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( J e s i, Ottobre 1 8 8 2 ) .

Quando prem ea le m enti om bra d’ errore, Tu sorgesti, o F rancesco, astro lu cen te; Quando i petti aggelava empio livore, Tutto in fuoco d’ am or tu fosti ardente. Ad am m ansar d’ ogni selvaggio il core

L a tua voce soave era possente ; E per te spoglia del nativo orrore Anco la belva divenia clemente.

Ma chi fia che si presso ergasi a Cristo ? In chi si viva m ai come in F rancesco P otrà l’ imago lam peggiar di Cristo ? A ltri non fia che si somigli a Cristo ;

E ogni anim a fedel sem pre, o F ran cesco , V edrà nel tuo splendor b alen ar Cristo.

A. Ch i a p p e t t i.

pioG^AMMi S

colastici

, I

nsegnamento

, V

erismo

Ove la n ostra dignità e alterezza nazionale si rav v iv asser fra noi, sicché ci ricordassim o che per an d a r dritti della persona e serb ar dignitoso portam ento, non abbiamo bisogno nè punto nè poco del so ­ stegno altrui, sarebbe facile g u ard arsi da’ mali esempi che ci vengon

di fuori, e specialm ente dalla vergognosa im itazione della letteratu ra fra n c e se , tan to , per molti rig u a rd i, dissim ile dalla nostra. M a molti pericoli, molti imciampi da noi pur s’ incontrano in c a sa nostra, i quali però ci riescono tanto d a n n o si, quanto è dannoso un nemico occulto e domestico. Se in fatti si ponga m ente al m odo, onde oggi s ’ insegna e si studia in Ita lia , apparisce m anifesta a ltra efficacissima ca u sa del pervertim ento letterario, della corruzione del gusto e degli altri sconci, di cui ci dolghiamo.

Come! come! nel tempo che da per tutto si predica istruzione, istruzione ! che si profondon tesori a re n d ere ad d o ttrin ata la gioventù ita lia n a , tu tem erario osi d’ inalzare la deboi tu a voce a sentenziare che in Italia si studia m ale e s ’ insegna peggio ? — S i, con vostra pace, m inistri, soprintendenti, ispettori, professori (a b ran ch i) e m aestri, sì, io che sono un povero ignorante, come si qualificava il Giordani quando rivedeva sottilm ente le bucce a un poeta c ro sto lio 1, io dico e ripeto (non picchiate, ve’, badiam o bene) che a toglierci p er fin la sp eranza di veder che le nostre lettere si arrestino, se non fosse altro, nel falso cammino, e che sia posto qualche riparo al cattivo g u sto , sicch é, se pu r non risani, non vada alm eno sem pre più corrom pendosi, concorre efficacemente, secondo eh’ io stimo, il modo onde al presen te (dico in generale) sono governati gli studii le tte ra ri e com partita l’ istruzione,

Se io do un’ occhiata ai così detti program m i governativi, d a cui prende norm a l’insegnam ento delle le tte re , rim ango stupefatto della im portanza e della varietà di tale insegnam ento; e divendo piccin pic­ cino e ripensando a’ miei poveri studii, fatti in tem pi tanto m en fortunati, domando a me stesso : Che scuole eran mai q u e lle , ove tu e i tuoi coetanei co nsum aste, per non dir p e rd e ste , tanti e tanti anni ad a p ­ prendere quel pocolino che vi p ar di sapere ? C he dottrina ti sei tu procacciata co’ lunghi tuoi studii ? Non avresti forse motivo di vergo­ gnarti tu orm ai m aturo di e t à , stato sem pre fra’ libri e occupato in letterarie esercitazioni, se ora tu ti trovassi di esser discepolo in queste beate scu o le, ove l’ infimo di que’ giovani dovrebbe (secon do i p ro ­ gram m i ) tanto vantaggiarsi sopra di te , da sap ere il d o pp io , per lo m e n o , di quel che sai tu ? Oh quanto erano addietro i nostri antichi m aestri! tanto è vero che non si chiam avano nem m en professori. P er apprendere tutto ciò che ora quasi direi in pochi giorni s’ im para, oc­ correvano allora anni ed anni, e in quel tempo medesimo, che a quei di noi spendevam o ad im parare una cosa, i presenti scolari ne im paran mille. Che s a l t i , che s la n c i, che voli h a fatto la um ana intelligenza da una generazione ad u n 'a ltra ! F o rse, domando io, d’ allora ad ora

1 Pi e t r o Gi o r d a n i, P rim a esercitazione scolastica d i un i g n o r a n t e sopra un,

il cerebro si è tanto purificato e affinato che un odierno scolare di­ venti tanto addottrinato in brev’ora, quanto non divennero in lun gh is­ simi anni i poveri nostri m aestri ?

Ecco intanto uscir dalle scuole licenziato e di poi dottorato, lau­ reato, uno di quei felicissimi alunni. Il greco, il latino non che l’ ita­ liano , senza dir altro del lungo codazzo di tutte le altre belle e utili discipline, debbon essergli ornai familiari. Vediamolo un poco alla prova. Poffar del m ondo! che novità è ella mai q u esta? Io casco dal cielo! A costui è re sta ta indigesta un’ovvia citazione la tin a , e gli h a fatto nodo : intorno a un vocabolo di g reca derivazione h a preso il granchio più grosso fra quanti ne soglion prendere gli etimologisti : h a scritto una tiritera, ove spesso spesso qualche periodo rim an su’ tram poli e, non avendo a che a p p o g g ia rsi, non corre : h a usato vocaboli in tal significazione, di cui nessuno ha trovato esempi fin qui : i costrutti sono forzati, ritrosi, procedenti a sghem bo: all’ arm onia non c’ è nep­ pure da p e n s a rc i, tante vi sono caco fo n ìe, disaccordi ed asprezze : delle voci e delle m aniere usate da lui qualche esempio potrà soltanto incontrarsi nei giornali e nelle gazzette, m a neppur per om bra in quei classici, ch’egli avrebbe dovuto scartabellare con mano diurna e notturna.

In mezzo tuttavia a tanto stram e, letam e e putridam e vedetelo a t­ teggiarsi a m aestà, e gonfiandosi prender l’aspetto d’inspirato, o a dir meglio di spiritato , e con m agniloquenza e con tono enfatico sp utar sentenze avvolte in un diluvio di espressioni sperticate, di m etafore sì arrischiate e iperboliche, di similitudini e allegorie tanto stran e da di­ sgradarne il secento. Questo è dunque il frutto eh’ ei colse dallo studio dei classici? tale il gusto ch’ ei si formò su que’ stupendi m odelli? questa lingua, questo stile, questo parlar figurato egli apprese da quei solenni m aestri? — Sciagurato presuntuoso! venuto il tempo di far sentir la tua voce e di prendere la penna in m ano, tu com ecché uscito dalle scuole tau m a tu rg h i dell’ età n o s t r a , non trovi parole se a te non le prestino i dirotti gazzettieri, o se tu non razzoli nel g ran letam aio dei gerghi stran ieri barbaram ente italianizzati : ti scarseggian le immagini, se dagli sguajati romanzi transalpini non ti piovono nella zucca mo­ struosi fa n ta s m i, quasi ridicoli pagliacci vestiti all’ eroica. 0 le tue scuole tanto v antate ? o i tuoi m aestri e professori sì celebrati ? o il buon gusto e 1’ a rte tanto e poi tanto difficile di scriv er b e n e , che doveano esser frutto degli altrui insegnam enti e de’ tuoi studii? D’ onde mai deriva in te ta n ta sciattezza di form a , ta n ta avventataggine di concetti , tale infingarda trascu ratezza di acquistare o conferm are il buon gusto con letture non mai intram esse di eccellenti a u to ri, dalle quali tu avresti pur potuto conseguir facilmente che la tua lingua e il tuo stile si purgassero anche.d alle m acch ie, che l’ abuso o il m al e- sempio altru i poteva, quasi senza che te ne avvedessi, avervi recato ?

Chi abbia posto un po’ d’ attenzione al modo, onde oggi s ’ insegna e si studia ; chi abbia avuto opportunità di m ettere alla prova gli a - lunni per vedere qual capitale di dottrina egli abbiano rad un ato da’ loro studii, io credo che non a v rà a darsi un g ra n pensiero a rispondere alle fatte interrogazioni, dicendo che oggi è troppo sv ariato e perciò superficiale l’ insegnam ento : che non pochi di quei professori hanno bisogno di acquistar prim a eglino stessi il buon gusto e la fam iliarità co’ classici , verso i quali non sentono nè am m irazione nè a m o re , e perciò nem o d a t q u o d non h a b e t: che da tali scuole e da tali m aestri non potea d eriv ar già il buon gusto negli alun ni, nè l’ am ore a quei libri, ch ’ eglino avrebbero pur dovuto, a meglio g u starli e così p re s e r­ varsi dalla contam inazione altrui, legger continuam ente e studiare, a n ­ ziché abbandonarli interam ente e gettarli in un canto , quasi fossero roba da ferravecchi.

Si, sì, non c’ è da dubitarne un momento : in quelle scuole si prende a insegnar troppo, e si riesce così a far che gli alunni sappiano un pocolin d’ ogni cosa, o ssia n u lla d i n u lla. Qui stanno proprio a capello le parole del prof. Stefano G ro sso , il quale con verità sì lam pante scrive : « è giocoforza che sappia bene di nulla chi presum e scriv er di tutto. B rutta m alattia è questa , che infetta il volgo degli odierni Italiani, di voler ciascuno percorrere tutto lo scibile.» ( St e f a n o Gr o s s o,

In to rn o alle o pere d i G a sp a re G a ra to n i rag io n a m en to prem esso all’ e­ dizione della M ilo n ia n a . N ovara. T ipografia de’ fratelli Miglio, 1875). Lo studio dei classici è ridotto a si m ag ra cosa da potersi quasi dire che vi si fa soltanto per u s a n z a , perchè si sappia che vi sono stati sì fatti autori, e che hanno scritto su tale o tal altro argom ento : m a l’ arte tanto fine e così nasco sta da divenir naturalezza (n o n quella già p redicata dai V e r i s t i ) , la m aestria e l’ eccellenza sem bra che or non importi niente affatto di c e rc a rle , a m m ira rle , im ita rle , come se fossero state soltanto buone negli anni domini ; e ora essendo fuor di luogo, od un frutto fuor di stag io n e, non valgano ad altro che a far retori ciarlieri, pedanti ridicoli, stucchevoli parolai.

Così storti giudizi, m assim e tanto false e pregiudiciali sono anco fitte nella testa della m aggior p arte de’ professori, che usciron g ià da simili scuole e s ’ informarono di tali dottrine. Virgilio, Orazio, Plauto, Terenzio, Cicerone, Tacito, Tito Livio sono roba ornai sm essa: egli è * tem po perso a decifrar quegli enigm i: b a s ta che se n’ abbia così alto alto un’ idea per sola erudizione e non più. E per sola erudizione e non più hanno quei m aestri e professori fatto un po’ di conoscenza con quegli a u to r i, e non avendoli mai gustati eglino s t e s s i , non possono perciò farli assap o rare ai discepoli.

Ma di che scuole, di che m a e stri, di che esem plari vai tu cian ­ ciando ? quando mai se’ tu nato ? se’ tu forse un redivivo già vissuto

fra noi qualche secolo fa ? dunque tu non sai che or finalm ente ab ­ biamo veduto e toccato con mano che il tempo speso nelle scuole ad ascoltare le ciarle de’ m aestri, a leggere, a studiare quei che tu chiami classici ed eccellenti autori, è tempo perduto, anzi dannosam ente con­ sumato, stan techè da quelle scuole, da que’ m aestri, da que’ libri non altro im pariam o che un ridicolo co n ven zio n a lism o ? — È ormai tempo che quelle scuole sian chiuse, siano que’ ciarlatani m aestri m andati a s p a s s o , e bruciati quei libri che insegnano a p a r la r e , a p e n s a re , a sentire secondo una particolare convenzione. L a n atu ra fa tutto da sè, e fa bene. A ciò eh ’ io m anifesti con parole i sentim enti dell’ animo mio, e intenda quelli che dagli altri mi sono m anifestati, b asta eh’ io non sia sordo-m uto. L a gram m atica 1’ ho im parata fin da quando ero a b alia: il cuore p arla da se e non h a bisogno di pedagoghi : la n a­ tura mi offre qualunque o g g e tto , di cui mi piaccia parlare. Io seguo il ve rism o , il n a tu ra lism o . Sono pensatore, parlatore, scrittore qual mi formò la n a tu ra ; e i miei ragionam enti, i miei discorsi, i miei scritti, sciolti dalle m olestie di ogni pastoja. da regole fittizie e da patti già stabiliti, sono più efficaci dei discorsi arch itettati colla sq uad ra e col compasso, e rattenuti entro a limiti tirannicam ente determ inati da pe­ dantesca e innaturai convenzione.

Ehi, ehi ! voltati un poco in qua eh’ io ti guardi gli occhi. M iseri­ cordia ! come tu gli h a ’ stralunati ! che sinistra lu cen te zza, che mo­ bilità, che convulsione ! Povero a te ! o tu sei scappato dal manicomio, o tu se’ per entrarvi. — Tu dici ? ed io piuttosto credo che 1’ appigionasi all’ultimo piano ce l’ abbi m esso tu; o che almeno, dormendo la grossa, tu sogni e non te ne avvegga. — E bene guardiam o un po’ chi di noi due si è beccato il cervello o chi sogna. Questi son c o lo ri, questo è un pennello, quella là una tela, coteste sono braccia sane e mani pie­ ghevoli, che ti h a dato m adre natu ra, e da essa puoi scegliere come più ti piace il soggetto. Su da bravo, fammi un quadro come facevano Raffaello e Tiziano, o alm eno (v o ’ m ostrarm i discreto) come qualche altro pittore di poco grid o .— Ma io non faccio il pittore. — Qui ti 'volevo, semplicione che non se’ altro. T u col dirmi che non fai il pittore hai voluto farmi intendere che non conosci quell’ arte. M a sai tu che cosa è un’ arte ? Son tante regole che bisogna ben apprendere, per eserci­ ta rla come conviene. L a n atu ra dà i m a te ria li, ma 1’ arte colle sue regole t’ insegna a ben disporli, e adoperarli in guisa che rispondano al fine che ti sei proposto.

Così è della lingua. Tutti noi naturalm ente p arlia m o , perchè la loquela 1’ abbiam da n atu ra ; m a senza regole, senza leggi, senza os­ serv ar anche alcune convenzioni, che s a rà egli m ai il tuo p arlare? ti farai forse intendere, m a soltanto per altrui discrezione. Se poi ti oc­ corra di persuadere altri di un tuo pensiero o di m uoverne l’ animo a

tuo favore, credi pure che non riuscirai a nulla, se non forse a m uover le risa di chi ti ascolta. M a ti p ar e g l i , m atto che sei, di non voler far divario fra un uomo m anieroso e gentile, che ti chiede con acconce e ben disposte parole un favore, ed un villano o cialtrone che te lo chiede con parole selvagge o da trivio ? — Oh tu la fai troppo lunga : a la ­ sciarti discorrere, la ragione sarebbe sem pre la tua. Io non dico altro che il bello sta nel v e ro ; e che il v e rism o , figlio legittim o della n atu ra, deve sem pre piacere. — Che il bello stia nel vero e anche, aggiungo, nel verisim ile, te lo concederò facilm ente: m a non potrei m ica m enarti buono che il vero sia sem pre b e llo , e che debba sem pre piacere. 0 senti un fa tte re llo , e da esso argom enta gli effetti del verism o , cosi

» come tu lo intendi.

(C on i.) A. Ba k t o l i n i.

UMA BELLISSIMA ED AFF ETTUOS A LE TT ER A

Una grave sventura co lp iv a, non h a g u a r i, il nostro