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Il sistema dei Confidi in Italia: quali prospettive?

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Consulenza Professionale alle Aziende

Tesi di Laurea

I confidi in Italia: quali prospettive?

Relatore

Candidato:

Prof.ssa Paola Ferretti

Matteo Pellegrini

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAP 1) INQUADRAMENTO STORICO DEI CONSORZI DI GARANZIA COLLETTIVA DEI FIDI NEL SISTEMA ECONOMICO ITALIANO ... 5

1.1 DEFINIZIONE E CONFIGURAZIONE “SOLIDARISTICA” DEI PRIMI CONFIDI ITALIANI NATI TRA LA FINE DEGLI ANNI ’50 E I PRIMI ANNI ’60 ... 5

1.2 L’IMPATTO DEI CONFIDI SUL TERRITORIO NAZIONALE A SEGUITO DEGLI SHOCK PETROLIFERI DI FINE ANNI ’70 ... 14

1.3 AVVIO DEL PROCESSO DI INQUADRAMENTO GIURIDICO DEI CONFIDI DEGLI ANNI ’90 ... 27

CAP 2) EVOLUZIONE NORMATIVA DEI CONFIDI IN ITALIA: DAL “NUOVO ACCORDO DI BASILEA 2 ” ALLA LEGGE DELEGA PER LA RIFORMA DEI CONFIDI (L. 150/2016): ... 39

2.1 IL “NUOVO ACCORDO DI BASILEA 2” E I SUI EFFETTI SUI CONFIDI ... 39

2.2 INTRODUZIONE DI UNA DISCIPLINA ORGANICA E

ORGANIZZATA DEI CONFIDI: RIFORMA DEL 2003 (ART 13 DEL DL 30 SETTEMBRE 2003, N. 269) ... 45

2.3 D.LGS. 141/2010: PREVISIONE DI DUE DISTINTE TIPOLOGIE DI CONFIDI ... 56

2.4 LEGGE DELEGA N°150 DEL 2016 PER LA RIFORMA DEI

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CAP 3) ATTIVITA’ E CARATTERISTICHE DEI CONFIDI NELL’ATTUALE SISTEMA ECONOMICO ITALIANO: CONFIDI “MAGGIORI” E “MINORI” ... 72

3.1 DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA, ARTICOLAZIONE

SETTORIALE E ANALISI OPERATIVA DEI CONFIDI VIGILATI E NON NELL’ATTUALE SISTEMA ECONOMICO ITALIANO 72 3.2 ANALISI DELL’ATTIVITA’ DI GARANZIA E DI GESTIONE FINANZIARIA DEI CONFIDI ITALIANI ... 80

3.3 IL SISTEMA DI VIGILANZA E CONTROLLO SUL SISTEMA CONFIDI ITALIANO ... 92

CAP 4) IL RUOLO DEL FONDO CENTRALE DI GARANZIA PER FAVORIRE L’ACCESSO AL CREDITO DELLE PMI ... 104

4.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEL FONDO CENTRALE DI GARANZIA PER LE PMI ... 104

4.2 D.M. 6 MARZO 2017: RIFORMA DEL FONDO DI GARANZIA PER LE PMI ... 114

4.3 LE IMPRESE INNOVATIVE E IL FONDO CENTRALE DI GARANZIA PER LE PMI ALLA LUCE DEGLI ULTIME DISPOSIZIONI NORMATIVE ... 125

CONCLUSIONE ... 134

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INTRODUZIONE

Alla base di questo studio vi è l’analisi dell’attività passata e presente dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi. Tali operatori hanno rappresentato e rappresentano uno strumento di fondamentale importanza per sostenere l’accesso al credito delle cosiddette piccole e medie imprese.

Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale tematica hanno una duplice natura: da un lato sono particolarmente interessato alle dinamiche aziendali delle piccole e medie imprese le quali rappresentano senza il minimo dubbio la colonna vertebrale dell’attività imprenditoriale italiana, dall’altro ritengo che tale tematica rappresenti un elemento di grande attualità e di fondamentale importanza ai fini della crescita economica del nostro Paese, definito da molti esperti del settore bancario, “bancocentrico”.

L’obiettivo di questa tesi di laurea è quello di fornire un’analisi progressiva dei Confidi, partendo dal loro passato per giungere al loro “status” attuale sia a livello normativo che operativo. La tesi è articolata in quattro capitoli: All’interno del primo capitolo è stato analizzato il ”passato” di tali operatori, a partire dalla loro prima apparizione sul mercato verso la metà degli anni ’50, passando per la crisi petrolifera degli anni ’70 fino ad arrivare ad un primo inquadramento giuridico negli anni ’90. Nel secondo capitolo è stata approfondita l’evoluzione normativa che ha caratterizzato, a partire dai primi anni 2000, il settore dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi. Dopo aver

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tratteggiato l’impatto del Nuovo Accordo di Basilea 2 sul settore dei Confidi è stata analizzata la riforma del 2003 (ART 13 DEL DL 30 SETTEMBRE 2003, N. 269). Tale norma rappresenta a tutti gli effetti la” prima legge quadro” di tale settore e ha provveduto a dare un inquadramento completo ai Confidi. Successivamente è stato oggetto di analisi il D.LGS. 141/2010 il quale ha introdotto e disciplinato in maniera organica due tipologie di confidi: vigilati e non. Infine si è provveduto ad esaminare la legge delega n. 150 del 2016. Il capitolo tre ha come scopo quello di descrivere l’attività dei confidi nell’attuale sistema economico nazionale, ponendo in essere un analisi a 360 gradi: dalla distribuzione settoriale e geografica, all’analisi dell’attività di garanzia e alla descrizione dell’attuale sistema di vigilanza e monitoraggio. Il capitolo quattro, infine, tratta di uno strumento strettamente collegato all’attività dei confidi: il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, recentemente oggetto di riforma in particolar modo ai fini di dare impulso a certi segmenti quali le imprese innovative.

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CAPITOLO 1

Inquadramento storico dei consorzi di garanzia

collettiva dei fidi nel sistema economico italiano

1.1 Definizione e configurazione “solidaristica” dei primi

confidi italiani nati tra la fine degli anni ’50 e i primi anni

‘60

I consorzi di garanzia collettiva dei fidi, c.d. “Confidi” sono degli organismi a struttura cooperativa o consortile il cui core business consiste nella prestazione di garanzie sui finanziamenti delle banche convenzionate, che integrano e/o sostituiscono quelle offerte dalle imprese e dei sui soci al fine di migliorare la capacità di credito dell’impresa stessa1. In Italia ogni confidi, solitamente

espressione di associazioni di categoria, fa riferimento a federazioni nazionali per settore di attività economica, quali ad esempio FedArt per l’artigianato e Federascom per il commercio. Tutte le federazioni sono poi a loro volta associate ad un’associazione intersettoriale a carattere nazionale (Assoconfidi) che opera da interfaccia con Banca d’Italia e li rappresenta in ambito internazionale presso l’Aecm (Associazione europea della garanzia). La forma

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giuridica tipica di tali soggetti intermediari è quella dei consorzi o delle società cooperative a responsabilità limitata e i loro servizi sono erogati prevalentemente a micro, piccole e medie imprese o professionisti che sono soci o consorziati dei confidi. In base a tali caratteristiche si evidenzia la presenza di tre soggetti interconnessi all’interno del mercato del credito: imprese, confidi e istituti di credito. Questi ultimi, predisponendo i propri modelli di rating basati su modelli statistici e andamentali, esprimono il proprio giudizio basandosi su parametri quantitativi: i confidi mirano a “integrare” tale giudizio fornendo parametri qualitativi, basati su una conoscenza più “diretta” e dettagliata dell’impresa. Oggetto di analisi e valutazione dei confidi risultano, in particolar modo, non solo le prospettive di sviluppo settoriale e territoriale, ma anche aspetti come la reputazione e le capacità imprenditoriali e manageriali presenti all’interno delle imprese. In base a tali funzioni risulta evidente come l’adesione a tali organismi sia caratterizzata da una forte prevalenza di imprese di piccole dimensioni, spesso non costituite nella forma di società di capitali e che dunque raramente compilano il bilancio di esercizio. La loro situazione economica, finanziaria e patrimoniale interpretata in senso formale non può quindi costituire un criterio sufficiente per giudicare la loro solvibilità2. Gli istituti di credito, in base alle caratteristiche e alle funzioni dei confidi, possono ottenere numerosi vantaggi data la natura “intermediaria” di tali soggetti sia in termini di miglioramento della valutazione del merito creditizio sia in termini di riduzione del rischio finanziario sia nell’ambito del reperimento di una clientela selezionata. Operativamente parlando i confidi

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assicurano la copertura delle perdite sopportate dalle banche convenzionate sui finanziamenti concessi alla clientela associata con il loro patrimonio di garanzia liquido, al quale si affianca in diversi casi pure un fondo fideiussorio. Nel caso dei confidi in forma consortile, tale patrimonio liquido è rappresentato dal fondo

consortile, noto anche come “fondo rischi”, il quale risulta formato, in base

all’art 2614 del Codice Civile, dai contributi dei consorziati e degli enti promotori e dai beni acquistati con tali contributi. Nell’ipotesi di confidi in forma cooperativa, invece, il patrimonio di garanzia liquido è formato dal capitale sociale e dalle riserve, ai quali in alcuni casi si affianca pure un fondo rischi, che raccoglie ulteriori contributi degli associati e di enti che intendono promuovere lo sviluppo del confidi. L’impresa che intende usufruire del contributo del confidi dovrà presentare a quest’ultimo la domanda di garanzia utilizzando la modulistica prevista dalla convenzione appositamente stipulata tra il confidi e la banca stessa. Mentre quest’ultima svolge la propria istruttoria riguardo al finanziamento chiesto, anche il Confidi analizza la richiesta di garanzia per il credito a cui si vuole accedere. Terminata l’istruttoria, la banca invia la propria delibera al confidi il quale comunica sia alla banca che all’impresa richiedente il risultato della propria analisi: se positiva, la garanzia sarà attivata e verrà stipulata l’erogazione del finanziamento garantito all’impresa. Attraverso la costituzione di fondi collettivi di garanzia, formati con il contributo degli associati e degli enti promotori che li sostengono finanziariamente, i confidi si ripromettono in linea di principio di soddisfare i seguenti bisogni degli associati:

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1. Ottenere dal sistema bancario una certa percentuale di credito aggiuntiva rispetto a quella che nel loro complesso le imprese aderenti potrebbero avere se presentassero alle banche domande di affidamento autonome

2. Spuntare tassi di interesse e condizioni accessorie inferiori a quelli generalmente pagati alle banche da imprese di pari dimensioni

3. Prevedere nelle convenzioni con le banche che queste ultime, potendo già contare sulla garanzia collettiva, si astengano dal richiedere alle imprese associate la presentazione di ulteriori garanzie a carattere personale (fidejussioni) e reale

4. Orientare l’analisi di fido svolta dalle banche verso criteri di valutazione basati prevalentemente sulla capacità di reddito dell’associato rimuovendo, grazie alla garanzia collettiva del confidi, gli ostacoli frapposti dalla eventuale carenza di garanzie dirette

Delineate le caratteristiche generali dei confidi, occorre darne un inquadramento storico descrivendo brevemente, data la loro natura “intermediaria” tra banca e impresa, la situazione del tessuto imprenditoriale e del sistema creditizio all’epoca della comparsa di tali organismi. Tra il '56 e il '63 l’Italia visse un periodo di forte crescita al punto di constatare un vero e proprio “miracolo economico”: il PIL crebbe mediamente ad un livello del 6,5 per cento annuo, gli occupati nel settore industriale aumentarono dal 32 al 40 per cento, il livello dei salari nel decennio 1951-1961 crebbe del 46,9 per cento a fronte di una crescita media della produttività dell’84 per cento. La maggiore competitività della nostra industria fu resa possibile soprattutto grazie allo scarto fra aumento della produttività ed

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aumento dei costi del lavoro3. Protagonista assoluta di questo periodo fu la grande impresa la quale risultò favorita dalla tipologia della domanda presente sul mercato la quale si rivolgeva, nella maggior parte dei casi, verso prodotti “di massa” (acciaio, automobili, prodotti petroliferi e chimici): l’industria automobilistica entrò nello stadio della “produzione di massa”, nacquero grandi imprese per la produzione di elettrodomestici e il nostro Paese divenne uno dei maggiori produttori di semilavorati d’acciaio in Europa. A seguito dell’aumento dei volumi di produzione, grazie a sua volta all’espansione della domanda, la grande impresa invece vide aumentare i propri profitti e ebbe la possibilità di poter sostenere i propri investimenti grazie all’autofinanziamento mentre la piccola e media impresa dovette affrontare non solo il problema della scarsità di capitali ma anche, di conseguenza, dell’incapacità di sostenere l’esportazione. Tali problematiche si tradussero per le PMI in un netto indebolimento del proprio potere contrattuale: all’orizzonte infatti si prospettava lo sviluppo di un mercato ancorato alla produzione di massa a discapito della piccola produzione artigianale e locale. Parallelamente, tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, il nostro sistema creditizio nazionale versava in una situazione di grande stabilità e ciò rappresentò la chiave di svolta nell’ottica di un flusso continuo di risparmio e di una perfetta allocazione delle risorse, soprattutto verso il settore privato: complessivamente il prodotto dell’industria si avvicinò a un indice pari al 47% nella formazione del prodotto lordo privato, mentre il saggio di crescita annuo del prodotto

3

EUGENIO CARUSO, L’economia italiana tra gli anni ’50-’60. Le imprese italiane iniziano

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interno lordo sfiorò in quegli anni il 6%4. Questi risultati, unitamente ai sensibili miglioramenti intervenuti nella bilancia dei pagamenti di partite correnti, inserirono l’Italia nel movimento ascendente dell’economia europea. Lo scenario che si prospettava all’epoca era quello quindi di un sistema imprenditoriale e creditizio incentrato sul ruolo della grande impresa la quale ottenne grandi profitti sfruttando la domanda crescente di prodotti “di massa”, mentre le piccole e medie imprese, soprattutto nel settore dell’artigianato, furono notevolmente penalizzate.

In tale contesto fecero la loro comparsa per la prima volta il concetto di garanzia finanziaria e la figura della società cooperativa di mutua garanzia grazie all’introduzione della “Legge Quadro” n°860 del 1956 del settore artigiano. Tale norma si poneva come obiettivo generale quello di incentivare e sviluppare tale settore e l’art 3 comma 2 in particolare prevedeva quanto segue: “Le

agevolazioni previste dalla presente legge sono applicabili anche ai consorzi fra le imprese artigiane, iscritte all’albo di cui all’art. 9, esclusivamente costituiti

per approvvigionamento delle materie prime occorrenti alle imprese, per la presentazione collettiva dei prodotti, per la vendita degli stessi, per l’assunzione di lavori e per la prestazione di garanzie in operazioni di credito alle imprese consorziate”. Nonostante la norma facesse esplicitamente riferimento ai

consorzi, venne presto preferita la veste di società cooperativa e, a seguito dell’introduzione del D.M. Industria e Commercio del 1959, fu approvato lo statuto-tipo delle società cooperative artigiane di garanzia predisposto dal Comitato centrale dell’artigianato,

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prendendo come modello lo statuto della prima cooperativa artigiana di garanzia costituitasi in forma spontanea a Roma nel 1957. In base all’art 2 dello statuto- tipo ministeriale lo scopo sociale di tali cooperative era basato sui principi di mutualità senza scopo di lucro e si poneva come obiettivo principale quello di migliorare e ammodernare il processo produttivo artigiano, fornendo garanzie per agevolare la concessione ai propri soci di crediti bancari a breve termine da parte di un ente creditizio convenzionato.

All’interno quindi di un contesto normativo particolarmente scarno e traendo origine dalle piccole realtà artigiane, nacquero i primi confidi alla fine degli anni ’50. I primi esempi di consorzi di garanzia collettiva dei fidi si costituirono grazie all’associazione di piccoli imprenditori artigiani che, su base assolutamente volontaristica, intendevano superare le tradizionali difficoltà nell’accesso a fonti di finanziamento esterne e si configurarono come soggetti mission-oriented5: non operavano cioè in una logica profit, ma per offrire alle imprese associate benefici indiretti, in termini di migliori condizioni di accesso al credito per quantità, qualità e costo6 dei finanziamenti attivati. Rappresentavano a tutti gli effetti la risposta “solidaristica” della piccola e media impresa artigiana ad una congiuntura economica legata al predominio della grande impresa e ad un evidente vuoto normativo All’interno di questa prima fase di sviluppo, durata circa 20 anni a partire dalla fine degli anni ’50, i Confidi, operando prevalentemente su base provinciale come strumenti

5 Erzegovesi, “Verso un nuovo modello di equilibrio gestionale dei consorzi fidi”, Banca, Credito e Rischi. Saggi in onore di Tancredi Bianchi, Volume 2 (a cura di Mario Comana), Bancaria editrice, 2009, pagg. 115-132.

6 Columba F., Gambacorta L. e Mistrulli, “Firms as monitor of other firms: mutual guarantee institutions and SME finance”, 2008,

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finanziari delle singole Associazioni di Categorie, si caratterizzarono per una operatività con logica settoriale ed un prevalente orientamento al credito a breve termine (tipicamente: aperture di credito in conto corrente, smobilizzo di crediti commerciali e prestiti a rientro fino a 36 mesi)7. Le garanzie erano normalmente

concesse a copertura di una quota del 50% del rischio della banca, al fine di creare una corresponsabilità nel rischio per prevenire casi di selezione negativa dei rischi peggiori posti integralmente a carico del confidi e la gestione aziendale risentiva fortemente sia della natura no profit sia dell’origine associativa, tanto che gli aspetti di “club” e la logica di “gruppo di imprenditori che si conoscono e si aiutano tra loro” prevaleva largamente rispetto ad una impostazione di tipo manageriale8. La valutazione dei rischi era basata essenzialmente sulla conoscenza in sede locale delle realtà imprenditoriali e solo in un secondo momento (a partire dagli anni ’90) e nelle realtà di dimensioni relativamente maggiori iniziarono ad essere introdotte logiche elementari di analisi finanziaria e di scoring di bilancio. Un ulteriore elemento che caratterizzò i “primi” Confidi italiani fu il rapporto con le associazioni di categoria di riferimento: quest’ultima forniva, normalmente, fattori essenziali quali sede, personale, servizi contabili, know-how, promozione, legittimazione e mediazione nel rapporto con il sistema bancario e gli enti pubblici mentre il confidi, in cambio, costituiva un servizio associativo sempre più importante, che aumentò le possibilità di aggregare le imprese locali all’interno dell’associazione stessa.

7 P. Parini, I confidi locali nella transizione ad intermediari finanziari: miti da sfatare e modelli alternativi di sviluppo, Impresa Progetto (Rivista online), 2009

8

Andrea Migliardi, Paolo Parini, I Confidi: caratteristiche di un nuovo ruolo strategico nel finanziamento delle PMI. Performance e prospettive nel caso Liguria, Franco Angeli, 2008

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In questi anni i Confidi conobbero una diffusione a livello territoriale particolarmente disomogenea (fenomeno che si verificherà anche nei decenni successivi) dove le regioni del Nord e del Centro Italia furono particolarmente coinvolte e nella maggior parte dei casi si trattava di organismi talmente piccoli che la rilevazione risulta particolarmente complessa. Tali piccole realtà elementari, espressione diretta delle varie associazioni di categoria, avevano un legame molto stretto con il tessuto imprenditoriale a livello provinciale e, seppur prive di una struttura manageriale, rappresentavano a tutti gli effetti non solo un primo tentativo di risposta ad una congiuntura economica sfavorevole, ma anche e soprattutto il primo passo per l’identificazione di quello che in futuro verrà denominato come “sistema confidi” dove alla base sono presenti appunto i confidi a carattere provinciale. Un chiaro esempio pratico della realtà dei Confidi dell’epoca è rappresentato dalla Regione Toscana la quale ha sempre “fatto scuola” coniugando la naturale vocazione alla prossimità con le imprese - che li ha portati ad aprire molteplici "punti credito" nel vasto e variegato territorio della Toscana - con una consolidata attenzione ai benefici della dimensione provinciale e regionale. In Toscana Artigiancredito Toscano rappresenta sicuramente una delle realtà più esemplificative. Tale organismo è il frutto dell’unione di diversi Confidi più piccoli che, nel corso degli anni, si sono uniti per agevolare l'accesso al credito delle imprese artigiane. Già a partire dagli anni '60, infatti, si contano le prime cooperative di garanzia provinciali e poi, negli anni successivi, numerose e importanti espressioni territoriali del fenomeno dei confidi. La somma di tante realtà locali e di tante forze rappresentava sicuramente, secondo la maggior parte degli addetti ai

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lavori dell’epoca, la soluzione più idonea per il raggiungimento di obiettivi sempre più significativi in termini di finanziamenti erogati e di imprese associate ma ciò non sarebbe stato sufficiente se non vi fosse una normativa ad hoc che regolasse il fenomeno Confidi a 360 gradi. Alla luce quindi della mancanza di una normativa omogenea e di una diffusione territoriale molto disomogenea, il fenomeno dei Confidi, nei primi anni dalla loro comparsa, rimase un elemento sostanzialmente marginale all’interno del panorama economico, con ancora scarsa capacità di sostegno soprattutto alle piccole e medie imprese artigiane.

1.2 L’impatto dei Confidi sul territorio nazionale a seguito degli

shock petroliferi di fine anni ’70

Dopo una fase di sviluppo durata circa venti anni, tra la prima metà degli anni ’70 e i primi anni ‘80 il sistema economico internazionale fu investito da una profonda crisi che ne scosse le fondamenta. Si trattò di una crisi di tale intensità da evocare per forza ed effetti quella ancora più drammatica del 1929. A determinare l’inversione del ciclo economico furono le crisi petrolifere del 1973- 1974 e del 1979 in seguito alla quali l’economia dovette fare i conti con un aumento improvviso e sostenuto del prezzo della sua principale materia energetica. Naturalmente le economie dei Paesi importatori, anche sviluppati, furono pesantemente colpite dal repentino aumento del prezzo di un prodotto che è insieme materia prima e risorsa energetica per usi di consumo e industriali. Per la prima volta nella storia, in tempo di pace, l’inflazione

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raggiunse valori senza precedenti, con un aumento annuo dei prezzi tra il 1972 e il 1983 del 9,1 percento9. Contestualmente, soprattutto per le politiche di austerità e di contrazione dei consumi perseguite dai Paesi più industrializzati, la produzione diminuì del 10 percento e si stagliò all’orizzonte una fase di recessione con i caratteri del tutto inediti della stagflazione, un intreccio tra stagnazione e inflazione che cozzava contro un livello di benessere e uno standard di vita che sembrava difficile mettere in discussione. All’interno di tale scenario recessivo fu coinvolto inevitabilmente anche il mercato del credito al punto che nel 1973 non solo fu imposto il vincolo di portafoglio (dove le aziende di credito furono obbligate ad investire in titoli a reddito fisso per un determinato ammontare dei depositi) ma si attuò una vera e propria stretta creditizia mediante la quale fu stabilito un limite massimo all’incremento degli impieghi alle aziende di credito. Gli interventi effettuati dalle autorità, infatti, indussero all’indebitamento prevalentemente a medio e lungo termine e ad acquisire obbligazioni degli istituti di credito speciale in un sistema creditizio che, dal punto di vista di Guido Carli, all’epoca Governatore della Banca d’Italia, era costituito da preoccupanti problemi strutturali connessi all’espansione del disavanzo del settore pubblico e al deterioramento della bilancia dei pagamenti dovuto allo shock petrolifero10. Di fronte a tale scenario di crisi organismi quali i Confidi rappresentarono un’ottima opportunità soprattutto per le piccole e medie imprese per mantenere la propria posizione sul mercato e accrescere la propria credibilità nel mercato del credito. A dimostrazione dello sviluppo di tali organismi si evidenziarono negli anni ’70

9 “Dagli anni 50 a Maastricht”, Sito Ufficiale Banca d’Italia, https://www.bancaditalia.it/chi- siamo/storia/anni-cinquanta/index.html

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numerosi interventi legislativi che ne agevolarono lo sviluppo e la diffusione nel territorio: primi fra tutti la legge n. 374/1976, che aveva lo scopo di disciplinare le provvidenze a favore dei consorzi e delle società consortili tra piccole e medie imprese e, nello stesso anno, la legge n. 377, la quale fissava regole generali per i consorzi con attività esterna, permettendo ai confidi di utilizzare la forma giuridica del consorzio; prima di questa legge, infatti, i confidi sceglievano di costituirsi come società cooperative a responsabilità limitata al fine di eludere l’obbligo stabilito dal vecchio art. 2615 c.c., che sanciva la responsabilità solidale ed illimitata di coloro che agivano in nome e per conto del consorzio. La legge n. 377, seppur in modo assolutamente accidentale, essendo finalizzata a modificare la disciplina in materia di consorzi introducendo il nuovo art. 2606 c.c., fornì un riconoscimento giuridico all’attività dei consorzi di garanzia collettiva, che da questo momento, poterono scegliere liberamente di costituirsi secondo una qualsiasi delle forme utilizzate per gli scopi mutualistici11. Dal

punto di vista fiscale inoltre la legge 675/1977 garantiva ai confidi la totale esenzione tanto dal pagamento tanto dell’Iva quanto dalle imposte sul reddito. Oltre a livello normativo, in questi anni, altri elementi testimoniarono il grado di sviluppo dei Confidi: in primis la nascita di Federconfidi nel 1972. Tale organismo rappresentava la prima forma di federazione tra i consorzi di garanzia collettiva dei fidi a livello nazionale il cui principale compito era quello di rappresentare i consorzi e le cooperative di garanzia collettiva fidi del settore industriale. Oltre allo svolgimento della normale attività istituzionale di rappresentanza, di coordinamento dei confidi e

11 R. CAFFERATA, I consorzi di garanzia collettiva dei fidi: diffusione, limiti e potenzialità di una forma di associazionismo tra piccole e medie imprese, in Economia politica e industriale,

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di promozione dello strumento della garanzia mutualistica, Federconfidi ha indirizzato, e indirizza, il suo impegno a:

1. organizzazione di corsi di formazione per i segretari dei confidi

2. promozione della cultura d'impresa in materia finanziaria, attraverso seminari

3. realizzazione di ricerche e la organizzazione di manifestazioni livello nazionale su materie economico-finanziarie d'interesse per i confidi

4. realizzazione, da oltre vent'anni, di un'indagine annuale sull'attività dei confidi; la rilevazione Federconfidi costituisce, per l'Italia, l'unica fonte di dati documentati, certi e continui nel tempo;

La nascita di Fedeconfidi rappresentò a tutti gli effetti il primo passo verso la costruzione di quella intelaiatura non solo burocratica ma anche organizzativa ed operativa che ad oggi identifica il cosiddetto “sistema Confidi” a cinque livelli: tale assetto infatti sarà costituito in futuro dai confidi provinciali (espressione diretta della piccola e media impresa), i confidi regionali (organismi di garanzia che spesso, accanto ad un’attività di prestazione di garanzia su finanziamenti a medio e lungo termine, esercitano una attività di controgaranzia e cogaranzia nei confronti dei confidi provinciali), le sette Federazioni Nazionali con finalità di assistenza e coordinamento (FEDART FIDI,

FEDERASCOMFIDI, FEDERCONFIDI, FEDERFIDI,

FINCREDIT,CREDITAGRI e COOPERFIDI ITALIA), l’ente coordinatore a livello nazionale delle sette federazioni (Asso Confidi Italia) e l’AECM ovvero

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l’Associazione europea di mutua garanzia.12 Tale processo di crescita, scaturito

come risposta agli shock petroliferi, proseguì anche negli anni ’80 ma, a differenza dei decenni precedente, non fu accompagnato da particolari interventi normativi.13. In questi anni tuttavia si evidenziò il sostegno sempre più

significativo non solo delle aziende di credito (per lo più di piccole dimensioni e a carattere locale) ma anche degli enti locali e delle camere di commercio le quali contribuirono al superamento delle diseconomie di scala che penalizzavano molto la piccola impresa. Scopo principale di aziende di credito, enti locali e camere di commercio era quello di ridurre al minimo il fenomeno della asimmetria informativa ovvero quella condizione in cui un'informazione non è condivisa integralmente fra gli individui facenti parte del processo economico. Al fine di delineare la situazione generale, si evidenziò come tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 all’interno del processo di sviluppo dei Confidi si sentiva fortemente la mancanza di una normativa ad hoc che regolasse ogni aspetto di tali organismi dalle fonti di finanziamento agli incentivi fiscali. La crescita di tali organismi era ancora strettamente legata ad un ambito quasi esclusivamente “numerico” e la mancanza di una disciplina uniforme dette vita ad una pluralità di confidi con diversi tassi di insolvenza, diversa patrimonializzazione, diversa capacità economica e di conseguenza differenze nel trattamento dei consorziati14.

12 Configurazione del sistema Confidi – Sito Ufficiale Fincredit Confapi

13 F. ANGELICI (a cura di), Confidi e congiuntura economica. Rilevazioni 1984-1994, Milano, 1997.

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Delineato lo scenario a livello generale occorre entrare nel particolare cercando di analizzare la diffusione e l’operatività dei Confidi a seguito dei due shock petroliferi che colpirono tutta l’Europa. Nel 1984 Unioncamere, l’Unione italiana delle Camere di Commercio15, commissionò una indagine conoscitiva16

inerente all’operatività dei Confidi italiani. La presente indagine ha evidenziato nel 1984 la presenza di 642 consorzi e cooperative di garanzia collettiva dei fidi operanti nel settore dell’artigianato (416), dell’industria (130), del commercio (88) e dell’agricoltura (8). Analizzando tali dati si potrebbe pensare ad una situazione di grande sviluppo e di grande radicamento sul territorio ma Unioncamere ha rilevato come in realtà alcuni Confidi fossero assolutamente privi di una vera e propria struttura amministrativo-organizzativa o, in alcuni casi, esistenti solo nominalmente. Tali disfunzioni, come rileva l’indagine, risultavano da molti fattori riconducibili soprattutto a mancanza di competenze specifiche o difficoltà a livello operativo. Un altro importante risultato di tale ricerca fu la constatazione di come i Confidi, benché sovente promossi dalle associazioni imprenditoriali ed operanti con il contributo di enti pubblici, costituivano una categoria di operatori poco conosciuti al di fuori dell’ambito locale dove erano noti, in modo frammentario, i soli “dati anagrafici” degli organismi esistenti. Con la parziale eccezione del settore industriale mancavano, infatti, all’interno degli stessi Confidi o delle rispettive associazioni imprenditoriali di cui erano emanazione, interventi volti ad incentivare una maggiore conoscenza delle molteplici realtà operative e a

15 Fondata nel 1901, Unioncamere realizza e gestisce servizi e attività di interesse delle Camere di commercio e delle categorie economiche, coordinando le iniziative del Sistema attraverso direttive e indirizzi agli organismi che ne fanno parte.

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promuovere, pur nel rispetto delle autonomie dei singoli organismi, momenti di consultazione tesi ad eliminare disfunzioni organizzative e a favorire la divulgazione di soluzioni a problemi comuni a Confidi già collaudati. Sotto il profilo settoriale i dati hanno evidenziato che il fenomeno Confidi interessò maggiormente il settore dell’artigianato e in minima parte quello agricolo. Il mancato sviluppo di forme associative per il rilascio di garanzie a sostegno di operazioni creditizie da parte degli operatori agricoli può ricondursi sia alla tradizionale “cultura” agricola sia al sistema del credito agevolato che sostenne lo sviluppo del settore. Resta tuttavia chiaro che anche in tale settore i Confidi potevano svolgere un importante ruolo di mediazione tra banche e imprese associate, migliorare la trasparenza delle condizioni applicate, snellire la fase istruttoria e ridurre il costo del credito concesso. Sotto il profilo della localizzazione geografica l’operatività dei Confidi risultava concentrata prevalentemente nel Nord Italia dove avevano sede ben 284 consorzi o cooperative, mentre nel Centro ne erano presenti 210 e al Sud e nelle isole se ne contava 148. Nel meridione spiccava indubbiamente la presenza di ben 111 Confidi, di cui 99 nel solo settore dell’artigianato, solo nella regione Puglia. Analizzando nel dettaglio la diffusione del fenomeno si evidenzia comunque una forte differenziazione tra regione e regione (in Lombardia erano presenti poco meno di 90 Confidi, mentre nel Friuli Venezia Giulia solo 12): ciò sembra riflettere non solo il differente grado di sviluppo economico del territorio e il diverso peso che nelle singole regioni avevano i vari settori economici, ma anche una diversa propensione degli operatori verso soluzioni associative. Dall’indagine emerge come la diversa distribuzione dei Confidi in termini sia

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di settori economici di intervento, sia di localizzazione territoriale trova sovente spiegazione nel diverso grado di apertura della base associativa dei consorzi e cooperative e nella concreta ampiezza del loro ambito di intervento. Il numero delle iniziative esistenti era quindi in taluni casi un parametro non significativo della effettiva diffusione del fenomeno: pur non volendo negare l’indubbia validità dell’esigenza di preservare l’autonomia e il carattere locale quali peculiarità fondamentali dei Confidi atte a rendere maggiormente aderente l’azione di tali organismi alle aspettative dei propri associati e a garantire flessibilità e snellezza operativa, si osserva come talvolta la polverizzazione dell’attività su più iniziative (in una stessa provincia spesso gravitavano più Confidi promossi dalla medesima associazione imprenditoriale) si fosse tradotta in una eccessiva debolezza organizzativa. Nel settore dell’artigianato, in particolare, taluni Confidi sembravano essere riusciti a stento a superare la fase di avvio e non sempre riuscirono a raggiungere un’operatività sufficiente per dotarsi di quel minimo di strutture organizzative necessarie per soddisfare al meglio le attese degli associati. A livello di struttura organizzativa i Confidi dell’epoca presentavano una forma particolarmente snella: la gestione corrente veniva affidata solitamente ad un funzionario, mentre le altre strutture materiali erano generalmente messe a disposizione dalla Associazione di categoria di cui il Confidi era emanazione. Tale snellezza se da un lato aveva indubbiamente il pregio di non aggravare il conto economico e rappresentava una testimonianza di come fosse viva la preoccupazione degli imprenditori minori di non creare strutture eccessivamente burocratizzate, soprattutto in un periodo di difficoltà

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economica generale, dall’altro, la dotazione di una struttura organizzativa solida e autonoma sembrava essere una variabile chiave per l’effettivo sviluppo dello strumento della garanzia collettiva fidi, in quanto, da essa, dipendono sia la capacità di ampliare il numero degli associati ed accrescere così il patrimonio di garanzia sia di svolgere quell’indispensabile azione di pre- istruttoria necessaria per rendere realmente operativa la formula della “garanzia collettiva fidi”. Un ulteriore parametro significativo per valutare la dimensione operativa dei Confidi dell’epoca è il rapporto con le banche e con altri intermediari finanziari. Così come a livello territoriale anche in tale ambito emerge una evidente disomogeneità: si evidenzia come ogni singolo organismo avesse stipulato in media convenzioni con 4 banche, ma i dati mostrano anche situazioni con un'unica convenzione o addirittura confidi con ben 16 convenzioni. Quanto al profilo della tipologia di banche convenzionate, i dati evidenziano chiaramente che la preferenza fu accordata a banche locali (ci si riferisce ad una caratterizzazione che si basa sull’area economica in cui gravitano gli interessi della banca) solitamente di piccole dimensioni e che, a livello giuridico, rientravano nelle categorie delle Casse di Risparmio e delle Aziende Ordinarie di credito. Ciò dimostra come per le imprese minori e per le loro organizzazioni fosse più agevole il rapporto con banche di minori dimensioni, più sensibili ai problemi di sviluppo dell’economia locale e più flessibili ad aderire ad iniziative che comportino anche modeste implicazioni organizzative. Le convenzioni con società di leasing di factoring e i rapporti con gli istituti di credito speciale ebbero un sensibile miglioramento rispetto agli anni passati, ma restavano ancora casi abbastanza isolati. Nell’ambito delle

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convenzioni veniva definita la copertura del rischio di insolvenza da parte della garanzia collettiva. Al fine di garantire una maggiore operatività del Confidi e per imporre alla banca il sostenimento di una quota di rischio, il primo solitamente non garantiva la totale copertura. Le percentuali di rischio garantite dai Confidi, analizzate all’interno dell’indagine, hanno evidenziato che il valore più frequente indica la preferenza per una ripartizione paritetica del rischio. In alcuni casi addirittura la copertura del rischio fosse totale, a testimonianza della scarsa forza contrattuale di cui taluni Confidi disponevano. La pressoché irrilevante copertura offerta in taluni casi dai Confidi sembra viceversa testimoniare il distorto utilizzo dell’organizzazione di tali organismi per ridurre semplicemente il costo dei finanziamenti quali organi di trasmissione di contributi pubblici. I tempi medi di istruttoria variavano da un minimo di 7 giorni ad un massimo di 5 mesi, con un valor medio di un mese. Poiché i tempi di istruttoria si riferivano mediamente all’insieme delle operazioni concluse, senza distinzione fra quelle a breve o a medio termine e senza riferimento all’ammontare di fidi concessi, non sono consentite particolari valutazioni. Si può comunque affermare che si trattava di tempi generalmente brevi che consentano di affermare che lo strumento della garanzia collettiva non costituiva un aggravio procedurale. Esso, al contrario, si prestava a rendere più snello e agevole il rapporto fra banca e imprenditore minore in virtù della riduzione del grado di rischio sopportato dalla banca e, almeno in teoria, del ruolo svolto da un interlocutore qualificato quale sarebbe dovuto essere il Confidi, nell’agevolare la corretta e completa predisposizione delle domande di fido e di ammissione ai contributi pubblici eventualmente

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disponibili. Riguardo ai finanziamenti in essere con il supporto della garanzia collettiva, l’indagine ha evidenziato come, dei 348 Confidi che hanno fornito tale indicazione, ammontavano alla fine del 1984 a circa 3.442 miliardi di lire. Estrapolando tali dati si è riusciti a stabilire una suddivisione a livello territoriale evidenziando come il 63,6% dei finanziamenti fossero erogati nelle regioni del Nord, il 29% al Centro e solo il 7,4% al Sud e nelle Isole. Pur tenendo conto del differente grado di crescita economica del paese e in generale della distribuzione degli impieghi del sistema bancario, risulta evidente il minor grado di diffusione al Sud e nelle Isole, dove sembravano peraltro più vive esigenze di miglioramento delle condizioni di accesso al credito, sia in termini di tassi d’interesse sui prestiti ordinari, sia di disponibilità di linee di fido. Sotto il profilo della distribuzione settoriale invece, l’operatività dei Confidi, quanto a volume di finanziamenti erogati con il supporto della garanzia collettiva, si distribuiva per lo 0,3% nel settore agricolo, per il 22,4% nel settore dell’artigianato, per il 15,8% nel settore del commercio e infine per il 61,5% nel settore dell’industria. Questo ultimo dato rappresenta uno spunto di riflessione significativo: a partire dagli anni ’80 il baricentro dell’attività dei Confidi ha subito uno “spostamento” dall’attività artigiana verso il settore industriale. Si è riscontrato, inoltre, come nell’ambito dei diversi settori emergano profonde differenze: tralasciando i dati del settore agricolo la cui situazione si commenta da sola, si evidenzia come nel settore dell’artigianato la dimensione media del portafoglio prestiti assistiti dalla garanzia collettiva fosse di poco superiore ai 5 miliardi ma la netta maggioranza dei Confidi presentava valori inferiori alla media. Ennesimo

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elemento che testimonia l’elevata disomogeneità operativa e dimensionale di Confidi. Il settore commerciale invece presentava una situazione più uniforme in cui il valor medio del portafoglio prestiti era di circa 7 miliardi mentre circa il 10% dei Confidi superava la soglia dei 15 miliardi e quasi il 23% non superava il miliardo. Nel settore industriale la dimensione media del portafoglio prestiti saliva a 17,5 miliardi ma solo circa il 38% superava la soglia dei 15 miliardi con una punta massima di 117,6 miliardi. I finanziamenti globalmente in essere erano ripartiti per il 60,7% in finanziamenti a breve termine, per il 17,7% in finanziamenti a medio termine e per il 21,6% non è stata specificata la durata: a testimonianza di una maggior complessità dell’erogazione dei prestiti a protratta scadenza. Risulta evidente infatti come, per potersi sviluppare in questo ambito, la maggior parte dei Confidi dell’epoca dovevano dotarsi non solo di personale competente ma anche di figure manageriali di indubbia esperienza al fine di analizzare in dettaglio i vari fidi ed incrementare le dimensioni del patrimonio di garanzia di cui disponevano. Un ulteriore parametro operativo che evidenzia l’operatività dei Confidi dell’epoca è indubbiamente il numero delle operazioni in essere. Mediamente i Confidi gestivano 434 rapporti di affidamento, con una punta massima di

11.540 rapporti e un minimo di uno solo. Dei restanti 115 Confidi che non hanno fornito tale indicazione almeno 27 erano da ritenersi, all’epoca, inattivi poiché non avevano fornito neppure i dati relativi al volume dei prestiti in essere. Confrontando infine il numero dei rapporti in essere con il numero delle aziende complessivamente associate ai Confidi si rileva che mediamente quasi il 40% delle aziende associate beneficiava concretamente dell’assistenza della

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garanzia. Si tratta tuttavia di una semplice indicazione che va valutata con estrema cautela a causa dei limiti connessi al fatto di riferirsi a valori che mediavano le diverse situazioni.

La suddetta indagine appena esposta è sicuramente un ottimo punto di partenza ai fini dell’identificazione dei tratti caratteristici del fenomeno Confidi dell’epoca. Indubbiamente rispetto alla prima fase del loro sviluppo, tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’70, tali organismi hanno dimostrato una significativa crescita dimensionale raggiungendo in molti casi livelli di sviluppo regionali ma resta il fatto che significativi sforzi organizzativi e gestionali per migliorare la propria operatività fossero indispensabili. In sostanza affinché i Confidi potessero rispondere nel modo migliore alle aspettative sia dell’imprenditoria minore ad essi associata sia delle istituzioni finanziarie era essenziale che la loro efficienza gestionale fosse massima. Si riteneva necessaria la presenza di personale qualificato (in generale la presenza di un Segretario, coadiuvato da personale di segreteria) e che le spese di gestione fossero estremamente contenute rispetto al volume di affidamenti garantiti mediamente in essere. Un ulteriore elemento, emergente dall’indagine e che ha indubbiamente condizionato l’operato dei Confidi dalla loro nascita fino ai primi anni ’90 fu la mancanza di una normativa ad hoc. Tale normativa doveva essere atta a monitorare, regolamentare e incentivare l’operatività di tali organismi al fine di rafforzare il comparto delle piccole e medie imprese le quali rappresentano la netta maggioranza del nostro tessuto imprenditoriale.

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1.3 Avvio del processo di inquadramento giuridico dei Confidi

degli anni ‘90

La successiva fase di sviluppo dei Confidi si apre con gli anni ’90, in coincidenza con una lunga fase di congiuntura economica favorevole e con un periodo di forte espansione degli impieghi bancari. L’interesse delle banche ad un maggiore ricorso allo strumento della garanzia consortile per finalità prevalentemente commerciali provocò pertanto in questi anni una importante accelerazione della crescita dimensionale, soprattutto nel caso di alcuni confidi del nord – Italia e della Toscana17. In tale periodo si aprirono nuove opportunità di collaborazione con le banche maggiormente orientate all’innovazione ed a politiche commerciali aggressive nel campo degli impieghi. Queste ultime percepirono infatti i confidi più attivi come potenziale canale di sviluppo delle relazioni di clientela. Questi organismi, dopo avere raggiunto buone soglie dimensionali operando all’interno del settore e della regione di origine, trovarono conveniente offrire garanzie anche a favore di imprese al di fuori di questi ambiti, allentando in qualche occasione anche i legami con le associazioni di categoria di origine. In questa fase si consolidarono, in particolare, le strutture manageriali di questi confidi, consentendo:

- il passaggio a nuovi equilibri di governance, nell’ambito dei quali l’iniziativa delle innovazioni strategiche passava ad un management esperto e radicato, che, pur collaborando efficacemente con le associazioni di categoria di

17

Paolo Parini, “I Confidi locali nella transizione ad intermediari finanziari: miti da sfatare e modelli

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riferimento e godendo della loro fiducia, perseguiva obiettivi di autonomo rafforzamento del confidi stesso;

- l’acquisizione da parte dei confidi interessati di una nuova consapevolezza delle potenzialità del proprio ruolo come operatori finanziari di mercato;

- l’introduzione di procedure gestionali molto più efficienti ed efficaci, separando, dal punto di vista organizzativo, le strutture del confidi da quelle delle associazioni di categoria di riferimento.

Risulta interessante notare inoltre come questa “avanguardia” manageriale, che si affermò alla guida di confidi nati fin dai primi anni ’90, avesse caratteristiche professionali prevalentemente nate o, comunque, sviluppate attraverso una lunga esperienza maturata nell’ambito dello stesso confidi, piuttosto che in esperienze precedenti in banche, società finanziarie o imprese pubbliche o private. I risultati conseguiti valorizzarono il ruolo di soggetti che dovevano essere dotati di grande polivalenza e flessibilità così come di visione strategica, senza tuttavia mancare di concreta capacità di gestione operativa, necessaria per le ancora ridotte dimensioni anche dei maggiori tra i confidi. Questa affermazione di professionalità molto specifiche è un’ulteriore riprova delle particolari caratteristiche di questi organismi, a cavallo tra mercato ed assistenza, tra finanza ed imprese, tra esigenze politiche delle associazioni e strategie delle banche. La crescita dimensionale realizzata in questa fase da alcuni confidi innovatori non implica tuttavia una maggior concentrazione del sistema, ma avviene, anzi, il contrario. Nello stesso periodo, aumenta infatti sensibilmente anche il numero dei confidi in attività, fino a superare nei primi

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anni 2000 la soglia dei 1.000 iscritti nella citata “apposita sezione” dell’elenco degli intermediari finanziari.

Tale crescita dimensionale, seppur disomogenea, del fenomeno dei confidi derivò principalmente dall’introduzione, dai primi anni ’90, di una serie di norme e leggi che insieme posero le basi per quell’inquadramento giuridico di cui si sentiva il bisogno da molti anni. Tale inquadramento prese forma agli inizi degli anni '90, allorché i confidi divennero destinatari di misure agevolative da parte di leggi statali e regionali, che condizionavano la fruizione dei benefici al rispetto di requisiti di tipo organizzativo, dimensionale e operativo. La convenienza a configurarsi nel modo richiesto dalle leggi agevolative ha indotto i confidi ad assumere caratteri comuni che, entrati negli statuti, hanno finito per caratterizzarli. Tra i provvedimenti agevolativi assunse particolare rilievo la legge n. 317 del 1991 (“Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole

imprese”), che fornì un quadro pressoché esaustivo delle condizioni richieste per

l’ammissione dei confidi alle agevolazioni. Beneficiari di tale provvedimento erano tutti quegli organismi sul territorio dello stato italiano in possesso delle seguenti caratteristiche18:

1. Consorzi, società consortili e cooperative di garanzia collettiva fidi che abbiano i seguenti requisiti: attività di prestazione di garanzie collettive per favorire la concessione di finanziamenti alle piccole imprese associate da parte di aziende e istituti di credito, di società di locazione finanziaria, di società di cessione di crediti di imprese e di enti parabancari alle piccole e medie imprese associate (lo svolgimento di questa attività è necessario al

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fine dell'ammissione ai benefici) o attività di informazione, consulenza e assistenza alle imprese consorziate per il reperimento e il migliore utilizzo delle fonti finanziarie o prestazioni di servizi per il miglioramento della gestione finanziaria delle imprese consorziate. Tali soggetti dovevano inoltre essere costituiti da almeno 50 piccole e medie imprese industriali, commerciali di servizi, turistiche e da imprese artigiane, anche a carattere intersettoriale e disporre di un fondo di garanzia monetario (fondo rischi), costituito da versamenti delle stesse imprese consorziate, di importo (al lordo delle perdite subite) non inferiore a 50.000.000 L. per soggetti con competenza operativa circoscritta al territorio provinciale, 200.000.000 L. per soggetti con competenza operativa circoscritta al territorio regionale e 500.000.000 L. per soggetti con competenza estesa al territorio nazionale. Ai fini del rispetto dei livelli minimi indicati si teneva conto del fondo di garanzia monetario effettivamente versato al netto della eventuale quota vincolata a garanzia di crediti di sofferenza. Fermi i limiti di capitale previsti dal Codice Civile in relazione alla forma giuridica assunta, tali soggetti dovevano inoltre essere privi di scopo di lucro

2. Consorzi, società consortili e cooperative di garanzia fidi ai quali, alla data del 30 giugno 1990, partecipino - in misura non superiore ad un sesto del numero complessivo delle aziende consorziate - piccole imprese industriali con non più di 300 dipendenti, fermo il limite di capitale netto investito di 20 miliardi

3. Consorzi di garanzia fidi di secondo grado i quali fossero costituiti da almeno 5 cooperative artigiane di garanzie collettiva fidi, composte ognuna

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da 50 imprese artigiane e che disponessero di fondi di garanzia monetari di importo non inferiore a 150 milioni di lire

Le agevolazioni previste da tale norma riguardano due ambiti: il reintegro delle perdite di esercizio e i contributi per fondi consortili di secondo grado. Nel primo caso i fondi di garanzia monetari potevano ricevere un contributo statale per reintegrare le perdite registrate nel corso di ciascun esercizio a condizione che:

1. tali perdite derivino da interventi di garanzia effettuati successivamente al 25 ottobre 1991;

2. le garanzie siano state prestate per un importo non superiore al 50% del finanziamento utilizzato dall'impresa.

Il reintegro delle perdite poteva avvenire nella misura seguente:

1. nel limite massimo del 30% delle perdite subite per garanzie prestate su operazioni di finanziamento fino a 18 mesi;

2. il limite può essere aumentato al 40% quando la garanzia consortile sia prestata su operazioni di finanziamento della durata superiore a 18 mesi, o quando le cooperative, i consorzi o le società consortili abbiano competenza operativa estesa al territorio regionale; il limite è del 50% per le cooperative, i consorzi o le società consortili ubicati nelle aree ammesse all’obiettivo 2 dei Fondi strutturali.

Le perdite potevano inoltre essere reintegrate anche per più esercizi. L'intervento di reintegro da parte dello Stato era effettuato alla chiusura dell'esercizio sociale in cui i Confidi avevano provveduto all'adempimento

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degli obblighi connessi alla garanzia prestata, con riserva di eventuale conguaglio allorché le procedure di recupero siano esaurite. La gestione degli interventi di reintegro era inoltre affidata al Mediocredito Centrale in caso di garanzie su finanziamenti a imprese industriali, commerciali e di servizi e all'Artigiancassa in caso di garanzie su finanziamenti a imprese artigiane. Operativamente i soggetti beneficiari presentano, entro il 30 giugno di ogni anno, mediante domanda corredata dalla dichiarazione attestante l’ammontare delle perdite e dalla documentazione richiesta, la domanda al Mediocredito centrale o all'Artigiancassa, e per conoscenza al Ministero

del tesoro - Direzione generale del tesoro - Servizio IV - Divisione V. Entro

90 giorni dalla data di ricezione della richiesta di contributo completa, o del completamento della stessa, Mediocredito Centrale trasmetteva al Ministero del Tesoro le risultanze istruttorie con l’indicazione della misura del contributo concedibile ovvero dei motivi che rendevano le richieste non ammissibili e, contestualmente, comunicava ai Confidi richiedenti le risultanze istruttorie. La Regione infine poteva, anche attraverso le società finanziarie regionali, erogare contributi al Fondo rischi consortili dei Consorzi di garanzia collettiva fidi. Analizziamo adesso l’ambito dei contributi per fondi interconsortili di secondo grado. I Confidi che concorrevano alla costituzione di fondi interconsortili di secondo grado a carattere nazionale, volti a convalidare la capacità operativa dei consorzi stessi, attraverso l'attenuazione dei rischi incontrati nell'ambito della propria attività istituzionale, potevano beneficiare di un contributo fino al 50% delle quote apportate al fondo da ciascun consorzio, per un massimo

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di 40 milioni di lire annui. Tali limiti erano elevati rispettivamente al 70% e a 100 milioni di lire annui per i consorzi localizzati nei comuni ammessi all'obiettivo 2 dei Fondi Strutturali. Tale contributo era dedotto da quello concesso per il reintegro delle perdite subite. Ciascun consorzio, società consortile o cooperativa era ammesso all'intervento dello Stato fino a un importo non superiore all'ammontare dei fondi rischi consortili, limitatamente alla quota parte costituita dai versamenti a qualsiasi titolo effettuati dalle imprese consorziate o socie. Nel caso in cui infine i Confidi avessero beneficiato dei contributi previsti allo stesso titolo da leggi statali o regionali, il limite massimo dell'intervento di reintegro era determinato tenendo conto anche dei contributi e dei finanziamenti erogati ai sensi delle predette leggi. Il contributo era concesso con decreto del MICA (Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato) ed è erogato in un'unica soluzione contestualmente al provvedimento di concessione. Qualora le disponibilità finanziarie non permettevano la concessione nella misura massima, il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato ne dispone la riduzione percentuale in eguale misura. La legge n. 317 del 1991 ha indubbiamente rappresentato la “scintilla” per un ordinato processo di inquadramento giuridico dei Confidi ma il consolidamento vero e proprio di tale processo avverrà solo con l’emanazione dell’Accordo internazionale sulla valutazione del patrimonio e sui coefficienti patrimoniali minimi nel 1988 (detto successivamente Accordo di Basilea 119) e, soprattutto, con l’introduzione del Testo Unico Bancario (TUB - Decreto legislativo n. 385

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del 1993) che insieme hanno modificato radicalmente l’ordinamento bancario italiano. L’Accordo di Basile 1 stabiliva alcune regole generali da applicare in tutte le giurisdizioni dei paesi aderenti al Comitato di Basilea, ma che vennero rapidamente applicate nella quasi totalità dei paesi di libero mercato. La regola fondamentale dell'Accordo del 1988 era quella che stabiliva una dotazione patrimoniale minima per le banche: il patrimonio di vigilanza di queste ultime non doveva essere inferiore a una percentuale (pari all'8%) della somma delle attività ponderate per il rischio. Questa regola, pertanto, metteva in relazione due grandezze: il patrimonio di vigilanza e la somma delle attività ponderate per il rischio, attraverso un coefficiente prudenziale (8%) che stimava la perdita attesa implicita nell'attività di finanziamento. Il patrimonio di vigilanza è pari alla somma algebrica di alcune voci del passivo delle banche e, in particolare, del (i) patrimonio di base, (ii) patrimonio supplementare, al netto delle (iii) deduzioni. In Italia le regole prudenziali derivanti dall'Accordo del 1988 furono introdotte gradualmente e solo negli anni '90 il processo venne completato a seguito dell'emanazione del D.lgs. 14.12.1992, n. 481 e poi del D.lgs. 1.9.1993, n. 385. Nel quadro di "Basilea 1" l’intervento dei Confidi non rivestiva alcun valore al fine della riduzione del rischio di credito delle banche finanziatrici nei confronti delle imprese affidate. Tale mancanza di valore era connessa con la natura dei Confidi che non venivano considerati come soggetti finanziari, anche se la loro principale attività (la fornitura di garanzie) è di tipo finanziario. La natura non finanziaria dei Confidi derivava principalmente dal fatto che l'attività dei consorzi era indirizzata

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verso imprese e che, in moltissimi casi, i Confidi erano (e sono tuttora) emanazione delle Associazioni di categoria delle imprese. In virtù della loro natura non finanziaria, i Confidi non potevano contribuire a ridurre i requisiti patrimoniali delle banche; la regolamentazione attribuiva infatti una ponderazione pari al 20 per cento solo agli enti pubblici, alle banche e alle banche multilaterali di sviluppo (e solo dalla fine degli anni '90 tale ponderazione venne estesa anche alle imprese di investimento). Di conseguenza i Confidi restavano soggetti, come qualunque altra impresa non finanziaria, ad una ponderazione del 100% che non determinava alcun vantaggio nel momento in cui essi fornivano una garanzia personale. Inoltre, lo schema della garanzia monetaria – riconducibile a una garanzia mutualistica – tipica dell’intervento dei consorzi, non era riconosciuta neanche come una garanzia reale, in quanto la normativa riconosceva i depositi in denaro come garanzie reali, solo nel caso in cui fossero nella piena disponibilità della banca finanziatrice (ad esempio mediante un pegno oppure un deposito presso la banca finanziatrice totalmente indisponibile per il garante) e, comunque, fossero riconducibili a un singolo credito e non a un insieme di crediti. Analizzando adesso il Decreto legislativo n. 385 del 1993, si può facilmente constatare come quest’ultimo rappresentò a tutti gli effetti il primo provvedimento legislativo a dettare per i confidi una disciplina di carattere sostanziale; in particolare, l’articolo 155, comma 4 e successivi del TUB prevedeva per la prima volta che i Confidi, organismi costituiti anche in forma di società cooperativa o consortile, operando nel campo della garanzia collettiva ai sensi della legge 317/1991, fossero

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iscritti in un'apposita sezione dell'elenco generale degli intermediari finanziari previsto dall'art. 106, comma 1. La norma, quindi, esonerava i confidi dall'applicazione della disciplina del Titolo V TUB (contenente le norme applicabili a tutti soggetti non bancari operanti nel settore finanziario) e della normativa in materia di "antiriciclaggio" (artt. 2, 3, 4 della L. 197/1991). In base al comma 4-bis veniva stabilito che fosse il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, a determinare i criteri oggettivi, riferibili al volume di attività finanziaria e ai mezzi patrimoniali, in base ai quali fossero individuati i confidi tenuti a chiedere l'iscrizione nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107. La Banca d'Italia inoltre stabiliva, con proprio provvedimento, gli elementi da prendere in considerazione per il calcolo del volume di attività finanziaria e dei mezzi patrimoniali. Altra norma particolarmente significativa è contenuta all’interno del comma 4-quater dove venivano elencate le attività che potevano svolgere i confidi iscritti nell’elenco speciale prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie:

1. prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie;

2. gestione, ai sensi dell'articolo 47, comma 2, di fondi pubblici di agevolazione;

3. stipula, ai sensi dell'articolo 47, comma 3, di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione

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Ulteriori disposizioni legislative (leggi n. 108 del 1996 e n. 266 del 1997) hanno preso in considerazione i confidi allo scopo di potenziare il loro ruolo di sostegno delle piccole e medie imprese. La legge n. 108 del 1996 ("Disposizioni in materia

di usura"), valorizzando le peculiari attitudini dei confidi nella valutazione delle

imprese, li aveva ricompresi tra i possibili beneficiari dei contributi statali destinati ad appositi fondi per la prevenzione del fenomeno dell’usura. Il meccanismo a tal fine utilizzato dalla legge faceva leva sull'istituzione presso il Ministero dell'Economia di un apposito "Fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura", che poteva essere utilizzato, nella misura del 70 per cento, per l'erogazione di contributi in favore dei confidi che costituiscano “fondi speciali”, distinti dai fondi rischi ordinari, diretti a garantire fino all’80 per cento le banche che concedono finanziamenti a medio termine alle piccole e medie imprese a elevato rischio finanziario. La legge n. 266 del 1997 ("Interventi urgenti per

l'economia"), nell'operare una generale razionalizzazione dei fondi pubblici

nell'ambito del sistema nazionale di garanzia, ha previsto l’unificazione delle risorse disponibili in favore delle piccole e medie imprese in un unico fondo, facente capo a Mediocredito Centrale, deputato a riassicurare e fornire liquidità ai confidi e agli “altri fondi di garanzia” gestiti da intermediari finanziari (art. 15). I criteri per la concessione della garanzia da parte del "fondo nazionale" presso Medicredito e per la gestione del "fondo" stesso sono stati definiti con DM n. 248/1999. In base a esso, il "fondo" può intervenire sia come garante diretto dei finanziatori (banche, finanziarie sottoposte a vigilanza, SFIS) sia quale garante di secondo grado dei fondi facenti capo ai confidi. In quest'ultima ipotesi, l'intervento del

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"fondo" può assumere la forma della controgaranzia o della cogaranzia: la prima si sostanzia nella garanzia del "fondo" a favore del confidi; la seconda viene prestata, unitamente al confidi, a favore dei soggetti finanziatori.

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CAPITOLO 2

Evoluzione normativa dei Confidi in Italia: Dal “Nuovo

Accordo di Basilea 2” alla Legge Delega per la riforma

dei Confidi (L. 150/2016)

2.1 Il “Nuovo Accordo di Basilea 2” e i suoi effetti sui Confidi

La cosiddetta “Legge quadro” del 2003 (art. 13 del DL 30 Settembre 2003, n.269, convertito nella Legge n. 326 del 24 Novembre 2003) rappresentò non solo un fondamentale cambiamento nell’ambito normativo dei Confidi ma anche un compromesso efficace tra il mondo dei Confidi e quello degli istituti di credito in vista dell’entrata in vigore del cosiddetto accordo di “Basilea 2” (denominazione con cui è conosciuto il documento “Nuovo Accordo sui requisiti minimi di capitale” firmato a Basilea nel 2004). Il primo accordo di Basilea, risalente al 1988, aveva introdotto per la prima volta regole riguardanti il patrimonio e il cosiddetto coefficiente di solvibilità dato dal rapporto tra il patrimonio e l’insieme delle attività ponderate in base ai rischi di perdita derivanti da inadempimenti dei debitori20. Tale accordo tuttavia fu ritenuto, dopo

alcuni anni, inadeguato in merito alla propria capacità di allineare i 20

BRESCIA MORRA C., Le forme della vigilanza nell’ordinamento finanziario Italiano, Padova, 2010, p.305

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requisiti di capitale con i rischi sopportati dalle banche. Il Nuovo accordo fu raggiunto nel 2004 e ha trovato attuazione in Italia con la circolare n. 263 del 27 Dicembre 2006 della Banca d’Italia recante “ Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”. La struttura del Nuovo accordo prevedeva un sistema complesso di vigilanza sugli intermediari bancari fondato sui cosiddetti tre “pilasti”:

1. Il primo pilastro, a carattere prudenziale, identificava un rapporto minimo che la banca avrebbe dovuto detenere fra il patrimonio computabile ai fini della vigilanza e le esposizioni ponderate in base ai vari fattori di rischio. Le categorie di rischi che vennero prese in considerazione nel primo pilastro sono il rischio di credito (relativo alla concessione di finanziamenti, tipico di ogni istituto di credito), il rischio operativo (corso da ogni soggetto economico, causato da circostanze esterne sfavorevoli) e il rischio di mercato (riguardante possibili fluttuazioni di valore dei titoli detenuti). Tale rapporto istituito col primo pilastro non avrebbe dovuto superare la soglia dell’8%21.

Secondo tale impostazione, a titolo esemplificativo se un istituto di credito avesse voluto finanziare un impresa per 100.000 euro e se il coefficiente di rischio fosse stato del 50%, la banca avrebbe dovuto accantonare a capitale 4.000 euro (= 8% x €100.000 x 50%). In base a tale parametro si può dedurre come una banca sarebbe stata maggiormente incline a premiare l’impresa migliore dato che la dotazione

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di capitale dell’istituto di credito per fronteggiare eventuali perdite sui crediti sarebbe stata più bassa.

2. Il secondo pilastro rappresentò a tutti gli effetti l’elemento di maggiore svolta e novità in ambito di vigilanza e un requisito che imponeva notevoli investimenti da parte degli intermediari. Secondo le Istruzioni di vigilanza per le banche – circolare 263 del 2006 il secondo pilastro prevedeva che le banche si dotassero “ di una strategia e di un processo di controllo dell’adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, rimettendo all’autorità di vigilanza il compito di verificare l’affidabilità e la coerenza dei relativi risultati e di adottare, ove la situazione lo avesse richiesto, le opportune misure correttive”. Secondo tale enunciazione l’attività di controllo prudenziale si scindeva in due fasi: la prima, facente capo agli istituti di credito, caratterizzata dal processo di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale (Internal Capital Adequacy Assesment Process), la seconda, invece, di competenza dell’autorità di vigilanza, caratterizzata dall’attività di revisione del processo posto in essere dagli istituto di credito. L’autorità di vigilanza, a seguito della propria attività di revisione avrebbe poi espresso il proprio giudizio e, qualora lo avesse ritenuto necessario, attivato le misure correttive.

3. Il terzo e ultimo pilastro rappresentò anch’esso un elemento di grande innovazione rispetto al passato dal momento che pose al centro dell’attività degli istituti di credito l’obiettivo di garantire maggior trasparenza informativa, necessaria ai fini del giudizio del mercato. Il Terzo Pilastro, in particolare, introduceva l’obbligo di pubblicazione di informazioni

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