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Studio comparativo sull'intervento di mastectomia nella cagna con e senza l'utilizzo di tecnologia Harmonic®, tramite valutazione di alcuni parametri dello stress ossidativo

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

STUDIO COMPARATIVO SULL’INTERVENTO DI

MASTECTOMIA NELLA CAGNA CON E SENZA

L’UTILIZZO DI TECNOLOGIA HARMONIC

®

, TRAMITE

VALUTAZIONE DI ALCUNI PARAMETRI DELLO STRESS

OSSIDATIVO

Candidata: Camilla Migliolo

Relatore: Prof. Iacopo

Vannozzi

Correlatrice: Dott.ssa Anna

Pasquini

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Alla Mirtilla, uno dei motivi che mi hanno spinta a intraprendere questo percorso

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INDICE

RIASSUNTO ABSTRACT

INTRODUZIONE ... 1

PARTE GENERALE ... 2

CAPITOLO 1 – ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA MAMMELLA DELLA CAGNA ... 2

1.1 Sviluppo embrionale ... 2

1.2 Numero e topografia ... 3

1.3 Struttura ... 3

1.4 Vascolarizzazione e innervazione delle mammelle ... 4

1.4.1 Arterie ... 5

1.4.2 Vene ... 5

1.4.3 Linfatici ... 5

1.4.4 Nervi ... 6

1.5 Fisiologia della mammella ... 6

CAPITOLO 2 – IL TUMORE MAMMARIO NELLA CAGNA ... 12

2.1 Generalità e incidenza ... 12 2.2 Fattori di rischio ... 13 2.2.1 Sesso ... 13 2.2.2 Età ... 13 2.2.3 Razza ... 13 2.2.4 Stagione ... 14 2.2.5 Ormoni ... 14 2.2.6 Gravidanza e Pseudogravidanza ... 15

(4)

2.3 Presentazione clinico-patologica ... 17

2.4 Diagnosi ... 18

2.4.1 Visita clinica ... 19

2.4.2 Citologia ... 19

2.4.3 Diagnostica per immagini ... 19

2.4.4 Biopsia ... 20 2.5 Classificazione ... 20 2.5.1 Istotipo ... 20 2.5.2 Grading ... 23 2.5.3 Stadiazione ... 24 2.6 Comportamento biologico ... 28 2.6.1 Cancerogenesi ... 28 2.6.2 Crescita tumorale ... 28 2.6.3 Malignità ... 29

2.6.4 Diffusione metastatica e invasività ... 29

2.7 Terapia ... 32

2.7.1 Chemioterapia ... 32

2.7.2 Terapia ormonale ... 33

2.7.3 Radioterapia ... 34

2.7.4 Antinfiammatori non steroidei ... 34

2.7.5 Dieta ... 34

2.8 Prognosi ... 35

CAPITOLO 3 - L’INTERVENTO DI MASTECTOMIA NELLA CAGNA ... 37

3.1 Tipi di procedure chirurgiche ... 38

3.2 Tecnica chirurgica ... 39

(5)

CAPITOLO 4 - TECNOLOGIE AVANZATE ... 43

4.1 Emostasi e Dieresi ... 43

4.1.1 Panorama sulle tecniche di emostasi ... 43

4.1.2 Panorama sulle tecniche di dieresi ... 45

4.2 Confronto tra le tecniche e lo strumentario per emostasi e dieresi ... 46

4.2.1 L’elettrochirurgia ... 47

4.2.2 La chirurgia laser ... 49

4.2.3 L’ultrasuonochirurgia ... 50

4.3 Danno termico ... 54

4.4 HARMONIC FOCUS® ... 56

4.4.1 ETHICON ENDO-SURGERY GENERATOR G11 ... 57

4.4.2 Procedimento per l’utilizzo ... 58

4.4.3 Utilizzi in campo chirurgico ... 58

4.4.4 Vantaggi ... 60

CAPITOLO 5 - LO STRESS OSSIDATIVO ... 63

5.1 Radicali liberi ... 63

5.2 Specie reattive dell’ossigeno ... 66

5.3 Antiossidanti ... 68

5.4 Stress ossidativo associato alle neoplasie ... 71

5.5 Stress ossidativo associato alla chirurgia ... 72

5.6 Valutazione dei livelli di stress ossidativo ... 74

5.6.1 Biomarcatori per valutare lo stress ossidativo ... 74

5.6.2 Test di laboratorio per valutare lo stress ossidativo ... 74

PARTE SPERIMENTALE ... 76

CAPITOLO 6 – SCOPO DEL LAVORO ... 76

(6)

7.1 Selezione dei pazienti inclusi nello studio ... 77

7.2 Raccolta dei campioni ... 78

7.3 Tecnica chirurgica ... 78

7.4 Protocollo anestesiologico ... 80

7.5 Valutazione dei parametri chirurgici ... 81

7.6 Esami di laboratorio ... 81

7.6.1 d-ROMs test ... 82

7.6.2 BAP test ... 83

7.6.3 OSI ... 84

7.6.4 Interpretazione dei risultati e affidabilità dei test ... 84

7.6.5 Spettrofotometro Slim... 84

7.7 Analisi statistica ... 86

CAPITOLO 8 – RISULTATI ... 87

8.1 Risultati dei parametri chirurgici ... 87

8.2 Risultati dei parametri ossidativi ... 87

CAPITOLO 9 – DISCUSSIONE ... 91

CONCLUSIONI ... 101

BIBLIOGRAFIA ... 103

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RIASSUNTO

Parole chiave: mastectomia, neoplasia mammaria, cagna, Harmonic Focus®, stress ossidativo, BAP test, d-ROMs test.

Obiettivo: valutazione comparativa dell’insulto chirurgico con l’utilizzo della tecnologia Harmonic® in corso di mastectomia della cagna rispetto alla tecnica classica, prendendo in considerazione la risposta dello stress ossidativo alle due diverse procedure.

Materiali e metodi: sono state reclutate per lo studio undici cagne sottoposte all’intervento di mastectomia totale monolaterale, di cui tre hanno effettuato l’intervento su entrambe le file in momenti diversi. I soggetti sono stati divisi in due gruppi, in uno dei quali è stata utilizzata la pinza Harmonic Focus®. Per ogni paziente sono stati eseguiti 3 prelievi (da 3ml) di sangue venoso ai seguenti tempi: T0 = cane sveglio, pre-induzione; T1 = a fine chirurgia; T2 = un’ora dopo la fine della chirurgia. I campioni sono stati messi in provette da siero e centrifugati (4000 rpm per 3 minuti) e congelati. Infine, sono stati valutati alcuni parametri dello stress ossidativo, attraverso l’utilizzo del Biological Antioxidant Potential (BAP) test e del Reactive Oxygen Metabolities derivates (d-ROMs) test.

Risultati: è risultata una differenza statisticamente significativa (p<0,05) tra i valori di BAP riscontrati nel gruppo con la tecnica classica rispetto a quello nel quale è stata utilizzata la tecnologia Harmonic®, con valori di antiossidanti maggiori nel secondo gruppo. Non sono, invece, emerse differenze per i valori di BAP nei diversi tempi di prelievo e per i d-ROMs per nessuno dei fattori considerati, “tempo”, “tecnica” e “paziente”. La durata dell’intervento è stata mediamente minore nel gruppo con chirurgia a ultrasuoni, con una media di 30,7 minuti per la tecnica classica e 23,6 per la Focus®. Il fattore tempo chirurgico è risultato correlato in modo significativo (p<0,05) al valore di BAP.

Discussioni: i risultati appena descritti possono indicare un maggior consumo di antiossidanti causato dall’insulto chirurgico in corso di mastectomia con tecnica classica. Il maggior consumo, contrastando la formazione eccessiva di specie reattive dell’ossigeno, contribuisce a mantenere i valori di d-ROMs, e dunque di OSI, in un range ristretto nell’intervallo di tempo in esame. Il BAP, dimiuito significativamete all’aumentare del tempo di intervento, può far supporre che, indipendentemente dalla tecnica, la capacità

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antiossidante diminuisce all’aumentare della durata operatoria. Possiamo quindi ipotizzare che il tempo di intervento e la perdita ematica ridotti abbiano contribuito alla minor risposta ossidativa nei pazienti sottoposti a mastectomia con Harmonic®.

Conclusioni: in corso di tecnica classica si ha una diminuzione statisticamente maggiore del BAP che viene consumato a causa di una più cospicua produzione di radicali liberi, dovuti anche a tempi di intervento maggiori rispetto al gruppo sottoposto a mastectomia con utilizzo di tecnologia Harmonic®.

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ABSTRACT

Keywords: mastectomy, breast cancer, bitch, Harmonic Focus®, oxidative stress, Bap tests, d-ROMs test.

Objective: comparative evaluation of surgical insults using Harmonic® technology during mastectomy of the bitch compared to the classic technique, considering the oxidative stress responce to the two different procedures.

Materials and methods: we recruited for the study eleven bitches who underwent the surgery of monolateral mastectomy, and three of these performed on both files at different moments. These subjects were divided into two groups, one of which was used the Harmonic Focus®. For each patient we made 3 venous blood samples (3ml) at the following times: T0 = pre-induction; T1 = at the end of surgery; T2 = one hour after the end of surgery. The samples were placed in serum-tubes and centrifuged (4000 rpm for 3 minutes) and frozen. We, finally, evaluated some parameters of oxidative stress, through the use of BAP test and d-ROMs test.

Results: a statistically significant difference (p <0.05) was found between the BAP values in the classic technique compared to the one in which Harmonic® technology was used, with higher antioxidant values in the second group. There where no differences in the BAP values at the different times of blood samples and d-ROMs for any of the factors considered, “time”, “technique” and “patient”. The duration of the surgery was lower in the ultrasound group, with an average of 30,7 minutes for the classical technique and 23,6 for the Focus® system. The surgical time factor was significantly correlated (p <0.05) with the BAP value.

Discussions: the results just described may indicate a greater consumption of antioxidants caused by surgical insults during mastectomy with classic technique. Antioxidant capacity in serum of bitches in question has decreased statistically more by the use of classic technique. This higher consumption, by combating the excessive formation of oxygen-reactive species, helps maintain the values of d-ROMs, and therefore OSI, within a narrow range over the time period under consideration. BAP, significantly decreased with the increasing of the duration of surgery, can suggest that, regardless of technique, the

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antioxidant capacity decreases as the time of operation increases. Thus, we can hypothesize that the intervention time and reduced blood loss have contributed to the least oxidative response in patients undergoing mastectomy with Harmonic®.

Conclusions: in classical technique there is a statistically greater decrese in BAP which is consumed due to a more substantial free radical production due to longer surgery times than the group undergoing mastectomy using Harmonic® technology.

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1

INTRODUZIONE

La neoplasia mammaria è una patologia molto importante in medicina veterinaria, questo perché i tumori mammari rappresentano circa la metà di tutte le neoplasie dei cani di sesso femminile. Riguardo la terapia dei tumori mammari mancano referti sull’efficacia delle metodiche di trattamento diverse dalla chirurgia, e nell’escissione chirurgica ritroviamo il trattamento di elezione per tutti i tumori della mammella, eccetto il carcinoma infiammatorio. L'intervento di mastectomia è molto invasivo e doloroso per la cagna, oltreché non privo di problemi postoperatori legati alla ferita chirurgica e al sanguinamento che tale procedura implica. La distruttività di tale intervento rimane una necessità, ma ciò che possiamo provare a modificare sono il sanguinamento intraoperatorio, lo stress ossidativo indotto al paziente e, dunque, i tempi di recupero nel post-intervento. A tal proposito, e vista la frequenza con la quale questa chirurgia viene effettuata, ci è sembrato opportuno cercare una tecnica che potesse modificare tali parametri.

Lo scopo del presente studio è quello di utilizzare la tecnologia Harmonic® come metodica innovativa nell’attuazione dell’intervento di mastectomia nella cagna, mettendo a confronto gli eventuali vantaggi che questa metodica può comportare rispetto alla tecnica classica. Come valori di comparazione sono stati presi dei parametri chirurgici, quali tempo di intervento e stato del paziente nell’immediato postoperatorio, e quelli inerenti lo stress ossidativo, ossia i radicali liberi dell'ossigeno e gli antiossidanti nel siero dei pazienti, effettuando prelievi a tre tempi diversi, per valutare il livello di insulto chirurgico nei due gruppi. A tale fine sono stati inclusi nello studio 14 interventi, di cui 7 seguendo la tecnica classica e 7 utilizzando la chirurgia a ultrasuoni, e sono stati usati come test di laboratorio il BAP test e il d-ROMs test.

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PARTE GENERALE

CAPITOLO 1 – ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA

MAMMELLA DELLA CAGNA

Le mammelle sono ghiandole sudoripare modificate che hanno la funzione di secernere il latte (Sleeckx et al., 2011). Presenti in entrambi i sessi nella vita embrionale, permangono rudimentali e perfino scompaiono nel maschio. Nella femmina, invece, la loro evoluzione è strettamente correlata a quella dell'apparecchio genitale (Barone, 2009).

1.1 Sviluppo embrionale

Le mammelle sono costituite da strutture tubulo-alveolari divise da tessuto connettivo in lobi e lobuli. Il loro sviluppo viene considerato in due fasi: prenatale e postnatale. Prendono origine dagli abbozzi mammari dell'ectoderma, che vanno dalla regione ascellare a quella inguinale in modo simmetrico, formando la cresta mammaria o linea mammaria. A questo livello si differenziano dei noduli, proliferazioni epidermiche localizzate, definiti gemme mammarie, e da ogni abbozzo si svilupperà una mammella. La cresta mammaria scompare tra le gemme mentre queste si accrescono, sollevandosi in superficie e andando in profondità nel mesoblasto, ma alcune gemme scompaiono insieme alla cresta, e il numero e l'area di gemme residue varia con la specie. Una proliferazione di cellule mesenchimali che circonda la gemma mammaria determina la formazione in superficie di una papilla conica o capezzolo primitivo. Le cellule epidermiche della papilla si approfondano nel tessuto mesenchimale formando una struttura a forma di clava con la porzione più stretta volta verso la punta del capezzolo, che diventerà cheratinizzato con una leggera depressione all'apice. La struttura così formatasi, definita gemma mammaria primaria, viene canalizzata inizialmente alla sua estremità prossimale formando la cisterna della ghiandola, e in un secondo momento verso l'apice, dando luogo alla cisterna del capezzolo e al dotto papillare . Ogni gemma primaria emette 8-10 gemme secondarie, che si allungano e ramificano producendo gli abbozzo dei condotti lattiferi e poi anche degli alveoli, che cominciano il loro sviluppo alla pubertà e lo completano al termine della prima gravidanza. Il complesso che ne deriva costituisce quella che sarà la ghiandola mammaria. La gemma primaria regredisce e si cheratinizza andando a formare la fovea mammaria, a

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3 livello della quale sboccano i condotti di tutte le ghiandole derivate da tale gemma. La fovea poi si solleva costituendo la papilla mammaria o capezzolo (Barone, 2009; Pelagalli

et al., 2009).

1.2 Numero e topografia

Le mammelle sono appaiate, ossia disposte in modo simmetrico. Il numero e la zona varia con la specie, e nella cagna vanno dalla regione ascellare a quella prepubica e sono generalmente in numero di cinque per lato. Si possono tuttavia trovare in numero di sei paia, soprattutto nelle razze di grossa mole. In particolare nella cagna si riconoscono: mammella toracica craniale e caudale, addominale craniale e caudale, e infine l'inguinale. Le mammelle delle due file sono separate medialmente dal solco intermammario e sono sempre completamente distinte da una lato e dall'altro, distinzione assicurata dal setto mediano. A separare le mammelle di una stessa fila, quando queste sono in attività, ci sono invece i solchi trasversali (Barone, 2009).

1.3 Struttura

In generale la ghiandola mammaria è composta da parenchima (alveoli), stroma (tessuto connettivo), dotti, vasi e nervi (Sleeckx et al, 2011).

Ogni mammella è costituita da:

● tegumento: la pelle delle mammelle è adesa all'involucro fibro-elastico. È inoltre dotata di ghiandole sudoripare e sebacee, soprattutto alla base della papilla, e di peli finissimi. Il capezzolo è una struttura conico-cilindrica rivestita da cute, al cui apice si apprezzano i pori lattiferi, che rappresentano la terminazione di altrettanti dotti papillari; ● apparato sospensore: costituisce un sacco di tessuto fibro-elastico che avvolge le ghiandole di ogni lato. Lateralmente è più sottile e costituisce le lamine laterali, mentre le lamine mediali sono più robuste e vanno a formare il setto mediano addossandosi alle lamine controlaterali;

● parenchima mammario: tale parenchima è sepimentato e diviso in lobi e lobuli dai setti di connettivo mammario, più o meno infiltrato di grasso e ricco di fibre elastiche, linfociti e plasmacellule. I setti danno passaggio a vasi e nervi, e si assottigliano molto nei periodi di secrezione a causa della proliferazione degli alveoli. A sostenere il parenchima è

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4 una sviluppata impalcatura connettivale che in periferia si continua con l'apparato sospensore della ghiandola. Ogni lobulo è un'unità funzionale ed è costituito da unità secernenti tubulo-alveolari, drenate da condotti intralobulari che convergono in condotti sopralobulari, che sboccano nei condotti lattiferi;

● alveoli ghiandolari: gli alveoli rappresentano la porzione attiva della ghiandola, sono tappezzati di cellule cubico-cilindriche, una sottile membrana basale, e uno strato discontinuo di cellule mioepiteliali dotate di numerosi prolungamenti, in passato denominate “cellule a canestro” o “cellule di Boll”. Queste formano una rete attorno agli alveoli e contribuiscono, contraendosi, a liberarne il contenuto. Le cellule ghiandolari, e di conseguenza gli alveoli, variano molto la loro morfologia; infatti i lattociti hanno cicli di attività: a riposo sono cellule cuboidi, in fase di secrezione diventano più alte e ricche di citoplasma, la cui parte apicale viene eliminata insieme al secreto, avendo difatti una modalità di secrezione apocrina. Normalmente tutti i lattociti di uno stesso alveolo funzionano pressoché contemporaneamente e gli alveoli di uno stesso lobulo presentano un'attività simile, ma lo stesso non avviene per i vari lobuli di uno stesso lobo;

● vie d'escrezione del latte: i condotti alveolari ricevono lo sbocco di molti alveoli, e convergono in un condotto lobulare. I condotti lobulari sono radice dei dotti interlobulari, che poi confluiscono nei dotti lobari. Tali condotti sboccano all'uscita di ogni lobo nel collettore, formato dal condotto lattifero. Alla base della papilla, i condotti lattiferi mostrano una dilatazione anfrattuosa, il seno lattifero, un tempo denominato seno galattoforo, che sembra funzionare da serbatoio per il latte;

● papilla: attraverso il capezzolo passano più dotti papillari, infatti quelle dei carnivori sono mammelle di tipo composto. I condotti terminali si trovano ricoperti da cute a livello della papilla della mammella. La tonaca propria che sostiene l'epitelio nei condotti papillari presenta molte cellule muscolari lisce, con disposizione obliqua o irregolare che diventa sfinteriale vicino all'ostio papillare (Barone, 2009; Pelagalli & Botte, 2003).

1.4 Vascolarizzazione e innervazione delle mammelle

La vascolarizzazione aumenta considerevolmente nei periodi di attività delle ghiandole. Affluisce molto sangue tramite arterie di grosso calibro e il flusso viene rallentato grazie al sistema di deflusso (Barone, 2009).

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1.4.1 Arterie

Lungo la linea mammaria di ciascuna fila si trova una doppia arcata arteriosa: l'arcata profonda è costituita dall'arteria toracica interna, dall'arteria epigastrica craniale e dall'arteria epigastrica caudale; l'arcata superficiale è formata dall'arteria toracica esterna e dall'arteria epigastrica superficiale caudale. Le ramificazioni delle due arterie epigastriche dell'arcata profonda si anastomizzano nella parete addominale e l'insieme di questi vasi contrae comunicazione con l'arcata superficiale. In particolare, le mammelle toraciche ricevono il sangue: cranialmente da rami perforanti dell'arteria toracica interna, che passano attraverso l'estremità ventrale degli spazi intercostali, medialmente dall'arteria epigastrica craniale superficiale, e lateralmente da rami mammari delle arterie intercostali e dall'arteria toracica laterale. Le mammelle addominali e inguinali, invece, sono irrorate da: arterie epigastriche superficiali craniale e caudale; inoltre le inguinali ricevono sangue anche da alcuni rami labiali ventrali delle arterie pudende esterne (Barone, 2009).

1.4.2 Vene

Le vene sono satelliti delle arterie ma più voluminose e più anastomizzate. Le mammelle più craniali sono drenate dalle vene epigastriche superficiali craniali, dalle toraciche e dall'ascellare; le mammelle delle due paia caudali sono drenate dalle vene epigastriche superficiali caudali e dalle pudende esterne; e infine il paio intermedio è drenato da entrambi i sistemi (Barone, 2009).

1.4.3 Linfatici

Si riconoscono diversi sistemi per quanto riguarda il drenaggio linfatico:

-i linfatici cutanei, che formano una rete più superficiale, a partenza dall'epidermide, e una più profonda, situata al limite profondo del derma; queste reti , notevolmente più numerose a livello della papilla e attorno a questa, sboccano in collettori verso la base della mammella;

-i linfatici delle vie di escrezione, che originano da una rete sottomucosa verso la base della papilla, dove raggiungono i vasi della rete papillare profonda, formando un sistema anulare drenato da collettori cutanei;

-i linfatici del parenchima, che derivano da reti intralobulari e perilobulari; alcuni decorrono nei setti connettivali verso la base della papilla raggiungendo la rete anulare

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6 peripapillare, che alimenta i collettori sottocutanei; mentre altri si dirigono direttamente verso la base della mammella e poi decorrono tra questa e la parete del tronco.

Dunque la rete capillare anulare si continua con una rete sottocutanea, dalla quale emergono, alla base della mammella, due o tre efferenti che scambiano alcune anastomosi con quelli delle ghiandole vicine e si portano ai linfonodi della regione corrispondente. Le due paia di mammelle più craniali sono drenate di linfonodi ascellari, normalmente singoli, più raramente duplici o accompagnati da un piccolo linfonodo ascellare accessorio. Talvolta alcuni efferenti si portano direttamente ai linfonodi sternali nel torace. Le due paia di mammelle più caudali sono invece drenate dai linfonodi inguinali superficiali. E infine il paio intermedio può riversare dall'uno a dall'altro dei due gruppi, ma spesso da entrambi contemporaneamente (Barone, 2009).

1.4.4 Nervi

L'innervazione è assicurata per le mammelle toraciche dai rami cutanei laterali e ventrali dei nervi intercostali, per le mammelle addominali dai rami più caudali degli stessi e dai nervi costo-addominale e ipogastrico, infine per le mammelle inguinali dai nervi ileo-ipogastrico, ileo-inguinale, genito-femorale e da una ramo del nervo pudendo. I fasci delle fibre nervose decorrono nei setti e si ramificano poi attorno agli alveoli. Questi nervi sono costituiti perlopiù da fibre di tipo sensitivo, a cui si associano fibre simpatiche, le quali hanno attività di tipo vasomotorio, mentre l'attività delle cellule ghiandolari e mioepiteliali è soprattutto sotto controllo ormonale. A livello papillare, le fibre sensitive costituiscono dei plessi molto ricchi che svolgono un importante ruolo nel rilascio delle secrezioni ormonali e dell'attività ghiandolare durante la suzione. Inoltre nei casi in cui siano presenti peli a questo livello, questi hanno la caratteristica di peli tattili (Barone, 2009).

1.5 Fisiologia della mammella

Al momento della nascita in genere la mammella ha una struttura del tutto rudimentale ed è formata dai capezzoli, dai dotti papillari, da cisterne non ben sviluppate, dai dotti e da qualche alveolo. Successivamente l'accrescimento della mammella segue quello generale corporeo fino alla pubertà (accrescimento isometrico) (Barone, 2009; Aguggini et al., 2008). Il parenchima mammario in fase prepubere è scarsamente sviluppato, presentando solo larghi dotti che si estendono dalla superficie al derma alla base del capezzolo (Rehm

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7

et al, 2007). Alla pubertà, con l'inizio dell'attività ovarica, la mammella cresce in misura

maggiore del resto del corpo (accrescimento allometrico), ed è dovuto ancora al tessuto connettivo, che si infiltra in particolare di grasso, ma soprattutto ai lobuli, che si fanno più voluminosi. I lobuli risultano costituiti soprattutto da condotti, il cui sviluppo è regolato direttamente dagli estrogeni. Per quanto riguarda lo sviluppo completo degli alveoli, invece, è necessario l'intervento congiunto degli estrogeni e del progesterone, nonché della prolattina e dell'ormone somatotropo. L'accrescimento più evidente si osserva in gravidanza, all'inizio molto lento, poi in modo considerevole fino al momento del parto, quando l'organo acquista la sua piena funzionalità grazie all'attività simultanea degli ormoni sopra detti e delle sostanze corticoidi prodotte dal surrene (Barone, 2009; Aguggini

et al., 2008). Per quanto riguarda lo sviluppo del sistema dei dotti hanno un ruolo

fondamentale gli estrogeni, tuttavia sono importanti a riguardo anche l'ormone della crescita, la prolattina, i glicocorticoidi surrenalici e l'insulina. Per la trasformazione finale delle mammelle in organi producenti latte, è necessario che all'azione degli ormoni appena citati si aggiunga anche quella del progesterone. Infatti una volta sviluppato il sistema dei dotti, il progesterone, agendo in sinergia soprattutto con gli estrogeni, stimola l'accrescimento dei lobuli, la moltiplicazione degli alveoli e lo sviluppo dei caratteri secretori nelle loro cellule. Ci sono, inoltre diversi fattori di crescita implicati nello sviluppo mammario, tra questi abbiamo: l'EGF (Epidermal Growth Factor), il TGF α (Trasforming Growth Factor), l'IGF1 (Insulin-Like Growth Factor 1), il NGF (Nerve

Growth Factor), il FGF (Fibroblastic Growth Factor) e il TGF β, che però inibisce la

crescita della ghiandola mammaria e favorisce la differenziazione delle cellule attraverso un processo di tipo autocrino. La prolattina invece promuove la secrezione di latte, inibita dall'azione di estrogeni e progesterone in gravidanza, ma che subito dopo il parto calano e permettono l'effetto lattogenico della prolattina ipofisaria. Questa secrezione di latte richiede anche un'adeguata secrezione dell'ormone della crescita, dei glicocorticoidi surrenalici e del paratormone, necessari affinché siano disponibili gli aminoacidi, gli acidi grassi, il glucosio e il calcio, costituenti fondamentali del latte (Guyton & Hall, 2006; Aguggini et al., 2008). L'ormone responsabile dell'emissione del latte è l'ossitocina, che provoca la contrazione delle cellule mioepiteliali degli alveoli delle ghiandole mammarie (Berne, 2009). Nel corso della lattazione si possono riconoscere tre differenti stadi: nel primo che è subito dopo il parto si ha secrezione del colostro, nel secondo si ha il picco

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8 massimo di lattazione, mentre nell'ultimo comincia una graduale riduzione della secrezione lattea (Barone, 2009; Aguggini et al., 2008).

Abbiamo detto che dalla pubertà i cambiamenti del tratto genitale femminile e delle ghiandole mammarie seguono il ciclo estrale, e questo avviene in relazione ai livelli sierici degli ormoni coinvolti (Rehm et al, 2007). L'associazione tra la fase del ciclo estrale e i vari stadi di sviluppo della ghiandola mammaria è un evento comune nella maggior parte dei mammiferi, ma i cambiamenti morfologici nella ghiandola non sono uniformi in tutte le specie. La ghiandola mammaria è inattiva alla fine dell’anestro, nel proestro e nella fase estrali. La proliferazione, differenziazione e regressione di questa avvengono durante il diestro (Chandra et al, 2010). Durante il ciclo la crescita e differenziazione a livello mammario dipende dagli ormoni ovarici e pituitari, nello specifico avremo che:

● il proestro dura in media 9 giorni e il suo inizio è caratterizzato da perdite ematiche vaginali (Rehm et al., 2007). Durante il proestro la ghiandola è essenzialmente quiescente e composta principalmente da dotti con poche e piccole strutture lobulari; i dotti hanno un lume vuoto e un doppio strato di cellule cuboidi. C'è una forte predominanza dello stroma sul parenchima in questa fase e non si osservano mitosi (Chandra et al., 2010; Santos et al., 2010). In questa fase l'estradiolo è prodotto dalle cellule della granulosa dei follicoli in accrescimento ed è responsabile dei segni clinici del proestro. All'inizio il livello di etradiolo aumenta dai livelli basali a circa 25-40 pg/mL, poi negli ultimi due giorni sale fino a 70 pg/mL e cala prima dell'inizio dell'estro. Il progesterone rimane basso (1-2 ng/mL) durante l'inizio dell'estro, ma poi aumenta alla fine. Pertanto i follicoli sintetizzano non solo estrogeni ma anche progesterone prima dell'ovulazione e luteinizzazione. Inoltre FSH e LH sono inizialmente inibiti dall'estradiolo e rimangono a 1-2 e 4ng/mL rispettivamente. A fine proestro, subito dopo il picco degli estrogeni e l'aumento del progesterone, FSH e LH aumentano fino a 8-10 volte i livelli iniziali (Rehm et al., 2007).

● L'inizio dell'estro coincide con l'accettazione del maschio e termina circa 10 giorni dopo, quando la cagna rifiuta per due giorni consecutivi l'accoppiamento (Rehm et

al, 2007). In questa fase la ghiandola mammaria risulta ancora quiescente e molte

figure istologiche sono simili rispetto alla fase di proestro, tranne per il fatto che l'epitelio si presenta da cuboide ad appiattito e che si evidenzia una iniziale

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9 presenza di secreto e macrofagi endoluminali (Chandra et al., 2010; Santos et al., 2010). In questa fase il connettivo che circonda gli elementi epiteliali appare edematoso e si ha una proliferazione dello stroma e una crescita dei capillari con stravaso di eritrociti e infiltrazione di cellule infiammatorie. Dal punto di vista ormonale i livelli maggiori di LH / FSH sono osservati all'inizio del comportamento estrale ma i picchi possono comparire già 1-2 giorni prima come anche 3 giorni dopo. L'ovulazione avviene presto durante l'estro, circa due giorni dopo il picco di LH / FSH, quando i livelli sierici di questi due ormoni tornano ai livelli basali. L'estradiolo cala rapidamente durante l'estro e raggiunge livelli basali di 18pg/mL 5 giorni dopo il picco di LH. Invece il progesterone continua ad aumentare a 6 giorni dopo il picco di LH quando la granulosa si è completamente trasformata in cellule luteali. Il livello di progesterone plasmatico raggiunge concentrazioni di circa 20ng/mL a 10 giorni dal picco di LH e rimane a tali valori per 25-30 giorni (Rehm et al, 2007).

● Il diestro ha una durata di 2-3 mesi e non ci sono chiari segni clinici del passaggio dalla fase di anestro a quella di diestro ma può essere definito tramite il progesterone plasmatico (1.0ng/mL). Le ghiandole mammarie aumentato di dimensione e ci può essere evidenza di attività secretoria. Il diestro è anche indicato come la fase di pseudogravidanza, dal momento che le cagne possono esibire altri cambiamenti tipicamente associati alla gravidanza: aumento dell'addome, comportamento di nidificazione. Se tali segni non sono manifesti si parla di pseudogravidanza nascosta (Rehm et al., 2007). I maggiori cambiamenti morfologici della ghiandola mammaria avvengono durante il diestro (Chandra et

al., 2010). Nella prima fase del diestro si osservano delle ramificazioni dei dotti

molto più sviluppati, a formare un tessuto lobulare. L'epitelio è pluristratificato con frequenti mitosi. Il connettivo lasso risulta più abbondante, presentando fibroblasti attivi con figure mitotiche, numerosi piccoli vasi sanguigni (con iperemia ed emorragie) e matrice mucinosa. Nel tardo diestro c'è uno scenario completamente differente: il parenchima alveolare presenta un completo sviluppo lobulo-alveolare, con alveoli secretori e dotti intra- e interlobulari distesi con un secreto eosinofilico e con un epitelio sottile. Gli alveoli sono di due tipi: secretori, pieni di secreto eosinofilico proteinaceo, con un epitelio da appiattito e cubico e un mioepitelio

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10 leggermente discontinuo; parzialmente secretori, con minor quantità di secreto, epitelio cubico e un mioepitelio più continuo. La proporzione tra questi due tipi di alveoli, come la quantità di secreto, varia tra i lobuli, le paia di ghiandole e i soggetti. Lo stroma intralobulare è relativamente scarso e lasso; lo stroma intralobulare forma setti e ha un aspetto denso (Santos et al., 2010). Per quanto riguarda i livelli ormonali, all'inizio del diestro il corpo luteo è pienamente funzionante e come risultato si ha un picco plasmatico di progesterone che raggiunge livelli di 20ng/mL per 25-30 giorni dopo il picco di LH. Un altro aspetto interessante e unico delle cagne è il fatto che le 9 settimane di gravidanza sono simili in durata e profilo ormonale alla fase luteale del ciclo non gravidico, tranne per i cambiamenti legati al parto. La prolattina e l'LH hanno una funzione trofica per il corpo luteo nel cane e la prolattina ha anche azione lattogenica. La prolattina non aumenta significativamente fino a metà diestro, quando, in concomitanza con la riduzione dei livelli di progesterone, raddoppia la sua concentrazione. I livelli di prolattina risultano inversamente proporzionali alla secrezione di progesterone, e la prolattina aumenta sensibilmente a fine parto. Elevati livelli di questo ormone sono implicati come causa di pseudogravidanza. I livelli di LH rimangono a circa 5ng/mL durante il diestro. L'estradiolo aumenta nuovamente nel diestro circa 9 giorni dopo il picco di LH e rimane elevato durante la fase luteale (Rehm et al., 2007).

● Durante l'anestro mancano specifici segni del ciclo estrale, i genitali e le mammelle raggiungono le dimensioni minime. L'anestro dura circa 3-5 mesi e finisce con l'inizio dell'estro (Rehm et al., 2007). All'inizio dell'anestro l'aspetto istologico dei dotti e degli alveoli è simile a quello del tardo diestro, tranne che per: la focale maggior sottigliezza della membrana basale degli alveoli, la minor quantità di secreto, il maggior numero di alveoli con mioepitelio discontinuo, lo stroma intralobulare è più abbondante e maggiormente eosinofilico per l'aumentata presenza di fibre collagene. Nel tardo anestro i dotti hanno un lume stretto, il mioepitelio è continuo, i lobuli sono più piccoli con un epitelio disorganizzato e cellule con nucleo picnotico (corrispondente al collasso alveolare); inoltre sono presenti alcuni alveoli distesi con mioepitelio discontinuo. Lo stroma intralobulare è più abbondante e denso, con un infiltrato di linfociti e cellule plasmatiche. Lo

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11 stroma interlobulare è denso con bassa cellularità e alta eosinofilia. In tutti gli animali pochi lobuli inattivi sono comunque presenti (Santos et al, 2010). Dal punto di vista ormonale, l'anestro è considerato un periodo di quiescenza ovarica. Alla fine dell'anestro (1-2 settimane prima del proestro) la concentrazione di LH aumenta e una maggior frequenza pulsatoria è osservata, fino a 60-120 minuti, che corrisponde a un aumento degli estrogeni plasmatici e l'inizio di un nuovo ciclo. Il meccanismo di passaggio tra anestro e nuovo ciclo e scarsamente conosciuto, ma si pensa che ci sia un'influenza dopaminergica (Rehm et al., 2007).

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CAPITOLO 2 – IL TUMORE MAMMARIO NELLA CAGNA

2.1 Generalità e incidenza

Una neoplasia è una “nuova crescita” costituita da cellule, originate da tessuti normali, che sono andate incontro a modificazioni genetiche ereditarie attraverso le quali sono diventate relativamente insensibili ai meccanismi di controllo della crescita e si espandono oltre i confini anatomici normali (McGavin & Zachary, 2008). Le neoplasie mammarie sono comuni nella cagna, nella quale si registra l'incidenza più elevata nell'ambito delle specie domestiche (McGavin et al., 2010). Il tumore mammario è la più comune neoplasia nelle femmine intere. In generale oltre il 40% dei tumori della cagna sono a carico della mammella. Tale incidenza diminuisce in quelle regioni in cui viene effettuata l'ovariectomia od ovarioisterectomia preventiva, come in Europa occidentale e negli Stati Uniti. Tale procedura viene fatta tra le 8 settimane e i 7-12 mesi di età. Le mammelle maggiormente colpite sono le addominali caudali e le inguinali. In oltre il 60% dei casi il tumore mammario si presenta in forma multipla; in tale caso diverse tipologie di tumore mammario possono essere presenti nello stesso soggetto. Infatti una volta che la progressione neoplastica ha inizio, generalmente nella cagna lo sviluppo neoplastico continua ed è probabile anche la comparsa di neoformazioni mammarie multiple. La prognosi di ciascuna neoplasia secondaria non è dipendente da quella primaria, cosicché possono riscontrarsi diversi istotipi neoplastici nella ghiandola mammaria dello stesso soggetto (McGavin et al., 2010). Comunque ancora poco si è scoperto su come tali tumori siano correlati tra loro, ma molti affermano che siano tumori primari indipendenti con diverse figure istopatologiche. Per quanto riguarda il carattere del tumore, il 50% di questi risulta benigno e la restante metà maligna, e la maggior parte di questi ultimi sono carcinomi e solo meno del 5% sono sarcomi (Sleeckx et al., 2011; Sorenmo et al., 2009). Il comportamento clinico varia da noduli ben circoscritti con una crescita stazionaria a noduli grandi e a volte ulcerati, con una rapida crescita che si estende ai tessuti adiacenti, o con altri segni di malignità, come nel carcinoma infiammatorio.

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2.2 Fattori di rischio

Sebbene la fenomenologia della neoplasia mammaria sia ben conosciuta, altrettanto non può dirsi dell'eziologia. Si conoscono fattori di rischio soprattutto correlati a età / sterilizzazione dell'animale (McGavin et al., 2010). Comunque diversi fattori influenzano la probabilità di sviluppo di tumori mammari nelle cagne. Tale dato è importante per effettuare un controllo più accurato nei soggetti maggiormente a rischio e per avere un'idea dell'andamento della patologia nei diversi casi.

2.2.1 Sesso

La cagna è il mammifero con più alta incidenza di tumori mammari, seguita subito dopo dalla donna. Come esaminato più avanti, i tumori mammari sono ormono-dipendenti, infatti nel maschio i tumori mammari sono rari (inferiori all’1 per cento) e molti tra questi sono associati alla concomitante presenza di neoplasie testicolari funzionali, come sertoliomi secerenti estrogeni (Marconato & Del Piero, 2005).

2.2.2 Età

La letteratura esaminata è piuttosto concorde sull'età media di insorgenza di tale patologia, che risulta essere dai 9 agli 11 anni, ma è stato anche visto che un aumento dell'incidenza comincia intorno ai sei anni di età (Moe, 2001; Prenz Alenza et al, 2000; Boldizàr et al., 1992; Sorenmo et al., 2009). Altri autori, però, affermano che la finestra di suscettibilità al tumore aumenti già dopo i due anni di età (McGavin et al., 2010). La displasia mammaria, invece, si presenta nelle cagne più giovani (tra i 2 e i 4 anni di età). L'insorgenza di tumori maligni prima dei cinque anni di età è rara, e se i tumori si presentano a questa età sono generalmente benigni (Prenz Alenza et al., 2000).

2.2.3 Razza

Altro fattore importante è ricoperto dalla razza, infatti alcuni affermano che la sola purezza di razza di per sé aumenta il rischio di insorgenza del tumore mammario (McGavin et al., 2010). Diversi lavori sono stati condotti con lo scopo di indagare le razze con maggior prevalenza di tale neoplasia, come uno studio effettuato su 14401 soggetti in Norvegia ha evidenziato una prevalenza di rischio di tumori mammari in determinate razze quali: Boxer, Cocker Spaniel, English Springer Spaniel e Bassotto (Moe, 2001). La maggiore

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14 incidenza nelle razze di piccola taglia può essere sicuramente correlata a un maggior contatto con i padroni e dunque a una più precoce diagnosi anche di noduli molto piccoli (Dobson, 2013). E’ stato rilevato che le forme maligne sono meno frequenti nelle razze più piccole, come Bassotto, Barboncino, Cocker; in un recente studio è stato osservato che solo il 25% delle neoplasie, in queste razze, si presenta maligno e solo il 6,7% provoca il decesso dell’animale. Nelle taglie più grandi i dati sono molto diversi: il 58,5% delle neoplasie è maligno e il decesso a causa del tumore coinvolge il 26,8% dei soggetti. Sempre in questo studio è stata evidenziata una predominanza di carcinoma in situ (grado 0) nelle razze di piccola taglia, al contrario delle altre in cui predominano carcinomi invasivi (grado I e II) (Itoh et al, 2005).

2.2.4 Stagione

Inoltre la stagione risulta determinante nell'insorgenza di tali tumori, con una netta prevalenza in primavera (Aprile-Maggio) e in autunno (Settembre). Questa stagionalità è stata dimostrata in cagne tra gli 11 e i 16 anni (Boldizàr et al., 1992).

2.2.5 Ormoni

Anche, e soprattutto, gli ormoni sessuali giocano un ruolo importante nel processo di carcinogenesi delle cagne. Tale fattore è confermato dalla riduzione del rischio in seguito all'asportazione delle gonadi in giovane età (entro i due anni) e dal rilevamento di recettori per estrogeni e progesterone nei tumori mammari (Prenz Alenza et al., 2000). La sterilizzazione rappresenta, dunque, un’importante prevenzione in tal senso: è riportato in letteratura che il rischio di tumori mammari maligni in cagne ovariectomizzate entro il primo calore è ridotto allo 0,05%, dopo il primo calore è ridotto all’8% e aumenta fino al 26% se l’ovariectomia avviene dopo il secondo calore ma comunque entro il quarto (Schneider et al., 1969). Da un punto di vista profilattico è, dunque, oppurtuno effettuare la sterilizzazione entro il secondo calore, poiché dopo questa aumenta drammaticamente la prevalenza di questa patologia (McGavin et al., 2010). Gli estrogeni e il progesterone sono gli ormoni maggiormente coinvolti nello sviluppo mammario, ma ricoprono un ruolo importante anche nello sviluppo tumorale; oltre a questi, altri fattori di crescita possono avere un ruolo nella trasformazione da tessuto mammario sano a neoplastico, inclusi l'EGF (epidermal growth factor) e il TGFs (trasforming growth factor). Questi due sono associati

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15 con la presenza dei recettori per estrogeni e progesterone nei tumori mammari; nei tumori maligni è stata osservata una diretta correlazione tra l'espressione dei recettori per il EGF e gli estrogeni (Prenz Alenza et al., 2000). Inoltre anormalità nel funzionamento della ghiandola pituitaria e in particolar modo nella secrezione dell'ormone della crescita prendono parte a tale processo neoplastico (Rutteman, 1990). Infatti il sistema GH / GHR (recettore dell'ormone della crescita) ha massima espressione durante la fase di proliferazione del tessuto, ma è espresso anche nella maggior parte dei tumori mammari canini, anche se l'espressione può essere GHR downregulated in carcinomi mammari indifferenziati (van Gardener & Shalken, 2002). Il ruolo della prolattina e dell'ormone tiroideo in questo processo rimane incerto, ma è stata rilevata la presenza dei recettori per la prolattina nel 30% circa dei tumori mammari non maligni (Prenz Alenza et al., 2000;

Rutteman, 1990; Marconato & Del Piero, 2005). Non solo gli ormoni endogeni, ma anche la somministrazione iatrogena di combinazioni di

estrogeni e progesterone è stato visto che influenza lo sviluppo dei tumori mammari. Nello specifico l'utilizzo di medrossiprogesterone acetato per la prevenzione dell'estro o per trattare la pseudogravidanza, può aumentare l'incidenza di neoplasie mammarie (Rutteman, 1990; McGavin et al., 2010). La somministrazione sia di medrossiprogesterone acetato (MPA) che il proligestone (PROL), due progestinici sintetici, in cani sani porta a una overproduzione di GH e a sviluppo di quadri diplastici e di tumori benigni a livello mammario (Selman et al., 1994).

2.2.6 Gravidanza e Pseudogravidanza

Per quanto riguarda altri fattori, come il numero di gravidanze, l'età alla prima gravidanza o disordini del ciclo estrale, i risultati di vari studi sono in contraddizione tra loro, comunque sembra che queste variabili non aggiungano un rischio significativo allo sviluppo del tumore mammario (Prenz Alenza et al., 2000). La relazione tra Pseudociesi e sviluppo tumorale è ancora oggi un argomento molto dibattuto, ma in recenti ricerche, è stato osservato che episodi ripetuti di pseudogravidanza possono rendere la mammella della cagna più suscettibile alla trasformazione neoplastica (Innocenti et al, 2010).

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2.2.7 Stato di nutrizione e alimentazione

Il ruolo della dieta nell’incidenza del tumore mammario è avvalorato dal fatto che un’alimentazione ricca di proteine diminuisce la suscettibilità alla comparsa di tale patologia (McGavin et al., 2010). Inoltre una dieta basata su un’alimentazione casalinga (ricca di carne rossa e povera di pollo) in contrapposizione al cibo commerciale, è associata a un’incidenza maggiore di tumore mammario (Perez Alenza et al., 2000). L’obesità è un serio problema sanitario che influenza lo sviluppo e la prognosi del tumore mammario nelle donne in menopausa. In umana, un alto indice di massa corporea è un fattore di rischio per il carcinoma infiammatorio mammario e per lo sviluppo dei tumori positivi ai recettori ormonali. Il meccanismo esatto col quale l’obesità influenza lo sviluppo e la prognosi di tale tumore nelle donne rimane sconosciuto, comunque diversi fattori secreti dagli adipociti, inclusi aromatasi, leptina, adiponectina, estrogeni, insulin-like growth factor-1, sono coinvolti. Inoltre gli effetti derivati dall’obesità sugli ormoni, insieme alle adipochine e ai mediatori dell’infiammazione contribuiscono a una prognosi peggiore dei pazienti obesi (Lim et al., 2015; Bhardwaj et al., 2013).

● Gli estrogeni regolano lo sviluppo dei tumori positivi ai recettori ormonali, e la sintesi degli estrogeni è catalizzata dalle aromatasi (Bhardwaj et al., 2013).

● La concentrazione delle aromatasi è elevata nei soggetti obesi e aumenta il rischio di tumore mammario con elevati livelli di estrogeni circolanti e locali (Lim et al., 2015). Uno studio caso-controllo ha rilevato l’associazione tra obesità giovanile e lo sviluppo del tumore mammario nei cani (Pérez Alenza et al., 1998). In accordo con una recente ricerca svolta da Sorenmo et al nel 2011, l’obesità nei cani giovani può incrementare il rischio di tumore mammario attraverso l’aumento della produzione di estrogeni, esponendo così il tessuto mammario a un alto livello di estrogeni e conseguente carcinogenesi (Lim et al., 2015).

● Per quanto riguarda l’adiponectina, questa è secreta dal tessuto adiposo e i suoi livelli in circolo decrescono significativamente con un eccessivo aumento di grasso sia nella specie umana che canina. Una riduzione dell’adiponectina plasmatica è significativamente correlata con il tumore al seno nelle donne obese in menopausa (Arita et al., 1999; Lim et al., 2015).

● La leptina, la maggior proteina che aumenta nei soggetti obesi, può promuovere la carcinogenesi del tumore mammario attraverso la sua interazione con il recettore

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17 per la leptina (ObR). La leptina stimola la crescita delle normali cellule epiteliali mammarie e delle cellule tumorali, nonché l’invasione tumorale, l’angiogenesi e l’attività dell’aromatasi (Lim et al., 2015). Comunque i dati riguardo la leptina e l’espressione dei ObR negli animali da compagnia sono pochi. Un recente studio condotto a Pisa ha valutato, tramite l’immunoistochimica, la produzione di leptina e l’espressione dei suoi recettori in tessuti mammari sani, iperplastici e neoplastici, e ne ha correlato i risultati con le figure clinicopatologiche e la sopravvivenza, con lo scopo di mettere chiarezza sul ruolo del sistema leptina / ObR nei tumori mammari canini. Dai dati riscontrati è emerso che le cellule neoplastiche avevano una minor espressione dei livelli di leptina e dei suoi recettori nei tumori con un comportamento più aggressivo, come nelle metastasi linfonodali. Di conseguenza il sistema leptina / ObR non è risultato associato con una riduzione della sopravvivenza (Ressel et al., 2012).

Inoltre diversi studi hanno riportato uno stato infiammatorio cronico e il reclutamento di macrofagi nei tumori mammari sia delle donne che dei topi obesi (Lim et al., 2015). Infiammazione subclinica è comunemente riscontrata nel tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo di donne obese o sovrappeso, e l’infiammazione della ghiandola mammaria è stata contrastata da una restrizione calorica nei topi inclusi nello studio (Bhardwaj et al., 2013).

2.3 Presentazione clinico-patologica

I tumori mammari sono generalmente facili da rilevare attraverso un esame fisico. Però, i soggetti ad alto rischio, nello specifico le femmine adulte e intere, dovrebbero essere sottoposte a una visita mammaria più accurata. La presentazione clinica di tali tumori è varia, ma la localizzazione più comune è a carico delle due paia di mammelle caudali, dove le ghiandole o i tessuti mammari sono naturalmente più grandi (Withrow et al., 2013; Perez Alenza et al., 2000). In caso di intervento chirurgico, una palpazione accurata deve essere effettuata anche dopo l’anestesia generale per assicurarsi il rilevamento di tutti i noduli e per includerli nel piano chirurgico. La dimensione dei tumori, così come lo stadio della patologia e gli eventuali segno sistemici sono molto vari. Spesso i pazienti non vengono portati alla visita per il rilevamento di noduli, che possono dunque essere scoperti durante visite mediche di routine, poiché i proprietari pongono attenzione ai tumori che

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18 producono effetti sistemici come in caso di metastasi a distanza, ma un tumore asintomatico può passare inosservato. La maggior parte dei soggetti con tumore mammario è sana a livello generale, e le neoplasie sono ristrette alle ghiandole mammarie al momento della diagnosi. Un caso particolare è ricoperto dal carcinoma infiammatorio, nel quale oltre all’esteso coinvolgimento locoregionale e alla rapida crescita, è anche accompagnato da metastasi a distanza e da segni di malattia sistemica. Se le ghiandole sono edematose con segni di eritema e dolore in maniera uniforme, con scarsa demarcazione fra il tessuto sano e quello patologico, bisogna sospettare la presenza di un carcinoma infiammatorio o di una mastite (Withrow et al., 2013; Perez Alenza et al., 2000; Fossum et al., 2013; Clemente et

al., 2009). In sede di visita clinica è importante soffermarsi sulle dimensioni del o dei

noduli, in quanto i tumori maligni sono significativamente più grandi dei benigni (4.7 contro 2.1 cm), come emerso in un recente studio (Sorenmo et al, 2009). La maggior parte delle masse può essere facilmente spostata, ma a volte sono fisse al muscolo sottostante o alla fascia mammaria. Le masse possono essere sessili o peduncolate, solide o cistiche, ulcerate o coperte di cute e pelo (Fossum et al., 2013).

2.4 Diagnosi

La diagnosi di tumore mammario prevede diversi step, importanti per inquadrare un soggetto da un punto di vista terapeutico e prognostico.

Nel caso di soggetti con una massa solitaria esistono diversi possibili approcci:

1. non fare nulla e vedere se la massa “sparisce”, che in realtà non sarebbe neanche da considerarsi una scelta, in quanto una massa rappresenta di per sé un’anormalità e come tale deve essere esaminata;

2. esaminare la massa da un punto di vista citologico, tramite aspirazione con ago sottile;

3. esaminare la massa da un punto di vista istologico, tramite biopsia;

4. pianificare un work-up completo che includa esame emocromocitometrico, profilo biochimico, esame radiografico, ecografia dell’addome e analisi delle urine.

Nel caso in cui siano presenti lesioni di tipo metastatico l’indagine dovrà essere approfondita anche per queste e si potranno allora prospettare al proprietario diverse possibilità terapeutiche (Nelson et al., 2015).

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19 classificare un tumore mammario:

2.4.1 Visita clinica

La diagnosi iniziale è basata sulle figure cliniche. Le neoplasie mammarie, come già detto in precedenza, possono avere dimensioni diverse (da 2-3mm fino a 8cm e oltre). Come emerso dallo studio effettuato da Sorenmo le forme maligne sono più grandi delle benigne e il 66% delle cagne presenta più di una formazione neoplastica (Perez Alenza et al., 2000; Fossum et al., 2013; Sorenmo et al, 2009).

2.4.2 Citologia

L’esame citologico è una procedura diagnostica molto usata in oncologia. Si tratta di una maniera semplice, quasi atramautica, veloce e non costosa di giungere a informazioni clinicamente importanti. Dopo aver identificato la natura della massa (se benigna o maligna, o se iperplastica o infiammatoria) è possibile consigliare ulteriori indagini (Nelson et al., 2015; Fossum et al., 2013). La citologia può essere effettuata tramite ago sottile, “per impronta” e “scarificazione”, o attraverso citologia esfoliativa. Nel caso di noduli mammari viene comunemente utilizzata la biopsia citologica con ago sottile con ausilio o meno di una siringa (agoaspirazione o agoinfissione). Se possibile è consigliato anche eseguire un prelievo del linfonodo. Il materiale così prelevato viene poi espulso su un vetrino portaoggetti, strisciato e infine colorato (Marconato & Del Piero, 2005; Docenti unina).

2.4.3 Diagnostica per immagini

Per accertarsi della presenza di metastasi è opportuno avvalersi della diagnostica per immagini, così da poter effettuare una stadiazione e decidere in merito all’approccio terapeutico. Per quanto riguarda le metastasi polmonari vengono effettuate delle radiografie in tre proiezioni. Metastasi a questo livello sono già presenti al momento della diagnosi nel 25-50% dei cani affetti da tumore maligno della mammella. Il grosso limite della radiografia è però quello di non essere in grado di mostrare lesioni di diametro inferiore ai 4mm (come possono essere, appunto, alcune metastasi polmonari). Per sopperire a tale problema si può ricorrere a indagini diagnostiche più specifiche e sensibili, come la RM e la TC, ma comunque la radiografia trova ancora largo utilizzo soprattutto

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nello screening di pazienti oncologici. La radiografia di segmenti ossei interessati può essere utile per escludere lesioni metastatiche ossee. Riguardo le metastasi epatiche è opportuno sottoporre il paziente a un’ecografia addominale. Le neoplasie metastatiche epatiche si presentano solitamente come formazioni nodulari multiple, che possono apparire come lesioni “a bersaglio”. L’impiego dell’esame ecografico in oncologia è utile, oltre che per identificare una neoplasia, anche per valutarne posizione, origine e dimensioni. Infine l’indagine ecografica può essere utile anche per differenziare un tumore benigno da uno maligno, in quanto i tumori mammari maligni hanno in genere margini irregolari, sono polimorfi ed eterogenei da un punto di vista dell’ecogenicità; al contrario quelli benigni hanno margini distinti e regolari, sono sferici od ovali e hanno pattern ecografico interno omogeneo (Fossum et al., 2013; Marconato & Del Piero, 2005).

2.4.4 Biopsia

L’invio del campione bioptico all’esame istopatologico rappresenta una valida alternativa alla citologia, ed è l’unico esame con il quale è possibile emettere una diagnosi certa. In sede chirurgica, a tal fine, viene prelevato il / i noduli, insieme al linfonodo drenante e vengono conservati in formalina per essere poi analizzati dal patologo (Nelson et al., 2015). Ogni massa dovrebbe essere esaminata istologicamente, poiché nello stesso individuo possono coesistere tumori di diverso tipo, perciò ogni neoformazione deve essere considerata un’entità neoplastica a sé stante (McGavin et al., 2010; Fossum et al., 2013). L’esame del tessuto prelevato viene effettuato previa colorazione della sezione con ematossilina-eosina (Marconato & Del Piero, 2005).

2.5 Classificazione

La classificazione dei tumori mammari canini è particolarmente complessa e nel tempo sono stati proposti numerosissimi sistemi a tal fine (Marconato & Del Piero, 2005) .Nel classificare una neoplasia devono essere presi in considerazione diversi parametri, tra cui la classificazione istologica, il grado e la stadiazione clinica.

2.5.1 Istotipo

La maggior parte dei tumori è costituita da un singolo tipo cellulare e il nome della neoplasia riflette il tipo cellulare dal quale il tumore origina. Attraverso l’esame citologico

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è possibile fare una prima differenziazione tra processo infiammatorio e neoplastico, cercare di differenziare una neoplasia benigna da una maligna, e definire l’origine della neoformazione stessa. A questo riguardo la grossa distinzione viene fatta tra i tumori mesenchimali ed epiteliali:

● i tumori mesenchimali (detti anche a cellule fusate) insorgono in cellule che originano dal mesoderma embrionale, ad esempio il fibroma se benigno, o sarcoma se maligno;

● i tumori epiteliali derivano dai tre foglietti embrionali (endoderma, mesoderma, ectoderma), come l’adenoma o adenocarcinoma, rispettivamente benigno e maligno.

I tumori possono anche essere misti, qualora contengano tipologie cellulari multiple derivate da un singolo foglietto o da diversi foglietti germinali. Il tumore mammario del cane è generalmente misto, ed è costituito da percentuali variabili di elementi epiteliali (epitelio luminale e mioepitelio) e mesenchimali (tessuto connettivo fibroso, adiposo, cartilagineo e osseo) (McGavin & Zachary, 2008; Marconato & Del Piero, 2005).

La neoplasia mammaria epiteliale può evolvere da un’iperplasia duttale o lobulare fino a una displasia e quindi a una neoplasia; infatti una volta che la progressione neoplastica ha inizio generalmente nella cagna lo sviluppo tumorale continua ed è probabile anche la comparsa di neoformazioni mammarie multiple. E’ importante sottolineare che la prognosi di ciascuna massa neoplastica secondaria non è dipendente da quella primitiva, per cui possono riscontrarsi diversi istotipi neoplastici nella ghiandola mammaria dello stesso animale (McGavin et al., 2010).

Sulla base delle caratteristiche prettamente istopatologiche, lo studio sul grado di invasività di Gilberson et al. (1983) ci permette di classificare le neoplasie mammarie in 4 gradi: - GRADO 0: carcinoma in situ; la proliferazione maligna è limitata ai bordi anatomici del sistema duttale mammario.

- GRADO I: proliferazione maligna estesa allo stroma, senza invasione linfatica e vascolare.

- GRADO II: proliferazione invasiva maligna con invasione linfatica, vascolare e metastasi linfonodali.

- GRADO III: proliferazione invasiva maligna con invasione linfatica, vascolare e metastasi a distanza.

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Inoltre due sistemi di classificazione istologica di displasie e tumori mammari dei cani sono state pubblicati nel 1974 e, una sua modificazione, nel 1999, rispettivamente da Hampe & Misdorp e da Misdorp et al. Infine è stato pubblicato nel 2011 un sistema rivisitato, nel quale con “semplice” si denotava una neoplasia composta da un solo tipo cellulare, o dell’epitelio luminale o del mioepitelio, e con “complesso” una neoplasia composta dai due tipi di cellule (Marconato & Del Piero, 2005; Withrow et al., 2013; Goldschmidt et al., 2011; Hampe & Misdorp, 1974). Comunque nel cane la classificazione istopatologica più rilevante è quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’Armed Forces Institute of Pathology (AFIP). Tale classificazione è una delle più chiare e consente al clinico e al patologo di comunicare comprendendosi in quanto, accanto a una descrizione morfologica, aggiunge anche elementi di natura prognostica. La precisa identificazione delle neoplasie mammarie si ottiene mediante esame istologico e lo scopo è di predire nella maniera più accurata possibile il comportamento biologico del tumore: Tumori maligni:

1. carcinoma in situ (non infiltrante)

2. carcinoma complesso (tubulopapillare, solido)

3. carcinoma semplice (tubulare, papillare, tubulopapillare, solido, solido cribriforme, anaplastico

4. carcinoma a cellule fusate (mioepitelioma maligno) 5. carcinoma squamocellulare

6. carcinoma adenosquamoso

7. carcinoma mucinoso (o gelatinoso)

8. carcinoma ricco in lipidi (carcinoma secretorio)

9. sarcoma (fibrosarcoma, osteosarcoma, condrosarcoma, liposarcoma) 10. carcinosarcoma

Tumori benigni:

1. adenoma semplice (tubulare, solido-mioepitelioma) 2. adenoma complesso

3. adenoma basaloide

4. fibroadenoma (a bassa cellularità, ad alta cellularità) 5. tumori misti benigni

(33)

23 Tumori non classificati:

1. carcinoma infiammatorio Iperplasia / displasia mammaria:

1. iperplasia duttale

2. iperplasia duttale atipica 3. iperplasia lobulare 4. cisti

5. ectasia duttale

6. fibrosi focale (fibrosclerosi) 7. ginecomastia

(Marconato & Del Piero, 2005; Hampe & Misdorp, 1974).

2.5.2 Grading

La morfologia cellulare è un buon sistema per prevedere il comportamento di una neoplasia e, dunque, per trarne un orientamento prognostico. Queste relazioni vengono studiate per ottenere schemi di grading morfologico, ossia la suddivisione di un tipo di neoplasia in categorie o gradi, basati sulle caratteristiche istologiche che possono correlare con la prognosi del paziente. Il grading delle neoplasie si basa sull’identificazione dei criteri morfologici, come grado di differenziazione cellulare, invasività, cellularità, indice mitotico e necrosi. Andando ad analizzare tali parametri, gli aspetti di differenziazione della morfologia e dell’organizzazione cellulare vengono persi in modo variabile nel tessuto neoplastico. Le cellule tumorali, e specialmente quelle maligne, infatti possono presentare vari gradi di atipia cellulare, con un notevole polimorfismo cellulare e nucleare. La perdita delle caratteristiche morfologiche di maturità tissutale è spesso accompagnata dalla perdita della capacità funzionale e dallo sviluppo di un comportamento aggressivo. Secondo questi criteri a una certa neoplasia maligna possono essere assegnati vari gradi che vanno da ben differenziata (basso grado) a poco differenziata (alto grado). Riguardo l’invasività questa generalmente è propria dei tumori maligni, dotati di crescita infiltrativa e spesso capacità di dare metastasi a distanza, mentre le neoplasie benigne sono a crescita espansiva e lenta e possono comprimere il tessuto adiacente. La divisione cellulare neoplastica, in generale, è frequente e si riflette nelle modificazioni nucleari delle cellule tumorali. Le figure mitotiche sono però più numerose, e a volte atipiche, nelle

(34)

24 neoformazioni maligne. L’indice mitotico è definito come il numero di cellule, in un campo microscopico, che contengono cromosomi condensati e mancano di membrane nucleari; queste cellule vengono ritenute in attiva moltiplicazione e l’indice mitotico di un tumore viene considerato un indice del suo potenziale maligno (Marconato & Del Piero, 2005; McGavin & Zachary, 2008). La presenza di necrosi infine è un indice prognostico negativo, suggerendoci un certo grado di malignità.La sommatoria dei parametri esaminati classifica la neoplasia in una delle tre categorie di grading:

- GRADO I: tumore ben differenziato

- GRADO II: tumore moderatamente differenziato

- GRADO III: tumore indifferenziato (Misdorp, 2002; Marconato & Del Piero, 2005).

2.5.3 Stadiazione

In aggiunta ai sistemi di grading sono stati creati sistemi di stadiazione delle neoplasie, diretti a contribuire alla pianificazione delle terapie e a dare alcune informazioni prognostiche. Una versione modificata del sistema di stadiazione originale creato dall’OMS e pubblicato da Owens nel 1980, è correntemente utilizzata da molti oncologi. Tale stadiazione si basa sulle dimensioni del tumore primario, sulla sua diffusione ai linfonodi e su presenza o assenza di metastasi a distanza ultralinfonodali. Gli stadi da I a III vedono una progressione delle dimensioni della massa da minore di 3 cm a maggiore di 5 cm. Le metastasi linfonodali ricoprono il IV stadio, a prescindere dalle dimensioni del tumore, e le metastasi a distanza il V stadio della malattia (Tabella 1) (Marconato& Del Piero, 2005; Withrow et al., 2013).

Stadio Dimensioni tumore Stato linfonodale Metastasi a distanza stadio I T1 <3 cm N0 M0 stadio II T2 3-5 cm N0 M0 stadio III T3 >5 cm N0 M0 stadio IV / N1 (positivo) M0 stadio V / / M1 (metastasi) Tabella 1.

(35)

25 L’Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC) ha proposto una stadiazione più specifica, secondo la quale la classificazione TNM può essere effettuata prima del trattamento (c-TNM) risultando quindi in una stadiazione clinica, oppure in seguito alla chirurgia, seguendo un criterio istopatologico (p-TNM). La c-TNM risulta di fondamentale nella scelta delle opzioni terapeutiche, mentre la p-TNM ha un significato prettamente prognostico. Nel caso delle recidive neoplastiche la definizione della categoria TNM è preceduta dal simbolo “r”; inoltre, nell’ultimo periodo, è stato introdotto il concetto di livello di certezza (C-factor) che definisce la possibilità che un paziente possa avere una diversa collocazione rispetto a un altro, pur avendo lo stesso stadio TNM. La classificazione che ne deriva è la seguente:

Tumore primitivo (T):

Tx: tumore primitivo non definibile T0: non evidenza del tumore primitivo Tis: carcinoma in situ:

Tis (DCIS) Carcinoma duttale in situ Tis (LCIS) Carcinoma lobulare in situ

Tis (Paget) Malattia di Paget del capezzolo non associata con carcinoma invasivo e/o in situ nel parenchima mammario sottostante

T1: tumore della dimensione massima fino a 2 cm

T1mi: microinvasione della dimensione massima di 0,1 cm T1a: tumore dalla dimensione compresa tra 0,1 cm e 0,5 cm T1b: tumore dalla dimensione compresa tra 0,6 cm e 1,0 cm T1c: tumore dalla dimensione compresa tra 1,1 cm e 2,0 cm

T2: tumore superiore a 2,0 cm ma non superiore a 5,0 cm nella dimensione massima T3: tumore superiore a 5,0 cm nella dimensione massima

T4: tumore di qualsiasi dimensione con estensione diretta alla parete toracica e/o alla cute (ulcerazione o noduli cutanei)

T4a: estensione alla parete toracica (esclusa la sola aderenza/invasione del muscolo pettorale)

(36)

26 T4b: Ulcerazione della cute e/o noduli cutanei satelliti ipsilaterali e/o edema della cute che non presenta i criteri per definire il carcinoma infiammatorio

T4c: presenza contemporanea delle caratteristiche di T4a e T4b T4d : carcinoma infiammatorio.

Linfonodi regionali (N):

Nx: linfonodi regionali non valutabili (ad esempio, se precedentemente asportati) N0: linfonodi regionali liberi da metastasi

N1: metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali mobili (livello I-II)

N2: metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali (livello I-II) che sono clinicamente fissi o fissi tra di loro; o in linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari

N2a: metastasi nei linfonodi ascellari omolaterali (livello I-II) fissi tra di loro o ad altre strutture

N2b: metastasi solamente nei linfonodi mammari interni omolterali clinicamente rilevabili e in assenza di metastasi clinicamente evidenti nei linfonodi ascellari (livello I-II)

N3: metastasi in uno o più linfonodi sottoclaveari omolaterali (livello III ascellare) con o senza coinvolgimento di linfonodi ascellari del livello I, II; o nei linfonodi mammari interni omolaterali clinicamente rilevabili in presenza di metastasi nei linfonodi ascellari livello I-II clinicamente evidenti; o metastasi in uno o più linfonodi sovraclaveari omolaterali con o senza coinvolgimento dei linfonodi ascellari o mammari interni

N3a: metastasi nei linfonodi sottoclaveari omolaterali N3b: metastasi nei linfonodi mammari interni e ascellari N3c: metastasi nei linfonodi sovraclaveari.

Metastasi a distanza (M):

Mx: metastasi a distanza non accertabili

M0: non evidenza clinica o radiologica di metastasi a distanza

M1: metastasi a distanza evidenziate mediante classici esami clinico e radiologico e/o istologicamente dimostrate di dimensioni superiori a 0,2 mm.

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27 La classificazione così fatta ci permette di porre il paziente in uno dei seguenti stadi clinici (Tabella 2): Stadio 0 Tis N0 M0 Stadio IA T1 N0 M0 Stadio IB T0 T1 N1 mi N1 mi Stadio IIA T0 T1 T2 N1 N1 N0 M0 Stadio IIB T2 T3 N1 N0 M0 Stadio IIIA T0 T1 T2 T3 T3 N2 N2 N2 N1 N2 M0 Stadio IIIB T4 T4 T4 N0 N1 N2 M0 Stadio IIIC Ogni T N3 M0 Stadio IV Ogni T Ogni N M1 Tabella 2.

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