g u i t i.

Oh! dal Cielo, ove l’ italo poeta 2

Ti vide un dì fra quelle eteree fiamme Che, a guisa di g h irlan d a , a B eatrice Cingean la fronte, a B eatrice, lume 1 V. Nuovo Is titu to r e , ann. 1880, pag. 5.

2 D ante, giunto nel Sole, popolato dalle anim e de’ D ottori, in form a di lumi splen­ didissim i, ode una voce che viene dalla gh irlan d a lum inosa che cinge la fronte di

F ra il vero e l’ intelletto, o divo ingegno, Vieni... Ancor si leva m aestoso altero Trionfator de’ secoli, ancor sfida Gli Enceladi novelli il portentoso Monumento che alzasti su la te rra , De 1’ um ano intelletto ultim a prova , Cui la F ed e is p irò 1; m a dov’ è quella A ura possente che levò sublime Di cielo in cielo infino al primo Vero L a tua m ente divina? A ncor fra 1’ are L ’ inno risuona che t’ usci dal petto Da 1’ am ore ispirato “2. Ecco ci accoglie In su la sera un tempio. In mezzo agli archi Piove da’ vetri colorati il mesto

Ultimo raggio : un’ odorata nube Al ciel si leva, e si diffonde intorno, A 1’ arm onia degli organi s p o s a to , Quel tuo sublime càntico d’ am ore, Eco fedel d’ un’ anim a che sente L a presenza di Dio sovra la te rra ; E p ar che s’ oda u n ’ a u r a , un mormorio

Come d’ ali che recano al Signore Quell’ estasi, que’ voti. Ahi m a la F ede Che t ’ ispirò quell’ arm onia celeste,

Ahi già si estingue in molti cuori! 0 Sommo, T u che gli ardiri del pensiero e i voli A vvaloravi colla fede e , come

Ignoti m ari il G enovese, i cieli Più lontani scorrevi, e negli abissi Infiniti dell’ E ssere il pensiero A rditam ente profondasti, oh vedi! Quella che tanto ti levò sublime, Im m ortale scienza, a te rra or giace E il fango abbraccia, ultimo nume, e solo Unico obietto de la v ita estim a

Il tripudio de’ s e n s i, una fugace

Beatrice, simbolo della T eologia: è la voce di Tom m aso d’ Aquino, dell’Angelo delle Scuole, che nel cielo continua l’ insegnam ento in terro tto sulla te r ra , ed è fra i santi, come A ristotile t r a ’ filosofi, il m aestro di color che sanno.

1 L a Som m a.

2 Si allude alla dim ostrazione che S. Tom m aso diede dell’esistenza di Dio, cioè a quella ricav ata dall’ ordine e dall’ arm onia che si am m ira nell’ universo.

O ra d’ ebbrezza. E , m entre a Te di Dio R agionava il creato J, da 1* ascosa M essaggera d’ aprii m esta viola Sino a ’ cedri del Libano ; da 1’ ale De la farfalla che trasv o la lieve Studiosa di fiori a la veloce Aquila che si leva oltre le nubi, Da le cose universe un sol concento Di m usica infinita a te venia

Che ti levava al C ielo; E lla non vede Orm a alcuna di Dio sopra la te r r a , Voce alcuna non ode, o solo ascolta, R iverberata dal creato intero,

Come un’ eco la sua sto lta p aro la: Iddio non è! deserto è il cielo! Oh vedi! Tolto ad Iside il vel, 1’ um ano spirto H a soggiogato le ribelli forze

De la n a tu ra : asceso al ciel, le stelle Ad una ad una h a n um erato : il volo Dato h a del lampo a la p arola um ana, E sopra poderose ali di foco

Rapido or corre i continenti e i m ari E i popoli congiunge; e pure immenso

Ei sente un vuoto in petto. Il freddo, il nulla, Gli hanno agghiacciato il cuore: entro la m ente S’ è fra dense caligini o scurata

L a verità che ci sublim a. Oh vieni! Prom eteo novo, a questa fredda argilla R eca la fiamm a al sol rapita. Vieni: De 1’ arduo ver ne la p a le stra t ’ abbia L ’ itala gioventù m aestro e duce. V ieni: sgom bra da questo italo C ielo, Sgom bra la boreal gelida notte

Che ci c o n tris ta , e un’ a ltra volta i cuori Sentan 1’ aure d’amor.

Ma qual fragran za Spira d’ intorno de’ beati elisi ?...

Ecco Ei viene! io lo veggo! A lui sul capo Un’ im m ortai fiam mella arde e sfavilla Come vivo piropo; e tutto il volto A ppar ne la sublime estasi assorto, 1 II Pange Lingua.

Come quando al pensier gli balenava Il desiato Vero : h a ne la destra Il volum e immortai, cui poser mano E cielo e terra. Oh salutiam o in Lui, Salutiamo quel V er che più del Sole Em pie il mondo di vita e di pensiero: Salutiamo la scienza che si leva A più sublimi e liberi orizzonti Sull’ ali della fede ! A la sua luce Novelli campi e nuove regioni S aran dischiusi a 1’ a rti ; e su le tele E su’ m armi vedremo un’ a ltra volta Le vaghe forme che ritra sse un tempo L ’ angel de l’Arno e quel d’ Urbino. Sciolte L’ ali dal fango, P o e sia , più bella

F ia che rieda a ’ suoi cieli, e da’ suoi cieli V erserà su la te rra am ore e luce;

E fia che il mondo si rinnovi tutto D’ affetti e di pensier. Giustizia e P a c e , F ede e R agione in un soave am plesso S’ abbracceranno in t e r r a , e nella pura Luce del Ver diffusa, uno il pensiero Uno s a rà l’ affetto ...

J ^ A F O S S E T T A .

P resso B ra id a , tra i be’ colli di Fiorano e i burroni di M onte- gibbio, in una valle a bacìo, corre un torrentello assai lim accioso, che h a nome Fossetta. Le acque, dilavando le creste e dirocciando pe’ greppi delle rupi argillose, traggono seco e lasciano li nella melma i viventi delle vecchie m arine, già sepolti da secoli. Un bel giorno d’ ottobre, verso il mezzodì, sotto l’ om bra delle folte querci, onde s’ an­ nera la ripa verde della F o ssetta, sedeva una fanciulla sui quattordici anni ; e presso a lei, ritto di tu tta la persona, un uomo di bell’ aspetto

g uard av a pensoso le conchiglie biancheggianti sul greto del to rre n ­ tello. Tacevano da qualche m inuto; m a la fanciulla, girando il viso con vispezza innocente, ripigliò il discorso interrotto. « E dunque, b ab- bino m io , tu lavori dalla m attina alla sera p er iscrivere tan te cose buone, e nessuno p arla di te, nessuno ti loda? Oh, se fossi io, ti dico la v e r ità , non mi vorrei stillar tanto il cervello per niente ». - « Tu dici niente, e forse hai ra g io n e ; m a bada, carina m ia, tu contraddici a te stessa ; perchè gli scritti buoni, come tu volesti chiam are i miei lavorucci, son pur qualche c o s a » - «S o no m oltissim o a n z i; m a che n e ric a v i? N essuno tì loda » - « Luisina mia, credi forse ch’ io scriva p er esser lodato ? P u r troppo della lode gli uomini son molto ghiotti ; m a io da g ran tempo im parai a lav o ra r nel silenzio. T u tta la n atu ra m’ insegna questa virtù. Quanto lavorìo negli spazi non visibili a noi, nei tempi, che precorsero all’ uom o! Vedi tu queste conchiglie calci­ n ate o pietrificate? Sono testim onio di vecchi m a ri, da cui sorsero queste te rre , che rallegran o i nostri occhi; m entre altre te rr e , che nessuno vide, fuggivano nel seno delle acque. Ogni cosa b a sta a sè ; e l’ uomo non b asterà a sè stesso ? ». - « B ab b o (g rid ò Luisina) tu dici cose troppo belle, e io non le intendo ; m a sento che hai ragione, perchè la M am m a è una san ta donna e nessuno la loda ».

VII.

y E C C H I E F A N C I U L L I .

Sul fogliam e caduto d’ un viale di tigli, al ca la re del Sole, alcuni fanciullini, strettisi per m ano, andavano a ruota, schiam azzando come cinciallegre sull’ alba ; m entre un bel vecch io , che p arev a il N o n n o , poggiato sul suo bastone, li g u ard av a ridendo negli occhi d’ ineffabile serenità. Appiè d’ un albero, un po’ in disparte, col dosso verso il t r a ­ monto , sta v a un signore abbrunato con un suo figliuoletto sulle gi­ nocchia. Com inciava appena il terzo giro della ruota, quando l’ om bra si spense e le fo g lie, splendenti d’ oro qua e l à , pigliaron tutte una tin ta scura. Al buon uomo, in quell’ ora così m esta, vennero le lagrim e agli occhi ; ma il figliuoletto, che g ià b a lz e lla v a , come un puledrino sulle m osse, sguizzò via ed entrò d’ improvviso nella ru o ta dei fan­ ciulli : allora il ballo si fece più ra p id o , più festoso il gridio e il bel vecchio sorrise di nuova gioia. L ’ abbrunato, pur non m ovendosi, a c ­ compagnò coll’occhiò il suo piccino e, visto le accoglienze fraterne e il sorriso del N onno, abbassò il capo e pensò. Q uanta seren ità ( g li diceva 1’ anim o) nei fanciulli e nei vecchi! Il tram onto è lieto per loro come l’ a lb a , la m orte come la vita: anco queste foglie (g u a rd a v a il fogliame sparso a’ suoi piedi) son più trasp a ren ti e fan più allegria

appena nate e quando son li li per distaccarsi dall’ albero. A questo punto un b atter di mani gli fece alza r gli occhi: il N onno, gittando il bastone, aveva preso per mano i due più grandicelli ed era entrato allegram ente nel b a l l o . Prof. G. Fr a n c i o s i.

LA DISTINZIONE FRA POESIA REALE E POESIA IDEALE