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I tragici risvolti della rivoluzione: studio e traduzione di Guillermo Tell tiene los ojos tristes di Alfonso Sastre.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

I tragici risvolti della rivoluzione: studio e traduzione di

Guillermo Tell tiene los ojos tristes di Alfonso Sastre

CANDIDATO

RELATORE

Serena Cecchini

Chiar.mo Prof. Enrico Di Pastena

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Rosa María García Jiménez

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INDICE

CAPITOLO 1. ALFONSO SASTRE ... 1

1.1 Una vita devota al teatro ... 1

1.2 La traiettoria teatrale ... 10

1.2.1 Il distanziamento dal pubblico ... 15

1.3 Un impegno che ha un prezzo ... 17

CAPITOLO 2. GUILLERMO TELL TIENE LOS OJOS TRISTES ... 23

2.1 L’opera ... 23

2.1.1 La fortuna in Italia ... 26

2.2 Struttura e vicenda ... 30

2.2.1 Personaggi del dramma ... 34

2.3 Temi e interpretazioni ... 37

2.3.1 Continuità con altre opere ... 40

CAPITOLO 3. ANALISI TRADUTTOLOGICA DELLE VERSIONI DI GUILLERMO TELL TIENE LOS OJOS TRISTES ... 44

3.1 Teoria della traduzione di opere teatrali ... 44

3.2 Analisi traduttologica e confronto tra le due versioni ... 48

3.2.1 Aspetti linguistico-lessicali: la traduzione del titolo ... 49

3.2.1.1 La traduzione dei nomi ... 50

3.2.1.2 La traduzione dei toponimi ... 53

3.2.1.3 La traduzione dei realia ... 55

3.2.2 Il registro colloquiale nel testo drammatico ... 59

3.2.2.1 Espressioni idiomatiche e colloquiali ... 61

3.2.2.2 Interiezioni ... 74

3.2.2.3 Appellativi allocutivi ... 79

3.2.2.4 La funzione fatica del linguaggio ... 83

3.2.3 Alternanza dei registri ... 85

CONCLUSIONI ... 92

GUGLIELMO TELL HA GLI OCCHI TRISTI ... 94

BIBLIOGRAFIA ... 223

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CAPITOLO 1

ALFONSO SASTRE

1.1 Una vita devota al teatro

“La actidud del aguafiestas nunca es cómoda. No solamente recibirá siempre las bofetadas que andan sueltas en el aire, sino que está condenado de modo anticipado a la soledad más imposible. A Alfonso Sastre, por su manera de ser, su concepción de la vida o porque sí, le ha tocado representar en nuestro teatro contemporáneo este difícil, arriesgado y doloroso papel de aguafiestas” [Pérez Minik, 1964:12].

Con queste parole, Domingo Pérez Minik riassume il ruolo che Alfonso Sastre ha avuto nella società spagnola. Aguafiestas impertinente, personalità inquieta con il costante obiettivo di riuscire a realizzare un teatro del cambiamento, intellettuale engagé animato da un profondo senso della giustizia, Sastre è stato sicuramente uno dei drammaturghi di spicco del XX secolo sebbene, molto spesso, non sia stato compreso e apprezzato a sufficienza.

Nasce a Madrid il 20 febbraio 1926 da una famiglia modesta. Frequenta la scuola elemen-tare parrocchiale «Nuestra Señora de los Ángeles» di Madrid dal 1931 al 1936, anno in cui scoppia la Guerra Civile che segnerà per sempre la sua infanzia. Il giovane Sastre porterà per sempre con sé il ricordo della distruzione, della miseria e del terrore dei bombardamenti di quel periodo. È proprio in questo terribile contesto storico che Alfonso Sastre inizia la sua ascesa come drammaturgo, anche se attraverso un percorso lungo e tortuoso. Negli anni del dopo-guerra, infatti, la dittatura franchista dà il via a un processo di “epurazione”, con l’intento di far sparire dalla circolazione, o comunque di ridurre al silenzio, qualsiasi persona dissidente nei riguardi del regime. A dodici anni i suoi genitori decidono di iscriverlo all’istituto privato «Car-denal Cisneros» di Madrid, dove incontra personalità che più avanti si riveleranno fondamentali nella sua esistenza: Alfonso Paso, Enrique Cerro e Carlos José Costas. “Las cosas son muy raras en la vida, pues lo que ha sido después la mía tiene mucho que ver con los compañeros que encontré en aquel lugar durante aquellos años”, afferma il drammaturgo [Sastre, 1991].

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2 Sin dalle prime apparizioni nel mondo del teatro, Sastre si batte con ogni sua forza per far sì che la scena spagnola riacquisti la luce che ormai aveva perduto da tempo. Gli anni Cinquanta sono fondamentali in questo senso: la sua produzione teatrale si intensifica, così come il suo impegno sociale verso un rinnovamento delle scene.

Nel 1945 fonda, insieme ad altre figure, il gruppo Arte Nuevo nel Café Arizona di Madrid. Si tratta di un tentativo ingenuo di rinnovamento del teatro spagnolo dell’epoca che aveva perso la sua vitalità dopo la guerra: “Arte Nuevo surgió en 1945 como una forma – quizá tumultuosa y confusa – de decir «no» a lo que nos rodeaba; […] Si algo nos unía, a nosotros que éramos tan diferentes, era precisamente eso: la náusea ante el teatro burgués de aquel momento” [Doménech, 1964:6]. Questo teatro di protesta dava voce ai giovani autori spagnoli nella spe-ranza che portassero nuova luce e nuove speranze sulla scena spagnola. Il gruppo era composto da José Gordon, Medardo Fraile, il musicista Francisco Esbrí, il pittore Enrique Ribas e i già citati Alfonso Paso, Enrique Cerro e Carlos José Costas. Successivamente si aggiunsero anche José María Palacio, José Franco e José María De Quinto.

Arte Nuevo comincia la sua attività con una serie di conferenze sul tema centrale di “El teatro como preocupación universal”, tra il novembre e il dicembre del 1945. A partire dal gen-naio del 1946, durante i due anni e mezzo di attività, il gruppo allestisce più di venti opere, tra le quali le prime di Sastre: Ha sonado la muerte (1945) e Comedia Sonámbula (1947), scritte insieme a Medardo Fraile, e Cargamento de sueños (1946) e Uranio 235 (1946) del solo Sastre; si tratta di opere premature, frutto delle preoccupazioni metafisiche e religiose del giovane drammaturgo. Le difficoltà, soprattutto economiche, fanno chiudere ben presto i battenti di Arte Nuevo; ciò che rimane è una raccolta di quindici opere intitolata Teatro de Vanguardia.

“La búsqueda de nuevos caminos, también en el plano formal, está en la base de un proyecto cuyos frutos más granados son piezas de tono trágico y existencialista-cristiano, pero que, por el contexto socio-cultural en el que se desarrolla la iniciativa y por la inmadurez de los resultados alcanzados, tiene escasa incidencia en los destinos del teatro nacional” [Di Pastena, 2018:215].

Dopo la breve ma interessante esperienza di Arte Nuevo, Sastre si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Madrid dove fonda la rivista «Raíz» insieme ad altri studenti. Nel 1948 inizia a scrivere articoli di critica teatrale sulla rivista «La Hora», appartenente al sindacato universitario e pertanto libera da ogni censura. È grazie a questa posizione privilegiata che può pubblicare nel 1950, insieme a José María De Quinto, il manifesto del Teatro de Agitación Social (T.A.S.) sulle pagine della rivista. Si tratta di un documento suddiviso in venti punti che

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3 rivendica la necessità di un’arte sociale; così come Arte Nuevo avrebbe dovuto rinnovare il teatro, il T.A.S. avrebbe dovuto smuovere la coscienza degli spagnoli. Il teatro acquistava, in questo modo, una funzione politico-sociale; doveva essere lo strumento attraverso il quale fare un’arte impegnata. I punti 4 e 5 del manifesto sono esplicativi in questo senso:

“Nosotros no somos políticos, sino hombres de teatro; pero como hombres – es decir, como lo que somos primariamente -, creemos en la urgencia de una agitación de la vida española. Por eso, en nuestro dominio propio (el teatro), realizaremos este movimiento, y desde el teatro, aprovechando sus posibilidades de proyección social, trataremos de llevar la agitación a todas las esferas de la vida española” [Sastre – De Quinto, 1964c:97].

Sastre si rende conto che il teatro si trova in un momento difficile della sua storia, per motivi alquanto evidenti: innanzitutto, a causa della censura che, durante il regime dittatoriale, tiene sotto controllo ogni aspetto della cultura, in particolar modo il teatro; inoltre, l’impatto sempre più forte del cinema mette a dura prova l’organizzazione del teatro, che agli occhi del pubblico risulta ormai antiquata: “En nuestro tiempo, la vida del teatro se ha hecho más azarosa y difícil por el perfeccionamento del cine como arte dramático con modalidades propias y su consi-guiente captación de públicos que antes se movían en la órbita del teatro. Este conflicto mundial parece más agudo en España” [Sastre et al., 1964:101]. Qualcuno potrebbe puntare il dito contro i drammaturghi del periodo accusandoli di aver prodotto opere scadenti, ma non è assoluta-mente questo il caso dato che il ventesimo secolo presenta un gruppo di drammaturghi fin troppo abili nel catturare l’attenzione del pubblico. Il problema risiede, piuttosto, nell’intero sistema teatrale e nella sua organizzazione. Come lo stesso autore ammette in Drama y socie-dad, il teatro è in mano a un piccolo gruppo di impresari che si rifiutano di concedere la scena ai grandi drammaturghi dell’epoca. “Las riendas del teatro, que son riendas económicas, están en las manos del dinero – torpe por ignorante, ciego y sordo – de las empresas privadas, que tienen a su cargo nada menos que la historia del teatro moderno” [Sastre, 1956:150]: ecco qual è il principale motivo per cui Sastre sente la profonda necessità di un rinnovamento del teatro, e uno dei suoi primi tentativi è proprio la creazione del Teatro de Agitación Social. Tuttavia, la censura nega al T.A.S. l’autorizzazione per rappresentare, costringendo il gruppo a sciogliersi. Né Sastre, né De Quinto si dichiarano sorpresi di tale divieto: “Ni José María De Quinto ni yo hemos hecho el menor gesto de sorpresa. Se ha cumplido en España, una vez más, el aniquilamiento de una iniciativa de la juventud, cargada de peligro, de emoción y de esperanza” [Sastre, 1964a:82]. Nonostante il T.A.S. abbia avuto vita breve e nonostante il manifesto non

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4 sia andato oltre una dichiarazione di intenti, è stato comunque un chiaro tentativo di protesta che ha avuto una risonanza importante anche a livello europeo.

Gli anni successivi al T.A.S. sono molto prolifici per Sastre. A marzo dello stesso anno conclude Prólogo Patético (1950), opera che suppone il passaggio dell’autore da problemi re-ligiosi ed esistenzialisti a un approccio più realista. Il tema è, infatti, quello della lotta terrorista, ma la sua rappresentazione viene proibita dalla censura. Nel 1951 termina El cubo de la basura, testo che si concentra sulla distruzione e la desolazione che la Guerra Civile ha lasciato alle sue spalle. Nel 1952 tenta di portare in scena, con scarso successo, Prólogo Patético proponendola a due compagnie: la compagnia «Lope de Vega» e il «Premio Lope de Vega». Un anno dopo scrive El pan de todos che ci presenta il dramma di un protagonista costretto a fare una scelta tra interesse privato e dimensione pubblica. È proprio in questo anno cruciale, il 1953, in cui la compagnia Teatro Popular Universitario porta in scena una delle sue opere più importanti, Escuadra hacia la muerte, che Sastre riesce finalmente a entrare nel circuito teatrale professio-nale. In realtà, l’opera era frutto di un progetto di un impresario inglese che voleva portare a Londra un gruppo teatrale spagnolo con un’opera nuova. Sastre scrive l’opera appositamente per questo gruppo che avrebbe dovuto portarla in scena in una piccola sala teatrale di Londra, in un contesto lontano dalla repressione franchista che stava subendo la Spagna; è così che si spiega la struttura non convenzionale, l’assenza totale di personaggi femminili e la violenza inaudita con cui muore il capo [Farris, 1975:15]. Tuttavia, il progetto londinese non va in porto e Sastre decide di cambiare i cognomi spagnoli dei personaggi, i toponimi, e propone l’opera a due compagnie spagnole che però la rifiutano. È solo grazie al regista Gustavo Pérez Puig, il quale riesce a ottenere il permesso della censura, che il dramma può essere finalmente portato in scena nel 1953 nel teatro «María Guerrero» di Madrid. L’opera ottiene subito un grandissimo successo e desta un enorme interesse nel pubblico, fino a quando, durante la terza rappresenta-zione, assiste allo spettacolo un generale che ne denuncia il carattere antimilitarista. Escuadra hacia la muerte viene proibita, ma questo non le impedirà di diventare una delle opere più rappresentate in Spagna da gruppi di teatro universitari e da camera. Da questo momento, per Sastre inizia un calvario fatto di censure e repressione sia verso le sue opere, sia verso la sua persona. In questo stesso anno conosce Eva Forest Tarrat, la sua futura moglie e compagna d’arte.

Nel 1954 la censura proibisce anche Prólogo patético e El pan de todos. Le due opere sono presentate al «Premio Ciudad de Barcelona», ma vengono escluse illegalmente dopo che una delle due era stata addirittura segnalata dalla giuria come vincitrice. A questo punto l’autore, profondamente deluso dal trattamento che la censura gli stava riservando, scrive La mordaza,

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5 dramma rurale che attacca in maniera ben poco velata la censura di quel periodo. Come afferma lo stesso autore: “Escribí La mordaza en un momento en que todo lo que había escrito hasta entonces estaba prohibido” [Di Pastena, 2011:24], riferendosi ovviamente alle tre opere più importanti scritte fino ad allora: Prólogo patético, El pan de todos e Escuadra hacia la muerte.

La mordaza viene rappresentata nel 1954 nel Teatro «Reina Victoria» di Madrid, dalla Nueva Compañía Dramática con direzione di De Quinto. Contrariamente a ciò che Sastre si aspetta, la critica e il tentativo di protesta contro la censura non viene percepito, né dagli spet-tatori, né dai critici, né tantomeno dai censori. Alcuni censori arriveranno ad esaltare la qualità e a ribadire l’importanza di un simile dramma sugli scenari spagnoli. Si tratta di un punto di svolta nella traiettoria di Sastre poiché da un dramma a situazione bloccata come Escuadra hacia la muerte, in cui i personaggi non hanno via di scampo, si passa a un dramma cosiddetto posibilista, in cui i personaggi possono effettivamente scegliere se cambiare la situazione in cui si trovano o meno; anzi, cambiano tale situazione. Nelle opere che seguono La mordaza, è palese l’intento dell’autore di concentrarsi su temi sociali e rivoluzionari: Tierra Roja (1954) che tratta il conflitto tra una compagnia mineraria e i suoi operai; Muerte en el barrio (1955) in cui la negligenza di un medico, ma anche l’insufficienza di una intera società, provoca la morte di un bambino; e infine, Guillermo Tell tiene los ojos tristes (1955), rivisitazione in chiave tragica dell’eroe di Schiller. Le ultime due opere sono immediatamente proibite dalla censura. Nel 1955, dopo la stesura di Ana Kleiber e La sangre de Dios, partecipa insieme ad altri autori alla redazione di un documento intitolato «Coloquios sobre problemas actuales del teatro en España» [Oliva, 1992:19], in cui si chiede l’eliminazione della censura preventiva:

“Consideramos que la actual censura previa para el teatro es totalmente inaceptable por: su falta de criterios objetivos y declarados. La falta absoluta de autoridad pública del organismo censor, cuyos dictámenes son frecuentemente rectificados por la presión de instituciones – y hasta personas – ajenas a este cometido. […] Proponemos la sustitución de la censura por la sanción legal a posteriori en los casos y con el rigor que la ley determinara” [Sastre et al., 1964:103-104].

Dopodiché, presenta un ricorso contro il divieto della messa in scena di Escuadra hacia la muerte, ma il testo viene condannato ancora una volta.

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6 Nel febbraio del 1956, dopo aver scritto El cuervo su richiesta di Conrado Blanco1 e dopo aver pubblicato Drama y sociedad2, prende parte a una manifestazione studentesca che gli co-sterà l’arresto. Dopo essere stato assolto si reca a Parigi per sei mesi grazie a una borsa di studio dell’UNESCO.

Nel 1957 si ha la prima rappresentazione di El pan de todos e di El cuervo. L’autore rimane stupito dal successo che ottiene El pan de todos, ma poco dopo decide di ritirarla dalla scena perché molte persone la consideravano, erroneamente, un’opera antirivoluzionaria.

Nel 1960 firma un documento contro la censura in Spagna insieme ad altri 227 intellettuali. Nello stesso anno prende parte, contrapponendosi a Antonio Buero Vallejo, alla polemica sul cosiddetto posibilismo teatral. I due pilastri del movimento realista si scontrano sulle pagine della rivista «Primer Acto» sulla questione della censura in ambito teatrale. Sastre sostiene che si debba scrivere liberamente, senza nessun tipo di limitazione, poiché la censura agisce in ma-niera totalmente imprevedibile, e pertanto è meglio rischiare di essere ridotti al silenzio piutto-sto che utilizzare forme previe di autolimitazione. Buero Vallejo, al contrario, porta avanti la posizione secondo cui è preferibile scrivere con cautela, adottando formule di contenimento che eludano la censura. Per sostenere la sua teoria, Buero Vallejo indica La mordaza di Sastre come esempio di autocensura, trascurando il fatto che il testo fosse stato scritto prima del divampare della polemica. In questo stesso anno, Sastre firma il manifesto del Grupo de Teatro Realista insieme a José María De Quinto, in cui si denuncia ancora una volta la situazione critica del teatro spagnolo e si propone un rinnovamento delle scene: “El G.T.R. es, más que un grupo, una convocatoria a los autores españoles para la formación de un auténtico grupo que pueda consti-tuirse en célula renovadora de nuestra vida escénica” [Sastre – De Quinto, 1964a:115].

Nel 1961 si ha la prima rappresentazione di En la red da parte del G.T.R. Qualche mese dopo l’autore viene incarcerato per aver scritto un documento a favore dell’amnistia dei prigio-nieri politici. L’anno seguente scrive Oficio de tinieblas, opera prontamente proibita dalla cen-sura, e El circulito de tiza. L’accanimento contro di lui e contro la sua famiglia continua; anche Eva Forest viene arrestata, insieme alla figlia neonata, per aver partecipato a una manifesta-zione. Nel 1963 scrive Las noches lúgubres e Anatomía del realismo, il suo secondo saggio teorico dopo Drama y Sociedad, in cui ribadisce l’idea di un’arte sociale:

1 Nato nel 1921 nella città di La Bañeza (provincia di León), è stato un poeta e impresario spagnolo, nonché fondatore

della Fundación Conrado Blanco.

(Fundación Conrado Blanco, consultabile su: http://www.fundacionconradoblanco.com/).

2 Saggio teorico, pubblicato nel 1956, che costituisce il cardine del pensiero estetico di Sastre. È un testo in cui l’autore

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7 “Precisamente, la principal misión del arte en el mundo injusto en que vivimos consiste en trasformarlo. El estímulo de esta transformación, en el orden social, corresponde a un arte que, desde ahora, podríamos llamar «de urgencia»; [...] este arte que llamamos «de urgencia» es una reclamación acuciante de justicia, con pretensión de resonancia en el orden jurídico” [Sastre, 1965:28].

Nello stesso anno scrive, insieme ad altri intellettuali, una lettera al Ministro Iribarne per chie-dere spiegazioni sulle torture subìte dai minatori delle Asturie.

Nel 1964 scrive Flores rojas para Miguel Servet e pubblica Las noches lúgubres. È proprio durante questi anni che Sastre, rifiutandosi di scendere a patti con qualsiasi forma teatrale ca-nonica, dà una svolta importante al teatro con l’elaborazione di nuovi concetti come quello di tragedia compleja, la forma più attuale e lucida dell’esperpento3 valleinclanesco [Oliva, 1992:21]. Tuttavia, gli anni delle tragedie complesse sono gli stessi in cui il rapporto del dram-maturgo con la censura si è inasprito notevolmente, rendendo sempre più difficile la rappresen-tazione delle sue opere e la comunicazione con il pubblico. L’intento di Sastre, come lui stesso ha affermato in Notas para una sonata en mi (menor), è quello di creare una tragedia il più vicino possibile alla nostra quotidianità, in cui gli eroi abbiano le stesse debolezze e le stesse paure delle persone normali. Un accenno di questo tipo di eroe irrisorio si può già notare nella sua opera del 1955, Guillermo Tell tiene los ojos tristes.

La prima opera in assoluto in cui Sastre sviluppa il concetto di tragedia complessa è M.S.V. o La sangre y la ceniza, terminata nel 1965 ma la cui pubblicazione viene subito proibita. Qui l’autore tratta in modo grottesco una figura storica, Miguel Servet Villanueva, medico perse-guitato e condannato al rogo dall’Inquisizione cattolica, privandolo dei tratti canonici dell’eroe classico. Da questo momento, Sastre si rende conto delle enormi potenzialità che può trarre dalla ricerca dell’anacronismo intenzionale e dall’uso di una moderna tecnica di frammenta-zione; alla denuncia contro l’intolleranza, l’autore mescola elementi di grande umorismo e fine ironia, inserendo squarci anacronistici di realtà moderna. Tecniche, queste ultime, che ci sve-lano la trama dell’opera in un modo che non abbiamo mai visto prima nelle sue opere [Oliva, 1992:27].

3 “Concepción literaria creada por Ramón María del Valle-Inclán hacia 1920, en la que se deforma la realidad acentuando

sus rasgos grotescos”, recita il dizionario della Real Academia Española. Si tratta, infatti, di uno stile letterario creato da Ramón María del Valle-Inclán intorno al 1920, caratterizzato dalla deformazione della realtà che viene mostrata in modo grottesco poiché, secondo l’autore, solo in questo modo si può realmente vedere il degrado della società spagnola. (Diccionario Real Academia Española (DRAE), consultabile su: http://dle.rae.es).

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8 Del 1966 è interessante La taberna fantástica, capolavoro che viene portato in scena solo diciassette anni dopo ottenendo un grandissimo successo. Poco dopo la conclusione di quest’ul-tima opera, Sastre viene incarcerato nella prigione di Carabanchel per aver partecipato a una manifestazione contro la repressione all’università di Madrid [De Paco, 2008]. Nonostante la sua reclusione firma, insieme ad altri 700 intellettuali, una petizione in cui si chiede di riman-dare il referendum sulla “Ley Orgánica del Estado” proposta da Franco, per permettere agli elettori di informarsi meglio sulla stessa e di votare consapevolmente. L’anno seguente pubblica Flores rojas para Miguel Servet e traduce Huis Clos di Jean Paul Sartre, dopodiché si reca a Cuba in occasione del «Congreso Cultural de la Habana». La casa editrice Aguilar pubblica la sua raccolta Obras Completas, ma la censura impedisce di includervi La sangre y la ceniza. Nel frattempo Sastre continua a tradurre opere di Sartre, tra cui Morts sans sépulture, e scrive Cró-nicas romanas che non verrà mai pubblicato perché proibito dalla censura. Dopo essere stato arrestato per aver partecipato nuovamente ad alcuni scioperi universitari, la polizia perquisisce la sua abitazione e sequestra gli appunti riguardanti un’opera storica sulla Spagna che il dram-maturgo non riuscirà mai più ad avere indietro. Purtroppo, i suoi problemi con le autorità non accennano a finire: nel 1971 scrive Las cintas magnéticas e Askatasuna, opera che l’anno se-guente andrà in onda in televisione in Svezia, Norvegia e Finlandia; ciò porterà la polizia a interrogarlo e a ritirargli nuovamente il passaporto.

Nel 1974 la televisione spagnola trasmette La mordaza, mentre l’autore si cimenta nella scrittura di un nuovo racconto: Diario del hijo de Guillermo Tell. Il 16 settembre Eva Forest viene arrestata con l’accusa di aver aiutato l’ETA4 a compiere l’attentato nel Café Rolando di Madrid, che provocò la morte di tredici persone, nonché di aver partecipato all’uccisione dell’allora primo ministro Carrero Blanco. Sastre, da questo momento, è un latitante e dieci giorni dopo lancia un appello da una radio in cui sottolinea che tutti coloro che sono stati arre-stati sono innocenti. Le forze dell’ordine rispondono invadendo la sua abitazione e devastan-dola. Qualche giorno dopo Sastre scrive una lettera al commissario della polizia in cui denuncia l’illegalità del comportamento dei suoi agenti. Tale lettera è stata pubblicata da Maria Luisa

4 Sigla di Euskadi Ta Askatasuna («Nazione basca e libertà»), formazione politico-militare nata nel 1959 da una scissione

del Partito nazionalista basco, con l’obiettivo di conquistare la piena indipendenza delle Province Basche. Organizzata sulla base di una struttura estremamente parcellizzata, l’ETA concentrò all’inizio la propria azione di guerriglia in atti di sabotaggio. Nel 1970 dalla formazione si scisse una componente di ispirazione marxista (la cosiddetta ‘ETA politico-militare’), propensa a dare maggiore importanza alla lotta politica contro il franchismo. La corrente maggioritaria (ETA militare), più sensibile alle istanze nazionalistiche, accentuò invece l’attività terroristica, compiendo attentati, il più cla-moroso dei quali fu l’uccisione, nel 1973, del primo ministro L. Carrero Blanco. (Enciclopedia Treccani, consultabile su:

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9 Aguirre D’Amico, cara amica dell’autore nonché sua traduttrice italiana, su «L’Espresso» (n. 42) del 20 ottobre 1974. Ne riporto di seguito i tratti più salienti:

“Al commissario Capo della Brigada Social,

Come lei sa né mia moglie né gli altri che insieme a lei sono stati arrestati – tutte persone oneste e irreprensibili, alle quali sono legato da grande amicizia – si sono mai sognati di mettere bombe. Ciononostante queste persone sono ora oggetto di un atroce attentato: le loro vite sono letteralmente stroncate prima che un qualsiasi giudice con un atto legale e un dibattimento abbia pronunciato il suo verdetto. La mia casa è stata letteralmente distrutta: dai dischi fatti a pezzi dai calci dei suoi agenti, ai vestiti dei miei figli calpestati e insudiciati, alle macchine da scrivere – sono uno scrittore – considerate alla stregua di strumenti terroristici, e così via. Il mio appartamentino sulla Sierra è stato preso d’assalto con grande spiegamento di forze dalla Guardia Civil, la porta è stata for-zata…per trovarvi il modesto lavoro intellettuale che porto avanti da due anni: un libro… sull’im-maginazione! Di tutto questo lei non ha parlato nella sua conferenza stampa. Non si tratta di una violenza, evidentemente. Distruggere la mia vita non è una violenza: fa parte dell’ordine. […] Ep-pure questa situazione non durerà in eterno. Anzi, è molto probabile che la sua fine sia prossima. E voi, come è avvenuto ai vostri colleghi della Gestapo e della Pide, passerete anni amari; e più amari saranno quelli di chi gode come lei, Sainz, di una fama sinistra. Questa è la mia dichiarazione, fatta a Madrid, il giorno 30 settembre 1974. Alfonso Sastre” [Faticoni, 1975:18].

Come possiamo notare dalla testimonianza del drammaturgo, la repressione nei suoi con-fronti era ormai diventata insopportabile; pochi giorni dopo, precisamente il 3 ottobre, viene catturato e incarcerato. Questi avvenimenti portano alla creazione in Francia di un comitato a favore dei coniugi Sastre e degli altri arrestati, a cui aderiscono numerose organizzazioni e moltissimi intellettuali francesi. Nel 1975, in segno di protesta, viene rappresentata l’opera Guillermo Tell tiene los ojos tristes a Roma con l’intento ben preciso di chiedere la scarcera-zione dell’autore. Il 10 giugno Sastre viene rilasciato, mentre la moglie rimane in carcere ancora per tre anni. Nel 1977 decide di trasferirsi definitivamente nei Paesi Baschi e firma il manifesto del Teatro Unitario para la Revolución Socialista, un ultimo tentativo di fare qualcosa di im-portante, come egli stesso afferma [Sastre, 1991].

Il periodo successivo vede il susseguirsi di moltissime altre opere firmate dall’autore, tra le quali si evidenziano: Tragedia fantástica de la gitana Celestina (1979), Los últimos días de Immanuel Kant (1984), Revelaciones inesperadas sobre Moisés (1988), Demasiado tarde para Filoctetes (1989), ¿Dónde estás, Ulalume, dónde estás? (1990). In queste opere si riscontra un comune denominatore, ossia la decadenza fisica dei protagonisti in questione, declassati al

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10 ruolo di eroi irrisori: la Celestina di Fernando de Rojas, il filosofo Immanuel Kant, il profeta Mosé, il Filottete sofocleo e lo scrittore Edgar Allan Poe.

Nel 1985, con l’assegnazione del «Premio Nacional de Teatro» si iniziano a vedere i primi segni di disgelo tra il drammaturgo e l’ambiente teatrale, dopodiché seguiranno moltissimi altri riconoscimenti, sia in patria che all’estero.5

Sessanta anni di lotta, di carcere, di esilio e di silenzio imposto, ma anche sessanta anni di speranza e di fedeltà profonda verso valori e ideali, con l’obiettivo sempre costante di commuo-vere e smuocommuo-vere coscienze, di aiutare a cambiare una società in cui mai si è sentito totalmente a suo agio. Più di mezzo secolo di opere non solo teatrali, ma anche romanzi, poesie, saggi, che rispondono a una dichiarata finalità sociale in lotta per l’affermazione della libertà e il trionfo della giustizia.

“Porque si ha habido en la historia de la escena española reciente una voz rebelde, un personaje empecinado en presentar, representar y mostrar la locura, sinrazón e injusticia en la que a pesar de todos los cambios aparentes se ha instalado nuestra realidad social, esa es sin duda la del madrileño y vasco, o vasco y madrileño, Alfonso Sastre” [Sáez, 2007:203].

1.2 La traiettoria teatrale

Alfonso Sastre è uno dei drammaturghi che meglio ha incarnato il processo di cambiamento che si è verificato nelle tendenze teatrali del XX secolo in Spagna. Attraverso l’evoluzione della sua produzione teatrale possiamo ben vedere che è stato uno dei più grandi portavoce delle inquietudini sociali e artistiche di quel periodo. Da una rivoluzione metafisica, quella dei suoi primi drammi, siamo passati a una rivoluzione concreta e persino politica.

Facendo riferimento a Notas para una sonata en mi (menor), racconto autobiografico che l’autore scrive nel 1988, andremo ad analizzare meglio quello che è stato il suo percorso in campo teatrale. Sastre, in tale scritto, organizza la sua esistenza dividendola in trancos, ossia “pezzi di vita” della durata di dieci anni ciascuno: “Como hay que hacer las cosas de alguna manera, pienso si no será bueno dividir esta vida mía en lo que don Diego de Torres Villarroel llamó, cuando él trató de contar la suya, «trozo» cacho o tranco” [Sastre, 1991]. Il terzo e il

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11 quarto tranco sono senza dubbio i periodi più interessanti, non solo da un punto di vista storico, ma anche per quanto riguarda il ritmo incalzante con cui scrive opere. Stiamo parlando del ventennio che inizia nel 1946, anno in cui appaiono le sue prime pièces in linea con un teatro sperimentale, di stampo esistenziale e metafisico. Una posizione simbolista, espressionista e surrealista è alla base di queste prime opere che sono Cargamento de sueños e Uranio 235. Si tratta di testi che l’autore ha scritto a soli venti anni, quando la Seconda Guerra Mondiale era appena terminata, e sono l’espressione della sua situazione spirituale di allora, caratterizzata da un profondo senso di angoscia esistenziale. Farris Anderson definisce queste prime opere avan-guardiste dramas de frustración, in quanto presentano un mondo in cui l’azione umana non è possibile perché i personaggi sono imprigionati e soffocati dalle circostanze in cui si trovano. Entrambe le opere trattano il tema del dramma dell’uomo moderno, facilmente individuabile nel titolo della seconda di queste, Uranio 235. L’uranio è, infatti, l’elemento base della bomba atomica e può quindi diventare il simbolo dell’angoscia che domina questa epoca. Sono drammi carichi di tratti espressionistici e surrealisti, figure astratte, allegorie e simboli. In Uranio 235 la morte incombe su tutti i personaggi i quali, non a caso, hanno nomi comuni che rappresentano alcune tipologie umane: “la Anciana”, “el Joven”, “el Soldado” e via dicendo. “Cargamento de sueños è la prima vera opera drammatica di Sastre. […] Costituisce un elemento importante nella storia del teatro spagnolo, in quanto è la prima volta che vengono proposti al pubblico, abituato esclusivamente a commedie di evasione, i problemi esistenziali del grande teatro eu-ropeo” [Ruggeri Marchetti, 1975:42], afferma Magda Ruggeri Marchetti. Anche in quest’opera il tema principale è la morte, protagonista di tutta la produzione sastriana. D’altronde non pos-siamo dimenticare la terribile infanzia dell’autore, segnata dalla Guerra Civile. L’amara realtà del mondo circostante si scontra violentemente con i sogni dei protagonisti, producendo in essi un atteggiamento nichilista: “Era, en suma, un nihilismo ascético; mi sentimiento de la nada estaba apoyado en la conciencia de un ser ilusorio; resignación de la nada y esperanza del ser trascendente eran las claves de mi vacilante posición, [...]. «Debe haber una razón», decía al no advertir ninguna” [Sastre, 1964b:138]. La dialettica tra il terrore del nulla e la speranza dell’esi-stenza di un essere superiore è permanente; proprio per questo motivo, l’opera è stata spesso etichettata come la confessione di una crisi spirituale e religiosa.

In seguito a questo primo periodo immaturo, carico di preoccupazioni esistenziali e meta-fisiche, si apre una fase che lo stesso autore definisce regreso al realismo. Tuttavia, quello di Sastre non è un semplice realismo: si tratta, infatti, di un realismo profundizado che va oltre la tecnica realista a cui siamo abituati. Il realismo profundizado indaga, a livello individuale, le

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12 dimensioni tragiche dell’esistenza umana e allo stesso tempo, sul piano sociale, cerca di pro-muovere un cambiamento risvegliando la coscienza degli spettatori. Sono gli anni che vanno dal 1948 al 1953, gli anni in cui Sastre prende coscienza del fatto che il teatro è la rappresenta-zione della realtà e pertanto ha una forte influenza su di essa. Si rende conto che la sua respon-sabilità come uomo di teatro è grande e, da quel momento, il suo teatro diventa rivoluzionario. Prólogo patético, El cubo de la basura, Escuadra hacia la muerte, El pan de todos fanno tutte parte di questo periodo in cui il realismo viene usato come metodo per catturare il carattere tragico della società spagnola, anche se Escuadra hacia la muerte mantiene molti tratti della fase esistenzialista. In quest’ultimo dramma, infatti, i protagonisti sono combattuti tra lo scetti-cismo e la speranza. I soldati che ci presenta Sastre sono persone che nella loro vita hanno fallito per diverse ragioni: chi per egoismo, chi per mancanza di coraggio, chi per mancanza di umanità, e la loro punizione è quella di sottostare alla tirannia del Cabo Goban che li condurrà a una morte quasi certa. La ribellione dei soldati al giogo del tiranno, tema che interessa parti-colarmente Sastre, raggiunge qui il grado più alto di rappresentazione. Come già accennato, l’opera viene censurata dopo solo tre rappresentazioni, così come vengono proibite anche Prólogo patético e El pan de todos.

Nella sua classificazione, Farris Anderson definisce queste opere dramas de posibilidad perché i personaggi possono finalmente agire e cambiare le circostanze in cui si trovano. Le loro azioni, tuttavia, non sempre sono facili da compiere o definitive, e molto spesso portano a sofferenze ancora più grandi della situazione di partenza. L’ambientazione spazio-temporale è molto più chiara e riconoscibile rispetto ai drammi precedenti. Attraverso queste tragedie, che successivamente l’autore denominerà “pure” per distinguerle da quelle “complesse”, Sastre di-chiara guerra alla falsificazione, alla menzogna e all’occultamento della miseria spagnola. L’uomo non è più un essere astratto e atemporale, ma è profondamente radicato nella società in cui vive, vittima delle contraddizioni e della complessità della stessa. Entrando più nello speci-fico, Magda Ruggeri Marchetti suddivide tali opere in due fasi: la fase anarchico-nichilista pura, di cui fanno parte El cubo de la basura e Escuadra hacia la muerte, e la fase anarchico-nichilista di confronto con la prassi marxista, rappresentata da Prólogo patético e El pan de todos. Nei primi due drammi i protagonisti non tentano nemmeno di lottare per la salvezza, si rendono conto che la vita è una condanna dalla quale non si può sfuggire. Il pessimismo è assoluto, non c’è via di uscita. L’uomo è solo, disorientato, schiacciato dalla casualità del fato che non lascia via di scampo, non riesce a dare un senso alla sua vita, l’unica cosa che può fare è arrendersi al destino e aspettare di fare i conti con la morte. Nella seconda fase, invece, intravediamo una via di uscita nel marxismo. L’autore si chiede se attraverso una rivolta o una rivoluzione si possa

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13 raggiungere la salvezza. I protagonisti sono in preda ai dubbi, vorrebbero agire per cambiare il mondo ma sono incerti su come farlo, non sono affatto convinti che il terrorismo sia la soluzione più giusta. Sastre si rende conto che la rivoluzione porta solo dolore e sofferenze, ma è solo attraverso di essa che è possibile ripristinare un ordine sociale equo.

Ed ecco che si apre la fase successiva della sua produzione, in cui l’iniziativa individuale o di gruppo può portare alla rivolta contro le ingiustizie. Drammi come La mordaza, Tierra Roja, Guillermo Tell tiene los ojos tristes e Muerte en el barrio fanno parte di questa fase. “I drammi di questo periodo rivelano il conflitto di un uomo che anela ad un cambiamento sociale e per questo porta sulla scena una rivolta che non si ferma più allo stadio metafisico, ma lo supera in quanto denuncia l’ingiustizia ed il disordine della società in maniera sempre più diretta e se-vera” [Ruggeri Marchetti, 1975:73]. Sono opere che ci danno una chiara testimonianza della realtà sociale del periodo. Qui i personaggi hanno ancora la speranza della salvezza, non ci sono situazioni chiuse o senza via di uscita. La differenza tra questi due approcci è palese nelle sue opere più importanti: se in Escuadra hacia la muerte i soldati sono trascinati da un fato nefasto al quale non possono opporre alcuna resistenza, ne La mordaza la libertà trionfa sulla tirannia, donando forza e speranza ai protagonisti.

Contemporaneamente ai drammi di stampo sociale e rivoluzionario appena menzionati, l’autore scrive altre opere che sono state etichettate da Ruggeri Marchetti come “drammi dello pseudodisimpegno”, in quanto si concentrano su temi che da sempre hanno interessato l’autore ma che fino ad allora egli non aveva avuto la possibilità di sviluppare appieno. Ad esempio, La sangre de Dios approfondisce il tema della religione, El cuervo si concentra invece sulla super-stizione e sull’ignoto, Ana Kleiber sul tema dell’amore. A prima vista sono opere che evitano l’impegno sociale ma, in realtà, in alcuni passi troviamo ancora una volta la condanna del na-zismo, della guerra e della società capitalista.

Intorno agli anni Sessanta si ha un’ulteriore svolta nella sua traiettoria artistica: l’autore passa dalla tragedia pura alla cosiddetta tragedia compleja, attraverso l’inserimento di elementi della vita quotidiana che possano ridare luce e salvare la tragedia spagnola. Questo nuovo modo di concepire la tragedia nasce dalla consapevolezza che ormai la tragedia pura ha perso la sua efficacia nel mondo moderno. Eroi umani, deboli e irrisori attirano l’attenzione dello spettatore su quella che è la tragedia umana. Le opere che rientrano in questa categoria sono: La sangre y la ceniza, La taberna fantástica, El banquete, Crónicas romanas e El camarada oscuro. L’ori-ginalità sta nel dare voce, per la prima volta, agli eroi sconfitti, coloro che sono sempre stati al margine della società. L’autore non si prende gioco di loro, bensì ne esalta le gesta attraverso la

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14 demistificazione. Non si tratta solo di una svolta a livello ideologico, ma anche a livello for-male: sono tragedie caratterizzate da una lunghezza e una complessità che molto spesso ne rendono difficile la comprensione; il linguaggio è meno ricercato, in quanto si possono osser-vare espressioni colloquiali, volgari e gerghi di gruppi sociali specifici, con una buona dose di umorismo; a questo si aggiungono una molteplicità di scene, effetti sonori e una illuminazione di forte impatto emotivo. Con La sangre y la ceniza Sastre interrompe la tradizione del teatro storico convenzionale: non è un semplice sguardo al passato, ma un parallelo tra la situazione attuale di oppressione e la persecuzione subìta dagli intellettuali nel XVI secolo. Il protagonista dell’opera è, come già accennato nel paragrafo precedente, Miguel Servet Villanueva, medico perseguitato dall’Inquisizione cattolica. Zoppicante, impotente, distrutto dal dolore fisico, Sa-stre ci presenta un eroe che di eroe ha poco o nulla. Non si tratta, però, di una semplice biografia, dal momento che le sue vicende sono spezzate da squarci di modernità che rendono la storia più attuale che mai. Nel corso dell’opera possiamo trovare numerosi anacronismi come oggetti presi dall’attualità o termini che si possono facilmente collegare alla Spagna di Sastre. Il mito antico viene reso contemporaneo e la critica di Sastre è molto chiara: la persecuzione del pen-siero nel XVI secolo non è molto lontana dall’oppressione delle dittature nazi-fasciste.

Nonostante la sua indubbia preferenza per il genere tragico Sastre, in Notas para una sonata en mi (menor), precisa che scrivere tragedie non è un imperativo. In questo modo, l’autore si giustifica per il fatto che molte delle sue opere non possono essere considerate tali: “Yo nunca he afirmado que haya que hacer esto o lo otro, sino que […] me ha parecido conveniente que hubiera un teatro realista y un teatro trágico. Pero éste no es ni siquiera un programa rígido para mí: y no tengo ni he tenido jamás inconvenientes en realizar obras laterales a mis principales propósitos” [Sastre, 1991], afferma l’autore dopo essersi reso conto che ci sono molti temi in-teressanti da trattare nonostante non siano specificatamente tragici. Ad esempio, Los últimos días de Emmanuel Kant contados por E.T.A. Hoffmann e Revelaciones inesperadas sobre Moi-sés a propósito de algunos aspectos de su vida privada non sono vere e proprie tragedie, anche se trattano di morte e disastri, poiché non tutte le opere che hanno come tema la sofferenza o la disgrazia possono essere considerate tragedie. Stando alle considerazioni dell’autore, affinché una tragedia possa essere considerata tale devono essere presenti i seguenti presupposti: una base documentaria, una situazione dolorosa, una possibilità di scampo che può essere raggiunta solo attraverso un cambiamento sociale, un eroe tragico che deve essere il più normale e umano possibile [Ruggeri Marchetti, 1975:248]. È qui che Sastre “aggiorna” la poetica aristotelica in-tegrandola con una dimensione apertamente sociale. La tragedia è valida in quanto mimesi della

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15 realtà e in quanto capace di avere ripercussioni su di essa; l’autore di tragedie assume, in questo modo, il ruolo di testimone della società.

“Se propugna la responsabilidad social del artista. Se preconiza una determinada utilidad del arte. Se empieza a creer en un porvenir que tendrá que ser construido entre todos. Se pide al artista – y el artista acepta con entusiasmo - que sea algo más que un decorador del mundo; que trabaje, desde su dominio, por el futuro de todos” [Sastre, 1965:35].

1.2.1 Il distanziamento dal pubblico

“Creemos sinceramente que esa revolución que proclama Alfonso Sastre no es tanto la que tienen que realizar sus héroes como la que él desearía establecer en la mente y en el sentimiento de su espectador. Esto está claro. Hay algo en todo este escenario que pide a gritos la necesidad de un cambio social” [Pérez Minik, 1964:36].

Il caso di Alfonso Sastre è uno dei paradossi più interessanti nella storia del teatro spagnolo del XX secolo. Dopo l’irruzione sulle scene con Escuadra hacia la muerte nel 1953, che lo ha reso noto agli occhi della società spagnola come un grande drammaturgo, la sua presenza nei circuiti professionali è diminuita sempre di più. Che il suo sia stato un teatro rivoluzionario e sociale nessuno lo ha mai messo in dubbio, e questo ha fatto sì che, paradossalmente, il suo nome abbia avuto una maggiore risonanza all’estero che nella sua patria. La profonda necessità di un cambiamento sociale, la consapevolezza che l’uomo ha il dovere di esporsi e prendersi le sue responsabilità, l’azione diretta, il rifiuto delle maschere tradizionali sono solo alcuni degli elementi ricorrenti del teatro del nostro drammaturgo. Sastre si è opposto alle istituzioni teatrali e sociali con una tenacia mai vista prima, attraverso un teatro a volto scoperto e autentico che desse un messaggio chiaro e una testimonianza diretta. In un contesto in cui dominano gli inte-ressi privati e le ideologie di partito, l’intellettuale che mette in discussione le fondamenta della società con la forza della ragione non è ben visto, ed è molto più semplice emarginarlo piuttosto che prendersi la responsabilità di riflettere sulle questioni che il suo teatro ci pone davanti. La società odierna accetta solo l’intellettuale sottomesso e addomesticato, che con le sue idee ap-provi e giustifichi le azioni della classe dirigente [Ascunce, 2007:7]. Sastre, tuttavia, non si è mai voluto piegare a questa legge e il suo atteggiamento ribelle ha avuto come conseguenza concreta la sua totale assenza sullo scenario spagnolo del periodo, a partire dal 1961. Per lui

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16 riuscire a rappresentare un’opera significava scrivere in un modo totalmente inaccettabile, per-tanto ha preferito ritirarsi piuttosto che scendere a compromessi [Farris, 1975:9].

Quando, nel 1953, è stata rappresentata per la prima volta Escuadra hacia la muerte nel Teatro «María Guerrero» di Madrid, il pubblico ha assistito a uno spettacolo che presentava non poche novità. E questo perché nessuno, dopo la fine della guerra, aveva osato portare in scena un conflitto bellico che fosse anche, e soprattutto, sociale. José María De Quinto, al quale Sastre fa leggere l’opera prima di essere rappresentata, ne rimane talmente impressionato che da quel momento non fa altro che parlare di questo dramma. È grazie a lui se ne viene a conoscenza anche Gustavo Pérez Puig, il regista che poco dopo la porterà sulla scena. De Quinto, riguardo a Escuadra hacia la muerte, ha affermato:

“Por vez primera [...] pudimos ver hasta qué punto desde un escenario era posible hacer algo importante y hermoso. No hay que olvidar el contexto de aquellas fechas, la precariedad en que se desenvolvía nuestra escena, y no hay que olvidar tampoco que Escuadra hacia la muerte era, sin duda, el primer grito existencial y profundo del teatro español de posguerra” [De Quinto, 1964:52]. Escuadra hacia la muerte è un dramma carico di tensione, ambivalente, persino contrad-dittorio, che non ha precedenti nel teatro spagnolo. La realtà in cui ci fa immergere Sastre non è né storica né psicologica, è bensì una realtà ontologica che non si smette mai di conoscere. I suoi drammi non portano mai a una soluzione concreta e totale poiché nemmeno l’autore stesso riesce a venirne a capo. È questa la condizione essenziale di un drammaturgo autentico, di un drammaturgo che non è solo uno strumento di propaganda del potere. Sastre si rende conto del degrado e delle ingiustizie della nostra società e sente la necessità impellente di affrontare la realtà, raccontandola e denunciandola. Ma non appena ci prova si rende altrettanto conto della complessità e delle contraddizioni che vi sono nascoste, tanto da non arrivare mai a una solu-zione o a una risposta definitiva. Lo spettatore che assiste ai suoi drammi si sente spaesato, ha bisogno di risposte che il teatro di Sastre non può fornire. Dalla firma del manifesto del T.A.S. e per tutta la sua vita, la sua opera è stata coerente e diretta a un unico obiettivo: agitare le coscienze. È questo il significato del suo teatro di agitazione sociale; se con Arte Nuevo lo scopo era quello di rinnovare il teatro, adesso è quello di agitare e rivoluzionare la vita degli spagnoli [De Quinto, 1964:49-50].

Sastre era perfettamente cosciente della difficoltà che comporta l’essere un autore anticon-formista, ed egli stesso vi alluse in uno scritto intitolato “23 difficoltà per essere un autore

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17 teatrale anticonformista” che fu respinto dal direttore di un quotidiano madrileno perché consi-derato troppo compromettente. In questo testo, Sastre ci spiega la dinamica che si produce quando un autore anticonformista tenta di portare sulle scene un’opera. Parafrasando le sue parole, la vita di un autore anticonformista in Spagna è difficile, in primo luogo, per l’esistenza della censura preventiva che di solito proibisce le opere di questo tipo e, in secondo luogo, perché un’opera anticonformista molto spesso non piace agli impresari, né alla critica, né al pubblico che la trova troppo impegnativa [Faticoni, 1972:13-14].

Nel teatro di Sastre la verità e la realtà amara si impongono allo spettatore in tutta la loro drammaticità. Le sue opere cercano di risvegliare la coscienza dello spettatore attraverso inter-rogativi sull’esistenza e stimoli che vanno oltre un semplice palcoscenico. Se davanti a un’opera di Galdós o di García Lorca lo spettatore può ancora credere in qualcosa e sentirsi sicuro, da-vanti a una di Sastre perde ogni sicurezza perché c’è sempre un finale inaspettato. Non si può dire che sia un finale spiacevole o doloroso, è semplicemente inaspettato, e pertanto esige dallo spettatore un cambiamento di prospettiva nella considerazione della realtà. “Mucho más difícil que conseguir una acción liberadora política, social o de costumbres con un drama, es sacar al público de sus casillas, de su realidad prefijada, de sus hábitos adocenados, poniéndose a contrapelo de sus gustos” [Pérez Minik, 1964:22], e forse è proprio questo ciò che ha sancito per sempre il suo distanziamento dal pubblico.

1.3 Un impegno che ha un prezzo

Dal 1939 al 1975, anno in cui la Spagna riuscì finalmente a liberarsi dal giogo della dittatura franchista, tutte le compagnie teatrali si videro costrette a sottoporre al giudizio della censura qualsiasi opera volessero rappresentare. Ad eccezione del cinema, il teatro è stato sicuramente l’attività artistica più perseguitata dai censori, e il motivo è ben chiaro. Il fatto che il teatro si dirigesse a un pubblico ampio aumentava, secondo i censori, il suo potenziale sovversivo e rivoluzionario. Durante la dittatura, infatti, il teatro e la letteratura in generale erano visti come potenziali strumenti di propaganda politica; questo spiega non solo l’esistenza della censura stessa ma anche la severità con cui questa fu applicata per decenni.

L’attività della censura ebbe ripercussioni su moltissimi aspetti dell’opera teatrale: disturbò la comunicazione tra spettatore e drammaturgo, dal momento che le uniche pièces che ottene-vano il permesso erano mutilate o includeottene-vano aggiunte che veniottene-vano imposte dalla censura;

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18 l’autore era costretto a introdurre metafore o allegorie in modo da non essere censurato e in modo da far capire allo spettatore il vero senso dell’opera, spesso non riuscendo nell’intento come nel caso de La mordaza di Sastre; limitò la distribuzione di moltissime opere, perché spesso fornì l’autorizzazione solo per la rappresentazione in teatri universitari e da camera, e solo per periodi ristretti. Il regime dittatoriale, oltre a proibire e modificare le opere, utilizzò questo ulteriore metodo per ridurre l’impatto che il teatro poteva avere sul pubblico: limitare il numero di spettatori e di rappresentazioni di una certa opera. Le opere considerate pericolose venivano proibite nei circuiti professionali e commerciali e venivano autorizzate nei teatri uni-versitari e da camera, ovviamente in spazi ristretti e con un numero di spettatori limitato. L’autorizzazione che veniva concessa a tali opere era usata dal regime come propaganda per mostrare che la libertà di espressione esisteva ancora: “Tanto los Teatros de Cámara como los TEUS no eran sino un modo de ejercer un control sobre el teatro «considerado peligroso» cir-cunscribiéndolo a ámbitos especializados y minoritarios e impidiéndole asumir la función social con que había sido concebido en su origen” [Muñoz Cáliz, 2005:59]. D’altronde, sappiamo benissimo come funzionavano le dittature: “Censura e propaganda, facce distinte dello stesso meccanismo, cercarono da un lato di impedire la sovversione e il dissenso politico, dall’altro di strutturare il consenso attorno al regime” [Lodi, 2006:85].

La scenografia, gli indumenti, i nomi dei personaggi, la musica: tutto doveva rispettare i limiti del concesso, pena l’eliminazione di frasi o addirittura di scene intere, o la censura dell’opera stessa. Tutto ciò con l’obiettivo di fornire allo spettatore una sola lettura possibile dell’opera, che doveva essere assolutamente priva di ogni connotazione politica o di riferimento alla situazione spagnola. Il risultato fu che moltissimi drammaturghi preferirono autolimitare le proprie opere pur di non incorrere nel giudizio negativo della censura [Muñoz Cáliz, 2014:1-10].

“Que la acción ocurriera en un país extranjero, a ser posible inexistente, o en un tiempo pasado, mejor remoto —qué cómodos los clásicos—; que los personajes se descontextualizaran hasta llegar a la entelequia (Él, Ella, Hombre, Mujer, El Uno, El Otro y otras muchas esquematizaciones), no fue siempre iniciativa de los autores, sino el marco de lo posible que impuso la dictadura, en el que todos, en distinta medida y con distinto entusiasmo, tuvimos que desenvolvernos” [Campos García, 2004:3].

Ecco perché il teatro che troviamo nell’immediato dopoguerra non è altro che un teatro di di-strazione e intrattenimento allo stesso modo del periodo prebellico, con l’intento ben preciso di

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19 distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi concreti della politica e della società. Le com-medie di Jacinto Benavente, i testi innocui di Eduardo Marquina, di Carlos Arniches o dei fra-telli Quintero ne sono un esempio più che chiaro. Sastre, al riguardo, affermava:

“Durante la guerra civil española es curioso comprobar que muchos actores hicieran su teatro como si no se hubieran enterado de que había guerra, ¡y los fascistas estaban ya a dos kilómetros de los teatros en los que trabajaban en Madrid! Pero ellos hacían sus sainetes banales y sus astracanes de antes de la guerra [...]. ¿Eso es todo lo que el pueblo podía esperar de sus gentes de teatro? Afortunadamente hubo intelectuales y poetas que fueron capaces de elevar la temperatura del teatro español durante aquellos momentos trágicos” [Sastre, 2004a:16].

Intorno agli anni Cinquanta, infatti, alla corrente del teatro di evasione e di intrattenimento si contrappose il teatro realista, il cui proposito era quello di rappresentare, con un linguaggio chiaro e diretto, la realtà delle cose. I pionieri di questo teatro furono senza dubbio Alfonso Sastre e Antonio Buero Vallejo: “Frente a la comedia amable, intrascendente y evasiva, los dramaturgos del realismo social, lejos de concebir el arte como mera distracción, van a utilizarlo como vehículo de denuncia, en un intento de dar testimonio de las realidades más sórdidas y de dar voz a los perdedores del sistema” [Muñoz Cáliz, 2005:62]. Paradossalmente, le prime opere di Buero Vallejo che inauguravano la corrente del realismo sociale passarono inosservate. È interessante soprattutto il caso di Historia de una escalera, rappresentata nel Teatro Español nel 1949, considerata dai censori un’opera di grande valore senza intenti morali o politici.6

Nei confronti di Sastre, al contrario, la censura adottò un atteggiamento nettamente diverso. Il suo impegno sociale fu la causa di costanti controversie con il regime e con le istituzioni teatrali, e le sue opere furono sistematicamente censurate o ridotte al silenzio. Dell’enorme produzione teatrale del drammaturgo, i testi approvati dalla censura sono stati relativamente pochi. Le prime opere autorizzate sono state quelle portate in scena dalla compagnia Arte Nuevo: Ha sonado la muerte, Uranio 235 e Cargamento de sueños. Ma a partire dal 1953, con la proibizione di Escuadra hacia la muerte dopo la terza rappresentazione, inizia una fase lunga e complicata. Nel 1954 viene rappresentata La mordaza che, paradossalmente, non ha problemi con la censura. Dopodiché vengono censurate El pan de todos, Prólogo patético, Guillermo Tell tiene los ojos tristes, Muerte en el barrio e Tierra roja, anche se alcune di queste verranno autorizzate posteriormente. Ana Kleiber viene autorizzata solo nei teatri da camera. Per questo

6 Revista El Cultural [30 marzo 2006], consultabile su: https://www.elcultural.com/revista/teatro/Censurado-por-el-fran-quismo/16904.

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20 motivo Sastre, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, prende parte a molte iniziative contro la cen-sura franchista. Ne è un esempio il documento firmato nel 1955 a Santander in cui si chiede l’eliminazione della censura preventiva: “Consideramos que la actual censura previa para el teatro es totalmente inaceptable por: su falta de criterios objetivos y declarados y la falta absoluta de autoridad pública del organismo censor, cuyos dictámenes son frecuentemente rectificados por la presión de instituciones – y hasta personas – ajenas a este cometido” [Sastre et al., 1964:103]. Nel 1960 firma, insieme ad altri 226 intellettuali, un manifesto contro la cen-sura, oltre a mandare alcune lettere di protesta direttamente ai censori stessi. Nel documento sul teatro spagnolo, firmato dal G.T.R. nel 1961 a Madrid, Sastre e i suoi compagni criticano la censura senza mezzi termini, affermando che si tratti di un’attività completamente arbitraria, irregolare, irresponsabile, che non ha nessuna autorità per giudicare le opere teatrali: “La exi-stencia de la censura de teatro […], es una vergüenza pública y privada. Públicamente (objetivamente) lo es porque tiene el carácter de una calamidad natural. Privadamente (subjetivamente), porque es el signo de nuestro conformismo y de nuestra propia corrupción. Es urgente la absoluta liquidación” [Sastre – De Quinto, 1964:119].

Nell’introduzione a La mordaza, Sastre afferma di essersi reso conto molto presto dell’abisso in cui era piombata la Spagna dopo la fine della Guerra Civile. La libertà di espres-sione era ormai un sogno lontano. Il primo incontro, o meglio scontro, di Sastre con la censura avviene negli anni del T.A.S. quando gli vengono impedite le prime rappresentazioni. Dopo l’esperienza del T.A.S. il drammaturgo scrive alcune opere con le quali tenta di entrare nel cir-cuito professionale teatrale, ma tutti e tre i drammi vengono proibiti: Prólogo patético, Escua-dra hacia la muerte e El pan de todos. È in quel momento che l’autore decide di fare una critica alla censura, sotto le parvenze di un dramma rurale: La mordaza. Il tema dell’opera ruota attorno a un omicidio avvenuto nel sud della Francia, del quale si cerca di scoprire il colpevole. I so-spetti si concentrano sul patriarca della famiglia coinvolta, Isaías Krappo, che impone a tutti i membri della sua famiglia un silenzio asfissiante per nascondere la sua colpevolezza. La situa-zione di silenzio imposto che vive la famiglia era, ovviamente, l’allegoria della censura fran-chista. Anche solo il titolo, La mordaza, che significa “il bavaglio”, avrebbe dovuto destare qualche sospetto circa la sua critica implicita. Eppure, nessuno al tempo sembrò capire l’accusa alla censura che Sastre stava nascondendo dietro l’apparenza di un dramma rurale: “Por fin diré que este mensaje no fue entendido por la censura, que autorizó la obra en su totalidad, pero tampoco fue entendido por el público, que la acogió como un buen melodrama rural-policíaco. Es por lo que decidí ser más directo en mis superobjetivos a partir de entonces” [Sastre, 2004:27-28]. In realtà, al contrario di quanto appena affermato dal drammaturgo, non si può

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21 negare che la censura abbia influito sul suo modo di scrivere, come egli stesso ha ammesso più avanti. Molte delle sue opere, infatti, sono ambientate in un paese straniero perché l’autore non aveva osato ambientarle in Spagna. Ad esempio, l’azione di En la red si svolge in un luogo immaginario in Nord Africa, Guillermo Tell tiene los ojos tristes nei cantoni svizzeri, La daza in Francia, e così anche La sangre y la ceniza e Asalto Nocturno. Ma tornando a La mor-daza, c’è stato un unico critico che nella sua recensione ha fatto riferimento al probabile doppio intento dell’opera:

“En cuanto a sus posibles «segundas intenciones», el único crítico que hizo comentarios al respecto fue Nicolás González Ruiz, aunque, lejos de profundizar en ellas, escribiría: «Nosotros preferimos no ahondar en este punto, ni siquiera al calor de los aplausos que sonaron en el cuadro sexto. [...] Nos ponemos tan contentos cuando en el teatro se ve una posibilidad de algo de valor cierto y positivo, que no queremos entrar en segundas intenciones, ajenas a nuestra función»”[Muñoz Cáliz, 2008:167].

A partire dal 1967, con la sua settima e ultima rappresentazione di Oficio de tinieblas, il teatro di Sastre è stato vittima di un prolungato blocco socioculturale. Il drammaturgo, da allora, è stato emarginato sempre di più dalla società, prima forzatamente e poi volontariamente con l’esilio nei Paesi Baschi. Nonostante le difficoltà a entrare in relazione con il pubblico e con la società, Sastre ha continuato a scrivere assiduamente. Tuttavia, nemmeno la Transizione dalla dittatura alla democrazia è riuscita a dare quella rivincita tanto sperata al suo teatro ridotto al silenzio. La censura continuò infatti a emettere proibizioni anche durante i primi anni della Transizione, fino a quando, il 4 marzo 1978, entrò in vigore un decreto sulla libertà di espres-sione nel teatro spagnolo che pose finalmente fine a quattro decenni di silenzio imposto.

È interessante notare che, nei primi anni di attività della censura, vennero proibite anche moltissime opere di affiliazione franchista come quelle di Gonzalo Torrente Ballester, uno dei maggiori esponenti del teatro falangista. Questo si spiega con la presenza, all’interno della cen-sura, di ideologie molto spesso contrastanti, soprattutto in materia di teatro. Ma non solo; spesso, infatti, l’arbitrarietà è proprio uno dei punti di forza di un sistema di potere, il quale si permette di agire in maniera totalmente ingiustificata per dimostrare la sua autorità. Anche per questo Sastre, nella polemica sul posibilismo teatral con Buero Vallejo, affermava che nel creare opere teatrali non si dovesse tenere in conto l’esistenza della censura in quanto totalmente imprevedibile.

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22 Negli anni, l’immagine della censura durante il franchismo è stata condizionata da un lato da chi la subì e dall’altro da chi la impose, rendendo difficile un’inquadratura oggettiva del fenomeno. Ciò che è certo, tuttavia, è che il panorama teatrale spagnolo ne è uscito profonda-mente cambiato e, azzarderei, danneggiato.

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CAPITOLO 2

GUILLERMO TELL TIENE LOS OJOS TRISTES

2.1 L’opera

“Escribí esta obra, Guillermo Tell tiene los ojos tristes, en 1955, año que fue para mí fecundo en escrituras y expectativas para el futuro, cuando un director de un teatro oficial me encargó una versión del Guillermo Tell de Schiller [...] y se me ocurrió la idea de seguir la otra lógica, según la cual el héroe no tiene un pulso de acero y mata a su hijo” [Sastre,1955:4].

Con queste parole Alfonso Sastre, nel 1989 a Hondarribia, descriveva la genesi del suo dramma. Scritta nell’autunno del 1955 su richiesta di José Tamayo, direttore del Teatro Español, l’opera è stata pubblicata nel 1963, ma in Spagna non ha mai potuto essere rappresentata se non nei teatri da camera. Modificando il mito dell’arciere infallibile, Sastre rende Guglielmo Tell un uomo che può sbagliare [Di Pastena, 2013:20]. L’autore era convinto che solo attraverso tali modifiche al mito ormai consolidato si sarebbe potuta ottenere una vera tragedia: la morte del figlio per mano del padre poteva provocare la catarsi nello spettatore. La catarsi tragica, afferma Sastre nel suo saggio Drama y Sociedad, va ricercata nell’effetto che la tragedia produce sulla realtà: in modo immediato sullo spettatore e in modo mediato sulla società [Sastre, 1956:99]. Secondo questo concetto, gli eventi dolorosi e tragici a cui lo spettatore assiste avrebbero una funzione purificatrice a livello individuale, che in seguito si ripercuoterebbe sulla collettività. Ed è proprio questa l’intenzione del drammaturgo: riuscire ad arrivare alla coscienza degli spet-tatori in modo da cambiare la società. “El autor teatral siempre tiene una intención social, aun-que sólo sea la de aun-que el público ría y olvide. [...] El drama es la forma de la denuncia por la que el dramaturgo hace patente algo, o sea: da testimonio de la realidad” [Sastre, 1956:132], afferma Sastre. Attraverso la narrazione delle vicende dell’eroe svizzero, l’autore realizza un’opera di protesta contro la situazione opprimente che stava vivendo la Spagna sotto la ditta-tura franchista. La leggenda dell’indipendenza elvetica viene usata come pretesto per un intento ben preciso: denunciare la realtà spagnola.

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24 Nella versione sastriana, Guglielmo Tell si fa portavoce di un sentimento che non appar-tiene solo a un personaggio specifico. Come afferma l’autore nella nota introduttiva, “Muchos hombres y mujeres pueden seguramente reconocer en tal personaje a otras personas conocidas y admirables y también algo o mucho de los propios sentimientos ante las situaciones de opresión de los pueblos y de las gentes” [Sastre, 1955:5]: è un’opera in cui si può immedesimare qualsiasi persona abbia subìto un periodo di dittatura o di repressione.

Guglielmo Tell, eroe nazionale svizzero e protagonista dell’opera, è un personaggio che non è nuovo sulle scene: il primo a cimentarsi nella rielaborazione di questa leggenda è stato lo scrittore tedesco Johann Christoph Friedrich Schiller che, nel 1804, scrisse il dramma intitolato Wilhelm Tell. Questo nobile dramma della libertà fu rappresentato a Weimar il 17 maggio 1804 e pubblicato nell’ottobre dello stesso anno. Nonostante Schiller non fosse mai stato in Svizzera, riuscì a descrivere l’ambiente e i paesaggi alpini con notevole maestria, grazie all’ausilio dei libri e dei racconti di viaggiatori e amici, tra i quali il grande scrittore Johann Wolfgang von Goethe. Inizialmente, l’idea di scrivere un dramma sul personaggio mitico di Guglielmo Tell fu precisamente di Goethe; egli, dopo aver messo il progetto da parte, ne parlò con Schiller il quale, entusiasta, cominciò subito a documentarsi sulle cronache e sulla storia della Svizzera [Scalero, 1957:5-8]. Schiller, nonostante la rappresentazione delle aspre lotte politiche, è riu-scito a dare un tono idillico e un’atmosfera d’incanto alla sua opera. Dalla sua tragedia è deri-vata l’opera lirica del compositore italiano Gioacchino Rossini, rappresentata all’Opéra di Pa-rigi nel 1826.

Nella nota che precede la sua opera, Sastre afferma che tutti coloro che hanno rappresentato la leggenda di Guglielmo Tell prima di lui non sono riusciti a cogliere il vero significato tragico del mito [Ruiz Ramón, 2005:401-402]. Il suo Guglielmo Tell, che a differenza di quello degli altri ha gli occhi tristi, suppone una alterazione netta del mito antico: non è più il protagonista di un’impresa epica ma è la principale vittima di una tragedia. Non si tratta più dell’eroe corag-gioso che salva il popolo svizzero dalla tirannia, ma di un uomo semplice e modesto che sì, salva il popolo dalla tirannia, ma solo perché è costretto dalle circostanze. In questo modo, la tragedia che lo coinvolge ha un impatto maggiore sullo spettatore e trasforma il protagonista in una specie di redentore che attraverso il sacrificio personale porta alla salvezza del suo popolo. È interessante il fatto che Guglielmo Tell stesso sia cosciente del personaggio mitico e lo di-strugga consapevolmente [Nonoyama, 1974:77-83]. È come se si guardasse con gli occhi dello spettatore e si rendesse conto che il suo profilo non corrisponde affatto a quello che comune-mente ci si aspetta di vedere da un personaggio leggendario: “No tengo raya en el pantalón. Podía haberle dicho a mamá que me lo planchara. Tengo los zapatos sucios. Soy un personaje

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25 desagradable. Todo lo contrario del héroe que esta gente quisiera ver” [Sastre, 1955:80], afferma Tell poco prima di essere costretto a colpire la mela sulla testa del figlio.

È importante precisare il sottotitolo dell’opera, “drama en siete cuadros”, dato che Sastre sente la necessità di puntualizzare, nel suo saggio teorico Drama y Sociedad, il significato del termine «dramma». Nel dizionario del teatro di Patrice Pavis, troviamo la seguente definizione: “Il greco δϱαμα (drama, «azione») ha originato in numerose lingue europee un termine indi-cante l’opera teatrale o drammatica in generale. […] Nel Settecento, sotto l’impulso di Diderot, il dramma è un «genere serio», intermedio tra la commedia e la tragedia” [Pavis, 1998:139]. La definizione prosegue andando ad approfondire due tipi di drammi: quello romantico e quello poetico. Sul dizionario della Real Academia Española, a questa voce troviamo tre accezioni principali: la prima è “obra literaria escrita para ser representada”, in linea con la definizione di Pavis, ovvero un componimento letterario sia tragico sia comico, destinato alla rappresenta-zione; la seconda è “obra de teatro o de cine en que prevalecen acciones y situaciones tensas y pasiones conflictivas”, cioè un componimento incentrato su azioni e vicende dolorose. Da que-sta seconda accezione si è sviluppato il significato figurato ormai entrato nell’uso comune: “su-ceso infortunado de la vida real, capaz de conmover vivamente.”7 L’uso comune ha quindi, secondo Sastre, trasformato il termine «dramma» in un termine equivoco. Al rispetto, Sastre ci tiene a precisare che, benché il dizionario ammetta tutti e due i significati del termine, egli ritiene che sia lecito soltanto uno: “Un drama no es más que una situación susceptible de ser representada en un escenario, sea para provocar la risa o el horror y la piedad o todas estas pasiones simultánea o sucesivamente” [Sastre, 1956:17-19]. Dire che un’opera è un dramma non ci dice assolutamente niente sulla passione che provocherà, dal momento che esistono drammi comici, drammi tragici e drammi tragicomici, ma ci dice semplicemente che si tratta di un’opera teatrale concepita per essere rappresentata. Nel caso di Guillermo Tell tiene los ojos tristes, la parola «dramma» che lo designa potrebbe benissimo funzionare in entrambe le acce-zioni, dato che non si tratta solo di un’opera pensata per la rappresentazione, ma ha anche un finale drammatico che provoca angoscia nello spettatore.

“Guillermo Tell es uno de los más bellos dramas que se han escrito en España en estos años. Así lo han reconocido muchos críticos nacionales y extranjeros. Por su tema lleno de fantasía, la humanidad de sus héroes, la belleza escénica, el vigor directo de su diálogo, el buen empaste de las situaciones, el sugerente elemento coral, la fuerza política de su voz grave” [Pérez Minik,1964:26].

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